Lo strano prefetto di Viterbo: tifa per Salvini e Lega

La Lega, ormai si sa, conquista consensi anche al centro-Sud. Difficilmente però ci si poteva immaginare che, al fianco di riciclati ex forzisti e missini, si avvicinassero al Carroccio anche figure istituzionali.

È quanto succede a Viterbo, dove il prefetto Giovanni Bruno da tempo sta prendendo confidenza con la Lega, come testimoniano le sue partecipazioni a diversi eventi di partito sul territorio. Almeno quattro dallo scorso anno. L’ultimo, pochi giorni fa, quando Bruno – come testimonia TusciaWeb – ha presenziato a una cena elettorale in città incontrando tra gli altri il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti.

Complicato far passare questo e gli altri eventi come occasioni istituzionali, di certo più opportuni al di fuori di sedi o feste di partito. E poco male se stavolta Matteo Salvini non è potuto esserci, perché i due si erano già incontrati a inizio mese, quando il vicepremier – nella consueta polemica sulle festività politicizzate – aveva passato il primo maggio a Viterbo. Seduti uno a fianco all’altro, dopo il tour elettorale del ministro dell’Interno in previsione delle comunali di Tarquinia e Civita Castellana di domenica.

D’altra parte alla simpatia del prefetto per questo tipo di eventi si unisce la volontà dello stesso Salvini, che non ha nascosto di gradire la presenza di Bruno agli incontri leghisti nel viterbese. Tanto è vero che anche ad aprile il prefetto era stato fotografato tra gli invitati per la grande adunata del Carroccio, in occasione dei festeggiamenti per il decimo anno della sezione locale leghista. Presenti, insieme al prefetto, salviniani doc come Alberto Bagnai, Toni Iwobi e Massimiliano Romeo, oltre al candidato sindaco a Tarquinia Alessandro Giulivi. Nessuna paura, anche in questo caso, di macchiare l’immagine di terzietà che una figura pubblica, “autorità provinciale di pubblica sicurezza”, dovrebbe mantenere.

L’intesa tra Bruno e Salvini, poi, nasce ancor da più lontano, se si pensa che il primo incontro dopo le elezioni del 4 marzo era avvenuto il 22 dello stesso mese, un anno fa. Anche in quel caso tutti attovagliati in un ristorante viterbese, magari ipotizzando scenari di governo che si sarebbero realizzati di lì a poco. Un comportamento politico che oggi non sta turbando il centrosinistra laziale, che peraltro ieri ha incontrato Bruno per chieder conto dei risultati in termine di sicurezza: secondo i dati diffusi dal Viminale, Viterbo è l’unica provincia in Regione in cui nel 2019 c’è stato un aumento dei reati, alcuni dei quali divenuti cronaca nazionale, come lo stupro di una donna da parte di due militanti di CasaPound o il recente omicidio di un commerciante. Su questo, magari, il prefetto potrà chiedere una mano al ministro dell’Interno. Si tratta solo di attendere la prossima cena di partito.

Bassetti abbassa i toni: “Mai detto di non votare Lega”

Il presidente della Cei Gualtiero Bassetti ha fatto un passo indietro. Dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi, interpretate come una “scomunica” di Matteo Salvini e un invito a non votare il leghista nelle elezioni europee di domenica, Bassetti ha voluto specificare il suo pensiero. A margine di una conferenza stampa in Vaticano, ha smentito di aver mai dato quell’indicazione: “Non è nel mio stile, nel mio temperamento, nel mio modo di pensare”.

Un passo indietro quindi, ma non completo: Bassetti infatti ha lasciato comprendere tra le righe anche di avere idee molto diverse rispetto a quelle del leader leghista. “Certamente ho la mia visione della politica che parte da una antropologia cristiana” che guarda alla “persona, al bene comune, alla solidarietà, all’accoglienza”. Il cardinale ha concluso le sue dichiarazioni ribadendo di voler rimanere estraneo e neutrale ai giochi politici: “Non vado a interessarmi di quello che Salvini condivide o non condivide. Su questo punto: libera Chiesa in libero Stato, nel rispetto reciproco”.

Gli sfoghi della Pascale: “Salvini lercio buffone”

Sul profilo WhatsApp di Lady Berlusconi si legge la qualsiasi. Francesca Pascale non ha problemi nel condividere con i numerosi contatti telefonici (che possono leggere i suoi status pubblici) quale sia la sua opinione su Matteo Salvini. Che poi, fino a prova contraria, sarebbe ancora alleato del suo Silvio in una miriade di città e regioni.

Ecco alcune perle del Pascale-pensiero: “Lercio e buffone”, scritto a caratteri cubitali sulla foto del ministro dell’Interno; “Omofobi” e “Pagliacci senza gloria” sull’immagine del leghista con Marine Le Pen. Poi anche una vignetta di Vauro che raffigura il “Capitano”, e la didascalia di Lady B. vagamente allusiva: “È contro i diritti civili e le droghe… ma vuoi vedere che…”. E ancora: foto di striscioni contro il leghista e della famosa copertina di Rolling Stone anti Salvini (pure qui con il gioviale commento: “Buffone!”).

Gli screenshot delle sparate WhatsApp di Francesca Pascale ovviamente stanno facendo il giro delle chat dei parlamentari di Forza Italia. A pochi giorni dal voto europeo, il partito attraversa uno dei momenti più delicati della sua storia. La compagna dell’ex Cavaliere è da tempo una delle protagoniste della faida che dilania gli azzurri. Da una parte c’è lei, insieme all’ex nemica Mara Carfagna, a sostenere la fazione “moderata”, antileghista e antisovranista. Dall’altra i realisti – alcuni nomi: Gianni Letta, Niccolò Ghedini, Licia Ronzulli – fautori di una linea più sensibile all’appeal e alla crescita inesorabile di Salvini.

Lo stesso Berlusconi proprio ieri si è sforzato di minimizzare i dissapori con il vicepremier e distendere il rapporto in un’intervista a Cronache di Napoli: “Con Salvini e la Lega siamo alleati da 25 anni, altro che nemici. Insieme non perdiamo un’elezione”. Qualcuno deve avvisare la first lady.

La Pascale è al centro di veleni e critiche anche per il ruolo attivo che ha avuto nella composizione delle liste europee. E in particolare nella scelta di uno dei candidati nel collegio dell’Italia meridionale, l’imprenditore beneventano Leonardo Ciccopiedi. Secondo le malelingue del suo stesso partito, Ciccopiedi non avrebbe spiccate capacità politiche, diciamo, né meriti diversi dall’essere uno stretto amico “della Francy”. Né è stato apprezzato che una delle pochissime sortite di Berlusconi in questa campagna elettorale sia stata dedicata proprio a Ciccopiedi: una telefonata pubblica durante la presentazione della sua candidatura.

Insomma, non bastassero i sondaggi, alle spalle dell’ex Cavaliere, alla vigilia dell’ultima sfida politica, si combatte una piccola guerra di retrobottega. Alimentata dalla sua compagna.

Talk per supereroi: i Fantastici 4

A memoria d’uomo non era mai accaduto: quattro ministri dello stesso colore in un talk show. Lo straordinario evento, pari a un’eclissi lunare o all’allineamento dei pianeti, è precipitato come un meteorite negli studi pop e glam dell’Aria che tira, trasmissione di tarda mattinata di La7. Levatrice di questo parto quadrigemellare la bravissima conduttrice Myrta Merlino. In studio: Luigi Di Maio, Riccardo Fraccaro, Elisabetta Trenta, Barbara Lezzi. Due ministri e due ministre per un minestrone di un solo colore. Il giallo pentastellato. A dire il vero, a monopolizzare l’attenzione della conduttrice è stato ovviamente Di Maio, indi qualche domandina agli altri tre, giusto per dare un po’ di dignità al loro ruolo di comparse. Il vicepremier ha anche rivelato che da bambino prediligeva le macchinine ma l’immagine inedita di ieri può rievocare soltanto i supereroi. I Fantastici 4, of course.

Salvini va in Emilia e pensa alle Regionali

“Ho deciso di chiudere la campagna elettorale per le Europee facendo una cosa nuova. Non a Milano, non a Roma. La chiudo in Emilia, a Castel San Giovanni perché questa è terra d’azienda, d’artigianato, dalle parole ai fatti”. Parte da un paese di 14mila abitanti scarsi nella provincia piacentina la (possibile) conquista leghista dell’Emilia Romagna.

Per Matteo Salvini un lungo tour de force, iniziato questo maggio con decine di tappe in altrettanti comuni “rossi” ma che si concluderà il prossimo anno, quando si tratterà di scegliere il nuovo presidente della Regione. Il Capitano ci crede e non lo nasconde. Un’idea impensabile fino a quando un ragazzone trentenne col codino è diventato sindaco di Bondeno, piccolo paese ferrarese in cui nel 2009 la Lega sfiorò il 57%. Il merito è di Alan Fabbri, golden boy emiliano oggi candidato a sindaco di Ferrara. “Uno che ha un’azienda e il 60% di tasse è un eroe se evade” la sua frase più nota, pronunciata in una delle sua ancora rare apparizioni televisive. Attuale capogruppo della Lega in Regione, dopo aver sfiorato il 30% come avversario del dem Stefano Bonaccini, ai ferraresi ha offerto un contratto di berlusconiana memoria con undici priorità. Contro di lui sette candidati, ma la battaglia si giocherà contro lo sfidante del Pd Aldo Modonesi.

Più difficile la sfida a Modena, storica roccaforte della sinistra che ricandida l’uscente Gian Carlo Muzzarelli, dove non a caso Salvini è passato più volte per sostenere Stefano Prampolini, commercialista e volto nuovo della politica. Il profilo moderato inizialmente non ha suscitato entusiasmo all’interno della coalizione di centrodestra ma potrebbe essere invece la carte vincente per convincere gli indecisi. Nelle file della Lega c’è anche una donna candidata a sindaco in Valsamoggia, primo comune in provincia di Bologna nato dalla fusione di cinque paesi per un totale di 32mila abitanti: Emanuela Graziano, commessa, che propone i droni per aumentare la sicurezza. Alle scorse elezioni la Lega non ci provò nemmeno: “Le prime volte che mi sono presentata con banchetto e volantini i residenti non mi guardavano in faccia, si vergognavano, poi si sono abituati e adesso sono sempre di più quelli che mi vengono a stringere la mano”.

A Cesena, Forlì e Reggio Emilia solo candidati civici con coalizioni di centrodestra a sostegno, segno che la Lega conosce i propri limiti e sa dove giocare per vincere. Nessun passaggio per Salvini a Casalgrande, comune reggiano, dove il suo candidato Villiam Rinaldi è salito alle cronache per un suo presunto messaggio vocale in cui invoca le armi contro i comunisti. Ogni appuntamento del ministro dell’Interno ha scatenato scontri e contestazioni, le stesse già annunciate per questa sera dai piacentini di Potere al Popolo.

Anche il numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha passato il pomeriggio di ieri in Emilia Romagna, a Piacenza: “Se la Lega avrà tanto consenso vorrà dire che le nostre battaglie, dalla flat tax all’autonomia, avranno maggiore spinta”.

Macerie, soldi e cantieri fermi. Tutti alle urne contro Pirozzi

“Vecchio scarpone quanto tempo è passato, quante illusioni fai rivivere tu…”. Ad Amatrice non fischiettano più la canzone che nel preistorico 1953 fece la fortuna di Gino Latilla. Perché qui lo scarpone è il simbolo di Sergio Pirozzi, il sindaco del terremoto, l’uomo-immagine della tragedia. La faccia, sempre accigliata, che in Italia e nel mondo impararono a conoscere fin dall’alba di quel 24 agosto di tre anni fa quando Amatrice fu distrutta da un sisma di magnitudo 6.0. Centoquarantadue secondi di inferno, 239 morti, novemila scosse registrate fino a oggi. Sergio Pirozzi, il sindaco con la felpa, l’uomo che rassicurava, prometteva, gestiva e soprattutto trattava alla pari col potere politico romano. “La realtà – dice Filippo Palombini, che di Pirozzi fu braccio destro e vicesindaco – è che Amatrice per me è diventata un obiettivo, per Sergio solo un mezzo”. Per fare cosa? “Carriera politica”, mormorano in paese. E ti ricordano il Pirozzi dello scarpone, simbolo del movimento che l’ex sindaco fondò per scalare i vertici della Regione Lazio. Un nuovo partito di destra, ma contro Forza Italia e Fratelli d’Italia rei di non volerlo come governatore. Alle ultime Regionali i suoi 93 mila voti, 4,9%, sono quelli che mancano al centrodestra di Stefano Parisi (31,2%) per vincere contro Nicola Zingaretti al 32,9. Uno smacco che Silvio Berlusconi non ha mai perdonato all’ex sindaco. La storia finì con tutta la destra all’opposizione e Pirozzi che sceglie di fare da stampella al claudicante Zingaretti. Salvo poi tornare sotto l’ala protettrice di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia.

Si vota ad Amatrice in un clima di rancori, ricatti, promesse mancate, delusioni, paura del futuro. Filippo Palombini, ingegnere ed ex vice di Pirozzi aspira a fare il sindaco con la lista “Per Amatrice e le sue frazioni”. È un uomo con simpatie politiche a destra, un professionista stimato che ha idee chiare sulla ricostruzione del paese. “Non ho mai sposato o scelto il movimento dello scarpone – dice ai suoi compaesani –. Io sono stato sempre alternativo a Pirozzi. La verità è che bisogna rompere col passato, la nostra terra non ha bisogno di salvatori della patria, ma di progetti seri. Non deve tornare il vecchio”. Per Palombini il vecchio è la lista “Ricostruiamo insieme”, di Antonio Fontanella. Imprenditore del settore alimentare con società a Roma, ma trasferita ad Amatrice pochi giorni dopo il terremoto, Fontanella è già stato sindaco di Amatrice. Dal 1996 al 1999, e il suo vice era Sergio Pirozzi, poi dal ’99 al 2004, e quando non ha potuto ricandidarsi ha scelto sempre suoi fedelissimi alla guida del Comune. Gli ambientalisti lo ricordano per la brutta vicenda del depuratore comunale di Casale Bucci, dove per anni, secondo le inchieste del Noe, sarebbero stati scaricati liquami industriali e percolato proveniente da altre regioni.

Si vota ad Amatrice dove gli animi sono infuocati e la ricostruzione è ferma. I soldi non mancano e quelli stanziati dalla Regione Lazio ammontano a 87.947.503,11. Mancano i progetti esecutivi, le gare, i cantieri aperti. Scorriamo le tabelle e scopriamo che su 82 opere pubbliche finanziate è chiara solo la casella degli importi, quella sullo stato dei lavori è compilata solo in otto casi, per il resto zero. La ricostruzione privata va peggio. L’ultimo piano regolatore risale al 1978. Del piano di ricostruzione non c’è traccia. Al momento sono iniziati i lavori per tre condomini e un albergo rispetto alle 6mila case distrutte o danneggiate del paese e delle sue 68 frazioni. Quando inizierà, la ricostruzione privata sarà un business notevole per i tre studi di progettazione presenti sul territorio. Ma a spaventare di più gli amatriciani è il futuro. Qui la gente viveva di agroalimentare, turismo e ristorazione. Giriamo per uno dei tre centri commerciali costruiti dopo il terremoto. Enormi cubi in prefabbricato staccati dal paese. Piccoli negozi, qualche bottega. Sono le cinque della sera e c’è poca gente. “Noi ce la caviamo perché vendiamo i prodotti del posto, guanciale, pecorino, la nostra pasta artigianale. Ma qui ci sono negozi che a fine giornata non portano a casa cinquanta euro”, mi dice un commerciante. “Il modello era sbagliato fin dall’inizio”, è l’opinione di Giorgio Nibbi, giovane artigiano con idee ben precise sulla ricostruzione del paese e del suo tessuto economico. Sul tablet mi mostra l’animazione di un centro commerciale progettato con architetti amici. L’idea era quella di ricreare virtualmente il corso del paese spianato dal terremoto. “Volevamo realizzarlo all’interno del campo sportivo e con strutture leggere e meno costose. Ci fecero una risata in faccia, perché da Roma erano arrivati con i progetti già belli e pronti”.

Depistaggio, adesso è indagata anche l’Eni come società

L’Eni come società è indagata in base alla legge 231 sulla responsabilità aziendale nell’ambito dell’inchiesta sul presunto depistaggio che, con inchieste costruite ad arte tra Trani e Siracusa, doveva inquinare il processo a Milano per corruzione internazionale che vede indagato, tra gli altri, l’ad Claudio Descalzi. L’Eni, in una nota, comunica l’indagine e aggiunge che “la documentazione richiesta riguarda rapporti con un gruppo di società già oggetto di audit interno autonomamente avviato da tempo dalle funzioni aziendali competenti. Eni specifica poi che, dai documenti ricevuti oggi, non risultano indagati altri manager della società diversi da quello già precedentemente coinvolto”, cioé Massimo Mantovani, l’ex responsabile dell’ufficio legale. La società continua a ritenersi “parte lesa” nella vicenda. e annuncia che “perseguirà in ogni sede opportuna la tutela della propria reputazione nei confronti di chiunque, che abbia già confessato un proprio coinvolgimento o altrimenti, risulterà responsabile come si potrà eventualmente evincere a esito dalla conclusione delle attività di indagine in corso”.

E sull’ambiente poche idee e niente fondi

Paragrafi scarni, indicazioni generiche, pochi numeri, nessuna previsione di strumenti finanziari su come raggiungere gli obiettivi indicati: così si presentano i programmi dei partiti politici – soprattutto quelli della destra, Lega in testa – per le elezioni Europee alla voce “ambiente”, con particolare riferimento al cambiamento climatico.

Una triste contraddizione se si pensa che, secondo un sondaggio Ipsos, 4 cittadini su 5 vorrebbero che i politici dessero priorità al contrasto al riscaldamento globale. Mentre uno studio del Can (Climate action network), classifica tutti i partiti di destra, rispetto alle posizioni su ambiente e clima, come “dinosauri”. È la Lega a piazzarsi ultima, mostrando “una forte negazione dell’urgenza dell’azione sul clima”, mentre si comporterebbero meglio M5S e Pd.

“I programmi dei partiti di centrosinistra, M5s compreso, hanno tenuto la barra sul tema della riduzione delle emissioni”, spiega Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. “Invece – aggiunge – non mi stupisce il nulla della Lega. Salvini è uno dei pochi europarlamentari che ha votato contro la ratifica dell’accordo di Parigi. Quelle di Forza Italia e Meloni mi sembrano affermazioni vaghe su sostenibilità e sviluppo”.

Altri esperti, però, sono più critici verso demo e pentastellati. “Ciò che vedo in questi programmi, senza distinzioni”, dice Silvio Gualdi, presidente della Società italiana per le scienze del clima, “sono una serie di considerazioni generali – meglio riciclare, utilizzare una mobilità pulita, etc – ma senza uno straccio di numero, a parte i 290 miliardi per la decarbonizzazione citati dal Pd, dato che non è chiaro da dove provenga. I 5 stelle si concentrano su green economy e posti di lavoro, ma non ci sono indicazioni quantitative”.

A soffermarsi con maggior completezza sui temi ambientali sono Europa Verde, la Sinistra e Più Europa. Il programma di quest’ultima, secondo Gualdi, “è più esteso e scritto meglio, con impegni più precisi sulle emissioni, però come gli altri resta un esercizio verbale e qualitativo. Bisognerebbe ragionare sugli strumenti finanziari, spiegando come perseguire le azioni indicate”, conclude. Per Sergio Castellari, climatologo dell’Istituto di Geofisica e Vulcanologia, ora distaccato all’Agenzia europea per l’ambiente “nei programmi si parla di sostenibilità ambientale ed economia circolare, ma non della prevenzione del rischio climatico e del potenziamento della resilienza del territorio. Il tema dell’adattamento, invece, deve diventare prioritario: su questo invito a guardare l’importante Manifesto per un Green New Deal europeo”.

Tutti gli esperti, comunque, auspicano un dibattito pubblico in cui l’ambiente sia al centro (“Come mai nessuno chiede ai candidati cosa intendono fare sul clima?”, si chiede Gualdi?) e in cui il rapporto tra azione umana e riscaldamento globale non sia più messo in discussione. “Siamo molto in ritardo sulla questione climatica, soprattutto a livello culturale”, conclude Caserini.

La Lega non ha un programma. Ecco cosa c’è in quelli degli altri

La Lega di Salvini non ha un vero programma per le elezioni europee (solo quello del gruppo di cui fa parte, Menl). Ecco invece cosa dicono quelli degli altri principali partiti. Alle forze di sinistra è dedicata la pagina 10. Se un partito non è citato su un certo tema, è perché non ha proposte dettagliate sul punto.

 

AMBIENTE

FdI: Sostegno alle imprese che si riconvertono, dazi contro i Paesi che non rispettano l’ambiente, lotta agli allevamenti intensivi.

Pd: Investimenti europei da 290 miliardi all’anno per decarbonizzazione completa, anticipare al 2025 la scadenza per avere solo imballaggi riciclabili.

M5S: Abbandono graduale delle fonti fossili, stop alle trivelle, niente fondi Ue a inceneritori e discariche.

+Europa: Budget europeo specifico per le reti idriche e per incentivare auto ibride o a gas naturale.

 

BILANCIO

FdI: Investimenti fuori dai vincoli europei di bilancio. Flat tax per tutti al 15%.

Pd: Piano straordinario di investimenti (1,3% del Pil) finanziato dal bilancio europeo e da Eurobond della Banca europea per gli investimenti (Bei) e scorporo dal calcolo del deficit degli investimenti. Aliquota fiscale minima in tutta Europa del 1% contro la concorrenza fiscale.

M5S: Fuori dal calcolo del deficit gli investimenti pubblici “produttivi e d’impatto sociale in istruzione, ricerca, sanità, sicurezza, infrastrutture”.

+Europa: Raddoppiare bilancio europeo, più accordi commerciali bilaterali sul modello del Ceta con il Canada.

 

CORRUZIONE

M5S: Reato di criminalità organizzata in tutta l’Ue. Daspo per i condannati per reati di criminalità organizzata, riciclaggio e corruzione.

 

LAVORO

Pd: Salario minimo europeo e indennità europea di disoccupazione.

M5S: Salario minimo orario europeo.

+Europa: Sussidio europeo contro la disoccupazione e contributi pensionistici riconosciuti in tutta Europa.

 

MIGRANTI

FdI: Quote di migranti solo da Paesi “con nazionalità che hanno dimostrato di integrarsi”, blocco navale contro gli sbarchi, centri di sorveglianza per chi arriva.

FI: Riforma del regolamento di Dublino, sistema di asilo europeo, piano da “decine di miliardi” per l’Africa.

Pd: Riforma del regolamento di Dublino, sistema europeo di ripartizione, sanzioni a chi non rispetta le quote e nuovo partenariato Europa-Africa per progetti di sviluppo.

M5S: Ricollocazione obbligatoria e rimpatri.

+Europa: Sistema d’asilo europeo.

 

EURO

FdI: Compensazioni agli Stati penalizzati dall’euro, come l’Italia.

FI: Bce concentrata su crescita e non solo inflazione.

Pd: Usare una quota dei profitti della Bce per finanziare politiche del lavoro.

M5S: Crescita nel mandato della Bce, oltre all’inflazione.

 

ISTITUZIONI

FdI: Addio all’Unione, confederazione di Stati con capitale Atene o Roma.

FI: Più poteri al Parlamento europeo, autorità di bilancio paritaria con il Consiglio europeo e occuparsi non solo delle spese ma anche delle entrate.

Pd: Parità tra Parlamento e Consiglio, co-decisione e voto a maggioranza (invece che unanimità) in Consiglio su tutti i settori, incluse le politiche fiscali.

M5S: Introduzione di un referendum europeo. Potere di iniziativa legislativa al Parlamento, chiusura della sede di Strasburgo, taglio agli stipendi di commissari ed europarlamentari.

+Europa: Liste elettorali europee, nuovo Parlamento con Camera dei cittadini e Camera degli Stati, seggio permanente Ue all’Onu, Consiglio europeo che decide a maggioranza.

Il premiato tangentificio Lombardo 27 anni dopo

Sono quasi le otto del mattino del 7 maggio, l’Ansa batte il primo take: “Tangenti, arresti tra Lombardia e Piemonte”. Sembra la solita storia di ordinaria corruzione. Con il passare delle ore ci si trova davanti al nuovo tangentificio lombardo. Uno tsunami giudiziario che travolge il Comune di Milano e il palazzo della Regione, fino ai piani alti e negli uffici del presidente Attilio Fontana. Gli indagati sono prima 96, poi 105. Molti decideranno di parlare. L’aria che si respira è quella di Tangentopoli. L’indagine è coordinata dall’antimafia di Milano e viene chiamata “Mensa dei poveri”, come gli indagati chiamavano il rinomato ristorante da Berti davanti al palazzo della Regione. L’onda travolge consiglieri comunali, sottosegretari del Pirellone, parlamentari, candidati alle europee, imprenditori. Da Milano fino a Varese, cuore della vecchia e nuova Lega. L’indagine inizia su un filone di appalti pubblici, un cartello di imprenditori che briga sotto banco per spartirsi i lavori della neve. Uno di loro, Renato Napoli, ha buoni agganci con il milieu mafioso lombardo. Dal mazzo si pesca un altro manager rampante, Daniele D’Alfonso, anche egli vicino alla ’ndrangheta. Con D’Alfonso, la Procura sale i livelli dei contatti istituzionali. Corruzione, finanziamento illecito alla politica, favoreggiamento delle cosche di Platì. Nel mirino il nuovo cerchio magico di Forza Italia. Tra le righe s’intuisce un ruolo anche per la Lega. Il 16 maggio tocca alla Procura di Busto Arsizio. Ai domiciliari finisce il sindaco di Legnano Giambattista Fratus, leghista e coordinatore provinciale. Arrestati anche vicesindaco e assessore all’urbanistica. In calendario, bandi di gara pilotati e una corruzione elettorale. Dai brogliacci emergeranno contatti ai più alti livelli nazionali, dal vicepremier Salvini e all’ex ministro Gelmini, per tutelare il comitato d’affari e la poltrona dello stesso Fratus.

 

Nino “Jurassic Park” Caianiello: “Io faccio il sole e la terra che gira intorno”

Intercettato, di sé dirà: “Se nessuno tradisce, abbiamo in mano la provincia, io faccio il sole e la terra che gira intorno”. Lo chiamano Jurrasic park per la sua voracità nella gestione del denaro e del potere. All’anagrafe è Gioacchino Caianiello, napoletano classe 1958, ex coordinatore provinciale di FI a Varese. È lui, secondo la Procura, il vero burattinaio che gestisce pacchetti di voti, impone le nomine degli assessori regionali e intasca una percentuale sulle tangenti. Il gip parlerà di una “corruzione sistematica” e di un “sistema feudale” dove “l’investitura non è elargita a titolo gratuito, ma comporta il pagamento della decima al dominus”.

Tutti bussano alla porta di Caianiello. Lui sente chiunque ai tavolini di un bar di Gallarate soprannominato “l’ambulatorio”. Dovrebbe essere ricchissimo, ma dai suoi conti saltano fuori solo poche migliaia di euro. La Procura così punta sulla Svizzera, anche perché un avvocato li mette sulla pista giusta. Dice: “Caianiello gestiva un conto da 70 milioni di euro a Lugano”. Insomma follow the money.

 

Il governatore Attilio Fontana e il posto da trovare all’ex socio “trombato”

Il presidente della Regione Attilio Fontana ha con Caianiello un rapporto consolidato, fin da quando il governatore era sindaco di Varese. Jurassic park consiglia, Fontana esegue. I due vengono intercettati. “Hai visto – dice Fontana – che i tuoi consigli li ho seguiti? La nuova giunta non è male”. Caianiello risponde: “Vedrai, non te ne pentirai”. Quando c’è un problema si chiama Caianiello. Succede per Luca Marsico, ex socio di studio di Fontana, ex consigliere regionale, trombato alle elezioni. Il problema è dove collocare Marsico. Fontana lo dice a Caianiello che subito trova una soluzione. L’opzione è però illegale, un giro di nomine e in cambio dare a Marsico consulenze per 90 mila euro all’anno. Fontana sceglie un’altra via, consigliato su questo dall’assessore al Welfare, Giulio Gallera, e dal suo capo segretaria, l’avvocato Giulia Martinelli, ex moglie di Salvini. Marsico sarà messo come componente esterno dell’Unità tecnica del nucleo di valutazione e di verifica degli investimenti pubblici con delibera di giunta proposta da Fontana che per questo è oggi indagato con l’accusa di abuso d’ufficio.

 

Il talento del consigliere comunale: “Minchia, ma questo preleva come un toro”

Il terremoto scuote anche Palazzo Marino a Milano. In Comune a saltare sono in tanti. Il primo è Pietro Tatarella, consigliere di FI e candidato alle europee. Secondo i pm ha un ruolo di “facilitatore” per gli affari dell’imprenditore Daniele D’Alfonso, legato alla cosca Molluso di Platì. Manager rampante, di sé dirà: “Ho seminato talmente tanto, io a tutti ho dato da mangiare (…) A Milano è una questione di rapporti”. Con Tatarella ad esempio, foraggiato con uno stipendio fisso di 5 mila euro al mese e carte di credito à gogo. Tatarella non si fa pregare. Tanto che D’Alfonso esclama: “Minchia, ma questo preleva come un toro!”. Tatarella invece dice: “Io sono forte sui rapporti istituzionali”. Secondo la Procura farà poi da intermediario per fare avere 20 mila euro di finanziamento illecito a Fabio Altitonante, consigliere regionale di FI nonché, all’epoca dei fatti, sottosegretario con delega all’Expo. Insomma, è una questione di rapporti. D’Alfonso con la sua Ecol service punta agli appalti Amsa, la municiplizzata dei rifiuti del Comune di Milano. L’uomo giusto è Mauro De Cillis, procuratore di Amsa, vero cardinale nero che oggi sta in carcere a Opera e non parla. “Un uomo glaciale”, si commenta in Procura. Per lui D’Alfonso prepara una mazzetta da 100 mila euro. Dicono di lui due indagati: “Le ultime mazzette che ha preso le metteva in Svizzera, nel Liechtenstein (…). Lì è Loris Zaffra che gli dice dove metterli”.

Ex presidente di Aler, già coinvolto in Tangentopoli, Loris Zaffra torna in prima linea. Non indagato, è grande protagonista dei pranzi da Berti. Come lui anche l’architetto Michele Ugliola. Zaffra è spesso a colloquio con Caianiello. Con loro c’è Beppe Zingale, presidente di Afol, l’agenzia per il lavoro e la formazione che fa capo alla Città metropolitana. Afol si rivelerà, secondo i pm, una vera macchina di mazzette mascherate da consulenze. Da qui Caianiello voleva far partire il denaro per Marsico, in cambio pretendeva una nomina in Regione per Zingale. Qui, secondo la Procura, è nata la consulenza per l’eurodeputato, nonché coordinatore provinciale di FI e candidata a Strasburgo, Lara Comi. Circa 38 mila euro da far lievitare fino a 80 mila. La Comi poi avrebbe dovuto retrocedere parte del denaro a Jurassic Park. Ne parlano Zaffra, Caianiello e Zingale. Dice Nino: “Se non vediamo, non vedrà più nemmeno lei, giusto Loris?”. E ancora: “Se questa non prende non può dare”. In realtà, la Comi per questa vicenda non è indagata. Lo è invece per un’altra consulenza avuta da Marco Bonometti imprenditore bresciano e presidente di Confindustria Lombardia, 31 mila euro bonificati su una società riconducibile alla Comi per una consulenza copiata e incollata da una tesi di laurea scaricata da Internet. L’accusa per la Comi è finanziamento illecito. In tema poi di ritorni dal passato, c’è anche l’ex assessore regionale nelle giunte Formigoni, Massimo Buscemi, oggi manager in Algeria per conto del gruppo Cremonini. Buscemi viene citato (non indagato) per aver tentato di favorire una società negli appalti per la riscossione dei crediti dei Comuni. Buscemi si rivolge a Caianiello. A far da sponda, da un lato Mimmo Pacicca (non indagato) ex capo della segreteria dell’assessore al Welfare, Giulio Gallera, e la consigliera regionale della Lega nonché candidata alle Europee, Silvia Sardone (non indagata).

 

Insubria mon amour (con il permesso di Salvini). Da Varese a Legnano, comanda la Lega

Da qui Caianiello coordina la regia. In tasca si tiene assessori e consiglieri locali. Da Gallarate a Busto Arsizio. Tra i beneficiari dei finanziamenti c’è anche Diego Sozzani, parlamentare di FI. Dalle carte emergeranno anche 30 mila euro per Fratelli d’Italia, elargiti da D’Alfonso. È nella provincia di Varese che s’intravede una regia in quota Lega. Qui, nella terra di Bobo Maroni e del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, Claudio Milanese (non indagato) è un noto imprenditore, ricco di famiglia e con buoni contatti. Spiega Caianiello: “Milanese non puoi non tenerlo buono, perché è l’unico che sul territorio (di Varese) ha un’incidenza politica, sociale ed economica (…) mettetevela bene in testa ’sta cosa, eh!”. Uno dei motivi principali è l’amicizia con Giancarlo Giorgetti, “al quale – annota la Finanza – spesso Nino consiglia di rivolgersi per risolvere diverse questioni”. Grande amico di Giorgetti è mister Tigros, ovvero Paolo Orrigoni, imprenditore di supermercati e già candidato a sindaco di Varese. Orrigoni oggi risulta indagato per aver pagato una tangente di 50 mila euro. Da Varese a Legnano ci passano pochi chilometri. È qui che la bufera riprende a soffiare forte dal 16 maggio. Indagato il sindaco Giambattista Fratus, il vicesindaco di FI, Maurizio Cozzi, e l’assessore all’Urbanistica, Chiara Lazzarini. Un comitato d’affari “criminale” che gestisce le nomine nelle partecipate. La logica è questa: “Una volta che si individua, si individua la persona, basta! Fai la gara, finito!”. Spiega il giudice: “La mancanza di percezione del disvalore (oltreché sociale) anche penale, si traduce in una sistematica violazione delle norme giuridiche e in una propensione alla realizzazione dei propri interessi e ambizioni personali, in spregio alle finalità pubbliche del ruolo rivestito”. C’è poi la corruzione elettorale. Nel 2017, Fratus compra i voti di una lista civica in vista del ballottaggio. In cambio concede una nomina nel Cda di una partecipata.

L’accordicchio elettorale è battezzato anche dai vertici nazionali della Lega e FI, Salvini in testa. Dirà la Lazzarini citando le parole di Fratus: “Prima del ballottaggio a livello regionale, io ho fatto un accordo con Paolo Alli, Salvini e quell’altro provinciale loro della Lega”. La conferma arriva a partire dal 25 marzo scorso, quando la giunta Fratus sembra correre verso il commissariamento dopo le dimissioni di 13 consiglieri. È in quei giorni che la Procura intercetta telefonate con i livelli nazionali dei partiti, da Salvini al segretario nazionale Paolo Grimoldi, fino all’ex ministro Mariastella Gelmini. Alla fine la giunta si salverà grazie all’intervento del difensore civico della Regione che procederà con le surroghe (sostituzioni) dei consiglieri. La vicenda è ancora in divenire. I brogliacci con i vertici di Lega e FI intercettati non sono ancora stati depositati. La Procura punta ad aprire un fascicolo per abuso d’ufficio. Per la cronaca: il difensore civico è Carlo Lio (non indagato), ex assessore regionale in quota Formigoni, nonché “abituale frequentatore dei momenti conviviali al ristorante da Berti”. E del resto, Caianiello per sistemare l’amico Loris Zaffra in Regione puntava a inserirlo proprio “nell’ufficio di Carlo Lio”. L’obiettivo: “Occuparsi di lobby politica negli interessi dell’intero gruppo”. Insomma, questo lo stato dell’arte a 16 giorni dagli arresti. Ma certo, la bufera non pare affatto terminata.