Ecco “La seconda verità” su Stefano Cucchi

“Ila, sei felice?”. Lo chiede Stefano Cucchi alla sorella Ilaria un paio di settimane prima di morire. Voleva sempre sapere se fosse serena, se stesse bene, lui che era “una persona fragile, caduto nel mondo della droga”. A raccontarlo è Ilaria nel documentario Stefano Cucchi: la seconda verità, scritto da Giuseppe Scarpa e Stefano Pistolini, in onda stasera alle 21,25 sul Nove, prodotto da Darallouche per Discovery Italia. Quella domanda sulla felicità è il saluto, l’ultimo, fra Ilaria e Stefano. La sorella lo rivedrà con il volto tumefatto all’obitorio, il 22 ottobre 2009, a una settimana dall’arresto dei carabinieri.

Il documentario ricostruisce, con interviste puntuali, con gli audio di intercettazioni, con passaggi chiave dei processi, come si arriva alla “seconda verità”, che deve avere ancora una sentenza. È alle battute finali, infatti, il processo davanti alla prima corte d’Assise di Roma a 5 carabinieri, imputati a vario titolo di omicidio preterintenzionale, falso e calunnia.

C’è un inedito che anticipa, forse, quello che accadrà davanti ai giudici: l’avvocato Antonella De Benedictis, difensore di Alessio Di Bernardo, accusato di omicidio preterintenzionale, legge la verità del carabiniere. Sembra un’anticipazione di dichiarazioni spontanee che cozzano frontalmente con la versione di testimoni sul pestaggio dei carabinieri e provano, ancora oggi, a scaricare la colpa sulla vittima, Stefano Cucchi.

Scrive Di Bernardo: “Cucchi, rivolgendosi a Francesco Tedesco (il carabiniere coimputato che ha accusato Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro di aver picchiato il ragazzo, mentre lui ha cercato di fermarli) dice che avrebbe sbattuto la testa sul tubo del defender e che avrebbe detto che era stato lui, così da fargli perdere il posto di lavoro. Sia io che D’Alessandro consigliammo a Tedesco di fare una nota di servizio per tutelarsi, visto l’atteggiamento di Cucchi”. Dei depistaggi, lontani e recenti, per i quali sono imputati in udienza preliminare 8 carabinieri, a cominciare dal generale Alessandro Casarsa, ne parla l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi. Incredibilmente li ipotizza l’avvocato Naso, che difende il maresciallo Roberto Mandolini, imputato di falso e calunnia: “Si può depistare, a prescindere dalle effettive e oggettive responsabilità di quei carabinieri, per una questione di immagine.

Non ci dimentichiamo che nell’ottobre 2009 l’Arma era oggetto di feroci critiche per le vicende legate alla questione Marrazzo (alcuni carabinieri erano accusati di estorsione ai danni dell’ex governatore del Lazio per i suoi incontri con trans, ndr).

Per chi non conosce questa storia giudiziaria deviata avrà chiaro che il caso Cucchi fa parte delle macchie del nostro Paese: uomini dello Stato hanno tradito. Nonostante il dolore vivo per la perdita del fratello, pure Ilaria Cucchi riconosce che è gravissimo il pestaggio da parte dei carabinieri, ma ancora più gravi sono i falsi degli alti ufficiali per coprire la verità. Che hanno portato a processo agenti della polizia penitenziaria, innocenti e hanno fatto mentire, a sua insaputa, in Parlamento, l’ex ministro della Giustizia Angelino Alfano, come ha ricordato in aula Giovanni Musarò, pm che non si è fermato davanti a ostacoli eccellenti.

Il documentario ha momenti di grande emozione anche per le tante immagini private di Stefano con la mamma Rita e il papà Giovanni, i nipoti e la sorella. Sempre sorridenti. Ma “con la scomparsa di Stefano, noi siamo morti con lui”, dice la madre.

La protesta dei balconi tra anagrammi e dialetti

Continua l’effetto boomerang di Matteo Salvini: dopo aver fatto rimuovere da polizia o vigili del fuoco gli striscioni di protesta che lo hanno accolto nelle città in cui ha tenuto dei comizi, si moltiplicano i nuovi manifesti appesi ai balconi di tutta Italia. Accade così che a Bari sono stati affissi 250 diversi modi per dissentire contro il premier della Lega – da “Renda malvisi” a “Malsani verdi”– anagrammando un eloquente epiteto. Si legge, poi, su un muro della città pugliese: “Salvini rizz vacant” (“riccio vuoto”) che per i baresi è la peggiore delle offese. Anche a Milano si opta per il dialetto: “Te lo dico in padano ‘Scarliga merluss’”. In altre parole, il consiglio dato a Salvini è di andare altrove, perché quello non è il suo posto. Ma se il vicepremier non avesse capito l’appello dei milanesi, a ribadirglielo c’è il Comitato milanesi in Africa: “A scanso di equivoci manco qui sei benvenuto”.

Minori, donne e disabili: le scelte degli iscritti M5S

Alla fine hanno deciso di ripartire in tre la destinazione dei fondi, secondo le indicazioni che l’altroieri sono venute dal blog: è l’esito della votazione sulle “restituzioni”, ovvero la tranche da due milioni di euro che i parlamentari dei Cinque Stelle hanno risparmiato dalle loro indennità. Gli iscritti a Rousseau – 18 mila i partecipanti – hanno così suddiviso i beneficiari dei fondi: “Il 48,43% del totale delle restituzioni – si legge sul blog delle stelle – andrà al Fondo per la povertà educativa infantile che serve per rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori”. Il versamento, nello specifico, verrà diretto alla onlus conibambini.org. “Il 29,51% andrà al Fondo per il diritto al lavoro dei disabili, che ha l’obbiettivo di sostenere con incentivi i datori di lavoro che effettuano assunzioni di lavoratori con disabilità”. Si tratta, in questo caso, di un fondo di competenza del ministero del Lavoro, diretto come noto dal vicepremier 5Stelle Luigi Di Maio. Infine, il restante 22 per cento dei 2 milioni andrà al Fondo contro la violenza su donne “che finanzia, tramite comuni e regioni, i centri antiviolenza su tutto il territorio italiano”.

I pranzi degli scissionisti di traverso a Matteo

Pubblichiamo un’anticipazione di Titanic. Come Renzi ha affondato la sinistra, il libro di Chiara Geloni, con postfazione di Pier Luigi Bersani, in libreria da oggi per PaperFirst

Dall’entourage renziano in quelle prime settimane del 2017 trapela, senza neanche troppa preoccupazione di nasconderla, una strategia sempre più chiara: andare di corsa alle primarie per ottenere per Renzi una nuova investitura da rimettere in gioco subito, in elezioni da svolgersi a giugno. Obiettivo Palazzo Chigi, naturalmente. Per vie ovviamente informali e non confermate, ai dirigenti della minoranza arriva addirittura il seguente messaggio: se non vi mettete di traverso sulle elezioni anticipate, Matteo ve lo riconoscerà quando sarà il momento di fare le liste… Arriverebbe così a compimento un disegno che realizzerebbe tutte le preoccupazioni della minoranza: il Parlamento, e la vita stessa della legislatura, sarebbero definitivamente sottomessi alla volontà di un partito in cui i meccanismi plebiscitari ormai prevalgono su qualsiasi logica politica. Restare nel Pd significa ormai vivere pericolosamente vicini a quel confine oltre il quale la sinistra non può e non vuole spingersi, quello della fedeltà all’impostazione democratica della Costituzione.

Nella minoranza Pd è di fatto costituita in quei giorni una sorta di war room che si riunisce ad horas, spesso a pranzo in un ristorante tra Camera e Senato. (…) È Davide Zoggia, durante uno di quei pranzi di inizio 2017, a dire per primo ed esplicitamente che è il momento di prendere la decisione su cui ormai da settimane si ragiona e ci si interroga: “Dai basta, bisogna rompere: dobbiamo organizzarci per uscire dal Pd”. La prima reazione è proprio di Bersani, che risponde: “Capisco che ormai l’alternativa è andare via dal Pd o andarsene a casa, però non dovete contare su di me. Io me ne vado a casa”.

Da segretario a scissionista, a Bersani sembra troppo: il suo istinto sarebbe quello di chiudere qui, di lasciar fare ad altri un passo che anche lui ormai sa inevitabile. C’è un breve istante di gelo, intorno al tavolo, ma è davvero solo un istante. Prima che chiunque, o Bersani stesso, possa aggiungere una sola parola che possa in futuro avere un peso o dover essere ritrattata, Migliavacca chiude fulmineamente lo spazio per il dibattito: “Ora non è il momento di discutere di questo”. Conosce Bersani meglio di tutti, a quel tavolo. Sa che insistere adesso sarebbe inutile, come probabilmente sa anche che saranno i fatti, le persone a convincerlo: “Sarebbe sembrata una diserzione”, ammette Bersani. “Ho capito che non potevo dire ‘andiamo a riprendere i nostri fratelli nel bosco’, e intanto nel bosco andarci io. Restare era un’umiliazione continua, giorno dopo giorno mi sentivo chiedere dalla gente: ma che cosa ci fai ancora lì? E sapevo cosa i renziani andavano dicendo di me in giro… Il mio istinto sarebbe stato quello di tornarmene al mio paese, ma poi come fai ad abbandonare la tua compagnia in un momento come quello? Sarebbe suonato come un tutti a casa. Sono state settimane tribolate”, rivela.

Tutto procede così, senza alcuna pianificazione e premeditazione, verso l’esito che la minoranza Pd ha sempre escluso dall’orizzonte delle cose possibili. (…) Non è un problema di “posti”, ma di argomenti: il problema, paradossalmente, è proprio cosa fare non se Renzi non li candida, ma se li candida. Come si fa ad affrontare una campagna elettorale da candidati del Pd?, si chiedono. Cosa andiamo a dire alla gente, quando non siamo d’accordo su niente? Con quali argomenti possiamo convincere chi si fida di noi a votare il Partito democratico?

Incubo ballottaggio nella terra dove tutti ora rinnegano Renzi

inviato a Firenze

Il compagno Guelfo Guelfi va in città, per andare al cinema, il lunedì a pranzo, a volte il mercoledì, sette minuti di auto per il centro di Firenze e poi rincasa, isolato, in campagna: “Che succede domenica?”. Guelfi fu catapultato nel Cda Rai dal premier Matteo Renzi, a quel tempo Guelfi non era renziano, ma Renzi era guelfiano: “Qui a Firenze e altrove il risultato sarà l’astensione: se la gente va ai seggi, vincono tutti. Io sono pessimista. Le ricordo che di mestiere ero pubblicitario, allestivo le vetrine, studiavo le vendite: che prodotti offrono i candidati?”. Il sindaco Dario Nardella, origini pugliesi, natali a Torre del Greco, parenti in Irpinia, adulto a Firenze, forgiato col renzismo, oscilla tra la speranza di vincere al primo turno e il terrore di affrontare l’insidioso ballottaggio. Più che un secondo mandato, per il dem Nardella è il debutto, perché nel 2014 fu designato viceré da Renzi che, superata la fase “sindaco” Giorgio La Pira, s’inventò padre costituente con una ferale riforma della Carta.

Ubaldo Bocci, il principale concorrente di Nardella, sobrio volto di una coalizione di destra più che di centro, vidimata con iniziale ritrosia da Matteo Salvini con l’intercessione di Andrea Bocelli, fu convinto sostenitore del sì al referendum e addirittura promotore di una cena elettorale per Nardella. Bocci è un manager cattolico, già nel Cda di Azimut, una società d’investimento, e capo di Unitalsi, che sta per Unione nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e santuari, indossa maglioncini di cotone fiammato dai colori tenui, e per una serie di circostanze è l’avversario di Nardella, anche se per logica politica s’intersecano a perfezione. Tant’è che Bocci ha rovistato nel passato per pescare una militanza col Fronte della gioventù, non ha celebrato la Liberazione, ha tentato di visitare un campo rom con Gasparri e ha ottenuto la benedizione di La Russa che ha squadernato l’aneddotica nera degli anni 70.

Forse l’Arno ferma l’avanzata leghista, di sicuro il vuoto a sinistra l’ha riempito l’attivista Antonella Bundu, madre di Firenze e padre del Sierra Leone, capace di coagulare attorno a sé una forza rossa in una terra rossa. Al solito, i Cinque Stelle litigano e Roberto De Blasi è destinato a un ruolo di comparsa col brivido di scoprire le dimensioni del disastro. Nardella è antipatico perché rimanda a Renzi: “Io non mi sono mai reputato un renziano e mai ho aderito al Giglio magico”. L’amico Matteo, che di professione fa il conferenziere, se n’è ghiuto e soli ci ha lasciato. Ha speso un giorno con Nardella assieme a Frans Timmermans, candidato dei socialisti per la Commissione europea, e poi è sparito come Luca Lotti e Maria Elena Boschi, che i fiorentini puri reputano forestieri, il “lampadina” è del contado, di Montelupo, la “meb” di Laterina, provincia di Arezzo. Nardella giura: “Io resto nel Pd anche se Matteo fonda un partito”.

Così Dario completa la maturità politica che prevede il ripudio dei genitori; però, spesso, inciampa in una parodia del salvinismo e propone souvenir esclusivamente fiorentini per le bancarelle e fa annaffiare i sagrati delle chiese per allontanare i turisti stanchi: “Ho fatto un po’ di cazzate. Resta il tema di garantire ai cittadini sicurezza e decoro. Non vanno ignorate le domande della gente, certo non vanno usate le risposte di Salvini”.

Nardella spande ottimismo, però s’è corazzato con cinque liste oltre al Pd: “Sinistra Civica” è del governatore toscano Enrico Rossi, “Avanti Firenze” del socialista Riccardo Nencini e di Gabriele Toccafondi, ex sottosegretario all’Università, referente dell’ex ministro Lorenzin. E poi ha arruolato, su spinta del cardinale Betori, Alessandro Martini della Caritas, che fu silurato in Provincia da Renzi. In città rimpiangono il cileno Pizarro, domenica la Fiorentina rischia la retrocessione in Serie B e ha una mediana scadente. Nardella, Bocci & C. mazzolano i fratelli Della Valle. Lunedì amici come prima.

“Salvini fa gli errori di Renzi. Alla fine il troppo stroppia”

L’ultimo saggio di Nando Pagnoncelli – presidente di Ipsos, uomo di numeri per nulla sprovvisto di humour, in questi giorni affaccendatissimo con gli ultimi eurosondaggi – s’intitola La penisola che non c’è. La realtà su misura degli italiani (Mondadori) e racconta la visione distorta di un Paese.

Professore, quali sono gli indicatori di questa stortura?

I più scontati sono la percezione di immigrazione e disoccupazione. Ma anche su altri argomenti il pre-giudizio italico è alto. Quando chiediamo quanti sono i diabetici (il 5 per cento), la risposta media è 35 per cento per cento (vorrebbe dire che uno su tre soffre di diabete). C’è un’implicita attitudine ad amplificare i fenomeni.

E sui migranti?

Quando abbiamo iniziato questa ricerca, nel 2014, avevamo il 7 per cento di migranti. E gli italiani ci dicevano che erano il 30 per cento dei residenti in Italia. Ora la forbice si è un po’ ristretta perché i migranti sono il 10 per cento della popolazione e l’ultima rilevazione è al 26.

Disoccupazione.

Secondo gli italiani il 48 per cento dei cittadini è senza lavoro. Quasi uno su due. Stessa cosa sugli inattivi: sono il 25%, ma gli italiani credono che siano il 50 per cento. Il doppio.

E gli altri Paesi?

Oggi facciamo questa ricerca in 40 Paesi, ma se prendiamo quelli presenti sin dal 2014 siamo primi nella “distorsione percettiva” o più banalmente nell’indice di ignoranza. E questo dipende da molti fattori, in primis da una scolarità bassa. Fatto 100 il numero dei maggiorenni, il 56 per cento ha raggiunto la terza media. Il numero dei laureati è basso, 14 per cento. Guardando le statistiche dell’Ocse, siamo al terzultimo posto e abbiamo un tasso altissimo di analfabetismo funzionale.

Altri fattori rilevanti?

Daniel Herda, psicologo sociale americano, sostiene l’esistenza di una sorta di analfabetismo numerico legato alle emozioni: quando siamo di fronte a qualcosa che ci spaventa, inconsapevolmente siamo portati a dilatare la portata del fenomeno. Un terzo aspetto, serissimo, riguarda la dieta mediatica, cioè il modo in cui i cittadini s’informano.

La televisione tiene, il web esplode e la stampa muore…

Più o meno. I dati del Censis ci raccontano il cambiamento tra il 2007 e il 2017: la tv mantiene una forte centralità, la radio è in crescita come ovviamente Internet, la stampa cala in maniera molto significativa. E questo ha delle conseguenze perché la carta stampata è quella che induce a maggiore riflessione su una notizia. Il telegiornale di prima serata è la fonte prevalente di informazione, ma un servizio dura al massimo un minuto e mezzo. Un barcone stracolmo di migranti restituisce l’idea dell’invasione, anche se in realtà sappiamo che non è così perché gli sbarchi sono in calo dal secondo semestre del 2017. Sappiamo anche che gli omicidi in Italia sono meno della metà di vent’anni fa. E sono meno della metà di quelli che vengono commessi in un anno a Chicago, una città di due milioni e settecentomila abitanti…

I nostri leader sono bravi comunicatori?

Il primo tema è l’iper-semplificazione e la ripetizione del messaggio. Berlusconi per esempio conosceva molto bene il marketing e la struttura della popolazione italiana. Mi è capitato di sentirmi dire da alcuni politici di sinistra – evidentemente avevano in testa un Paese diverso – che i laureati sono il 30 il per cento degli elettori. Questo spiega perché Berlusconi semplifica il linguaggio.

Esempio?

Si ricorda il dibattito tv tra Prodi e Berlusconi? Il primo promise di abbattere il cuneo fiscale, il secondo, guardando in camera disse “Avete capito bene? Vi tolgo l’Ici”. Sono due concetti con un diverso livello di immediatezza. Ricordiamoci che Berlusconi fu ridicolizzato perché aveva fatto una campagna elettorale in crociera. Ma dai nostri dati risultava che la crociera era la vacanza ideale per una significativa fetta di italiani, con un profilo socio demografico che corrispondeva all’elettorato berlusconiano.

È giusto che la politica insegua i sondaggi?

No, produce rischi enormi. Attenzione: l’opinione pubblica è ondivaga, impreparata e spesso ostaggio dei pregiudizi.

Salvini sta esagerando? È ovunque.

Guardiamo la parabola di Renzi: nella sua fase iniziale poteva dire tutto e il contrario di tutto ed era apprezzato perché decisionista. Alla fine è diventato, per le stesse persone, un accentratore egoriferito. Il troppo stroppia e vale anche per Salvini.

Zingaretti ha adottato un profilo basso.

Come Gentiloni: uno dei pochi premier a partire basso nei sondaggi, all’indomani del referendum, ma che poi ha recuperato proprio perché la gente era stanca di polemiche e urla. Questo sta succedendo anche ora: troppa aggressività viene vissuta come una battaglia di potere a scapito dei cittadini.

Di Maio è più in difficoltà?

Il Movimento 5 Stelle è un catch all party, ha un elettorato trasversale. Condizione ottimale per chi sta all’opposizione, mentre quando si è al governo le decisioni sono destinate a scontentare qualcuno. C’è poi il confronto con Salvini, il cui protagonismo dà l’idea di sovrastare l’altro vice premier. La Rete non è un universo chiuso, ciò che un politico comunica nei social viene ripreso dagli altri mezzi. La Rete da sola non può bastare, così come da sola la presenza territoriale. Salvini ha adottato un mix efficace.

Come fa a essere popolare Conte e in contemporanea a esserlo Salvini? Sono uno l’opposto dell’altro.

È una delle nostre ambivalenze. Una parte di italiani si riconosce negli atteggiamenti anticonvenzionali, a tratti aggressivi, di Salvini e Di Maio: finalmente qualcuno che parla come parlerei io. Conte si comporta esattamente all’opposto e incarna la figura garante del contratto, che è fondamentale per entrambi gli elettorati perché l’idea del compromesso fa digerire decisioni non gradite ma che sono controbilanciate da altre in linea con le proprie idee. Poi parla in modo composto e pacato, si veste bene, ha la pochette e fa il baciamano. Non ultimo: si presenta bene nei consessi internazionali. Premier e vicepremier hanno profili complementari che appagano le aspettative ambivalenti di una larga parte dei cittadini.

Sblocca-cantieri, Nugnes sostituita in commissione

L’hanno sostituita in commissione, e ora la senatrice dei Cinque Stelle Paola Nugnes, dissidente vicina al presidente della Camera Roberto Fico, grida all’epurazione: “Mi stanno emarginando”. Nugnes, tra i membri delle commissioni riunite Ambiente e Lavori pubblici che esaminano il decreto Sblocca cantieri, sostiene: “Ho chiesto di essere sostituita per la seduta di commissione del 15 sul decreto e questo è stato preso come pretesto per tenermi fuori per tutto l’iter del provvedimento. Nonostante abbia dato comunicazioni formali e informali di non aver bisogno di sostituti per le sedute successive, mi è stato notificato direttamente in seduta che sarei stata estromessa dalla discussione per l’intero iter”. E sul suo blog sull’Huffington Post aggiunge: “Mi hanno detto che questa era una decisione politica, colpa dei miei emendamenti”. Dal Movimento ufficialmente nessuna reazione. Ma fuori taccuino parlano di “disguido” dovuto a un problema di comunicazione, e negano con forza motivazioni politiche. Però il rapporto tra i vertici e Nugnes è ormai sfibrato. Tanto che la senatrice avrebbe fatto scrivera da un avvocato alla presidente di Palazzo Madama, la Casellati.

“Contro la sinistra prendiamo le armi”. L’audio del leghista

Si era già fattoconoscere, nei mesi scorsi, per aver postato sui suoi social commenti razzisti e perfino una dichiarazione nella quale invitava ad “accoppare” giudici e avvocati, chiedendone la pena di morte. Adesso Villiam Rinaldi, candidato sindaco di Casalgrande, in provincia di Reggio Emilia, torna a far parlare di sé per alcuni audio, altrettanto violenti. Li ha diffusi il sito web 24Emilia, che li attribuisce allo stesso esponente della Lega: “Sono quasi convinto di una cosa, che per togliere la sinistra bisogna che prendiamo in mano le armi, e io ne ho tante” – dice il candidato sindaco, che prosegue – Poi gli spariamo un colpo in fronte a testa”, precisando che “per accoppare i comunisti e toglierli dalla faccia della terra bisogna sparare a tutti”.

Dopo la diffusione degli audio, è intervenuto il deputato Pd Andrea Rossi: “Il ministro dell’Interno Matteo Salvini, responsabile della sicurezza e dell’ordine pubblico, avrà modo di esprimere un parere sul candidato sindaco di Casalgrande, cittadina della civile terra d’Emilia?”.

“Il bunga bunga è mio, non di Silvio”

BeboStorti (attore e autore), lei ha rivelato che la barzelletta di B. sul bunga bunga, con Bondi e Cicchitto in Africa (raccontata anche l’altro giorno in un fuori onda televisivo), le è stata scippata… È vero?

È una storiella che avevamo ideato con Gabriele Salvatores durante un tour teatrale nel 1985. Lo spettacolo si chiamava “Comedians” e c’era tutta la truppa iniziale di Gabriele: Bisio, Catania, Paolo Rossi, Silvio Orlando, Gigio Alberti, Gino & Michele, Palladino, Sarti e il sottoscritto. In scena la raccontavano Antonio Catania e Claudio Bisio. C’erano tre anonimi malcapitati il cui aereo precipitava in un villaggio africano. E a cui il capo villaggio offriva la scelta: “Morte o bunga bunga…?”.

Insomma, è proprio quella.

Identica, Berlusconi l’ha solo un po’ rimaneggiata. Ma è uno scippo vero e proprio. Ogni volta che la racconta, dovrebbe pagarci i diritti. A nome del gruppo, rivendico l’invenzione del bunga bunga.

Avete cambiato la storia di questo Paese. Anche per le polemiche sul bunga bunga, oltre allo spread e al resto, Berlusconi si è dimesso da premier nel 2011…

Allora vuol dire che qualcosa di buono nella vita abbiamo fatto. E B. è sempre stato soprattutto un cabarettista.

M5S e Pd ci dicano subito che faranno per fermare Salvini

La trasversalità ha dei limiti – e prima o poi contro di essi devi sbattere la zucca. Ogni “movimentismo” inizia con l’illusione di rappresentare il Popolo, o almeno il suo Destino o il suo Bene, ed è inesorabile che essa si dissolva non appena il “movimento” sia costretto a fare i conti con la dura realtà del governo.

Allora è il tempo delle decisioni, e le decisioni non possono accontentare tutti, per la contraddizione che non lo consente. Bisogna prender parte. E parte significa partito. E nessun partito può essere del Popolo o della Nazione. La Volontà Generale – ammesso e non concesso Rousseau c’entri qualcosa con i nostri amici pentastellati – bisogna dimenticarla.

La resa dei conti si fa ormai prossima, e non vedo quale utilità abbiano i 5Stelle a rinviarla. Anche la finzione del “contratto di governo”, come era troppo facile prevedere, ha cessato di funzionare. In fondo, quella strampalatissima idea ha una lunga storia: si tratta della leggenda di poter sostituire l’azione politica, la decisione politica, con bei programmi tecnico-amministrativi. Ecco: questi sono i punti, vedi quanto lontani siamo dal Novecento, dalle ideologie, ecc. ecc., discutiamo soltanto di cose e fatti. Che simpatici ragazzi! Purtroppo ogni azione politica finisce inesorabilmente per collocarsi in una storia, in una cultura, in una strategia, che non sono mai alla lunga riducibili al “programma”, bello o brutto che sia.

I nodi vengono al pettine: puoi patteggiare su un decimale in più o in meno di previsione sull’andamento del Pil, puoi armeggiare su un milione in più o in meno da assegnare a redditi di cittadinanza e pensioni, ma poi arriva l’esule, il profugo, l’immigrato, devi affrontare la questione dei rapporti con altri regimi, discutere i decreti sicurezza, difendere o sabotare diritti civili. E precipita il palco. Non puoi più stare con chiunque in forza della narrazione che ti sei costruito sulla fine delle ideologie. Politiche per immigrazione e integrazione non sono ideologie, un’Europa in mano alla peggiore destra non sarebbe ideologia.

Dal comodo limbo della aurea solitudine i 5Stelle sono usciti – e usciti nel modo peggiore (non certo solo per colpa loro). Da quel limbo sono stati cacciati per sempre. E ora? Protrarre l’agonica esperienza di governo con una forza che è chiaramente, al fondo, alternativa alla loro esperienza, potrà soltanto condurli a rovina.

Il Pd sembra sognarlo – e i sogni sono sempre pessimi consiglieri quando si tratta di dover essere vigili. Il crollo dei 5Stelle, oggi come oggi, non rafforzerebbe affatto un Pd che ancora è lungi dall’aver formato gruppo dirigente, strategia, ecc, bensì proprio la destra salviniana. È troppo ricordare Weimar? Sì, è troppo – ma un pensierino, per favore, fatecelo. L’Europa e l’Italia hanno bisogno dell’intesa concreta – non di giuramenti di Pontida! – tra tutte le forze che in modo diverso comprendono la necessità di un’Unione federale basata su principi di solidarietà e sussidiarietà, in grado di svolgere una politica mediterranea e di integrazione.

Da che parte vogliono stare i 5Stelle? In che prospettiva vogliono cominciare a lavorare? Sono alternativi a chi? E in che direzione intendono cercare diverse intese? Poiché ormai hanno nei fatti riconosciuto di voler governare e di non poterlo fare che alleandosi ad altri. Dopo le elezioni di domenica, volenti-nolenti, dovranno decidere. Ma già alle elezioni di domenica da che parte stanno? Non lo dovrebbero dire a voce alta e chiara? Non è forse vero che in ogni Paese il loro voto sarebbe contro gli amici di Salvini? Non è forse vero che tutto faranno nel futuro Parlamento europeo fuorché sedere in gruppo con costoro? E invece benissimo continuare in Italia, magari fino allo sfascio sul modello ellenico? Ragionate 5Stelle – e ragionate Zingaretti&C.