“Antimafia spaccata”: la solita, vecchia solfa ritorna con Salvini

E ora ripetete con me: “Spaccato il movimento antimafia”. Ditelo bene quello “spaccato”. Non ne sentite la forza onomatopeica? Non sentite il brivido che trasmette quel suono, sillaba per sillaba? Non avvertite qualcosa di voluttuoso, perfino? Dev’essere per questo che da trentasette (37!) anni a questa parte leggo e sento generazioni di giornalisti e politici e opinionisti annunciare al pubblico che il movimento antimafia si è “spaccato”. Ogni anno. Per ogni ragione. In genere davanti a una lapide, a un’occasione simbolica. Per una presenza, una stretta di mano. Per un intero repertorio di motivi: temperamentali, biografici, politici, personali. Che in un partito politico, organizzazione con tanto di capo supremo, sono pluralismo o diversità di scelte. Ma che nel movimento antimafia, che è per definizione fluido e senza segretari nazionali, evocano quella parola irresistibile: “spaccatura”. Nel 1982, dopo l’assassinio di mio padre, lessi che era “spaccata” la mia famiglia. Vergine di queste pratiche, ne rimasi sgomento, perché era proprio difficile trovare famiglia più unita. Poi capii che il verbo era qualcosa a metà tra una tecnica esorcistica e un riflesso pavloviano.

L’antimafia era una creatura anomala, non doveva durare. Ogni forma di antimafia si “spaccava”, ineluttabilmente. Perché ineluttabilmente si hanno ogni tanto idee diverse su quel che ci accade intorno. Spesso per trovare la “spaccatura” si arruolavano nel movimento persone che non vi appartenevano affatto, ma avevano cariche formalmente “antimafia” nelle istituzioni o in qualche associazione.

Oppure alcune ne diventavano portabandiera per decreto della stampa senza che il movimento nemmeno le conoscesse. Come quella “eroina” della lotta alla ‘ndrangheta di cui nulla avevo mai sentito dire e che venne poi inquisita per uso privato di fondi antimafia. A furia di “spaccarsi” per trentasette anni il movimento antimafia dovrebbe essere oggi meno che un atomo. E invece, prodigio della fisica, è il movimento più esteso e appassionato che ci sia in Italia, quello più capace di riempire sistematicamente le piazze e di far viaggiare d’estate migliaia di giovani volontari per campi di formazione e beni confiscati. Quel che è accaduto a Palermo lo scorso 23 non ha dunque nulla di speciale. Solo, qualcuno ha valutato diversamente che cosa fosse più giusto fare davanti all’arrivo di Matteo Salvini ministro dell’interno. Dentro o fuori dall’aula bunker? Molti di quelli rimasti fuori dall’aula non vi sono in realtà mai entrati nemmeno negli anni passati. Mentre il luogo della manifestazione “alternativa” ha tranquillamente ricevuto la visita (giudicata scandalosa per l’aula bunker) dei membri del governo.

Il fatto è che c’è chi, come ha ben ricordato su queste pagine Marco Lillo, ha anteposto una legittima scelta ideologica alla considerazione che l’aula bunker è un monumento alla parte migliore della nostra storia (per me è anche il luogo in cui mio padre ha avuto giustizia), dotato di una potenza simbolica che batte quella di dieci governi messi insieme. E c’è chi, dai lati del corteo, ha voluto intonare “Bella ciao” proprio mentre un fiume di ragazzi ritmava i nomi di due grandi partigiani della democrazia, “Giovanni e Paolo”, camminando, fra l’altro, con Fico, Orlando e Zingaretti, Maria Falcone e Cafiero de Raho, figurarsi se non ci fosse stata la “spaccatura”. Passerella? Certo, nell’aula bunker ce n’è sempre. Può urticare quel baluginio di potere, ma è il segno che tutti si devono inchinare alla memoria di Falcone. Se i ministri non ci fossero ci chiederemmo (come mi chiedo spesso alle commemorazioni di mio padre) “ma il governo dov’è?”. Ma la divisione tra politica e società civile è una bufala. Un bel po’ di politica era fuori dall’aula. Molta società civile era dentro, a partire dalle scuole. E dall’università. A nome della quale mi è stato chiesto di parlare della convenzione di Palermo (ovvero la lotta al crimine transnazionale) fatta, senza protocolli, da studenti o ricercatori all’estero. Ho raccontato di loro, della lotta alla mafia che esportano con passione in Spagna e in Germania, in Messico e a Berkeley. Ma a chi ha poi deplorato l’assenza della società civile nell’aula bunker non è fregato nulla. Ma non era quella che interessava. Certo, dall’anno venturo, cerchiamo di sapere che progetti hanno i ragazzi. Meno spazio alle istituzioni, più alle scuole. D’accordo? Oddio, ho ri–“spaccato” l’antimafia…

Mark Caltagirone, ti amo. L’amore virtuale spopola: “Pure la mia amica è plagiata”

Cara Selvaggia, a proposito di Pamela Prati e finti matrimoni. Ho conosciuto Lucia perché era la fidanzata di un mio caro amico. Abbiamo legato subito e siamo diventate affiatate in poco tempo. Uscivamo in 4 spesso e volentieri. Loro erano una coppia carina, innamorata, che progettava una vita insieme. Con tanti interessi in comune, persone normali. Lei brillante e piena di interessi. Mi accorsi che qualcosa non andava tra loro perché lei stessa si confidò con me. Disse che aveva conosciuto un ragazzo grazie ad una sua allieva nonché amica di origini tedesche (lei insegna diverse discipline sportive, dal karatè all’equitazione). Stava sempre con questa ragazza, in modo quasi morboso, e mi disse che le aveva presentato suo fratello e che, in poco tempo, lui aveva iniziato a capirla meglio di chiunque altro. Le suggerii di non buttare al vento la sua storia con M. Ma le cose degenerarono: Lucia era sempre più coinvolta, parlava in maniera strana, si contraddiceva continuamente. Lasciò M. di punto in bianco, con freddezza inaudita. Gli disse che era felicemente innamorata di un altro. Questo uomo, però, lei non lo aveva mai visto. La presunta sorella, cioè la sua allieva inseparabile, glielo aveva presentato per telefono e via chat. Il loro rapporto era tutto platonico, passavano ore a chattare e parlare, specie di notte. Lui si chiamava Richard, le raccontò che era un principe decaduto di una prestigiosa dinastia tedesca. Quindi non poteva ufficializzare subito il fidanzamento con lei per rispetto delle etichette (ti giuro!). Poi disse di non poter venire in Italia perché ammalato cervello, in attesa di un’importante operazione, sempre al cervello. Per mesi raccontò la storia del ricovero in una clinica. E lei ci credeva. Le fece poi arrivare un anello di fidanzamento tramite la sorella e le chiese di sposarlo. Organizzarono tutto al telefono. Lei andava da sola (o con la sorella di lui ovviamente) a vedere le location, a provare i vestiti. Diede persino degli acconti. Insomma, stava davvero organizzando un matrimonio con un tizio che non aveva mai visto se non in foto! E chissà di chi erano, le foto… Io e altri amici provammo a farle aprire gli occhi. Parlammo persino coi suoi fratelli. Niente. Era totalmente annientata. Plagiata dall’amica tedesca e dal fantomatico fratello di lei. Raccontava di averlo visto dal vivo un paio di volte, ma poi si smentiva da sola nel giro di pochi minuti. Insomma una storia che sembra totalmente di fantasia, ma che ho vissuto sulla mia pelle, anche se indirettamente. Lei dopo due anni lo ha lasciato. All’ennesima bugia di lui di venire in Italia e di non essersi presentato all’ultimo, è crollata. E per fortuna è riuscita ad uscirne. Ma non senza essersi lasciata alle spalle amicizie e sofferenze. Ora so che sta bene ed ha di nuovo un compagno. Stavolta in carne ed ossa! So anche che l’amica tedesca se ne è andata via da Roma, proprio poco dopo che lei ha lasciato suo fratello… Guarda caso. Ho voluto raccontare questa storia per dare la mia testimonianza. Tutti che dicono che non sono cose possibili, ma non è vero. Anche le cose più surreali a volte sono… reali. O così pare.
Linda

Cara Linda, Il copione è sempre lo stesso, dunque ritengo che il fratello di questa allieva non sia mai esistito e che in realtà fosse una seconda identità dell’allieva stessa, probabilmente innamorata segretamente della tua amica. Certo è che due anni buttati dietro a un’entità virtuale sono tantissimi e questo è l’aspetto che mi stupisce di più. Cascarci è umano, perseverare è diabolico, organizzare perfino un matrimonio è Mark Caltagirone.

 

“L’amante giovane è l’antidoto alla paura d’invecchiare?”

Cara Selvaggia, ho visto le foto di Monica Bellucci a Cannes. Molto bella, molto elegante, una cinquantacinquenne che porta egregiamente i suoi anni. Ho letto anche le sue assennate dichiarazioni sulla vecchiaia che è ancora un tabù e sulla sua tranquillità nell’invecchiare. “Non ho paura di invecchiare” ha detto. Tutto molto bello. Poi però ho visto il suo nuovo amore e appreso che ha 18 anni meno di lei. Da quello che vedo è una specie di artista, un po’ hippy, capellone, molto rude, l’esatto contrario del suo ex Vincent Cassel. A sua volta, so che Cassel ha una nuova moglie che ha 21 anni e dunque 31 meno di lui. Per riassumere, i nuovi compagni di Monica e Vincent, insieme, hanno 49 anni in meno di loro due. Una vita, insomma. La mia osservazione quindi è la seguente: davvero Monica non ha paura di invecchiare? E se invece sia lei che il suo ex marito quasi coetaneo fossero scappati non l’uno dall’altra ma dalle reciproche paure di invecchiare? Perché alla fine diciamocelo, se Monica non avesse bisogno di sentirsi ancora una ragazza, avrebbe scelto un uomo maturo, centrato, con qualche capello bianco. E invece è appagata, lusingata dall’amore giovane. Non è forse questa una gran paura del tempo che passa?
Giorgio N.

 

Monica, ritratta in foto con un piacente settantenne sarebbe la ragazzina della coppia. Quindi no, uscire con un uomo più giovane, al limite, fa sentire più vecchi, posso garantirtelo.

 

Inviate le vostre lettere a: il Fatto Quotidiano 00184 Roma, via di Sant’Erasmo,2. selvaggialucarelli @gmail.com

I gusti cambiano: meglio Apple delle auto

La scorsa settimana, Forbes ha diramato la sua solita classifica annuale sul valore dei brand presenti negli Usa. Neanche a dire che i primi posti sono inarrivabilmente ad alta tecnologia, con mostri sacri del calibro di Apple, Google, Microsoft, Amazon e Facebook (in rigoroso ordine di classifica) che la fanno da padroni, seguiti da un nugolo di altri marchi che, nei primi cento posti, tutti insieme valgono qualcosa come 2.330 miliardi di dollari. Cifra cresciuta dell’8% rispetto ai numeri del 2018. La novità che emerge, tuttavia, è il calo generalizzato delle aziende che si occupano di automotive. Quella che vale di più, come testimonia la graduatoria, è Toyota: stabile a 44,6 miliardi di dollari, che gli fruttano il nono posto assoluto. Dietro di lei, nondimeno, si arranca.

Mercedes perde il 3% e si ferma a 33,2 miliardi, passando dalla 13esima alla 17esima posizione. Bmw perde il 5% (29,8 miliardi) e un posto, sistemandosi al ventunesimo. Honda cresce dell’1% (25,8 miliardi), ma questo non gli impedisce di indietreggiare di quattro posizioni, sistemandosi alla ventottesima. E poi, via via, Audi (41), Ford (48), Porsche (62), Chevrolet (63), Lexus (72), Nissan (81) e quindi, a chiudere la presenza dei costruttori nella top 100 della rivista americana, Hyundai al 94esimo posto. Insomma, una débacle generalizzata. Che potrebbe suonare come campanello d’allarme riguardo al cambiamento di gusti e abitudini dei clienti abituali. La transizione verso l’auto di domani passa anche da qui.

Elettriche, arrivano piccole scosse di mercato

Il mercato delle auto elettriche dimostra di essere in salute, nonostante una cultura della mobilità green difficile da impiantare ovunque, soprattutto a livello europeo. Ma partendo da un’analisi globale dell’andamento del 2018, la ricerca condotta da TÜV (l’associazione di controllo tecnico tedesca) mostra un parco circolante dei veicoli elettrici cresciuto del 50% rispetto al 2017, il che si traduce in oltre tre milioni EV sulle strade. In termini di vendite, invece, nel 2018 si sono registrate 1 milione e 600 mila unità, ovvero il 2% del mercato annuo totale. Le performance migliori a livello mondiale, sempre parlando di vendite, sono quelle dei paesi scandinavi: Norvegia, dove le elettriche rappresentano il 39% dell’intero mercato auto, e Svezia (6,3% del totale), alle quali si unisce l’Islanda (11,7%). Non a caso la regione “Nordic” rappresenta il terzo mercato al mondo in termini di volumi, seconda solo a Cina e Stati Uniti. Guardando al resto dell’Europa, dopo la Norvegia troviamo la Germania, e poi a seguire Inghilterra e Francia. Anche l’Italia sta facendo la sua parte con 2.346 immatricolazioni di elettriche da gennaio ad aprile 2019, nonostante un rallentamento in parte condizionato dall’attesa per l’annunciato ecobonus, introdotto solo lo scorso marzo. Il picco del mercato elettrico italiano, secondo il report 2018 degli esperti del Politecnico di Milano, dovrebbe toccarsi già nel 2025: saranno fondamentali gli sviluppi della rete infrastrutturale e anche un’accessibilità all’elettrico, in termini di prezzi, che per una certa fascia di consumatori resta ancora proibitivo.

Bmw X7, il suv gigante. Un extra lusso a ritmo di rock

Spartanburg, South Carolina, è una cittadina di 40 mila abitanti. Per anni famosa, tra gli amanti del rock-blues, perché alla fine degli Anni 60 vi nacque la Marshall Tucker Band (quella di Can’t you see). Uno dei fondatori, il chitarrista Toy Caldwell, nel 1968 fu ferito in Vietnam. Oggi Spartanburg è celebre perché nel mega stabilimento (ci lavorano oltre 8 mila addetti) aperto nel 1992 dalla Bmw, vengono costruiti quasi tutti i suv della Casa bavarese. E da qualche settimana è iniziata la produzione del più grosso di sempre: The X7, look fuoristradistico e cuore extra lusso. Costa un botto (dai 94.500 euro in su), pesa 2.500 kg a vuoto, è lungo 5,15 metri, è alto più di Fabio Fognini e ha, di base, i cerchi da 20 pollici.

Sfornata in quantità contenute, la nuova X7 finirà per metà sul mercato americano. Un’altra fettona sarà destinata ai ricconi cinesi, il resto all’Europa e ai Paesi asiatici in ascesa. Fuori dall’asfalto la vedremo poco, di fatto è una maxi-ammiraglia con lo stile tradizionale degli sport utility Bmw, a cominciare dal doppio rene sul frontale e dalle prese d’aria. Di serie ha 7 posti, con lo schieramento 2-3-2. Chi ne vuole solo sei, sgancia 700 euro e si ritrova al centro la più comoda panca a due posti.

Dentro ovviamente la situazione è salottiera, con pelle e radica degne del più raffinato club londinese only for men. E tutti i ritrovati tecnologici e di comfort più cool.

La normativa italiana consente la guida assistita di livello 2. La X7 decelera, frena, ri-accelera “agganciandosi” all’auto che precede, che si può tenere a diverse distanze, ti tiene in carreggiata, ti avverte se vede che la testa del guidatore ciondola. Ci vuole un po’ per prendere la mano, poi è come avere l’istruttore di scuola guida con te.

Sulle strade tortuose meglio far da soli, magari agendo sulle palette del cambio al volante: niente manuale, domina lo Steptronic a otto rapporti.

In Europa per ora dovremo accontentarci dei sei cilindri in linea: un 3.0 a benzina da 340 Cv, e due 3.0 a gasolio, rispettivamente da 265 e e 400 Cv. In Italia il preferito sarà il turbodiesel meno potente (dai 97.400 euro), che arriva comunque ai 227 all’ora e fa da zero a 100 in 7 secondi. Dei consumi, inutile parlare. Ciuccia, com’è facile intuire, The X7.

Meglio non pensarci e godersi la musica. Magari con l’impianto, optional, della Bowers & Wilkins, di Worthing, a pochi km da Brighton, teatro della battaglia tra rocker e mod raccontata in Quadrophenia, con Sting a impersonare Ace, idolo dei mod. Ascoltare la colonna sonora del film, viaggiando in relax con la guida assistita, è una libidine senza prezzo.

Si fa per dire: l’hi-fi Bowers & Wilkins sulla X7 costa 5.200 euro.

Doping al cervello coi farmaci legali

Potenziare la concentrazione, migliorare la memoria e azzerare la fatica per lavorare fino a 20 ore consecutive. In pratica dopare il cervello.

Senza stupefacenti, ma attraverso l’uso di integratori, ormoni e farmaci legalissimi. Come quelli per curare il disturbo da deficit dell’attenzione, la narcolessia, l’ansia o l’alzheimer. Una cosa che sta diventando pericolosamente normale tra gli scienziati della Silicon Valley, i medici, i piloti, e gli studenti universitari americani ed europei. All’università di Oxford, per dire, nel 2016 il 15,6% degli studenti ha assunto queste sostanze. A fare il punto sul brain enhancement, cioè la cultura del potenziamento cognitivo è il libro della giornalista Johann Rossi Mason: “Cervello senza limiti” (Codice edizioni). Queste smart drug avendo bisogno di una prescrizione medica sono acquistate online o nel mercato nero con notevoli rischi. Tra l’altro, scrive la giornalista, poco si sa sugli effetti collaterali di questi farmaci sui soggetti sani. Su cervellosenzalimiti.it, Rossi Mason ha lanciato anche un sondaggio online per indagarne il consumo in Italia.

Pensioni a perdere, la propaganda degli alti rendimenti del privato

Agli italiani non converrebbe tenersi i contributi dovuti all’Inps e investirli diversamente? La questione è sentita. Non è affatto rara la recriminazione, in effetti alquanto qualunquistica, che i versamenti all’Inps sarebbero soldi persi, utilizzabili molto meglio in altro modo, anche mantenendo la finalità previdenziale. Accantoniamo pure l’obiezione a monte che la previdenza pubblica dev’essere obbligatoria in quanto assicurazione sociale, come è evidente a chiunque conosca la materia. Infatti sono obbligatorie anche le assicurazioni per la disoccupazione, gli infortuni, l’invalidità ecc.

Entriamo nel merito di valutazioni numeriche, in particolare prendendo in esame una recente elaborazione del Centro Studi Impresa Lavoro, che per il quinquennio 2014-2018 confronta i coefficienti di capitalizzazione applicati dall’Inps ai contributi versati e i rendimenti delle forme di previdenza integrativa, in tutto o prevalentemente obbligazionarie. I primi risultano dello 0,33% annuo medio, nettamente inferiori ai secondi al 2,62%, sempre annuo. In effetti ci sarebbe qualche riserva sulle aggregazioni fatte, ma il problema è un altro.

Soltanto a prima vista il confronto regge. Solo in apparenza esso dimostra che il privato conviene rispetto al pubblico. Ugualmente infondata è la tesi che alla fine della vita lavorativa si avrebbe un montante (capitale accantonato) superiore del 30%. Tutte tali conclusioni sono viziate da una grave carenza metodologica.

La buona o discreta auredditività della previdenza integrativa negli ultimi anni deriva non dalla bontà dello strumento e tanto meno da un’inesistente bravura dei gestori, bensì dalla salita delle quotazioni dei titoli a reddito fisso, a sua volta conseguenza del calo dei tassi d’interesse. Prendendo per esempio i Btp decennali, nel quinquennio considerato il loro rendimento nominale è sceso dal 4,1 al 2,7%. Ma è impossibile che tale fenomeno continui a lungo termine. O qualcuno ipotizza seriamente che fra vent’anni i Btp renderanno in negativo il -2,5% annuo e fra trent’anni il -5%? In lettere: meno cinque per cento all’anno!

Ci sarebbe poi da aggiungere che il meccanismo di rivalutazione delle pensioni pubbliche tiene conto dell’inflazione, nei cui confronti la previdenza privata è del tutto sguarnita. In ogni caso certe analisi e soprattutto certe conclusioni, anche se formulate in buona fede, servono solo come strumento di propaganda ingannevole per chi vende fondi pensione, polizze e altra roba simile.

 

Imu, Tasi e Tari: la stangata (in sigle) sulla casa è servita

Dall’Ici all’Imu, dalla Trise con Tari e Tasi al Tuc (il tributo unico comunale cancellato ancor prima di nascere) per arrivare nel 2013 alla Iuc, l’imposta unica comunale che ha mandato in pensione la riforma messa a punto dal governo Monti tenendo a regime Imu (imposta municipale unica) e Tasi (tributo per i servizi indivisibili) – che dal 2016 si pagano solo sulle seconde case e sugli immobili di lusso – e Tari (la tassa sui rifiuti in sostituzione della Tarsu e della Tares). Letta tutta d’un fiato, questa è la sintesi della recente storia delle tasse sulla casa che due volte all’anno (a giugno e dicembre) tiene in fibrillazione oltre 25 milioni di italiani. E che anche il prossimo 17 giugno non sarà da meno.

Non solo l’obiettivo dichiarato dalla Lega è la riapertura del dossier casa, con l’idea di creare una tassa unica che comprenda Imu e Tasi. Ma, soprattutto, la legge di Bilancio non ha prorogato il blocco delle addizionali locali e dell’Imu sulle seconde case, congelate nel 2016. Risultato: Regioni e Comuni potranno aumentare le aliquote fino ai livelli massimi. Cioè il 3,3% per l’addizionale Irpef regionale, lo 0,8% per quella comunale (con l’eccezione di Roma dove è già allo 0,9%) e il 10,6 per mille per Tasi e Imu. Il Sole 24 Ore nei giorni scorsi ha calcolato che sono 6.782 i Comuni che potrebbero rivedere al rialzo le addizionali perché sotto il tetto massimo e 6.516 quelli che potrebbero scegliere di ritoccare l’Imu. Ad averla già rialzata ci sono Napoli, Palermo e Milano. Città che si aggiungono a quelle segnalate dalla rilevazione del Servizio Politiche Territoriali Uil, aggiornata allo scorso 10 aprile: Torino, La Spezia, Pordenone e Avellino.

È evidente che la casa rappresenti da sempre un bancomat per governi ed enti locali. Del resto, come ha sottolineato l’Agenzia delle Entrate a marzo, la tassazione immobiliare nel 2018 si può stimare in 40 miliardi di euro. E se le imposte di natura reddituale (Irpef e Ires) pesano per il 21%, quelle di natura patrimoniale (Imu e Tasi) sono il 49% della torta, con un altro 30% che arriva da trasferimenti e locazioni (Iva e imposte di registro, ipotecarie e catastali, successioni e donazioni, registro e bollo su locazioni). Dati confermati anche dal dossier della Uil, secondo cui nel 2018 nelle casse dei Comuni sono entrati 34,3 miliardi di euro di cui 21 miliardi per l’Imu/Tasi, 4,6 miliardi per l’addizionale comunale Irpef e 9 miliardi per la Tari. Balzelli il cui gettito medio pro capite ammonta a 1.340 euro annui, con l’esborso che sale a 2.267 euro a Roma, 1.952 euro a Torino, 1.923 euro a Genova; 1.888 euro a Milano 1.888 euro e 1.791 euro a Napoli.

Già a novembre 2018 la Lega ha cercato di mettere mano alle tasse sulla casa, attraverso un emendamento che, però, non è piaciuto a Confedilizia che lo bollò come un modo per “nascondere un aumento di tassazione”. Così tra polemiche e impellenti questioni di bilancio, il Carroccio decise di rinviare il dossier che, però, proprio in questi giorni, è stato riaperto attraverso una proposta di legge che torna a voler fondere in un’unica nuova imposta l’attuale doppione Imu e Tasi, che fa pagare due tasse sulla stessa base imponibile, fissando al 10,6 per mille il tetto massimo entro cui i Comuni possono operare aumenti con la leva fiscale che il governo gialloverde ha sbloccato. Una riforma resa impossibile fino a oggi dalla giungla di aliquote, oltre 200mila, che i singoli Comuni hanno deliberato grazie all’autonomia tributaria locale e che hanno fatto sì che l’importo delle imposte sia diverso in tutta Italia. A fare il punto della situazione ci ha pensato il ministero dell’Economia che ha passato al setaccio tutti i regolamenti comunali, arrivando alla conclusione che i sindaci potrebbero utilizzare solo 10 categorie di tassazione, con una distinzione tra prime case e gli altri immobili. Ma questo non risolverebbe comunque il nodo dell’aliquota massima: bloccandola al 10,6%, senza la possibilità di una maggiorazione dello 0,8 per mille – come succede ora con un sesto dei Comuni che l’ha già portata all’11,4 per mille – ci sarà l’ennesima rivolta dei Comuni che si vedranno tagliate le entrate. Sul fronte Tari, invece, dalla rilevazione della Uil emerge che su 54 città capoluogo analizzate, 23 di esse (il 42,6% della rilevazione), hanno aumentato la tariffa sui rifiuti, 19 l’hanno diminuita e 12 hanno mantenuto inalterate le tariffe. Nel dettaglio, a Napoli e Cagliari si pagheranno mediamente 447 euro, ad Asti 434 euro, a Messina 433 euro, a Ragusa 431 euro. La Tari, resta, invece invariata a Bari (380 euro), Roma (308), Milano (342) e Bologna (228).

Niccolò Machiavelli, sovversivo narrato da Alberto Asor Rosa

Una sorta di affanno scorre fra le pagine di questo importante libro di Alberto Asor Rosa (Machiavelli e l’Italia. Resoconto di una disfatta, Edito da Einaudi) che occupa uno spazio vuoto nella foresta di studi intorno al Principe e al suo autore. Da grande narratore, Asor Rosa sente e racconta l’affanno del suo personaggio, che ha visto, ha capito, ha interpretato, vorrebbe poter disegnare un percorso, ma perde terreno in una gara disperata contro la politica del suo tempo, e non riesce a farsi sentire quando dice dove dovrebbero stare l’Italia e coloro che aspirano ad esserne i condottieri.

Sono tempi tragici, eroici, feroci ma anche immensamente creativi, dove Michelangelo corre a Firenze per diventare l’esperto delle fortificazioni, e il popolo è nello stesso tempo il protagonista e la vittima di ciò che sta succedendo. Ad Asor Rosa preme di svelare il dramma di Machiavelli, lo straordinario scrittore che capisce e costruisce i pezzi di un’altra politica (dunque un altro spazio e un altro tempo) come in un sogno angoscioso. Resta afono e immobile quando il suo genio politico e strategico potrebbe cambiare il destino di un Paese e far nascere sul momento l’Italia. Gli preme anche di svelare ai lettori, in straordinarie pagine di letteratura, i modi, i fatti, i personaggi della storia attraverso cui si profila l’immagine di un’Italia che non è destinata a cambiare, continuerà a coltivare il suo genio distruttivo, in grado di far fronte ad ogni tentativo di vita nuova. E fa in modo che la pesante sosta continui, e una nazione non nasca, nonostante il carico di genio che quello stesso Paese sta offrendo al mondo, e che si spargerà tra musei, biblioteche e racconti.

“Si capisce bene, del resto, la natura lucidamente ricorrente, quasi ossessiva di questa tematica – scrive Asor Rosa interpretando il tempo e leggendo il personaggio –. Il problema ineliminabile è fondare Stati, poiché dove non ce n’è, non ce ne è mai stato uno, questo è il compito fondamentale del Principe nuovo. Il ‘caso Italia’ è dunque sempre presente nel retropensiero di Machiavelli”. Ma lo è, in tutto il testo di questo libro (che merita scuola, lettura, dibattito) nel retropensiero di Asor Rosa che respira oggi l’aria di allora. Scrive: “In questo caso si tratta di elaborare un pensiero che sia in grado di passare meglio, più efficacemente e più risolutamente, all’azione”.

Accade qualcosa di peggio al libro–manifesto in discussione scritto per scuotere e cambiar la politica. Accade che la politica lo spinga indietro e fuori dal cerchio della conoscenza e delle decisioni. E Asor Rosa deve dire, mentre sta trasportando materiale prezioso da un’epoca cieca a un’epoca cieca: “Insomma, è come se una colossale censura si fosse coalizzata per contrastare e, alla fine, impedire gli effetti cataclismatici che un’opera come quella avrebbe potuto produrre sul fragile ambiente politico e culturale del tempo”. È naturale che il titolo di uno dei capitoli di questo libro inchiesta su Machiavelli e il suo libro suoni come la scritta su una lapide: “Vivere e sopravvivere: la lotta per esserci e per durare”.

Facce di casta

 

Bocciati

TU IS MEGL’ CHE UAN Matteo Salvini è riuscito nell’epica impresa di mettere insieme in un’unica esternazione le uscite più eclatanti dei suoi due alleati di governo, quello di sempre e quello di oggi, raccogliendole insieme sotto l’egida della flat tax. “E con la flat tax sarà un nuovo miracolo italiano. Si tornerà al boom da anni Cinquanta”: ed ecco che il ‘nuovo miracolo italiano’ di berlusconiana memoria, con cui il presidente di Forza Italia concludeva il messaggio della sua discesa in campo nel 1994, si affianca fieramente al ‘boom economico’ di cui 25 anni dopo Luigi Di Maio preconizzava l’arrivo grazie alla nuova sfida delle autostrade digitali. Le due sparate più altisonanti della contemporaneità sommate l’una all’altra, addirittura nello stesso concetto: perché il Capitano è così, se qualcuno la spara grossa, lui nel dubbio raddoppia.

voto 4

EGLI NON INTENDE. A suggellare quanto affermato da Fiorella Mannoia ci pensa Andrea Romano con un tweet in cui parla del trio De Masi-Giannuli-Marescotti. I tre hanno lanciato un appello in cui invitano chi è rimasto deluso dai Cinque Stelle, come è accaduto a loro, a votare La Sinistra; e Romano ha commentato così: “E niente, non ce la fanno proprio a dire ‘Votando M5s ho sbagliato io’. Questa cosa della richiesta di autocritica al @pdnetwork da parte di chi ha votato #M5s sta sfuggendo di mano…”. Come volevasi dimostrare.

voto 4

 

Promossi

COME FU POSSIBILE. In una campagna elettorale per le elezioni europee in cui l’Europa è un argomento che non è mai comparso, in cui ogni visione o strategia sono stati sacrificati al tornaconto spicciolo e immediato nelle casse del consenso nazionale, arrivano come una boccata di vento in un pomeriggio d’Agosto le parole con cui Giuseppe Civati, dopo una breve trasferta sull’isola, ricorda come e perchè Ventotene fu il laboratorio di un’utopia a cui riuscì di prendere corpo: “Tutto torna, a Ventotene. L’isola in cui il regime fece la follia di mettere, in pochi padiglioni, le migliori menti dell’opposizione. Tutte insieme. Che forse farebbe bene anche oggi, come esperienza, all’opposizione. Non il confino, eh, ma stare insieme su un’isola a ragionare. A immaginare il futuro. Là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva. Dove c’erano le celle claustrofobiche del reclusorio e il filo spinato e i segni per terra per delimitare il percorso dei confinati (confini pure quelli) è cresciuta la squadra dei Costituenti, allenata dai vari leader, orgogliosissimi della propria prospettiva, che allora si conobbero e crebbero insieme. È nato il Manifesto di Spinelli e Rossi, con Colorni che non sarebbe sopravvissuto alla guerra, per pochi giorni, per mano della banda Koch”. La somma delle menti, la giustapposizione dei pensieri, perché essi si compongano insieme e diventino una forza motrice: forse sta qui l’unica risposta possibile. Ma il confronto tollerante e razionale, perfino sul clima, non va di moda: “Abbiamo 11 anni per evitare il peggio – dice Civati –. In Italia, invece, si fanno battute da prima elementare sul freddo degli ultimi giorni di maggio, come se bastasse a frenare il surriscaldamento globale”.

voto 8