Sotto una pioggia di primavera che rende Mosca più torva del solito, un pezzo di storia del giornalismo russo si interrompe. In Russia la linea delle informazioni da diffondere è solo quella dettata dallo spartito del Cremlino. E altro i giornalisti del Kommersant non dovevano né potevano scriverlo. Ora ci sono due reporter licenziati, dieci dimissionari per solidarietà, duecento firme dei colleghi sodali che arrivano a concludere una lettera aperta che chiede tutela di quel che rimane della libertà di stampa nel Paese.
In questa città matrigna dei giornalisti il fronte della redazione si è acceso per una fuga di notizie che rimangono in penombra: presto ci saranno cambi di guardia e giri di poltrone tra le più alte cariche dello Stato russo. L’epicentro di questo terremoto giornalistico è tra i desk del giornale fondato da Vladimir Yakovlev, primo quotidiano economico russo dal 1992, una leggenda con un motto preciso: “a my krepcaem”, e noi siamo forti. Il giornalista d’inchiesta Ivan Safronov e il collega Maxim Ivanov sono stati licenziati perché “hanno violato gli standard editoriali” del giornale, dice la direzione, senza specificare quali.
“Valentina Matvienko viene forzata alla pensione”. La causa è tutta da ritrovare in questo articolo del 18 aprile scorso, che cominciava con un gioco di parole sulla lady di ferro del Cremlino: secondo l’esclusiva del giornale, la Matvienko stava per diventare capo della gestione del fondo pensione russo, cedendo la sua carica al Consiglio della Federazione al capo della Svr, agenzia intelligence straniera, a Sergey Naryskin.
Un mese fa Safronov e Ivanov pubblicano questa fragile e inaspettata verità, che ha però molte conferme tra fonti anonime governative, con altri tre autori: Natalia Korcenkova, Anastasia Manuilova, Oleg Sapozkov. Il pezzo va in stampa ma l’informazione resta sottotraccia, inesplosa, mentre i vertici del potere diventano furibondi. La Matvienko, prima ancella del putinismo militante, si sarebbe lamentata di persona della fuga di informazioni richiedendo i nomi delle fonti dei reporter, che replicano con un duro silenzio. La voce che ha spiegato la scelta dei licenziamenti è stata quella del redattore capo Vladimir Zeleonkin, ma la volontà è quella del proprietario del giornale Alisher Usmanov, 37esimo uomo più ricco al mondo, per Bloomberg. Nato in Uzbekistan, un passaggio nell’associazione della commissione sovietica per la pace in gioventù, finito in prigione per frode in Unione Sovietica, trascorrerà in cella sei anni prima di diventare uno degli oligarchi più vicini al presidente. Diventato ricco con lo sfruttamento dei metalli, ricchissimo con quello dei minerali, ha allungato le sue branchie in Gazprom, fino alla squadra Arsenal e al colosso Facebook. “La storia va avanti da un mese, ora Usmanov con il suo yatch è tornato dalla Sardegna. Siamo un’azienda i cui assetti lui comanda come desidera: non c’è da farsi illusioni sulla non interferenza editoriale. Se Usmanov vuole licenziare un dirigente di Metalloinvest o Megafon, che sono di sua proprietà, quel dirigente è fregato. È il proprietario e decide” ha scritto Safronov.
A Mosca le parole valgono quanto i fatti, se non di più. Ora ci sono bocche chiuse e un commento di Safronov su Facebook. “Guardandoci indietro ci siamo chiesti se avremmo investigato ancora la storia, viste queste conseguenze. Era un tipo di storia da Kommersant, se potessi io la scriverei di nuovo”.