Potrebbe essere il titolo di una serie televisiva sulla politica. “Gli inascoltati”. Quelli che parlano, propongono, indicano una strada, un percorso, che però poi resta disegnato nell’aria. Ad avvalorare la tesi di B. che ha sempre derubricato la politica a “chiacchiericcio”. Categoria però perfettamente incarnata dall’ultimo Berlusconi.
Da quando è nato questo governo non si contano più gli appelli dell’ex Cavaliere a Matteo Salvini per rompere con i 5Stelle e tornare nel centrodestra. Invito ripetuto anche nell’overbooking televisivo di queste ore. “Questo governo è alla frutta. Dopo il voto europeo Salvini non potrà che rinsavire e tornare con noi”, va ripetendo davanti alle più disparate telecamere. Nonostante le liti e le fibrillazioni continue, per il momento il Capitano non molla l’esecutivo. “Il governo non cade, va avanti. Lavorerò ancora con Di Maio”, ha ribadito anche ieri. Per vedere il finale della storia toccherà attendere l’esito del voto europeo, ma per ora Berlusconi sembra davvero il classico cane che abbaia alla luna. Respinto da tutti, pure da Giorgia Meloni, che per la prima volta ha escluso una futura alleanza con Forza Italia.
Anche la leader di FdI, però, in quanto ad appelli al vuoto non scherza. “Salvini molli i 5Stelle, siamo pronti per governare, anche subito”, va dicendo l’ex vicepresidente della Camera. In che modo, però, non si sa, dato che i numeri in Parlamento per una maggioranza di centrodestra non ci sono e alle urne lei e Salvini hanno ancora bisogno di Silvio. Restando da questa parte della barricata, un altro inascoltato doc è Giovanni Toti, capace di farsi ignorare da Berlusconi, Salvini e Meloni in un colpo solo. Se fosse per lui, Fi e FdI si sarebbero già dovuti sciogliere per farsi annettere dalla Lega.
Guardando al governo, anche qui gli “inascoltati” non mancano. A cominciare da Giovanni Tria. Che assomiglia sempre più alla meravigliosa imitazione di Crozza: per sapere cosa pensa occorre leggere il labiale. Il ministro dell’Economia spesso dice una cosa e l’esecutivo va nella direzione opposta. Come quando, in epoca di legge di bilancio, parlò di uno sforamento dei parametri europei dell’1,9%. Il governo rispose col 2,4% per poi concludere, con l’invenzione di Conte, al 2,04%.
Nelle ultime ore il ministro dell’Economia ha detto che il miliardo avanzato dal reddito di cittadinanza che Luigi Di Maio vuole utilizzare per il decreto sulla famiglia non c’è. “I soldi ci sono. È la politica che decide, non i tecnici”, la risposta di Di Maio.
Un altro parolaio è diventato Giancarlo Giorgetti. Che in questi giorni con le sue dichiarazioni ha terremotato l’esecutivo. “Il governo è paralizzato, così è impossibile andare avanti”, ha detto. Per il sottosegretario questa maggioranza è giunta al capolinea e, come una Cassandra, lo va ripetendo a macchinetta a Salvini. Che lo lascia sfogare, ma non lo ascolta, altrimenti il governo sarebbe già caduto.
Nell’elenco non può mancare Nicola Zingaretti. “Catiuscia Marini si dimetterà dalla presidenza della Regione Umbria”, ha annunciato il segretario del Pd appena appreso dell’indagine sulla sanità umbra. La governatrice prima ha detto sì e poi ha fatto il contrario, votando contro le sue dimissioni per alzata di mano. Alla fine le dimissioni le ha date davvero, ma “Zinga” non ne è uscito bene. Nel centrosinistra, infine, staziona pure il più “inascoltato” di tutti: Carlo Calenda. Meraviglioso quando prese la tessera del Pd ma nessuno lo invitava al partito. Ora per farsi notare va ai comizi altrui (Salvini) e vuole riallacciare con Renzi. Tanti auguri.