Una donna di 40 anni di origini russe è morta e altre 37 persone sono rimaste ferite ieri mattina a causa del ribaltamento di un bus turistico sulla Siena-Firenze all’altezza di Monteriggioni, in provincia di Siena. L’autista del mezzo è indagato per omicidio stradale. Secondo quanto appreso, a bordo del pullman viaggiavano sessanta turisti provenienti da vari paesi dell’Est Europa che si trovavano in Italia per un tour tra le città d’arte. A perdere la vita la donna che, molto probabilmente, faceva da guida al gruppo. Il suo corpo è stato trovato dai vigili del fuoco sotto le lamiere. Tra i trentasette feriti, sono quindici quelli più gravi, ma nessuno sarebbe comunque in pericolo di vita. Alcuni dei passeggeri sono rimasti per alcuni minuti intrappolati nell’autobus, che si è adagiato sul fianco destro. Molte le persone trasportate con le ambulanze all’ospedale Le Scotte di Siena. Sul luogo dell’incidente sono intervenuti i vigili del fuoco, la polizia stradale e i sanitari del 118. Sul posto anche i carabinieri e l’elisoccorso Pegaso. Il pullman a due piani era partito stamani da Montecatini ed era diretto a Siena. Il mezzo ha sfondato il guardrail ed è finito in una scarpata terminando la sua corsa in un bosco.
“Dovete soldi allo Stato”: Zia Ketty e la banda che truffava i religiosi
“Pronto è il Comune. Ci deve ridare dei soldi”. Così una 38enne di Siracusa residente a Torino, Concettina Galizia, insieme ai suoi complici, è riuscita a truffare 86 enti religiosi (14 parrocchie, 14 conventi, sette scuole, due case di riposo e altro ancora) in tutta Italia, dal Trentino Alto Adige alla Sicilia. Ieri i carabinieri di Torino hanno arrestato Galizia e tre persone, mentre altre otto, titolari delle Poste Pay su cui venivano versati i soldi, hanno ottenuto l’obbligo di firma o di dimora. La truffa è stata scoperta nel corso di un’inchiesta su un’estorsione. Intercettando i sospetti è emerso il modus operandi della banda della “zia Ketty”. Era lei a individuare le vittime e condurre i giochi. “Pronto, è il Comune”, si presentava per poi illustrare la situazione: spiegava che l’amministrazione aveva versato dei contributi, ma per errore era una somma superiore all’importo e quindi, per evitare di perderlo, l’ente religioso avrebbe dovuto versare alcune migliaia di euro su due conti. A completare il quadro, poi, interveniva il finto direttore della filiale o dell’ufficio postale che stava trattenendo la somma. Era in realtà Alfio Cangelosi, un trentenne di Moncalieri (Torino), che spiegava come fare i versamenti. Tra i truffati c’è un vescovo emerito in Sardegna, la parrocchia di Sant’Antonio da Padova a Bologna, e un istituto di suore di Senigallia (An) che si aspettava dei contributi post-alluvione. Secondo le stime dei carabinieri della compagnia “Oltre Dora”, guidati dal capitano Andrea Iannucci e coordinati dal sostituto procuratore Paolo Scafi, la banda avrebbe ottenuto circa 400 mila euro. I casi, però, potrebbero essere molti di più. “Chi è stato truffato con modalità simili chiami il 112 e denunci”, dichiara il comandante provinciale Francesco Rizzo.
Abuso di gruppo su una 21enne in un locale “bene” della Capitale: “Mi hanno violentata in tre”
Caccia ai tre giovani italiani che sabato notte hanno picchiato e stuprato una 21enne di origine etiope. La violenza si è consumata in uno sgabuzzino di pertinenza del Factory Club, nota discoteca di Roma nord. La Squadra mobile lavorando sulle indicazioni fornite dagli avventori del locale e degli amici della vittima. Si spera di incrociarle con le riprese delle telecamere nei dintorni del locale ed ottenere un’identikit certa. Si indaga in ambienti “bene” della città, dove si concentra il pubblico di riferimento della discoteca.
La Procura di Roma ha aperto un’indagine, affidata alla pm Maria Monteleone. La ragazza di 21 anni è arrivata al Factory insieme ad alcuni amici intorno alla mezzanotte di sabato. Lei è in Italia da quando aveva 2 anni, diplomata all’Istituto turistico e frequenta spesso la discoteca. Una bella ragazza che a un certo punto della serata attira le attenzioni di un coetaneo. Lui la invita a ballare e a bere un drink. Fra i due sembra esserci una certa intesa ma lei inizia ad essere stordita. Gli investigatori vogliono verificare se sia stata costretta a bere o se le sia stato versato qualcosa nel bicchiere. Fatto sta che con uno stratagemma lui la porta fuori dal locale e poi la trascina a forza in uno stanzino di fronte. Lì la stupra. Una violenza confermata dal referto medico, che ha evidenziato non solo le lesioni compatibili ma anche le percosse. Ancora da stabilire il ruolo dei due complici del ragazzo, anche loro coetanei. La ragazza dice che hanno partecipato allo stupro. Di certo hanno assistito e “coperto” il loro amico.
I proprietari del locale hanno collaborato sin dall’inizio, soccorrendo la ragazza e fornendo agli inquirenti tutto il materiale necessario. Tuttavia, il fatto di aver lasciato lo sgabuzzino incustodito costerà probabilmente al locale una nuova chiusura temporanea, dopo i tre giorni di stop inflitti dalla Questura ad aprile per “motivi di ordine pubblico”.
Ucciso a due anni, il padre confessa: “Non riuscivo a dormire e l’ho picchiato”
Lividi ovunque e una evidente ferita alla testa. Sul pianerottolo chiazze di sangue. L’allarme al 118 arriva ieri mattina dopo le cinque. “Mio figlio non sta bene, non respira”. Quando i paramedici giungono sul posto il piccolo è già morto. Aveva due anni. Tutto avviene in via Ricciarelli 22 a Milano. Case popolari dell’Aler. Il piccolo abitava al piano terra. Con la madre e il padre. È stato l’uomo a dare l’allarme, dopodiché si è dato alla fuga. Ricercato per diverse ore, la polizia lo ha individuato e fermato in via Giambellino, in un altro complesso di case popolari. Portato in Questura è stato interrogato dal pubblico ministero e ha confessato: “Non riuscivo a dormire, l’ho picchiato a morte”. Si tratta di Aljich Rhustic, 25 anni, rom di origine croata, ma nato a Firenze e con diversi precedenti per ricettazione. Nella vita campa di espedienti che però pare gli fruttino abbastanza almeno a guardare le sue foto su Facebook, sempre con indosso abiti firmati e cellulare di ordinanza. Quando l’ambulanza è arrivata in casa c’era solo la moglie Silvia Z, incinta e con già altri cinque figli. L’appartamento è occupato abusivamente. Il nucleo familiare si era spostato in questa casa da un mese. “Se lo avessi trovato prima della polizia lo avrei ammazzato, non c’è dubbio”, ha raccontato Bardo Secic, prozio del sospettato. “Si merita l’ergastolo. È un tipo irascibile e violento, la mia famiglia non gli parla da due anni, da quando mi ha aggredito senza motivo colpendomi alla testa con la fibbia della cintura. Ho ancora la cicatrice”. Anche i vicini di casa ieri hanno confermato i comportamenti violenti di Rhustic. Una caratteristica che in qualche modo emerge anche dalle foto postate sul suo profilo Facebook, dove la sua immagine campeggia sotto la scritta “The King”. Al momento Rhustic è sottoposto a fermo. In realtà la dinamica è ancora da capire e soprattutto bisognerà attendere l’esito dell’autopsia per comprendere le reali cause della morte, visto che le ferite trovate sul corpo del bambino non sono state ritenute mortali dal medico legale.
San Benedetto continua, c’è il parroco: “Ma non chiamatemi nuovo Don Gallo”
“Non sono il nuovo don Gallo”. Don Gianni Grondona ricorda il giorno che ha ricevuto la telefonata: “La Curia mi ha detto: abbiamo una novità importante per te. Ti affidiamo la parrocchia di San Benedetto”. Proprio quella di don Andrea Gallo e di don Federico Rebora, suo inseparabile compagno di apostolato. Certo, in teoria è solo una delle 278 parrocchie di Genova. Ma qui è nata la storia di don Andrea, quel sacerdote morto proprio il 22 maggio 2013, che ha cambiato il volto della città e che i genovesi ricordano più di tanti cardinali. Da ottobre, quando anche don Federico se n’è andato a 91 anni, la parrocchia era senza guida. E il cardinale Angelo Bagnasco pochi giorni fa è venuto qui per accompagnare il nuovo parroco. Racconta don Gianni: “I ragazzi di don Andrea erano preoccupati. C’era chi temeva che arrivasse un sacerdote che voleva fare il don Gallo. Erano in tanti, non solo da Genova, che si erano fatti avanti. Ma c’era anche chi temeva che si volesse chiudere l’esperienza di San Benedetto”. Il più sereno era proprio lui, don Gianni: “Non sono venuto qui per essere il nuovo don Andrea”. Sì, sono diversi Gianni e Andrea. Gallo uomo spesso, già nel corpo, con quel sigaro in bocca e la voce tonante che riempiva le volte di San Benedetto. Grondona – 55 anni – più sottile, ma tutt’altro che fragile; lo vedi dalle mani, dalle parole nette anche se pronunciate a voce più bassa. Eppure le due figure si avvicinano. Anzi, Gianni in una sola persona unisce Gallo e Rebora, quei due sacerdoti che insieme hanno dato vita al miracolo – anche terreno – della Comunità. Grondona è come loro: parte dagli ultimi. Come il Gallo anche lui non è nato prete, lo è diventato: “Il giorno dell’ordinazione eravamo sei, tutti giovanissimi”. Era il 1986, quei sacerdoti come don Gianni e don Francesco Fully sono finiti nelle periferie, nelle missioni, hanno raccolto generazioni di giovani in una città che cerca un’identità. Grondona era sempre tra gli ultimi, appunto. Prima nella parrocchia della diga di Begato, poi alle famigerate Lavatrici, due follie urbanistiche degli anni 80. Poi i viaggi in Kenya da padre Alex Zanotelli. Adesso tocca a lui camminare nei corridoi e nelle stanze minuscole di San Benedetto che anche ieri, come sempre, erano ingombre di cibo e generi di prima necessità. Mentre il campanello suonava in continuazione, entravano uomini e donne per chiedere aiuto, semplicemente per incontrarsi. Perché qui mai qualcuno ha chiuso la porta. E in mezzo a tutti c’è ancora Lilli, 79 anni, la donna che con Gallo e Rebora ha tenuto insieme quest’avventura corale: “Don Gianni è entrato in punta di piedi, senza voler essere la fotocopia di chi c’è stato prima. Lui accetta quello che facciamo ed è al nostro fianco”. E i ragazzi di don Gallo, anche se ormai con i capelli bianchi, continuano a bussare alla porta: tossici, poveri, viados si confidano con don Gianni. Mentre la Comunità, che molti temevano sparisse, continua la sua opera: decine di ospiti, adesso anche le donne arrivate in Italia con la tratta e i loro bambini.
Certo, mancano Andrea e Federico, “manca la sicurezza che ci davano con uno sguardo”. Ma don Gianni non ha spezzato il filo: “Poveri e preghiera”, ripete. Anche lui porta con sé “il Vangelo e la Costituzione”. E in fondo al corridoio resta la stanza di Andrea: la scrivania affacciata sul porto, la brandina e la lavagna con la sua scritta originale: “Pregare e fare le cose giuste tra gli uomini”.
Tononi smentisce di voler lasciare la presidenza di Cdp
Niente dimissioni: “Si tratta di voci totalmente prive di ogni fondamento”. È quanto ha affermato ieri il presidente della Cassa depositi e prestiti, Massimo Tononi, intercettato dall’Ansa, per smentire le voci relative a sue possibili dimissioni. Ieri il Fatto ha rivelato che Tononi sarebbe pronto a lasciare la presidenza della Cassa dopo le elezioni europee. Le voci sul suo possibile addio, dovuto a divergenze di vedute con l’amministratore delegato Fabrizio Palermo, si rincorrono da settimane, sempre smentite dal diretto interessato e dal gruppo pubblico. Il manager è stato nominato dalle fondazioni bancarie, azioniste di Cdp, a cui spetta per statuto la scelta del presidente. I rumors finanziari riportano anche alcuni nomi dei possibili sostituti, da Matteo Melley, già nel cda della Cassa a Vittorio Grilli, ex vice ministro all’Economia del governo Monti e oggi alla guida di Jp Morgan Italia. Se dovessero arrivare davvero le dimissioni, a complicare la partita è anche l’uscita di scena di Giuseppe Guzzetti, negli ultimi 19 anni capo indiscusso dell’Acri, l’associazione delle fondazioni.
L’Italia tangentara iniziò con lo Stato unitario
La corruzione segna la nascita dello Stato unitario e la accompagna fino ai giorni nostri. Non è un atteggiamento né una devianza, ma un modello, un uso del capitale umano verso forme organizzate di una istituzione parallela che, come le mafie, dispone di un proprio regolamento d’esercizio.
Perché l’Italia disperde tante sue risorse, risucchiata da una voracità figlia di una inguaribile bulimia? Isaia Sales e Simona Melorio, nel loro Storia dell’Italia corrotta (Rubbettino editore) ci consegnano non un ritratto del malaffare, ampiamente conosciuto, ma una anamnesi completa sulla genesi, la constituens del fenomeno. Non si occupano di ladri, delinquenti, esercenti viziosi del pubblico potere, ma di interpreti alternativi dello Stato, promotori, per consuetudine e affiliazione, di una costruzione distinta in cui le regole si dispongono per essere sovvertite, le leggi per essere distorte, le buone pratiche per essere trasformate in cattive.
Nella lettura di questo documentato trattato non scoverete mai un giudizio morale, perché non è in gioco, per gli autori, soltanto una definizione incompleta e infruttuosa dell’etica pubblica, la valutazione del giusto e dello sbagliato.
In gioco c’è questa questione: come sia possibile un traghettamento così ingente e duraturo delle risorse pubbliche, come sia spiegabile, fissando la data d’inizio delle ruberie ufficiali nello Stato unitario al 1861 (l’anno dopo lo scandalo delle Ferrovie che vide coinvolto il ministro delle Finanze Pietro Bastogi per una tangente di 14 milioni di lire dell’epoca), che lo stesso Stato venga “corroso” da queste forme organizzate e alternative, questi squadroni della morte economica, di un sistema così tenacemente inglorioso.
Sales e Melorio non si occupano di raccomandati, di clientele, di piccoli e brevi sotterfugi. Sanno che il Paradiso non esiste, in Italia e altrove. Non misurano la quantità di corrotti, non troverete, cifra per cifra, tutto il mondo di mezzo o di sotto.
Troverete invece, accanto a un riepilogo delle più nefaste incursioni predatorie, le tappe dell’edificazione di un quarto Stato: c’è quello ufficiale, poi c’è la Chiesa, poi le mafie, organizzate e dominatrici di intere fette di territorio. E infine, buon quarto, questo organigramma di pubblici ufficiali, burocrati, politici e imprenditori di ogni taglia, che compongono e ricompongono l’attitudine a svaligiare, alleggerire, deviare, destrutturare quel che si può.
È uno squadrone della morte del bene comune, un sistema orizzontale che attraversa e si moltiplica. Mangia. Nell’immagine della bocca che si spalanca, delle fauci insaziabili, la corona dei piccoli e grandi misfatti che trovano in questo libro così puntuale, meticoloso nella sua disperata illustrazione, un compendio utile a farci capire non chi siamo ma perché stiamo così. Naturalmente le 320 pagine raccolgono quel che noi e i nostri avi abbiamo – a seconda dei punti di vista – seminato o disperso. Ogni età ha la sua tangente illustrativa, i 50 milioni di lire spesi per condizionare la cessione del Monopolio dei tabacchi ai privati (anno domini 1869), lo scandalo della Banca romana che vide implicato il capo del governo Francesco Crispi (1893, tangente per due milioni di euro di oggi), i soldi pagati per il risanamento di Napoli segnalati dall’inchiesta Saredo del 1901. E poi, e poi, e poi…
Non esiste fine, e questo è il problema.
Corruzione & truffe spa: danno da almeno 6 miliardi all’anno
Ogni 5 ore, in Italia, un pubblico ufficiale viene denunciato per corruzione, concussione, abuso d’ufficio o peculato. È il quadro che emerge dai dati della Gdf sul 2018 che Il Fatto è in grado di rivelare in esclusiva. Dati che mostrano anche molto altro: la “truffa spa” in Italia, nell’ultimo anno ha “fatturato” ben 529 milioni. Concussione, corruzione e peculato ne valgono invece altri 110. I danni all’erario s’attestano a 4,3 miliardi. Le procedure viziate negli appalti pubblici si aggirano intorno a 1,5 miliardi.
Le cifreriguardano le indagini svolte nel 2018 dalla Guardia di Finanza su indebite percezioni dei fondi pubblici, corruzione, abuso di ufficio e responsabilità amministrativa per danno erariale. “I risultati ottenuti nella lotta alla corruzione – commenta Giorgio Toschi, comandante generale della Guardia di Finanza – testimoniano l’impegno della GdF nella tutela della legalità nella Pubblica Amministrazione”. Soltanto per gli illeciti che riguardano gli incentivi alle imprese, finanziati con soldi pubblici italiani e non comunitari, si contano nel 2018 2.740 interventi: uno ogni tre ore.
Le verifiche hanno riguardato risorse per circa 937 milioni di euro. E da questi controlli sono emerse truffe per 529 milioni.
Frodi per altri 108 milioni di euro sono state scoperte dalla Gdf nell’ambito della spesa previdenziale e sanitaria. All’autorità giudiziaria sono stati segnalati oltre 5mila soggetti. Tra questi, in 31 sono stati arrestati.
Passiamo adesso ai fondi comunitari. Anche le risorse erogate dall’Unione europea sono state impoverite dalla malagestione: tra indebite richieste e percezioni di contributi pubblici, si raggiunge una somma che supera i 323 milioni di euro. All’autorità giudiziaria sono stati denunciate 1.034 persone – circa 3 al giorno – delle quali 19 sono state arrestate. In particolare, la Toscana ha il primato regionale per aver ospitato la frode più rilevante del 2018: 88 milioni di euro. Per valutare l’unità di misura, basti pensare che il disavanzo dell’ultimo trimestre 2018, per quanto riguarda il bilancio sanitario nella stessa regione, ammonta a 33 milioni. E che per recuperare il disavanzo totale, che è di 167 milioni, la Regione Toscana dal 2019 ha dovuto stanziare 8,8 milioni per ben 19 anni. Nella classifica delle frodi ai fondi Ue, alla Toscana seguono Lombardia, Puglia e Calabria.
Cifre consistenti anche per quanto riguarda il reato di peculato: la Gdf ha valutato illeciti per ben 82 milioni di euro. A questi bisogna aggiungere 29 milioni legati a condotte corruttive e concussive. I finanzieri, nelle indagini sulla pubblica amministrazione hanno effettuato 1.710 interventi, tra indagini di polizia giudiziaria e accertamenti amministrativi a richiesta dell’autorità nazionale anticorruzione (Anac) e del dipartimento per la funzione pubblica della presidenza del Consiglio dei Ministri. Nel complesso, le persone denunciate nel 2018 sono state 3.140, delle quali 1.758 con la qualifica di pubblici ufficiali.
Nel settore degli appalti pubblici e dei danni erariali, segnalati dalla Gdf alle Procure Regionali, dai milioni si passa ai miliardi.
Le procedure viziate nel settore degli appalti pubblici, in base alle indagini condotte dalle Gdf, valgono 1,5 miliardi di euro. I militari delle Fiamme Gialle, in questo settore hanno eseguito 577 interventi su flussi di spesa per oltre 3,2 miliardi. Danni erariali per 4,3 miliardi sono stati invece segnalati alle procure regionali contabili. Per la precisione, sono stati denunciati 5.600 soggetti, in seguito a 1.958 interventi. Dei 4,3 miliardi in questione, 1,5 riguarda l’ambito della spesa sanitaria. Seguono 730 milioni relativi alle procedure di affidamento ed esecuzione di contratti di appalto, 530 milioni connessi all’utilizzo irregolare di fondi pubblici.
Ergastolo confermato per Battisti, ma potrà chiedere i benefici
Cesare Battisti dovrà scontare l’ergastolo anche se, a tempo debito e dopo un concreto percorso di rieducazione, potrà godere dei benefici penitenziari. Lascia uno spiraglio la Corte d’Assise D’Appello di Milano all’ex terrorista dei Pac, arrestato in Bolivia il 12 gennaio dopo 37 anni di latitanza, e ora in cella in Sardegna. Pur rigettando, in linea con la Procura Generale, la richiesta del suo difensore di commutare la pena dal carcere a vita in 30 anni poi ridotti, per via del presofferto, a poco più di 20 anni e 7 mesi, i giudici hanno anche stabilito che la pena nel suo caso non è ostativa alla richiesta di benefici. Il che, tradotto in termini concreti, avendo lui già trascorso in cella 6 anni e mezzo circa, tra 3 anni e mezzo potrà chiedere la liberazione anticipata e poi permessi premio e misure alternative alla detenzione tenendo presente anche i periodi trascorsi in cella all’estero. Nell’ordinanza depositata stamane la Corte, presieduta da Giovanna Ichino, scrive che a Battisti non è “applicabile il regime ostativo” previsto dalle norme e “potrà godere dei benefici penitenziari, in virtù di una progressione trattamentale, che è diretta attuazione” del principio costituzionale “della funzione rieducativa della pena”.
L’amministratore sentito su Sozzani (FI) che rischia l’arresto
È stato incentrato anche sul ruolo del deputato di Forza Italia Diego Sozzani, accusato di aver ricevuto un finanziamento illecito e per il quale i pm milanesi hanno chiesto l’autorizzazione all’arresto, l’interrogatorio di ieri di Andrea Gallina, ad della municipalizzata di Novara Acqua Novara Vco Spa (ai domiciliari per corruzione e turbativa d’asta) che avrebbe fatto delle ammissioni sul sistema di mazzette, nomine e appalti pilotati e finanziamenti illeciti alla politica, che ha portato il 7 maggio a 43 misure cautelari. Secondo i pm, grazie all’intermediazione di Sozzani e di Mauro Tolbar, ritenuto dagli inquirenti un presunto “collettore” di mazzette, “si è concretizzato l’ultimo recentissimo episodio criminoso”, di un paio di mesi fa, che ha visto tra i protagonisti l’imprenditore Daniele D’Alfonso, il suo braccio destro Matteo Di Pierro, e appunto Gallina. Quest’ultimo si sarebbe speso per far vincere a D’Alfonso un appalto per il “servizio di spurgo condotte fognarie”, in cambio di una promessa di mazzette. Su questo fronte Gallina avrebbe spiegato di conoscere Sozzani da quasi 30 anni, ma ha negato di aver avuto rapporti illeciti con lui sulla vicenda di quell’appalto.