Donald Trump è uno che non ha paura di andare alla ‘guerra dei mondi’: declinando gli slogan che sono i suoi mantra, “Make America great again” e “America first”, ingaggia partite a braccio di ferro con la Cina e la Russia, con l’Iran e i suoi partner europei, su fronti strategici e commerciali. Ma ci sono ‘stelle polari’ d’amicizia e alleanza che non tradisce mai: Israele e l’Arabia saudita. La prima missione all’estero di Trump a Ryad gli fruttò affari per oltre 100 miliardi di dollari in dieci anni.
Per compiacere l’Arabia saudita e il principe ereditario Mohammad bin Salman, cui al G20 non esitò a stringere la mano, nonostante l’intelligence lo avesse avvertito che c’è lui dietro l’assassinio a Istanbul dell’editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi, il presidente sfida il Congresso e autorizza la vendita di armi per otto miliardi di dollari – aerei da guerra e munizioni, soprattutto – giustificando la mossa con le tensioni con l’Iran, che lui stesso alimenta. L’Amministrazione ha formalmente notificato al Congresso il ricorso a una clausola d’emergenza che le consente di vendere armi all’Arabia saudita, e pure agli Emirati Arabi Uniti, senza attendere l’avallo di deputati e senatori, anzi ignorando addirittura il loro divieto a farlo. La mossa avrà come effetto l’inasprimento dei rapporti già tesi su più fronti tra Trump e il Congresso, che tra l’altro gli rimprovera, in modo bipartisan, l’ambiguo atteggiamento tenuto dopo l’uccisione di Khashoggi. La clausola di emergenza invocata è insita nell’Arms Export Control Act e dà al presidente il potere di procedere a una vendita di armi, già pianificata, senza che il Congresso possa bloccarla. Deputati – alla Camera, i democratici sono maggioranza – e senatori sono infuriati: quelle armi non serviranno a intimorire l’Iran, ma a continuare a combattere la guerra nello Yemen, che ha già fatto decine di migliaia di vittime civili.
Il segretario di Stato Mike Pompeo prova a gettare acqua sul fuoco: è un’operazione una tantum per “dissuadere l’aggressione dell’Iran” (un riferimento agli incidenti nello Stretto di Hormuz registrati nei giorni scorsi e la cui origine non è stata accertata). Ma, in realtà, la mossa rischia d’accentuare l’escalation delle tensioni con Teheran, che vede in Ryad il principale antagonista nel Golfo. Possibili attacchi iraniani a Paesi alleati e a forze americane nella Regione avevano già giustificato l’invio in Medio Oriente di una squadra navale Usa guidata dalla portaerei Lincoln.
Da settimane, Trump alterna verso l’Iran atteggiamenti contraddittori, più sovente minacciosi, ma talora distensivi. Anche Teheran, dal canto suo, alterna toni di sfida, anche ad uso interno, e aperture al dialogo. Il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha di recente avuto incontri con senatori americani – come la senatrice democratica Dianne Feinstein – per “contrastare l’impatto di gruppi di pressione come il ‘gruppo B’ sull’opinione pubblica Usa”. Il ‘gruppo B’ indica una cerchia di persone che starebbero sollecitando Trump a fare la guerra all’Iran: John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale, Benyamin Netanyahu, premier israeliano, e i principi ereditari saudita Mohammad bin Salman e degli Emirati arabi uniti Mohammad bin Zayed.