Il nuovo B. alle Europee e le liti coi fratelli: “Lui ci ha truffato”

Confuso e felice, per le elezioni europee: Aldo Patriciello, ras della sanità in Molise e candidato di Forza Italia, domenica prossima rischia di raccogliere più voti di preferenza di Silvio Berlusconi: “E questo mi rallegra e mi allarma, mi fa sobbalzare e insieme acquietare”, aveva confessato ad aprile al Fatto Quotidiano. Patriciello è un Berlusconi in sedicesimo: come lui è uomo di affari e di politica, come lui è padrone di tv (TeleIsernia), come lui è campione di conflitti d’interesse, come lui vanta un interminabile elenco di procedimenti giudiziari, culminati in una condanna definitiva per finanziamento illecito ai partiti.

Il suo grande business è la sanità, giro d’affari di oltre 250 milioni per un impero di oltre venti cliniche private tra Molise, Puglia, Lazio e Campania, prima fra tutte la Neuromed di Pozzilli. La sua grande passione resta la politica, con partenza nella Dc e traslochi nel Partito popolare, poi nell’Udc, infine in Forza Italia. In attesa di sapere se vincerà la gara delle preferenze con Berlusconi, il suo problema è il fuoco amico. Il conflitto in famiglia. Due dei sei fratelli con cui divideva l’impero gli hanno dichiarato guerra. “Eravamo molto uniti”, racconta Gaetano Patriciello, il capo dei ribelli, “ma Aldo ci ha tradito: ha tradito i fratelli, ha deluso la nostra fiducia. Abbiamo ingoiato molto, per anni. Ora reagiamo”. L’hanno denunciato per truffa aggravata davanti al tribunale di Isernia. “Ci aveva convocato il 29 giugno 2018 davanti al notaio Antonio Ventriglia di Venafro. Avevamo deciso insieme un accordo fatto di due atti: noi gli vendevamo a un prezzo di favore (900 mila euro) il 3 per cento di un paio di società che controllano Neuromed; lui in cambio s’impegnava contestualmente a vendere altre quote e a nominare un amministratore da noi indicato, in modo da riequilibrare un po’ il controllo societario. Abbiamo firmato il primo atto, la nostra vendita; poi con la scusa dell’indisposizione della figlia Elisa, legale rappresentante di una delle società coinvolte, se n’è andato senza firmare il secondo atto. Ci ha fregato. E se fa così con i fratelli, come tratterà gli elettori?”. Resta comunque un campione di preferenze. Aldo ha cominciato nel 1983, diventando assessore al Lavori pubblici e vicesindaco di Venafro, il suo paese. Poi consigliere comunale. Poi consigliere e assessore e vicepresidente della giunta regionale. Nel 2006 deputato. Dal 2009 parlamentare europeo. Sempre mischiando affari e politica. Già nel 2002, quando era assessore alle Attività produttive in Molise, firma tre finanziamenti regionali (3,6 milioni) per il sostegno alle piccole e medie imprese che vanno a Sotea srl, Betoncave srl e McGroup spa. A richiederli era stata Mimosa Carano, legale rappresentante delle aziende, ma anche madre di Patriciello. Neuromed, del resto, da sempre è convenzionata con la Regione Molise, che le passa almeno 40 milioni l’anno. Ma non bastano, perché Patriciello sostiene di aver fornito negli anni prestazioni fuori budget. E fa partire una trattativa che alla fine gli fa portare a casa 50 milioni: a pagare è la Regione presieduta da Paolo Frattura, Pd, eletto nel 2013 anche grazie ai voti della lista civica “Rialzati Molise” capitanata da Vincenzo Cotugno, che è cognato di Aldo avendone sposato la sorella Giuseppina. Destra e sinistra per Patriciello pari sono, purché ruotino attorno ai suoi affari. Ma non basta ancora. Neuromed progetta di ampliarsi e riceve un finanziamento di circa 20 milioni da Invitalia, l’agenzia del ministero dell’Economia. Chi fa i lavori, senza la gara europea che sarebbe d’obbligo? L’impresa Nidaco, controllata da Giuseppina Patriciello e da suo figlio Nicandro. Il marito di Giuseppina, Vincenzo Cotugno, è consigliere regionale, delegato alla Programmazione e poi presidente del Consiglio regionale del Molise, che nel frattempo delibera per Neuromed un ulteriore finanziamento a fondo perduto di 2,8 milioni.

Da quando si è trasferito al Parlamento europeo, Patriciello ha lasciato i suoi uomini e parenti a presidiare il territorio in cui prosperano le sue cliniche. Dopo aver sostenuto Frattura, centrosinistra, alle elezioni regionali del 2018 ha sponsorizzato alcune liste civiche di centrodestra che hanno contribuito a far vincere il presidente Donato Toma, che si è scelto come vicepresidente l’eterno Vincenzo Cotugno. Presidente del Consiglio regionale e vicepresidente della Giunta è stato anche un altro cognato di Aldo, Mario Pietracupa, ex amministratore delegato di Neuromed e attuale presidente della omonima Fondazione. Altro uomo di Patriciello è Domenico D’Agostino, che lo assiste al Parlamento europeo e contemporaneamente è il grande manovratore delle cooperative che forniscono servizi, mense e pulizie alle cliniche Neuromed.

Tra i nuovi amici, Aldo si è tenuto stretto Antonello Montante, ex presidente di Confindustria Sicilia e vicepresidente di Confindustria nazionale con delega alla legalità, ex eroe antimafia poi arrestato, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e condannato in primo grado a 14 anni per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo a sistema informatico. Dei vecchi amici, invece, Aldo ha perso Giulio Andreotti, ma ha conservato Paolo Cirino Pomicino, che tanti anni fa gli porto a Venafro, a un incontro elettorale, nientemeno che Pippo Baudo, il quale garantì: “Patriciello è un grande lavoratore, un ottimo imprenditore e un politico di razza al quale auguro di raggiungere tutti i traguardi che merita”. Ne ha raggiunti tanti. Ora aspetta quello di battere Berlusconi.

Sea Watch, giornalista Usa nega i filmati. Sentito il comandante

Sette ore di interrogatorio per Arturo Centore, ex sottufficiale della Guardia costiera e comandante della nave Sea Watch 3 che nei giorni scorsi ha portato a Lampedusa 65 migranti soccorsi a trenta miglia dalle coste libiche. Li ha fatti sbarcare, sequestrando la nave, il procuratore di Agrigento che procede per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Davanti al procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella, assistito dall’avvocato Alessandro Gamberini, ha raccontato l’operazione, le comunicazioni con le autorità libiche e tunisine che non hanno risposto e con quelle italiane e maltesi che hanno detto di non avvicinarsi. E comunque “Malta era più lontana”. Centore ha ribadito che una motovedetta libica l’ha anzi invitato ad allontanarsi, quindi ha puntato su Lampedusa. Il comandante ha spiegato che l’unico scopo era “salvare delle vite umane” e che “rifarebbe tutto”. Nel frattempo a Licata (Agrigento) la Guardia di finanza ha perquisito la nave della Ong, che è sotto sequestro: l’equipaggio collabora ma una giornalista statunitense, che ne fa parte, si è rifiutata di consegnare le immagini girate con una telecamera.

Mirandola, l’arrestato aveva richiesto asilo

La prima volta era stato fermato a Roma lo scorso settembre. L’ultima volta, sempre nella Capitale, poco più di una settimana fa. Ma di lui, del giovane nordafricano che la scorsa notte ha appiccato il fuoco alla sede della Polizia municipale di Mirandola, provocando la morte di due donne anziane (altre 20 persone sono intossicate), si sa ben poco. Qualche precedente per furto; una sfilza di controlli da parte delle forze dell’ordine, a cui aveva dato ogni volta – per almeno 4 volte – generalità diverse; un decreto di espulsione della questura di Roma datato 14 maggio. Ma, secondo fonti del Viminale, il ragazzo non poteva essere allontanato perché, all’atto della notifica dell’espulsione, aveva espresso l’intenzione di chiedere asilo. E sarà ora sottoposto alla procedura accelerata di esame della sua istanza di protezione internazionale, secondo quanto stabilito dal Decreto Sicurezza.

Che sia maggiorenne da pochissimo il ragazzo, lo dimostrano le radiografie ai polsi. Ed è evidente che non volesse vendicarsi: “Ipotesi senza fondamento”, dicono i carabinieri di Carpi, che lo hanno arrestato vicino alla sede della polizia urbana.

Mirandola, ricco comune del Modenese di 25mila abitanti, la scorsa notte è precipitato in un incubo. Piange due vittime – Marta Goldoni, di 84 anni, e la sua badante ucraina Yaroslava Kryvoruchko, di 74, uccise dal fumo – e teme per la vita del marito della prima, in gravi condizioni all’ospedale di Fidenza. Una tragedia, con inevitabile bagarre politica, a pochi giorni da una doppia consultazione. I mirandolesi domenica voteranno anche per eleggere il nuovo sindaco: e il clima sarà probabilmente diverso. La Lega qui ha aperto da poco più di un mese una sede per sostenere il proprio candidato, un avvocato appoggiato anche da una lista civica di centro destra e da Forza Italia. “L’episodio di Mirandola conferma il fallimento dei porti aperti e dell’accoglienza ai finti minorenni”, ha commentato subito il ministro dell’Interno Matteo Salvini, aprendo un fronte di scontro con i pentastellati.

Il sindaco uscente del Pd, Maino Benetti, ha dichiarato il lutto cittadino. “Qui il 15% della popolazione è costituita da immigrati – dice –. Tensioni? No, se nessuno fomenta”. Anche se brucia ancora il ricordo di quando, tre anni fa, ignoti diedero fuoco a una macelleria islamica, disegnando poi una svastica sulla saracinesca.

La sede della Polizia municipale si trova a pochi passi da piazza della Conciliazione, sulla quale si affaccia, con la sua facciata gotica, il bel duomo della cittadina. Più in là, ecco gli stabilimenti del distretto biomedicale, uno dei più importanti d’Europa. Gli uffici dati alle fiamme (dopo l’incendio c’è stata una esplosione) occupavano tutto il piano terra. Ai due piani superiori c’erano case popolari, dove abitavano 22 persone.

Il giovane nordafricano è stato arrestato con l’accusa di furto aggravato, danneggiamento a seguito di incendio e morte come conseguenza di altro delitto. Nel Modenese era arrivato in treno. E viveva per strada, dopo aver abbandonato una casa famiglia a Roma. Era stato soccorso l’altra sera a Camposanto – a 18 chilometri, in stato confusionale e in ipotermia – e portato all’ospedale di Mirandola. Una flebo ed è scappato, per poi arrivare davanti agli uffici dei vigili, sfondare la porta, rubare un giubbotto antiproiettile, un telefono cellulare, tre berretti di ordinanza, appiccare il fuoco ad alcuni arredi. Quando i carabinieri lo hanno fermato appariva in stato di alterazione. Da quando è stato arrestato non ha mai parlato.

Il Tar schiaffeggia il Viminale: vincono Lucano e Riace

I giudici amministrativi bocciano Matteo Salvini e promuovono il sistema di accoglienza di Riace. Il Tar della Calabria ha accolto il ricorso del Comune e ha annullato il provvedimento con il quale, nell’ottobre scorso, il ministero dell’Interno aveva azzerato un modello di accoglienza dei migranti riconosciuto in tutto il mondo. Un sistema che il Tar definisce “encomiabile negli intenti e negli esiti del processo di integrazione”.

Pochi giorni dopo l’arresto del “sindaco sospeso” Mimmo Lucano, oggi imputato, attraverso il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione il Viminale aveva escluso Riace dallo Sprar disponendo il trasferimento forzato dei migranti. Un provvedimento che, secondo il Tar, è “viziato da elementi di contraddittorietà”. “È palesemente irragionevole e contraddittorio – scrivono i giudici – ritenere che, ad appena un mese dal decreto con il quale era stato rifinanziato il ‘sistema Riace’”, il ministero dell’Interno “abbia inteso diffidare l’ente locale ed avviare il procedimento finalizzato alla revoca del finanziamento appena concesso”. Se da una parte è vero, infatti, che nel precedente triennio il Viminale aveva mosso contestazioni al Comune di Riace, dall’altra aveva deciso di rifinanziare il progetto. Semmai, secondo il Tar, alla scadenza naturale del precedente triennio il “progetto avrebbe dovuto essere eventualmente chiuso”.

E qui, torna d’attualità il tweet con il quale Salvini festeggiava il provvedimento, oggi annullato, del suo ministero. “Chi sbaglia paga” aveva scritto il leader della Lega. Su questo, sono d’accordo anche i giudici amministrativi secondo cui, “averne autorizzato la prosecuzione (del sistema Riace, ndr), lasciando la gestione di ingenti risorse pubbliche in mano ad un’amministrazione comunale, per quanto ricca di buoni propositi e di idee innovative, ritenuta priva delle risorse tecniche per gestirle in modo puntuale ed efficiente, appare fonte di danno erariale che dovrà essere segnalato alla Procura presso la Corte dei Conti” sia in Calabria che nel Lazio.

Il provvedimento “viziato” e “contraddittorio” del Viminale ha avuto dei costi che qualcuno adesso dovrà pagare. Basta pensare agli oltre 300 migranti andati via dallo Sprar e per i quali le cooperative hanno speso circa 100mila euro tra contributi di fine progetto, pocket-money arretrati e viaggi. Soldi che non sono mai stati rimborsati e che si sommano ai debiti delle cooperative (che dovevano essere saldati con i fondi bloccati dal Viminale) e ai contenziosi con i proprietari delle case affittate per ospitare i rifugiati. Ben più gravi i costi umani: 80 operatori sociali di Riace hanno perso il lavoro così come il personale dell’asilo nido, che ora non c’è più neanche per per mancanza di bambini del posto, e i migranti impiegati nei laboratori artigianali e nella raccolta dei rifiuti.

“Sono stati tutti trasferiti – si sfoga Mimmo Lucano –, il Tar dimostra che non era giusto. Adesso ci vuole un tempo lunghissimo per ripartire. L’intenzione del governo era azzerare gli Sprar in Italia. Ma Riace non era uno Sprar, era un progetto di comunità. Ora aspetto giustizia anche sotto il profilo penale”.

Comizio della Lega: in tanti mascherati da Diego de la Vega

Ragazzi, studenti, cittadini, tanti sono scesi in piazza a Bari per contestare Matteo Salvini, ieri in una lunga giornata elettorale in Puglia. Le proteste hanno accompagnato il leader della Lega anche a Lecce (selfie-trappola al grido “Non siamo più terroni di merda”), Ostuni e Gioia del Colle. A Lecce, fischi, urla, cori da stadio scanditi da frasi come “restituisci i 49 milioni” hanno sopraffatto a tratti il comizio in piazza Sant’Oronzo, nonostante i contestatori fossero tenuti a distanza di sicurezza dal palco, con decine di poliziotti in assetto antisommossa. “Qui bisogna chiudere qualche centro sociale” ha detto Salvini rispondendo ai manifestanti.

Copione simile anche per la manifestazione a Bari, organizzata dal collettivo ‘Mai con Salvini Bari’ e dall’associazione ex Caserma Rossani, dove sono scesi in piazza circa 500 manifestanti travestiti da Zorro.

Dal palco del comizio di via Sparano, intanto, il leader della Lega ha mostrato un piccolo crocifisso: “Questo me lo ha donato la signora Maria, non è un simbolo di sopraffazione, ma un simbolo di civiltà e rispetto. Se a qualcuno dà fastidio il crocifisso – ha aggiunto – torni al paese dal quale è venuto”.

Fantasia al balcone! “Affacciati Salvini. C’è Zorro: fuori i 49 mln!”

Come sapete il ministro dell’Interno ha chiamato a raccolta i suoi tifosi con il “Vinci Salvini”. Anche Il Fatto ha lanciato il suo gioco a premi. Si chiama “Perdi Salvini”. Inviateci le foto dei balconi con gli striscioni sul Capitano a perdisalvini@ilfattoquotidiano.it. Il vincitore sarà ospite della nostra Festa!

 

E lo striscione spuntò anche fuori dal monastero. Le suore Clarisse del monastero di clausura di San Benedetto del Tronto scrivono solo “Lo avete fatto a me”, e il riferimento è al passo del Vangelo secondo Matteo, un altro Matteo (“Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me”). Si allarga la protesta degli striscioni, da noi ribattezzata “La Rivolta dei Balconi”, prendendo a prestito le parole di Jasmine Cristallo, la ragazza che da Catanzaro ha dato il là a questa nuova stagione del dissenso nei confronti del “ministro dal comizio perpetuo”. Centinaia sono le foto che ci avete inviato, e che oggi iniziamo a pubblicare sul giornale e sul sito. C’è chi ricorda, come Pierstefano, che prima ancora di quelli contro Salvini, ci furono nel 2011 gli striscioni contro B.. Chi suggerisce gli slogan: “Se vuoi il pupazzetto di Zorro devi pagare il riscatto (49 milioni)”. Chi si è fatto fotografare oltralpe, col lenzuolo “Zurigo NON si LEGA”. I vostri scatti raccontano, come ha scritto Erri De Luca, di questa “esposizione diffusa del libero pensiero ai davanzali”. I balconi, “tornati a fiorire”, si sono trasformati in tribune, per “esprimersi all’aria aperta”. Benvenuta primavera!

 

 

Da Mannoia a Vauro l’appello per le liste della Sinistra

Europee – Perché il 26 maggio votiamo La Sinistra: non è una domanda ma il nome dell’appello che ha raccolto le adesioni di vari intellettuali, esponenti della sinistra diffusa e del volontariato. Tra questi figurano i nomi di Fiorella Mannoia, Marcello Fonte, Citto Maselli, Vauro e Rossana Rossanda. Personaggi accomunati dallo scontento per l’attuale configurazione dell’Unione. Nel comunicato stampa promulgato a sostegno dell’iniziativa, infatti, si legge: “La Ue così come è non ci piace per nulla e occorre rompere la gabbia dei trattati neoliberisti, ma lo spazio europeo è il terreno di lotta sul quale ha senso oggi battersi e costruire una solidarietà tra gli oppressi”. L’invito è a “reagire e a battersi per sconfiggere il neoliberismo di Maastricht così come il nazionalismo xenofobo e razzista delle destre”, dal momento in cui “anche l’Italia è segnata da profonde diseguaglianze”. L’appello prosegue spiegando che “La lista la Sinistra non è un partito ma una coalizione unitaria. Non siamo soli, anche se siamo consapevoli di essere oggi in Italia una minoranza”.

La rincorsa di Di Maio ai credenti moderati

La rincorsa del M5S ai voti cattolici parte e continua da Verona. La città del Congresso delle famiglie, quello dove lo scorso marzo Matteo Salvini andò a comiziare davanti a una platea convinta che l’aborto sia il male e che gli omosessuali vadano curati. “Il suo primo errore” pensarono e pensano i Cinque Stelle e il loro capo, Luigi Di Maio, che da settimane evoca Verona per provare a marcare una differenza da Salvini, anche se sul no agli sbarchi e sulla guerra alle Ong (“taxi del mare” Di Maio dixit) con il Carroccio è stata sintonia piena, e non è proprio un viatico per parlare agli altri, di cattolici.

Ma nel mondo gialloverde qualcosa si crea e tanto si distrugge, quindi anche ieri il capo dei 5Stelle lo ha ripetuto: “Se non ci fosse il M5S staremmo parlando di un Paese in cui il clima è quello del congresso di Verona. Chi vi ha partecipato è lo stesso che ha fischiato il Papa in piazza”. E il milionesimo fossato tracciato con il Carroccio è anche l’ennesimo segnale a un mondo diverso. Innanzitutto a quello del Forum delle associazioni familiari, 582 associazioni “che rappresentano oltre 5 milioni di famiglie” come rivendicano. Una “rete” che disertò il congresso di Verona, come rimarcato dal suo presidente Gigi De Palo: “La Chiesa e tutto il mondo cattolico hanno preso le distanze”. Quindi niente congresso per il Forum, legato a doppio filo alla Conferenza episcopale.

E proprio con la Cei, raccontano, Di Maio ha costruito un dialogo negli ultimi mesi, con tanto di incontri riservati. Con un primo obiettivo, giurare ai vescovi che il M5S non è la Lega. E un altro a più lungo termine, attingere all’enorme serbatoio di voti delle famiglie, innanzitutto cattoliche, giocando anche di differenza con il Salvini che mostra rosari e fa fischiare Bergoglio. Una via anche per recuperare consensi nel Nord. Così ecco gli incontri con il Forum, dove a Di Maio hanno mostrato dati sul disagio economico dei nuclei con figli, “mentre in tutta Europa vengono aiutati con sussidi”. E anche per questo il vicepremier si è giocato la carta del decreto con un miliardo per le famiglie, quello che si risparmierebbe dal reddito di cittadinanza, da tradurre in assegni e sgravi fiscali alle coppie con bambini. “Un primo passo” dicono dalle associazioni, dove hanno registrato con favore che Di Maio si sia presentato alle riunioni con esponenti di governo come la viceministra all’Economia Laura Castelli.

Ma dal Forum si aspettano di più, nella prossima Finanziaria. E comunque “noi siamo aperti al dialogo con tutti, non esistono preferenze”. E lo sa bene Leonardo Becchetti, professore di Economia politica presso l’università di Tor Vergata, editorialista di Avvenire. Spesso ospite dei convegni del Movimento, a suo tempo in lizza per un posto nell’esecutivo, è uno degli intellettuali cattolici delusi dal M5S di governo. “Uno dei tanti che abbiamo perso in quel mondo” punge un veterano. E al Fatto Becchetti lo riconosce: “Sì, sono deluso, perché i 5Stelle si sono schiacciati sulla Lega su temi come l’accoglienza e la sicurezza, emergenze che non esistono. Hanno assecondato una tendenza in un Paese che vive di paure”. Insomma “l’alleanza di governo ha portato in quella direzione”.

Così ora Di Maio cerca di riparare, a parole e con decreti. E il docente è cauto: “Sostenere le famiglie con bambini, al di là della loro fede, è una misura che il Forum propone e il Movimento ha fatto un’apertura importante. Mi auguro che si possa concretizzare”. E il M5S, può recuperare con i cattolici? “Un po’ di reazione ora la vedo, spero si migliori. Ma la frattura c’è”.

La Chiesa invita a votare e scaglia fulmini su Salvini

Quello che dice il cardinale Gualtiero Bassetti corrisponde sempre al pensiero di papa Francesco. Non è una forma di pigrizia intellettuale, ma una testimonianza di compattezza in una Chiesa palesemente disomogenea. Quello che ha detto il capo dei vescovi italiani, all’assemblea generale della Conferenza episcopale, è quello che pensa il Vaticano delle elezioni europee di domenica: Bassetti ha invitato a combattere l’istinto all’astensione per affermare in Europa le virtù culturali e cattoliche degli italiani, accoglienza, solidarietà, umanità.

Il cardinale ha un motto che somiglia ai motti dei politici: più Italia in Europa. Però l’Italia di Bassetti, è il sottotesto dell’intervento, la parafrasi legittima, è diversa dall’Italia che rappresenta il discorso ideologico di Matteo Salvini, suo malgrado considerato l’antitesi della Chiesa del magistero di Jorge Mario Bergoglio.

“In Europa soffiano populismi e sovranismi”, Bassetti riprende un’espressione di papa Francesco pronunciata durante l’incontro in San Giovanni in Laterano con la famiglia bosniaca assediata da gruppi di estrema destra a Casal Bruciato, un quartiere periferico di Roma, perché assegnataria, nel pieno rispetto della legge, di un alloggio popolare. Il cardinale non s’intromette in campagna elettorale, non cade in una citazione di Salvini, ma ritorna sull’utilizzo strumentale del rosario, pratica che il viceministro leghista ripete in televisione o nei comizi, come accaduto sabato scorso a Milano al raduno dell’internazionale sovranista.

Questo è il passaggio più significativo della prolusione di Bassetti: “Lasciatemi, però, dire – forse un po’ provocatoriamente – che il problema non è innanzitutto l’Europa, bensì l’Italia, nella nostra fatica a vivere la nazione come comunità politica. Oggi, noi italiani, cosa abbiamo ancora da offrire? Penso alle nostre virtù, prima fra tutte l’accoglienza; penso a una tradizione educativa straordinaria, a uno spirito di umanità che non ha eguali; penso alla densità storica, culturale e religiosa di cui siamo eredi. Attenzione, però: non si vive di ricordi, di richiami a tradizioni e simboli religiosi o di forme di comportamento esteriori! (…) Come italiani dovremmo essere il volto migliore dell’Europa per dare più fierezza ai nostri giovani, ai nostri emigrati e a quanti sbarcano sulle nostre coste, perché siamo il loro primo approdo”.

L’appello di Bassetti rientra in una strategia che la Chiesa italiana ha adottato almeno da un anno per non finire ai margini della società: spronare i cattolici a tornare in politica, parlare un linguaggio comprensibile, ascoltare e interpretare i bisogni della gente. E il voto di domenica è un’occasione per far emergere dalle urne una proposta di Italia lontana da Salvini.

Come ha confidato un cardinale italiano al Fatto, una settimana fa, la Chiesa spera che i cattolici puniscano la Lega con le Europee per ridurre l’influenza di Salvini sul governo e per aprire scenari inediti. La tensione tra il viceministro e Bergoglio non va ridotta al tormentone dell’udienza in Vaticano negata, richiesta o desiderata, ma riguarda il rapporto a dir poco gelido tra la Chiesa di Francesco e il “capitano” del Carroccio. Un rapporto compromesso che adesso, forse è tardi, preoccupa davvero Salvini: non riesce a interrompere l’impopolare diatriba con il popolare Francesco e non ha capito come rimediare. E domenica è vicina.

Busta con proiettile per il capo della Lega: “Non mi fate paura”

Un proiettile calibro 9 è stato reperito in una busta destinata a Matteo Salvini, intercettata al Centro di Smistamento Postale di Roma nella giornata di ieri e successivamente sequestrata dagli artificieri della polizia di Stato. Il vicepremier non è sembrato turbato, e ha commentato la vicenda dicendo: “Non mi fanno paura e non mi fermo”, per poi raccontare l’episodio a più riprese nel corso della giornata lamentando che “non è stato simpatico”. Il Ministro per la Famiglia e le Disabilità Lorenzo Fontana gli dimostra solidarietà via Facebook, scrivendo: “Non c’è minaccia che potrà scalfire la forza delle idee e il tuo coraggio”, e a lui si aggiunge Anna Maria Bernini, presidente dei senatori di Forza Italia: “È dovere di tutti abbassare la temperatura, isolare gli estremisti e riportare il dibattito democratico”. La presidente del Senato Elisabetta Casellati lo ha definito “un vile gesto intimidatorio, un atto grave sul quale è necessario che venga fatta piena luce”. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, su Twitter si augura che questo “gesto vigliacco e criminale venga condannato da tutte le forze politiche”.