“E grazie al Covid si è presa migliaia di imprese sane”

“La pandemia ha messo in ginocchio almeno 176mila imprese. Eppure tra marzo e novembre 2020 in Italia sono stati registrati 14mila trasferimenti di quote societarie, per un valore totale di oltre 22 miliardi. L’anno scorso l’Unità di informazione finanziaria (Uif), l’organismo antiriciclaggio di Banca d’Italia, ha ricevuto 113.187 segnalazioni di operazioni sospette (Sos, ndr), in crescita del 7% su base annua”. Fanno paura le cifre messe in fila da Paolo Lattanzio, deputato eletto con l’M5S e ora nel Pd, che ha guidato l’inchiesta della commissione parlamentare Antimafia contro le attività predatorie della criminalità organizzata durante l’emergenza sanitaria. Da quell’indagine è nata prima una relazione della commissione e poi un libro Pandemia mafiosa (Rubbettino) dello stesso Lattanzio.

Cosa emerge da quel rapporto?

Nei primi 12 mesi di pandemia inizialmente le mafie italiane sono rimaste in attesa, poi sono scattate all’attacco. Al Nord la criminalità si è dedicata di più all’acquisizione delle imprese tramite il riciclaggio, al Sud a rafforzare il suo controllo del territorio con l’usura “di prossimità” e altre manifestazioni “sociali” per sopperire alle mancanze dello Stato.

Sin dove arriva la penetrazione della criminalità organizzata?

Dal tessuto economico-sociale il problema si estende alle istituzioni. Sono più esposti gli enti locali che dovranno gestire la finalizzazione dei progetti del Pnrr. Come abbiamo denunciato insieme ad Avviso Pubblico, molti Comuni non sono preparati non solo a gestire le risorse quanto a prevenire i rischi di infiltrazioni. Quanto al tessuto socioeconomico, l’ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia indica che la criminalità da un lato ha cercato di intercettare i ristori erogati dal governo Conte 2, dall’altro investe cash in attività in difficoltà. Lo testimoniano numerosissimi cambi di codice Ateco dell’attività aziendale registrati durante la prima fase della pandemia: molte società si sono riposizionate sull’import-export di prodotti biomedicali, sulla pulizia e sanificazione, sullo smaltimento di rifiuti speciali, tutte filiere già infiltrate, insieme alle attività rimaste aperte durante i lockdown come la grande distribuzione, servizi mortuari, nuovi ambiti commerciali.

Lei indica come possibile risposta l’“antimafia di prossimità”: cos’è?

È l’evoluzione dell’antimafia sociale, una pratica che ho iniziato nel 2004-2005 a Bari per i primi morti innocenti di mafia, Gaetano Marchitelli e Michele Fazio, due ragazzi di 12 e 13 anni uccisi per strada nella mia città. Per antimafia di prossimità intendo la reazione di ognuno di noi che unisca diffusione della cultura della legalità e lotta per i diritti. Comprende l’enorme tema del tema del rispetto dei diritti sul lavoro. Negli appalti e subappalti la presenza delle mafie non comporta solo minor qualità dei lavori e rischi per gli utenti, ma anche pericoli per chi lavora. Il tema si estende alla lotta al caporalato: a 60 chilometri da Bari ci sono gli schiavi. Bisogna coinvolgere chiunque voglia partecipare a questa lotta, a partire dagli studenti a dagli urbanisti per riprogettare le periferie. L’Antimafia va politicizzata, non in senso partitico, ma per creare un dialogo sulle prassi concrete. A partire da proposte precise, come l’esclusione dal Pnrr delle imprese insediate nei paradisi fiscali.

Con la mafia non si convive: più ce n’è e meno si cresce

Alla base della mancata crescita di intere regioni italiane c’è il cancro della criminalità organizzata, che divora la società e l’economia dei territori. Quella che sinora era una ipotesi, per quanto diffusa nell’opinione pubblica, è ora un’evidenza che scaturisce da uno studio pubblicato dalla Banca d’Italia, La criminalità organizzata in Italia: un’analisi economica, realizzato da Sauro Mocetti e Lucia Rizzica. Mocetti e Rizzica hanno realizzato un nuovo indicatore “sintetico” di presenza mafiosa e si sono concentrati sul Centro-Nord, esaminando la correlazione con la crescita economica locale dagli anni ’70 e l’aumento del livello di infiltrazione della criminalità organizzata negli ultimi 50 anni.

L’analisi dal 1971 al 2011 dei tassi di crescita dell’occupazione, del valore aggiunto e della produttività dimostra che le province con un maggiore livello di penetrazione mafiosa hanno avuto un tasso di crescita dell’occupazione più basso del 9% e una crescita del valore aggiunto inferiore del 15%, pari a quasi un quinto della media del periodo, rispetto a quelle con una presenza mafiosa inferiore.

Lo shock dovuto all’insediamento della Sacra Corona Unita in Puglia e Basilicata nei primi anni Settanta ha causato alle due regioni, in trent’anni, una perdita di Pil pro capite del 16% circa, stimava nel 2015 Paolo Pinotti. Ora lo studio di Mocetti e Rizzica conferma quel dato: il differenziale di crescita annuale tra province molto o poco mafiose è nell’ordine dello 0,2% annuo. L’azzeramento della presenza mafiosa nel Mezzogiorno consentirebbe, secondo gli studiosi della Banca d’Italia, un aumento del tasso di crescita annuo del Pil dello 0,5%, il doppio rispetto al Centro Nord. Il fatto è che “la presenza della criminalità organizzata in un territorio ne condiziona in misura profonda il contesto socioeconomico e ne deprime il potenziale di crescita”, scrivono i due ricercatori, “inquinando il capitale sociale e ambientale”. Da un lato, “deprime l’accumulazione di capitale, sia pubblico sia privato. Ingenti risorse vengono destinate alla prevenzione e al contrasto dell’attività criminale, sottraendole a investimenti produttivi e infrastrutturali”. Dall’altro, “l’ingerenza delle organizzazioni criminali nell’attività economica disincentiva l’investimento privato, riducendone i rendimenti attesi” e “incide sulla qualità della forza lavoro e sull’accumulazione di capitale umano. Un mercato del lavoro depresso dalla presenza delle mafie e la possibilità di perseguire carriere criminali possono scoraggiare l’investimento in istruzione e incentivare i giovani più capaci a emigrare”. Senza dimenticare che la presenza mafiosa “genera distorsioni nella spesa e nell’azione pubblica. I legami corruttivi tra associazioni criminali e pubblica amministrazione condizionano la spesa pubblica che viene riorientata verso finalità particolaristiche, a discapito dell’interesse generale. Questo si associa a un più contenuto sviluppo economico”.

L’analisi è stata realizzata tramite un nuovo indice sintetico che utilizza il database dei reati e vi aggiunge informazioni ulteriori, ottenute da indagini condotte tra le imprese. L’indice della presenza mafiosa raggruppa statistiche (“pesate” in rapporto al totale del campione) sugli omicidi di stampo mafioso e il numero di reati di associazione mafiosa, il numero di Comuni sciolti per mafia, quello delle imprese confiscate, aggiungendo reati “spia”, come quelli per il controllo del territorio e per le attività illecite. Il primo gruppo include attentati, omicidi, danneggiamenti, incendi ed estorsioni. Il secondo sfruttamento della prostituzione, produzione e distribuzione di stupefacenti, contrabbando e riciclaggio. Infine sono inseriti nel database provinciale anche indicatori soggettivi sull’intensità del fenomeno mafioso percepita o sperimentata dagli operatori economici (estorsioni, intimidazioni e minacce, concussione).

L’indice elaborato da Mocetti e Rizzica consente non solo di fotografare in profondità le province con una presenza mafiosa “di lungo periodo” – dalla Calabria (in particolare Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia) alla Campania (Caserta e Napoli), dalla Puglia (principalmente il Foggiano) alla Sicilia (in particolare quelle occidentali dell’isola) – ma di trovarne nuove tracce significative anche in alcune aree del Centro Nord, con valori più elevati a Roma, Genova e Imperia. Lo studio si collega alle stime sui volumi di affari legati alle attività illegali, attraverso le quali la criminalità organizzata si finanzia e arricchisce, calcolati da Istat e Transcrime in oltre il 2% del Pil. A queste attività vanno poi aggiunti i proventi che le mafie ottengono dall’infiltrazione nell’economia legale. Ma la ricerca analizza anche le variabili preesistenti su altri territori, che hanno influenzato l’espansione della criminalità organizzata al di fuori dei suoi confini tradizionali. I risultati mostrano che le mafie si sono indirizzate prevalentemente non solo, come è facile intuire, verso le province “ricche” in termini di Pil pro capite più elevato, ma anche verso quelle con una maggiore dipendenza dell’economia locale dalla spesa pubblica e dalla corruzione e, quindi, verso territori con maggiori opportunità di investimento, profitto ed estrazione di rendite.

Mocetti e Rizzica dimostrano poi che il livello di infiltrazione mafiosa nell’economia può essere influenzato anche da fattori congiunturali, come la pandemia. Negli ultimi due anni, la percezione delle imprese del livello di infiltrazione delle organizzazioni criminali è significativamente aumentata soprattutto in quei settori (come l’hotellerie, la ristorazione o l’industria tessile) più colpiti dal Covid. L’infiltrazione mafiosa è avvenuta principalmente tramite il finanziamento o l’acquisizione della proprietà delle imprese – sfruttandone la vulnerabilità – e meno attraverso intimidazioni o estorsioni.

“La linea della palma”, per dirla con le parole di Sciascia, da tempo ha però varcato le Alpi: lo sfruttamento della pandemia da parte delle mafie non è limitato solo all’Italia. L’ultimo rapporto di Europol sulla minaccia della criminalità organizzata nell’Unione europea (Socta), aggiornato il 7 dicembre, spiega che “le conseguenze a lungo termine della pandemia possono manifestarsi in modo particolarmente grave nel settore della criminalità finanziaria”, specie sul fronte del riciclaggio. “La crisi e le sue potenziali ricadute economiche e sociali minacciano di creare le condizioni ideali per la diffusione della criminalità organizzata nella Ue”, spiega Europol.

Due esempi emergono dal rapporto europeo: l’infiltrazione della criminalità organizzata nello smaltimento illecito di rifiuti sanitari, scoperta in Spagna, e nel commercio di prodotti sanitari anti-Covid contraffatti e illegali, che ha coinvolto anche l’Italia. Dallo scoppio della pandemia, Europol ha individuato la potenziale crescita del trattamento e dello smaltimento illecito dei rifiuti sanitari, il loro stoccaggio, scarico e spedizione come un nuovo business per le mafie europee. Il 25 settembre 2020, una maxioperazione sovranazionale ha scoperto e rimosso dal web 123 account di social media e 36 siti che vendono prodotti contraffatti, sequestrando merci illegali e contraffatte per quasi 28 milioni, con 10 persone arrestate in Grecia e altre 37 denunciate in Grecia, Italia e Portogallo. L’indagine ha portato al sequestro, tra l’altro, di apparecchiature mediche contraffatte e non conformi, tra cui 27 milioni di mascherine scoperte in Italia dalla Guardia di Finanza. Ma i codici di molti Paesi Ue non contemplano ancora gli specifici reati di associazione mafiosa: oltre a un coordinamento delle polizie europee serve una nuova cultura penale. Perché dopo l’Italia, le mafie possono aggredire e impoverire anche il resto d’Europa.

Terrorismo, Siria, Iraq, Africa: lo Stato islamico fa ancora paura

Un rapporto del Dipartimento di Stato Usa appena pubblicato spiega che il numero di attacchi terroristici è aumentato in tutto il mondo nel 2020 in parte a causa della diffusione delle filiali dello Stato Islamico (IS) e degli affiliati di al-Qaeda. Il numero di attacchi terroristici e delle vittime è aumentato di oltre il 10% lo scorso anno rispetto al 2019.

L’IS – abbreviazione per Stato Islamico (Isis) – che secondo il rapporto mantiene un’insurrezione di basso livello in Iraq e Siria, resta un “nemico determinato e pericoloso” nonostante la sua sconfitta territoriale e allunga i suoi tentacoli sul continente africano. Gli attacchi dello Stato Islamico al di fuori dell’Iraq e della Siria hanno causato più vittime nel 2020 di qualsiasi altro anno. Secondo il rapporto, gli attacchi di gruppi affiliati all’IS in Africa occidentale hanno ucciso quasi 5.000 persone nel 2020 rispetto alle 2.700 nel 2017. Nel solo Mozambico, circa 1.500 persone sono morte in attacchi condotti dalla filiale locale del gruppo. La scorsa settimana, la coalizione guidata dagli Stati Uniti ha annunciato la formazione dell’Africa Focus Group per aiutare ad affrontare la minaccia dell’IS in tutto il continente.

L’amministrazione Biden ha esortato i governi stranieri a rimpatriare, riabilitare e perseguire i loro cittadini detenuti nel nord-est della Siria, dove le forze democratiche siriane a guida curda sostenute dagli Stati Uniti detengono 10.000 sospetti combattenti dell’IS e le loro famiglie. Il segretario di Stato Antony Blinken ha descritto la situazione umanitaria come “insostenibile” e un rapporto degli Stati Uniti sulla vigilanza e la sicurezza di questi campi di detenzione ha messo in guardia contro la possibilità di evasioni carcerarie, anche di massa.

Gli Stati Uniti hanno invitato i Paesi europei ad adottare un “approccio responsabile” e a rimpatriare i propri cittadini, molti dei quali sono francesi, tedeschi e britannici. Solo questo mese gli Stati Uniti hanno rimpatriato 30 cittadini statunitensi, di cui 13 adulti – 10 dei quali sono stati accusati di terrorismo – e 17 bambini.

 

Un senegalese e i suoi fratelli verso l’Europa: odissea letale

Nel centro di accoglienza per migranti della Podlachia, tutti conoscono la storia di Moussa (il nome è di fantasia): per tutti è il giovane senegalese che ha perso i “due fratelli” mentre stavano tentando di attraversare la foresta che divide la Bielorussia dalla Polonia. Per le autorità polacche una dozzina di migranti sarebbero morti entrando in Polonia, ma per gli attivisti e le ONG, i morti e i dispersi nei boschi polacchi sarebbero molti di più. “Ogni volta che chiudo gli occhi, ripenso a quella notte. È infernale”, dice Moussa, 24 anni. I suoi occhi diventano lucidi. Continua a ripetere che diventare “migrante” non è mai stata la sua intenzione: “Quando ero più giovane prendevo in giro mio zio che era entrato clandestinamente in Europa. Non avrei mai pensato di trovarmi un giorno nella stessa situazione”. Moussa è in Polonia da quasi due mesi. All’inizio di ottobre, lui, i due cugini, che considerava come dei fratelli, e un amico originario della Guinea, decidono di tentare di attraversare il confine dalla città di Brest, in Bielorussia.

Portano con loro due bottiglioni d’acqua da cinque litri, caramelle e biscotti. “Ci siamo feriti con il filo spinato, soprattutto alle mani. Dovevamo sbrigarci per evitare la polizia di frontiera polacca”, racconta. Dopo alcuni giorni, le scorte di cibo e acqua cominciano a scarseggiare. “A un certo punto non è rimasto più nulla. Le batterie dei telefoni erano scariche, eravamo completamente persi”. Un giorno si imbattono nella polizia di frontiera, che li riporta indietro, ma loro riprendono il cammino nei boschi. Una notte, Diakité, 22 anni, dice di avvertire un forte dolore allo stomaco: “Era stato morso da un serpente mentre dormiva. Quando lo abbiamo mandato via era troppo tardi”. Diakité fa fatica a camminare. “Erano giorni che non mangiavamo. Faceva freddo. Mio fratello Babacar era così assetato che ha bevuto negli acquitrini. Gli avevo detto di non farlo, ma non ce la faceva più e dopo si è sentito male”. Babacar comincia a vomitare sangue e si consuma un po’ alla volta, giorno dopo giorno. Anche la salute di Diakité peggiora. Muore tre giorni dopo. “Pensavamo che non ci fosse più niente da fare. Non sapevamo come orientarci. Poi una mattina abbiamo trovato morto anche Babacar. Ho dovuto seppellire i miei due fratelli lì, nella foresta”. Moussa passa in tutto due settimane nei boschi. Finalmente lui e il suo amico riescono a raggiungere un paesino, ma vengono fermati dalle guardie di frontiera: “Volevano costringerci a tornare indietro. Io ho resistito e mi hanno fratturato un braccio. Sono stati obbligati a portarmi in ospedale. Invece hanno rimandato indietro il mio amico. Non so neanche se gli hanno dato qualcosa da mangiare”. Moussa è rimasto all’ospedale di Hajnówka, in Podlachia, due settimane. Era sotto choc. “I medici mi hanno detto che urlavo, piangevo, parlavo dei miei fratelli. Mi hanno dovuto legare perché volevo suicidarmi”. Moussa ha pochissimi ricordi di quei giorni.“Urlava, diceva che sarebbe morto, che aveva perso i suoi fratelli nella foresta, che doveva seppellirli. Soffriva di attacchi di panico. Abbiamo dovuto dargli dei calmanti”, conferma Agnieszka, un’infermiera dell’ospedale di Hajnówka. Un mese dopo, una volta ristabilitosi, Moussa viene trasferito nel centro di detenzione di Wędrzyn, nell’ovest del paese, dove passa la maggior parte del tempo in isolamento. Moussa e i suoi cugini sognavano di poter continuare gli studi in Europa.

Tutti avevano chiesto un visto per la Francia, che era stato loro rifiutato, prima di partire per la Russia nel 2018, dove avrebbero potuto iscriversi all’università. A Mosca Diakité si era iscritto alla facoltà di economia, Babacar a scienze ingegneristiche, mentre Moussa aveva ripreso gli studi di management. “Babacar era un appassionato di calcio. Parlavamo spesso del fatto che Messi avesse lasciato il Barça per andare a Parigi”. Dopo il primo anno di università, i tre non avevano più soldi per pagarsi gli studi. L’unica possibilità era raggiungere l’Europa passando per la Bielorussia e la Polonia. “Ne parlammo una sera. Ero deciso a partire, dissi loro di non seguirmi, ma non ne vollero sapere. Sono oppresso dai sensi di colpa. Sarei dovuto morire anche io nella foresta”. Mentre era in ospedale, Moussa è stato interrogato dalla polizia polacca, in presenza di alcuni membri dell’ambasciata del Senegal in Polonia. Secondo l’ambasciata Moussa è ufficialmente il solo senegalese presente in Polonia. “Sappiamo di studenti senegalesi che dalla Russia hanno tentato di raggiungere l’Europa. Sono almeno una ventina attualmente rinchiusi nei centri al confine, altri sono riusciti a raggiungere la Germania o la Francia”, spiegano invece i membri di un collettivo che riunisce la diaspora senegalese. A novembre, nel cimitero di Bohoniki, un villaggio tataro (dal nome di una minoranza musulmana polacca), a dieci chilometri dalla frontiera con la Bielorussia, sono stati celebrati numerosi funerali. C’è la tomba di un bimbo nato morto nella foresta. C’è anche la tomba di Ahmad al-Hasan, siriano, 19 anni, che aveva trascorso l’adolescenza in un campo profughi in Giordania, prima di annegare al confine bielorusso in ottobre. “Voleva studiare in Europa ed era partito solo”, spiega Bogumila Hall, ricercatrice all’Accademia di scienze di Varsavia, che critica la militarizzazione dei confini e la xenofobia crescente dei responsabili politici polacchi. Tra le lapidi c’è anche quella di Mustafa al-Raimi, yemenita di 37 anni morto anche lui al confine. La sua morte non è stata conteggiata nelle statistiche delle autorità polacche: “Per diversi anni aveva vissuto in Arabia Saudita, dove lavorava in una banca. Ha perso il lavoro quando il paese ha introdotto una riforma per escludere gli yemeniti da certi posti di lavoro. Mustafa voleva tentare la fortuna in Europa, nella speranza di ritrovare un lavoro e di farsi raggiungere più tardi dalla famiglia”. Aveva due figli. Per Sebastian, membro di un gruppo anarchico che aiuta i migranti, il numero delle vittime è più elevato di quanto dicano le autorità. “Non credoalle statistiche fornite dal governo. Le stesse guardie di frontiera dicono che nei boschi ritrovano dei cadaveri coperti di foglie e rami. Quasi tutti i migranti che abbiamo aiutato ci hanno detto che nella foresta ci sono dei morti, sia in Polonia che in Bielorussia. Non ritroveremo mai tutti i corpi”.

Jakub Sypiański, ricercatore e interprete per Grupa Granica, un’organizzazione polacca in prima linea nell’assistere i profughi in arrivo dalla Bielorussia, aggiorna regolarmente la lista dei morti al confine dall’inizio della tragedia umanitaria, basandosi su informazioni “affidabili”. Ne ha contati dodici, di cui dieci in Polonia. Solo sei persone sono state identificate. A fine novembre, il canale Telegram Nexta, un media di opposizione al regime bielorusso, ha pubblicato le foto di un corpo senza vita trovato al confine, in Bielorussia. Era sdraiato sopra a un sacco a pelo e avvolto in una coperta. Non aveva documenti di identità e non è stato identificato. Il 7 dicembre il corpo di un uomo nigeriano è stato ritrovato nella foresta di Narewka, in Polonia: “Con le temperature che scendono al di sotto dei dieci gradi di notte, sopravvivere è un miracolo. Le ONG non sono autorizzate a entrare nella zona di frontiera. Quanti altri corpi si trovano nei boschi sotto la neve?”, si chiede la fondazione polacca Ocalenie. Nella notte tra il 6 e il 7 dicembre è stata segnalata la scomparsa di Eileen, una bimba irachena di 4 anni. Secondo Grupa Granica, i suoi genitori devono aver subito violenze da parte delle forze di sicurezza bielorusse e poi sono stati respinti al confine dalle guardie di frontiera polacche. Da allora Eileen è scomparsa. “Chiediamo alle autorità polacche di avviare immediatamente le ricerche e di ritrovare Eileen – denuncia il collettivo -. Per ora solo un gruppo di residenti dell’area vietata la sta cercando. Potremmo inviare subito anche cento volontari nella foresta, ma senza autorizzazione per entrare nella zona abbiamo le mani legate”.

(Traduzione di Luana De Micco)

Da Londra a Santiago: un lungo e difficile 2021 per tutti i leader

 

Biden Sconfitte e vittorie di Joe, tornato “sleepy”

Era bastato che mettesse piede alla Casa Bianca perché l’‘Uncle Joe’ che tutti s’aspettavano cambiasse pelle: lotta alla pandemia con 200 milioni di vaccini, fondi per l’economia e decreti a raffica per cancellare l’eredità di Trump. 79 anni, 46° presidente Usa, dopo essere stato per 36 anni senatore del Delaware, e per 8 vice di Obama, ha addirittura vestito i panni del ‘Tiger Joe’ che non t’aspetti, tenendo testa a Russia e Cina. Poi l’estate, l’indole e magari l’età, i colpi di coda della pandemia, l’inflazione, ma soprattutto la rotta di Kabul, ci hanno restituito lo ‘Sleepy Joe’ dei dileggi trumpiani e il calo nei sondaggi. (g.g.)
VOTO: 6

 

Putin Zar di spie e soldati, vince contro la Nato

È stato lungo l’ultimo anno per lo zar Vladimir di Mosca. Molti dei media indipendenti russi sono stati dichiarati “agenti stranieri”. Il covid taglieggia la Federazione che non si vaccina. Attivisti e dissidenti sono finiti in galera. Per la detenzione del suo oppositore più celebre, Aleksey Navalny, il suo Cremlino è stato colpito dalle sanzioni Usa e Ue, che si sono aggiunte a quelle per la crisi ucraina e bielorussa. Minacciando Kiev, spostando truppe al confine del Donbas, Putin ha costretto il presidente Biden al dialogo diretto e ha ottenuto, almeno per il momento, ciò che voleva dalla sua partita a scacchi geopolitica. (m.ag.i.)
VOTO: 4

 

Macron Manu non piace più ma cerca l’Eliseo

Macron si prepara ad una nuova sfida elettorale per l’Eliseo mentre la Francia, il primo gennaio, prende la presidenza del Consiglio Ue. Malgrado il Covid (oltre 120 mila morti) e le sue restrizioni (ma accompagnate da una generosa politica di aiuti), e malgrado le proteste, Macron, non ancora candidato, arriva in testa ai sondaggi per il voto di aprile. Nel 2021, se ha dovuto rinviare la riforma delle pensioni, ha portato a termine quella sulla disoccupazione. Varata anche la legge Clima, considerata poco ambiziosa dagli ecologisti, e la Procreazione medicalmente assistita estesa a coppie lesbiche e donne single. (l.d.m.)
VOTO: 5

 

Haftar Signore della Cirenaica sognando Tripoli

È stato un anno difficile per “l’uomo forte della Cirenaica”, Khalifa Haftar, colui che due anni fa aveva definito la Libia un paese non pronto per la democrazia. A metà anno, pur di candidarsi alle elezioni previste per il 24 dicembre e cancellate tre giorni fa, Haftar si era tolto, temporaneamente, la divisa militare. Protagonista della seconda guerra civile libica alla testa di un esercito di miliziani, con il fallimento dell’assedio di Tripoli nel 2020, ha indebolito la sua capacità militare. Le elezioni pertanto le aveva interpretate come un’opportunità per far dimenticare il suo recentissimo passato di spietato signore della guerra. (r. z.)
VOTO: 1

 

Bojo Un “anno orribile” di virus e feste off-limits

L’anno peggiore della sua carriera. La Brexit che aveva definito ‘trionfale’ svuota gli scaffali dei supermercati, mentre settori essenziali si bloccano per la carenza degli immigrati che li tenevano in piedi. Recupera la disastrosa gestione della prima parte della pandemia con una efficiente campagna vaccinale, ma sperpera capitale politico e credibilità, presso l’opinione pubblica e nel suo stesso partito, quando i media rivelano che avrebbe tollerato episodi di clientelismo e partecipato a festini a Downing Street mentre la popolazione era in lockdown. In bilico. (s.p.)
VOTO: 3

 

Merkel Addio Angela, il paese già ti rimpiange

Mani a rombo e tailleur pantone. La donna simbolo della Germania ha lasciato la politica. Dopo 16 anni al potere non si è ricandidata per al Parlamento. Ma non va in pensione. Ha preso in affitto un ufficio, lo stesso che occupò Helmuth Kolh dopo 5 mandati da cancelliere, e con una decina di collaboratori si è messa a ‘disposizione del paese’. I tedeschi l’avrebbero voluta così tanto per un alto mandato che hanno scelto come nuovo cancelliere: Olaf Scholz. Il socialdemocratico che si è presentato all’elettorato come la versione maschile della cancelliera. (c.c.)
VOTO: 8

 

Xi Jinping Il nuovo Mao, re del Pc cinese

Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare cinese, non è particolarmente simpatico. Rappresenta un regime autoritario che concilia il dispotismo burocratico del partito comunista con l’elite tecnocratica lanciata verso il capitalismo. Da questa rigida posizione di comando incute però un gran timore al resto dei poteri globali, in primis gli Stati Uniti che lo vedono come il competitor strategico. Nel 2021 ha fatto approvare al partito comunista la “risoluzione sulla storia” come prima di lui avevano fatto solo Mao Zedong e Deng Xiaoping, collocandosi così nella storia della Cina. Antipatico, ma potente. (s.c.)
VOTO: 6

 

Erdogan Crolla la lira: sultano senza consenso

È probabile che a Capodanno il presidente Erdogan festeggerà comunque, essendo convinto di sapere come ribaltare nel 2022 la crisi economica che ha travolto la Turchia in questi 12 mesi in cui la lira ha perso più della metà del suo valore e l’inflazione è salita al 21% per cento. Il sultano, dopo aver imposto alla banca centrale l’ennesimo taglio dei tassi di interesse per tentare di rendere la Turchia un hub dell’esportazione, ha promesso ai correntisti di compensare le perdite con la svalutazione. Ma il suo indice di popolarità è in discesa perché molti turchi non riescono nemmeno a comprare il pane. (r.z.)
VOTO: 2

 

Bin Salman Il feroce saudita amico di Renzi

Continua a presentarsi come il leader di una Arabia Saudita moderna e civilizzata; concede qualcosa alle donne ma boicotta la lotta globale al cambiamento climatico e reprime con ferocia ogni dissenso. A febbraio un rapporto dell’intelligence Usa lo accusa di aver approvato direttamente l’esecuzione del giornalista Jamal Khashoggi e la relatrice delle Nazioni Unite per le esecuzioni arbitrarie chiede a Washington sanzioni contro di lui. Poco dopo, Matteo Renzi, già suo entusiasta ospite pagato sul tema “Nuovo rinascimento” da Firenze a Ryhadh, lo definisce ‘amico’. (s.p.)
VOTO: 0

 

Boric L’ascesa travolgente del barbudo

Il suo nome ha cominciato a diffondersi già mentre era a capo dei movimenti universitari. Gabriel Boric, solo 35 anni, ha appena vinto le elezioni presidenziali cilene battendo il rivale ultraconservatore ed ultrareligioso Jose Kast, nostalgico di Pinochet. Duro e puro dell’estrema sinistra, Boric ha saputo aprire ai partiti moderati, sostenuto l’Assemblea che ha l’arduo compito di riscrivere la Costituzione e non ha abbandonato l’elettorato più povero. Quando il prossimo 11 marzo si insedierà alla Moneda, il palazzo presidenziale di Santiago, diventerà il più giovane presidente della storia cilena. (m.ag.i.)
VOTO: 10

 

Testi di Cannavò, Caridi, De Micco, Gramaglia, Iaccarino, Provenzani, Zunini

La sai l’ultima?

 

Irlanda Una donna assume il Grinch per la festa di Natale del figlio. E quello le distrugge casa

Chissà cosa si aspettava la mamma irlandese che ha invitato il Grinch alla festa di Natale del figlio. Lui, il protagonista verde, peloso e spregevole del film di Ron Howard, ha fatto esattamente ciò per cui è stato concepito: ha rovinato il Natale. E nella fattispecie, ha vandalizzato la casa della signora. “Laura Magill – scrive il sito di Rds – ha pagato 85 sterline per assumere un Grinch credendo che questo avrebbe al massimo messo in disordine le camere dei figli o addobbato l’albero di Natale con un po’ di carta igienica. Quando è rientrata ha trovato la sua casa completamente sottosopra. Sfogandosi su Facebook ha detto di non essere ‘mai stata così disgustata tutta la sua vita’. L’attore che aveva assunto aveva rotto tutte le decorazioni dell’albero e rovinato i cibi preparati per la festa, tra cui anche dei costosissimi muffin comprati per l’occasione. Non solo, sul pavimento c’erano uova, succhi di frutta e detersivi”. Un professionista esemplare: volevi il Grinch, hai avuto il Grinch.

 

Usa Un intellettuale no-mask viene cacciato dall’aereo perché indossa un perizoma al posto della mascherina

Con l’ennesima recrudescenza del Covid ritorna sensibile il tema mascherine. Il protagonista di questa breve notizia triste indossava un dispositivo di protezione peculiare: un paio di mutande rosa da donna. Il buontempone col tanga in faccia, all’anagrafe Adam Jenne, è stato cacciato da un aereo dell’American Airlinse per questo motivo. Lo scrive Sky News: “Nel filmato ripreso da un altro passeggero e ampiamente condiviso online, si vede Adam Jenne indossare un perizoma rosa sul viso mentre si siede al suo posto prima del decollo del volo da Fort Lauderdale a Washington”. Poi il dialogo con lo steward: “Dovrà scendere dall’aereo. Non possiamo lasciarla volare così”. Di fronte alle rimostranze di Jenne, alcuni passeggeri hanno protestato e minacciato di abbandonare l’aereo per solidarietà. A quanto pare la sua è una protesta “politica” e seriale contro “l’assurdità” delle regole sulle mascherine: per lo stesso motivo è stato cacciato anche da un volo della Delta Airlines.

 

Inghilterra L’ex sposa organizza una festa per celebrare il divorzio e la conclude dando fuoco all’abito nuziale

Un festeggiamento pirotecnico per la fine di un matrimonio infausto: l’ex sposa ha mandato in cenere il poco che restava della sua relazione dando fuoco all’abito indossato il giorno della cerimonia. “Abby Thompson – scrive Today – ha deciso di fare una vera e propria festa per la sua ‘liberazione’ da un matrimonio ormai totalmente indesiderato: al momento clou, davanti agli invitati, ha rovinato il suo abito da sposa con la vernice (anzi, lo ha indossato chiedendo agli ospiti di tirarle direttamente secchiate di colore), per poi toglierselo e dargli fuoco”. Una scelta a suo modo altruistica, come spiega il Mirror: “La 26enne ha chiesto il divorzo nel dicembre 2020, ottenendo finalmente l’agognata libertà questo settembre. Ha dunque invitato tutta la sua famiglia e gli amici a una festa per celebrare il momento. Avrebbe potuto vendere il vestito, ma temeva di passare la sua ‘sfortuna’ ad altre giovani donne, quindi ha preferito distruggerlo”. L’odore del napalm al crepuscolo.

 

Regno Unito “Dovete organizzare il tè del pomeriggio con i panda”: le richieste più assurde all’agenzia di viaggi

Si avvicina Capodanno, tempo di bilanci. L’agenzia di viaggi britannica Travelodge ha stilato una lista speciale del 2021, mettendo in fila le richieste più assurde avanzate dai suoi clienti. La portavoce le ha raccontate a Sky News: “Con la revoca delle restrizioni per il Covid, abbiamo avuto più cittadini in vacanza sulle coste britanniche che mai. I nostri team di hotel hanno anche ricevuto un volume elevato di richieste e domande interessanti, in particolare su nomi di luoghi, piatti locali, costumi e tradizioni nelle regioni britanniche”. Ma anche qualcosa di diverso: “C’è chi ci ha chiesto di organizzare il tè pomeridiano con i panda, chi voleva che facessimo apparire una stella cadente alle 22:00; uno voleva ottenere una parte in Emmerdale (una soap ambientata nello Yorkshire, ndr), un altro di far cantare i gabbiani invece di strillare”. Un ospite a York, invece, “ha chiesto a un membro dello staff di cantare nella stanza accanto per controllare che la sua fosse silenziosa”.

 

TikTok Si tatua la data dell’anniversario del matrimonio per far felice la moglie, ma gli scrivono il giorno sbagliato

Un uomo si è tatuato la data di matrimonio sul braccio per fare una splendida sorpresa alla moglie, ma purtroppo l’ha sbagliata. Amnesia temporanea? Abuso di alcol o polverine strane? Semplice imbecillità? Dovremo convivere col dubbio. L’aneddoto – come racconta il Mirror – è stato reso pubblico dalla consorte, che ha un ampio seguito sui social: “La star di TikTok Ashley Carlevato ha detto che suo marito voleva fare qualcosa di carino per celebrare il loro anniversario di matrimonio, quindi è andato a farsi tatuare la data delle nozze sul braccio. Ha scelto di avere ‘1,1,19’, per il 1 gennaio 2019, scritto in numeri romani, ma qualcosa deve essersi perso nella comunicazione poiché è rimasto invece con 11.919”. La moglie influencer, ovviamente, non vedeva l’ora di condividere l’ilare notizia con i suoi fan online. Per nulla demoralizzata dalla incresciosa stupidità del suo compagno di vita, si è fatta una risata di fronte alla fotocamera del suo smartphone e si è presa pure parte della colpa: “Avrei dovuto cercarlo su Google per lui”.

 

Pennsylvania Una mamma partorisce dentro la Tesla, il marito ha fatto da ostetrico grazie al pilota automatico

Sembra una pubblicità della Tesla (e magari si scoprirà che lo era davvero), ma è finita sul Washington Post: in Pennsylvania una donna ha partorito sul sedile di un auto a guida autonoma mentre il marito era al volante. L’auto in effetti si è guidata praticamente da sola fino all’ospedale (dove è arrivata tardi), permettendo al pilota di fare da ostetrico. “Il traffico dell’ora di punta – scrive il Wp – ha rallentato il viaggio di sette miglia, facendo durare molto più a lungo quello che avrebbe dovuto essere un tragitto di 20 minuti”. La moglie ha avuto contrazioni sempre più forti, fino a capire che non avrebbe fatto in tempo ad arrivare in reparto. Il marito quindi ha abilitato il pilota automatico, una modalità in cui la macchina viaggia alla stessa velocità degli altri veicoli e frena da sola, poi si è dedicato ad assistere la consorte. Quando sono giunti all’ospedale, la bimba era già nata. I medici hanno tagliato il cordone ombelicale in auto, poi hanno portato la partoriente e la creatura in reparto. La piccola sta bene. È la prima al mondo a nascere in Tesla.

 

Cina Muore a 135 anni la donna più anziana della Cina (e probabilmente la più longeva della storia dell’umanità)

Addio nonna Alimihan: la donna più anziana del mondo ci ha lasciati pochi giorni fa. Si è spenta alla tenera età di 135 anni. La traduzione è di Dagospia, la notizia è sul Daily Mail: “La persona più anziana della Cina, che si dice sia anche la persona più anziana di sempre, è morta all’età di 135 anni nella sua cittadina locale. Alimihan Seyiti, di Komuxerik, nella contea di Shule, nella regione autonoma nord-occidentale dello Xinjiang Uygur, è morta il 16 dicembre. Secondo il dipartimento della pubblicità della contea, Seyiti era nata il 25 giugno 1886, durante la dinastia imperiale Qing. Se fosse vero, sarebbe la persona più anziana di sempre, anche se la notizia non è stata confermata a livello internazionale. Si è sposata nel 1903 quando aveva 17 anni e con il marito, morto nel 1976, ha adottato un figlio e una figlia e oggi ha 43 tra nipoti e pronipoti. L’Associazione cinese di gerontologia e geriatria ha riferito che nel 2013 era la cittadina vivente più anziana del paese”. Non si può dire che non abbia vissuto.

“Tre controllori per 200 impianti”

A controllare la sicurezza e la manutenzione di 200 impianti in Piemonte, come ascensori, seggiovie e anche la funivia di Stresa-Mottarone, sono solo in tre per conto dell’Ustif, l’Ufficio speciale trasporti a impianti fissi (l’ente creato ad hoc dal ministero dei Trasporti), tra cui il direttore Ivano Cumerlato che ora, a 7 mesi dalla tragedia che ha visto morire 14 persone, tra cui due bambini, ammette ai microfoni di Report (Rai3) che di fatto quei controlli era difficile eseguirli. Carenza di personale e conflitti di interesse sono proprio al centro dell’inchiesta che la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci ricostruirà questa sera anche attraverso l’intervista al direttore dell’Ustif, secondo il quale grazie a queste carenze i controlli del Mistero si sono sempre risolte in una semplice comunicazione che il controllato mandava al controllore. In particolare, si tratta dell’ingegner Enrico Perocchio, direttore d’esercizio della funivia ma anche dipendente della Leitner che ha un contratto di manutenzione per la funivia. Quella che il 23 maggio 2021 ha visto precipitare nel vuoto la cabina numero 3. L’inchiesta della Procura di Verbania ha accertato che la cabina è caduta perché si è spezzata la fune traente e i freni di emergenza sono risultati disattivati, ma il collegio dei periti nominati dal Tribunale, che dovranno accertare le cause della rottura della fune, sono appena all’inizio delle loro analisi e hanno già chiesto una proroga di sei mesi.

La compromissione dei sistemi di sicurezza dell’impianto di trasporto emerge anche da una registrazione in esclusiva di Report in cui un ex dipendente della funivia racconta di essersi rifiuto di salire a bordo della cabina numero 3 perché aveva riscontrato una perdita di olio alle centralina dei freni. Ma quello che è inquietante è che questo fatto è avvenuto il 27 maggio 2019. Esattamente due anni prima della tragedia causata dalla disattivazione dei freni di emergenza della cabina tramite l’uso di due forchettoni.

La Procura, secondo quanto ha ricostruito Report, sta lavorando anche a un altro tassello: il nero sui biglietti. Dalla riapertura post lockdown del 26 aprile alla tragedia del 23 maggio, la società di Nerini ha incassato 140 mila euro. Ma alcuni dipendenti hanno riferito ai magistrati che alla cassa si faceva moltissimo nero. “La funivia è sempre stata una miniera d’oro. Il nero l’hanno sempre fatto. Prima c’erano i biglietti con lo scontrino, dopo sono state messe le tessere magnetiche e non ti dico il casotto che facevano. Quando uno restituiva la scheda la rivendevano, le schede rivendute due o tre volte nella stessa settimana”, ha ammesso un testimone. Tutto da dimostrare ma se così fosse, si tratterebbe di decine e decine di migliaia di euro incassati in nero da un privato che ha in concessione un bene pubblico. Negli ultimi anni di gestione prima del Covid, gli utili della società Ferrovie del Mottarone erano in crescita costante 230 mila euro nel 2017, 350 mila nel 2018, più di 400 mila nel 2019.

11,5% di test positivi. Dopo 5 mesi crolla l’efficacia dei vaccini

Non siamo ancora al picco della quarta ondata prevista dagli esperti per metà gennaio, quando secondo il prof. Fabrizio Pregliasco si arriverà a 100 mila casi al giorno, ma le cifre registrate dal report quotidiano del ministero della Salute non hanno bisogno di tante spiegazioni. Dopo il doppio record di Natale con oltre 54 mila nuovi contagi e un milione di tamponi processati, nelle ultime 24 (complice il giorno di Natale), anche se le persone risultate positive al virus sono state 24.883 (81 morti), il tasso di positività è schizzato dal 5,8% all’11,5%. In altre parole, su 217.052 tamponi, più di uno su 10 è risultato positivo facendo compiere un nuovo balzo in avanti alla variante Omicron che, ormai, ha preso il sopravvento anche in Italia. Tornano a crescere i ricoveri (+328) e le terapie intensive (+18), tanto che nella settimana appena conclusa è stata superata la prima soglia critica di occupazione dei posti letto nelle terapie intensive con un evidente rischio per le Regioni di un cambio di colore. Lazio e Lombardia sono a un passo dalla zona gialla.

La settimana dal 20 al 26 dicembre ha visto aumentare gli attuali positivi del 40% (da 369.703 a 516.839) contro il 25% della settimana dal 13 al 19 dicembre. In aumento anche i decessi del 19,7% (970 contro 810), gli ingressi in terapia intensiva (+11,1%, 647 contro 181) e i nuovi ricoveri (+45,2%, 1.494 contro 1.029). Ma ieri è arrivato anche il nuovo report dell’Istituto superiore di sanità (Iss) con un’evidenza: il rischio di terapia intensiva per i non vaccinati rispetto a chi ha la terza dose è 85 volte maggiore per gli over 80; 12,8 volte maggiore per la fascia 60-79 anni; 6,1 volte maggiore per i 40-59 enni. Il rapporto dell’Iss aggiunge anche che dopo 5 mesi dal completamento del ciclo vaccinale, l’efficacia nel prevenire la malattia scende dal 71,5% al 30,1%, mentre aumenta l’incidenza di casi Covid in tutte le fasce di età, in particolare tra i giovanissimi. Nell’ultima settimana un positivo su quattro è in età scolare con il record tra i bambini di 6-11 anni. La sfida resta quella sul fronte vaccini: oggi partiranno le dosi booster per la fascia 16-17 anni e 12-15 anni per la popolazione di ragazzi fragili.

Per far fronte ai contagi prosegue senza sosta la campagna vaccinale. Secondo gli ultimi dati, sono oltre 46 milioni le persone over 12 anni ad aver completato il ciclo. Mentre sono più di 17 milioni coloro che hanno ricevuto anche la terza dose. Un dato record viene registrato dai Green pass: negli ultimi tre giorni sono stati emessi circa 4 milioni di certificazioni in tutta Italia. Ma sul fronte dei controlli del certificato verde, sono solo 262 le persone sanzionate su circa 65 mila controllate. Insomma, un quadro complesso e in rapido peggioramento in vista del Capodanno che, secondo le nuove limitazioni imposte dal governo dall’ultimo decreto Feste, potrà essere contenuto grazie al divieto di feste in piazza e alle discoteche chiuse. Mentre solo i vaccinati e i guariti possono prendere il caffè al bar o mangiare al bancone.

Nuovi divieti e restrizioni che caratterizzano un po’ tutta l’Europa. La rapidità di circolazione di Omicron allarma la Francia che ha sfondato per la prima volta quota 104mila contagi in 24 ore, raddoppiando i casi nelle ultime di tre settimane, dopo i record negativi battuti dal Regno Unito nella settimana di Natale. Nuove restrizioni sono entrate in vigore in Scozia, Galles e Irlanda del Nord. Per evitare una nuova stretta, Londra – dove una persona su 10 è stata infettata dal Covid-19 – pensa a una campagna porta a porta per convincere i no vax. In Germania, dove da tre settimane è in vigore il lockdown per i non vaccinati, il numero dei contagi è sceso da 74mila a 10.100. Intanto ha superato quota 7.000 il numero di voli cancellati in tutto il mondo durante il fine settimana di Natale.

“Draghi al Colle con un’intesa sul premier, altrimenti si vota”

Più che un politologo, dice lui, “adesso ci vorrebbe un astrologo”, visto il groviglio di interessi intorno all’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Ma qualche punto fermo c’è, soprattutto dopo la conferenza di fine anno di Mario Draghi. E Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna, tenta di fare ordine: “Draghi ha tranquillizzato quei parlamentari impauriti che una sua elezione al Colle portasse al voto anticipato. Ma i partiti stanno dimostrando la loro debolezza”.

Professor Pasquino, Draghi è il favorito per il Quirinale?

Andrei cauto nel decifrare le ambizioni di Draghi. È vero che in molti danno per certa la sua candidatura, ma ho l’impressione che non abbia ancora preso una decisione definitiva.

È uno dei pochi nomi su cui però i partiti potrebbero convergere.

Qui non serve un politologo però, serve un astrologo. E l’oroscopo dice che tra Camera e Senato esistono almeno 200 o 300 parlamentari che sanno di non avere alcuna chance di essere rieletti e che dunque, legittimamente, faranno di tutto per arrivare a fine legislatura. Su questo, Draghi ha lanciato un messaggio chiaro, sostenendo l’importanza che prosegua quest’azione di governo al di là di chi lo guida. Chi vota Draghi sa che non scioglierà le Camere e chiederà una maggioranza che garantisca la continuazione del suo lavoro.

Forse immagina che possa “guidare il convoglio” anche dal Colle, come sibilava Giancarlo Giorgetti qualche settimana fa.

Il semi-presidenzialismo è un sistema che generalmente funziona. Il problema è che non possiamo averne uno de facto, perché la Costituzione garantisce ampi contrappesi ai partiti rispetto al presidente della Repubblica e al primo ministro.

Con Draghi al Colle, chi a Palazzo Chigi?

Credo che se Draghi andasse al Colle lo farebbe soltanto nel contesto di un accordo unico che includa anche il suo successore a Palazzo Chigi, che potrebbe essere un nome come Daniele Franco. Sarebbe l’unico modo per fare stare insieme l’attuale maggioranza.

Se invece fallisse l’elezione di Draghi, si andrebbe al voto?

Probabilmente sì, sarebbe una situazione talmente caotica che rimettere insieme i cocci della maggioranza mi parrebbe un’operazione fin troppo acrobatica.

I partiti però non hanno accolto con favore la candidatura di Draghi, anzi.

Non ho capito bene questa loro resistenza pubblica, mi sembra che in questa fase stiano dichiarando la propria debolezza. Poniamo che trovino l’intesa per mandare Casini al Colle: a quel punto non saprebbero che pesci prendere sulla scelta del nuovo presidente del Consiglio, con FdI che spingerebbe per il voto.

Da qui a metà gennaio si troverebbe una soluzione?

Quando sento dire che ne riparleranno a gennaio credo sia perché non hanno idea di cosa fare, non certo per strategia. Non troverebbero nessuno in grado di metterli insieme.

E quindi o il voto o un’intesa per mandare Draghi al Colle e uno dei suoi ministri a Palazzo Chigi. Ma Draghi riuscirà a gestire questa trattativa con le forze politiche?

Credo che Draghi abbia già imparato molto e ha insospettabili capacità di negoziazione. Più volte durante la conferenza ha sottolineato l’importanza del Parlamento nel lavoro svolto, replicando anche a chi lamentava lo scarso dibattito sulla manovra: è vero, non è certo positivo se la finanziaria arriva in aula a Natale, ma è pur vero che il confronto coi partiti è avvenuto altrove. Può essere che sia stata solo una furbata, ma ho l’impressione che Draghi abbia chiaro il ruolo del Parlamento.

Dell’ipotesi di Berlusconi al Colle lei ha già parlato, aderendo alla nostra petizione. Molti altri candidati, per ora, si nascondono. Non varrebbe la pena che i “quirinabili” giocassero a carte scoperte?

Volendo fare una metafora calcistica, il Quirinale è come la panchina della Nazionale, non ci si candida. Tanto sappiamo benissimo lo stesso chi aspira al Colle e difficilmente viene scelto un nome che non sia tra quelli usciti.

Grazie alla Cartabia, il legale di B. giudicherà i magistrati

La riforma Cartabia è slittata ché non s’è ancora trovata la quadra nel governo dei Migliori. Ma la Guardasigilli ha già messo al sicuro un risultato: ad occuparsi delle valutazioni di professionalità dei magistrati e di altri aspetti che riguardano carriere e dunque promozioni negli uffici giudiziari sarà il sottosegretario Francesco Paolo Sisto, deputato di Forza Italia e già legale di fiducia di Silvio Berlusconi. Che si è visto ampliare le deleghe con un provvedimento, transitato in Gazzetta Ufficiale la vigilia di Natale, che prevede che sia proprio lui, lo scudo umano dell’ex Cav, a firmare gli atti che competono al ministero di via Arenula su applicazioni extra distrettuali, aspettative, formazione di tabelle giudiziarie E anche le valutazioni periodiche di professionalità, uno dei punti che verrà toccato dalla attesa riforma che, stando alle anticipazioni, prevede pagelle per le toghe e anche il riconoscimento all’Avvocatura del diritto di voto nelle delibere sulla valutazione di professionalità e in materia di conferimento degli incarichi direttivi e semi-direttivi. Una ipotesi contro cui si è già espressa è l’Associazione nazionale magistrati per il rischio che “tale previsione possa alterare il principio di parità delle parti nel processo e incidere sulla serenità e imparzialità della giurisdizione”. La certezza è che, vada come vada, sarà l’avvocato berlusconiano Sisto a dover vagliare e eventualmente firmare gli avanzamenti di carriera delle toghe sì invise da sempre al suo capo partito e dunque anche a lui.

Che è tra le punte di diamante della guardia armata di Silvio, quella del picchetto anti toghe del 2013 sotto Palazzo di giustizia a Milano: per Sisto “una protesta seria contro l’uso politico della giustizia”.

Barese, classe 1955, avvocato penalista, parlamentare di FI dal 2008, Sisto è uno dei tanti legali di Silvio Berlusconi premiati con un seggio. “Per noi è come se fosse Fidel Castro, è il Lider Maximo” si è lasciato sfuggire durante le ultime consultazioni a proposito del capo di Forza Italia che per lui è anche un cliente danaroso: lo ha difeso dall’accusa di aver indotto a tacere e a mentire Gianpi Tarantini, quello dei festini e delle escort procacciate per rimboccare le coperte all’ex Cav a Palazzo Grazioli con la stessa lena da super falco con cui in Parlamento ha sottoscritto le leggi ad personam.

Per lui ha combattuto la battaglia contro la legge Severino (votata anche da FI) che è già costata la decadenza da senatore a Berlusconi per via della condanna per frode fiscale: è proprio Sisto a inventare l’emendamento alla Severino che svuota il reato di concussione per induzione, di cui il Lider Maximo è casualmente imputato nel processo Ruby.

Ma è ai magistrati che Sisto non perdona nulla. Dipendesse da lui, tanto per dire le intercettazioni non esisterebbero proprio: “Le esigenze del processo non sono sempre prevalenti: esiste un diritto alla vita privata, alla riservatezza, alla libertà di espressione che conta quanto e talvolta più delle esigenze investigative”. E il trojan? “È Inquisizione allo stato puro”, mentre la prescrizione – va senza dire – è una manna: quando l’ex ministro Bonafede la blocca dopo il primo grado, Sisto si appella ai “partigiani della Costituzione di Forza Italia”. Intanto, fra un “legittimo impedimento” e l’altro, riesce a far slittare il processo al cliente delle escort di Palazzo Grazioli: l’ultima volta a gennaio 2021 adducendo i consueti motivi di salute che pregiudicano la presenza a Bari di Berlusconi, che però non si è certo perso le consultazioni con Mario Draghi in vista del battesimo del governo. Dove s’è trovato uno strapuntino anche per Sisto che da sottosegretario alla Giustizia sta una pacchia.

Dentro il governo ci sono sensibilità diverse certo, ma i tempi bui sono alle spalle: con Cartabia in via Arenula, parole sue, “c’è stata una rivoluzione copernicana”. La ministra lo ricambia ampliandogli le deleghe già che è l’ora delle scelte. “In medicina c’è un tempo per la diagnosi, per i consulti, le anamnesi: poi viene il tempo della terapia” dice Sisto, che per i magistrati ha da sempre in mente la cura.