Perché l’Eni dovrebbe acquistare polietilene ad alta densità (Hdpe) da un’azienda esterna, quando la sua controllata Versalis è leader italiana del settore? È uno dei quesiti che i magistrati di Roma si sono posti quando si sono trovati davanti alla Napag Italia Srl di Francesco Mazzagatti. Domande alle quali prova a rispondere anche Eni che, spiega, sta verificando “le attività” che sarebbero intercorse con la “Napag” e “altre società del relativo gruppo”.
Ma chi è Mazzagatti? La sua cavalcata imprenditoriale parte dal Sud. Originario di Polistena (Reggio Calabria) con un passato da presidente regionale del Fronte Nazionale, nel 2012 fonda a Gioia Tauro la sua azienda con un capitale sociale di 10 mila euro e si dedica all’import-export di alimentari e materiali edili. In meno di due anni cambia business, puntando sul settore oil & gas. Il rinnovamento passa anche dall’aiuto di Piero Amara, uno dei legali dell’Eni, poi finito indagato in un’inchiesta per le sentenze comprate al Consiglio di Stato. “L’ho conosciuto nel 2014, mi chiese di sviluppare un documento organizzativo riguardo al business specifico della sua società”, spiega l’avvocato al Fatto. Originario di Augusta, Amara non è un semplice legale. È il “Mr Wolf” dei dirigenti Eni: si è definito il “canale non istituzionale” dell’azienda. Lo troviamo nel pool difensivo dei processi per inquinamento ambientale a carico del gruppo in Sicilia. Secondo i magistrati milanesi avrebbe contributo a un complesso dossieraggio, inviando esposti anonimi alle Procure di Trani e Siracusa, per indebolire l’inchiesta della Procura di Milano per corruzione internazionale nell’ambito dell’acquisto del giacimento nigeriano Opl245, in cui sono imputati l’ad Claudio Descalzi e l’ex Paolo Scaroni, e per screditare Luca Zingales e Karina Litvack, che all’interno del cda chiedevano ai vertici spiegazioni sulla vicenda. Amara ha anche partecipato a incontri top secret con Claudio Granata, responsabile delle relazioni istituzionali dell’Eni e braccio destro di Descalzi, nella sede “schermata” romana di piazza Campitelli.
Mentre la Procura di Roma indaga su un giro di false fatturazioni che ruota attorno ad Amara – che a Roma ha patteggiato 3 anni per corruzione in atti giudiziari – si imbatte nella Napag. I pm scoprono che tra il 2015 e il 2016, la Dagi, società di Amara, ha emesso fatture per oltre 40 mila euro all’azienda di Mazzagatti, più altre operazioni da 40 mila euro.
Oltre ai legami con Amara, Mazzagatti può contare su un’importante parentela. È il genero del tycoon Faisal Ali Al Matrook, fondatore del colosso Famcorp, una holding che spazia dal settore dell’edilizia agli investimenti finanziari, passando per il commercio di prodotti petrolchimici. La figlia Nadia Faisal Ali Al Matrook, moglie di Mazzagatti, è membro del board dell’azienda e detiene il 5% di Napag. Quando la Guardia di Finanza, nel febbraio 2017, perquisisce l’appartamento romano dell’avvocato Giuseppe Calafiore, il socio di Amara che ha anch’esso patteggiato due anni e sei mesi per corruzione, trova l’invito al matrimonio di Mazzagatti e Al Matrook.
Quando l’imprenditore calabrese decide di spostare il suo business a Roma, Amara gli suggerisce di “locare una stanza” all’interno del suo studio, in via della Frezza. La Napag in quel momento sta crescendo: passa da un capitale di 300 mila euro a 13 milioni. In Inghilterra nasce la Napag Trading Limited, subito registrata all’Eni Spa Trading desk di Londra. Oggi l’azienda inglese dispone di un capitale da 43 milioni. Nel 2018, le quote italiane finiscono sotto la società del Regno Unito, mentre per il Medio Oriente ci si affida alla Napag Middle Est Fczo. Il 25% di quest’ultima viene acquistata per 500 mila euro dalla Simest, controllata della Cassa depositi per l’internazionalizzazione delle imprese italiane, con l’obiettivo di gestire una piattaforma logistica per commerciare prodotti italiani negli emirati.
Con la crescita muta anche la governance di Napag. Entra come presidente l’avvocato Giancarlo Lanna, già vice-coordinatore di Alleanza Nazionale in Campania, nella fondazione Fare Futuro ed ex presidente proprio di Simest. “Ho finito il mio mandato in Simest nel luglio 2012, se non sbaglio l’operazione invece è del 2014 – precisa Lanna al Fatto – Sono stato in Napag dal febbraio 2017 fino al 2018, Mazzagatti mi chiese di ricoprire la carica perché cercava un nome credibile per i rapporti con il mondo finanziario”. È con l’ingresso di Lanna che il gruppo vira verso il settore petrolifero. “Fino a quel momento non era il core business ma un’attività secondaria – spiega Lanna – anche se Mazzagatti già lo faceva visto che il suocero Al Matrook era molto forte nel settore”.
Prima che scoppiasse lo scandalo del depistaggio Eni, tra gli amministratori di Napag figuravano Danilo Broggi e Claudio Zacchigna. Il primo è presidente di Poste Assicura, gruppo di Poste Italiane, ed ex ad di Consip e Atac. È stato condannato in abbreviato a febbraio per truffa aggravata, per aver assunto nella municipalizzata dei trasporti romani, un autista di sua fiducia e oggi è indagato per abuso d’ufficio per un appalto del servizio di pulizia del comparto metro-ferroviario. Zacchigna invece è un ex dirigente Eni.
Nello studio romano di Amara, oltre alla Napag, figurava l’avvocatessa catanese Giorgia Panebianco, nipote del dirigente Antonio Vella, alto dirigente di Eni. “Mi è stata presentata da un comune amico – replica Amara –, ma non sapevo della parentela con Vella, che in seguito ho informato, ma non ha ricevuto mandati professionali da parte di Eni”. Forse è solo un caso ma, una volta chiuso lo studio, la Panebianco ha iniziato a lavorare per la Napag.