Disco chiuse, idea di Giorgetti Draghi: niente lavoro ai No vax

L’obbligo vaccinale per tutti i lavoratori della Pubblica amministrazione non è arrivato, causa il muro di tutti i partiti nella cabina di regia del 23 dicembre. Un fronte così compatto che il presidente del Consiglio, come fa notare una fonte di governo, “non ha neanche pronunciato le conclusioni a fine incontro”. Ma Mario Draghi non ha riposto nel cassetto l’ipotesi di allargare l’obbligo, anzi. Entro pochi giorni il premier e la sua maggioranza, ormai concentrata sulla partita del Quirinale, faranno un nuovo punto sullo stato della pandemia e sugli effetti delle nuove misure varate dal governo. Perché Draghi valuta l’obbligo vaccinale per tutti i lavoratori, pubblici e privati.
La contromossa possibile rispetto alla variante Omicron, che corre senza fermarsi facendo schizzare i contagi. Un’ipotesi di cui il premier conta di discutere con Confidustria e le varie rappresentanze di categoria, e su cui dovrebbe ovviamente consultare anche i sindacati. Ma l’estensione è una strada tutt’altro che remota, anche se dentro il governo in diversi continuano a mostrare scetticismo. E chissà se e quanto ciò peserà sulle scelte di Draghi, che nel nuovo decreto di fatto ha usato la mano pesante solo per discoteche e sale da ballo, chiuse fino al 31 gennaio. “Il colpo di grazia per il settore, per giunta inferto senza preavviso” secondo la Fipe-Confcommercio. Una decisione a cui il premier è arrivato in un modo abbastanza insolito.

Raccontano che nella cabina di regia prima del Cdm il ministro della Salute, Roberto Speranza, si fosse presentato con toni concilianti: “Per quanto riguarda le discoteche, sapete che io per precauzione le chiuderei. Ma mi sembra che la linea della maggioranza sia evitare nuove chiusure”. Per questo, Speranza aveva proposto misure alternative: far entrare nei locali solo chi avesse ricevuto la terza dose, oppure includere anche le persone con due dosi, a patto che si fossero sottoposte a un tampone. “E comunque, si dovrà ballare con le mascherine” aveva aggiunto il ministro. Il punto di caduta da mettere nero su bianco nel decreto pareva questo. Ma nel successivo Consiglio dei ministri qualcosa è cambiato.

E la miccia per il cambio di rotta, raccontano due dei presenti, l’ha accesa il leghista Giancarlo Giorgetti, non è chiaro se consapevolmente: “Giorgetti ha chiesto chi sarebbe andato ancora in discoteca con quelle regole, ma con tono leggero, sembrava quasi scherzasse”. Eppure era l’appiglio che evidentemente Draghi cercava, perché si è subito inserito: “In effetti è proprio così, a questo punto è meglio chiuderle”. Tanto più, ha aggiunto il premier, “che abbiamo ancora dei fondi per i ristori”. Nessuno dei ministri, sembra, ha avuto la voglia o la reattività per obiettare qualcosa di efficace. E la linea Draghi è passata, a occhio per il sollievo di Speranza, ovviamente il ministro più esposto sul fronte Covid. Così ecco la chiusura immediata per discoteche e sale da ballo. Scelta che ha provocato la rivolta di tutto il settore. “Chiediamo un incontro urgente con il governo per chiedere ristori immediati, tempi certi di riapertura e la rimodulazione delle tasse che hanno strangolato le nostre imprese” scandisce Gianni Indino, presidente del Silb, il sindacato dei locali da ballo dell’Emilia-Romagna. E allora non può essere casuale quanto detto il giorno di Natale dal governatore emiliano Stefano Bonaccini: “Temo il proliferare di feste private incontrollabili, proprio com’è accaduto la scorsa estate”. Un rischio di cui parla più d’uno, nel governo.

Ma Draghi ha tirato dritto, anche perché aveva già fatto marcia indietro sull’obbligo vaccinale per tutti i dipendenti della Pa. Troppo univoco il no dei partiti. Con il ministro dell’Agricoltura, il 5Stelle Stefano Patuanelli, che aveva ricordato come “finora l’obbligo sia stato applicato in base alla funzione svolta dalle categorie di lavoratori”. Per poi sostenere che “il fine di vaccinarsi è vivere, non lavorare”. Così il premier si è fermato. Ma la partita dell’obbligo vaccinale è ancora apertissima.

Ma mi faccia il piacere

Sarà due volte Natale. “Ripulirò Roma entro Natale, forse prima se riusciremo a essere rapidi” (Roberto Gualtieri, sindaco Pd di Roma, 22.10). Ma mica aveva detto Natale di che anno.

Il portafortuna. “A nome mio, della Lega e di milioni di italiani auguro a Josè Antonio Kast la vittoria affinchè il Cile abbia un futuro di ordine e sicurezza” (Matteo Salvini, segretario Lega, 19.12). Naturalmente ha vinto l’altro.

Spallate. “A giugno daremo la spallata al Covid con i vaccini” (gen. Francesco paolo Figliuolo, commissario straordinario al Covid, Adnkronos, 1.6). “Omicron, la spallata. Superati i 44mila contagi, mai così tanti dall’arrivo del Covid” (Repubblica, 24.12). A questo punto siamo molto preoccupati per la spalla di Figliuolo.

Provata fede/1. “Miccichè insiste: ‘Renzi mi ha detto che potrebbe sostenere Silvio’” (Dubbio, 21.12). Silviostaisereno.

Provata fede/2. “Renzi smentisce Miccichè: ‘Mai detto sì a Berlusconi’. Il fastidio di Italia viva: ‘Ciò che Matteo dice in pubblico lo dice anche in privato’” (Riformista, 21.12). Uahahahahah.

Giornalismo fantasy/1. “Il FantaColle. Questa rubrica si basa esclusivamente su ipotesi, ragionamento, voci e chiacchiere di corridoio. Come il Fantacalcio, serve solo per giocare” (Antonio Polito, Corriere della sera, 21.21). Ok, ma dove sarebbe la novità?

Giornalismo fantasy/2. “Solo ieri sono successe le seguenti cose: il Csm ha fatto sapere che a suo avviso Silvio Berlusconi non può salire al Quirinale perché ha avuto contrasti con l’ordinamento giudiziario” (Alessandro Sallusti, Libero, 24.12). A parte il fatto che l’ordinamento giudiziario è una legge, mentre l’insieme della magistratura si chiama potere o ordine giudiziario, e che con esso Berlusconi non ha avuto “contrasti”, bensì indagini, processi e condanne (di cui una definitiva), il Csm non ha mai fatto sapere che costui non può salire al Quirinale. Noi, in compenso, vorremmo sapere chi è il pusher di Sallusti.

Odissea nello spazio. “Il messaggio di Mattarella: No Vax, troppi spazi sui media” (Corriere della sera, 21.12). E così, grazie al monito di Mattarella sul troppo spazio ai No Vax, i No Vax si sono conquistati un altro giorno di troppo spazio.

Moderatamente. “Da Cartabia a Casellati: la destra tentata e divisa dalle donne moderate” (Giovanna Vitale, Repubblica, 21.12). La Casellati votò la mozione su Ruby nipote di Mubarak, ma con moderazione.

La mosca cocchiera. “Saremo decisivi nella partita del Quirinale come lo siamo stati sette anni fa con Mattarella e un anno fa con Draghi” (Maria Elena Boschi, deputata Iv, Repubblica, 21.12). “Per una strada lunga, erta, sassosa e tortuosa, esposta al sole, procedevano a stento sei robusti cavalli, tirando una carrozza. I viaggiatori, donne, vecchi e frati, avendo pietà dei cavalli, erano scesi: i cavalli sudati e trafelati erano lì lì per cedere, quando arrivò una mosca, che volando, punzecchiando di qua, ronzando di là, pensava che toccasse a lei spingere la carrozza. Si posò sul timone, poi sedette sulla punta del naso del cocchiere e quando vide che la carrozza bene o male camminava, s’imbaldanzì tutta, la sciocchina…” (Jean de la Fontaine, “Le coche et la mouche”, 1671).

Non spingete. “Asse Roma-Parigi: i tedeschi vogliono entrare anche loro” (Claudia Fusani, Riformista, 21.12). Alla voce Roma o Parigi?

Messaggi. “I tamponi ai vaccinati dividono gli scienziati: ‘Messaggio sbagliato’” (Repubblica, 20.12). Giusto: per sapere chi sono i vaccinati contagiati e contagiosi chiediamo al Divino Otelma.

Grandi ritorni. “Schianto in via Cilicia: ‘L’auto ha sbandato per un cinghiale’” (Repubblica-cronaca di Roma, 23.12). Sarà una rimanenza della Raggi.

Il titolo della settimana/1. “La foto del Cav. Appesa sul muro negli uffici di ogni magistrato italiano: che sballo!” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 21.12). Ma anche quella di Al Capone non sarebbe niente male.

Il titolo della settimana/2. “È stata la mano di Malagò. Con i successi dello sport nazionale nel 2021 è diventato un simbolo del riscatto italiano. Il dna imprenditorial-automobilistico, la ‘romanità’ arricchita con efficienza milanese. La politica, i luoghi amati, gli amici. La Persona dell’anno del Foglio in un ritratto-intervista” (Michele Masneri e Andrea Minuz, Foglio, 20.12). Mi sa che è stata la lingua del Foglio.

Il titolo della settimana/3. “Sarà la Consulta ad arginare ancora gli ultras antimafia” (Dubbio, 22.12). Per arginare gli ultras mafia c’è sempre tempo.

“Joan, fragile e aerea, era sempre in un altrove come tutti i grandi. Ma così contemporanea”

Luca Formenton, Joan Didion in Italia è nota grazie alla sua casa editrice, il Saggiatore. Come ha reagito alla notizia della morte?

Didion era una di quelle persone che sembrava non dovesse morire mai: leggera come una piuma. Però la notizia non mi ha stupito; sapevo che era malata, anche da quel bellissimo documentario del nipote su di lei col parkinson, che si esprimeva con le mani.

Avete ancora suoi titoli in magazzino?

Gli ultimi suoi libri pubblicati da noi sono Idee fisse e Funzioni politiche. E nel 2022 arriverà Let Me Tell You What I Mean. Negli Stati Uniti hanno appena sfornato una raccolta di suoi articoli: di veramente nuovo non c’è niente. Poi, certo, noi continuiamo con la riedizione dell’opera omnia.

Eppure non siete stati i primi.

No, i primi sono stati Bompiani e Frassinelli negli anni 70-80. Poi lei è stata completamente dimenticata e noi l’abbiamo ripresa e rilanciata a partire dal clamoroso Anno del pensiero magico: uno dei nostri più grossi investimenti, come anticipo, che ci ha però del tutto ripagati, non solo economicamente. Lei è (stata, ndr) una delle più importanti scrittrici contemporanee, anche se ancora poco conosciuta in Italia.

Didion è stata tra i fondatori del New Journalism, che da noi, a parte Saviano, non ha mai avuto gran seguito…

Indubbiamente, qui non c’è una tradizione: la saggistica narrativa sta cominciando a emergere negli ultimi anni. La peculiarità della Didion, oltre all’eleganza e all’asciuttezza, è l’incredibile permanenza nel tempo: i suoi pezzi scritti negli anni 70 paiono di oggi.

Eppure non è un’autrice così blasonata: non ha ricevuto molti premi…

È sempre rimasta al di fuori dei circoli e dei salotti: era una giornalista, ma laterale rispetto al mainstream, un po’ come Tom Wolfe. Però in tempi recenti, c’è stata una riscoperta delle sue opere: in America finalmente hanno capito che non era solo una cronista snob.

Ma al di là dell’aria snob, com’era Joan di persona?

Io l’ho conosciuta a New York che era già anziana: non appena entrato in casa sua, cercavo di evitare con lo sguardo il famoso tavolo su cui era piombata la faccia di suo marito. Chiacchierammo a lungo di politica. Mi colpì moltissimo la sua aerea fragilità unita a una sottile ironia: affrontava qualsiasi argomento, anche mainstream, da un punto di vista originalissimo, inedito, laterale. E sempre con leggerezza, non come chi sta per rivelare chissà quale verità.

Sicuramente i grandi artisti sembrano spostati, fuori luogo o, come dice lei, “laterali”…

Sì era sempre in un altrove, come tutti i grandi. Eppure così contemporanea.

Addio Didion: si chiude così l’anno del pensiero magico

Pubblichiamo alcuni stralci dell’autobiografia di Joan Didion, “Da dove vengo” (2003), uscita in Italia per il Saggiatore nel 2018.

Le donne della mia famiglia sembrano essere state persone pragmatiche, alle quali era profondamente connaturato un radicalismo chirurgico, inclini ai tagli netti con chiunque e con qualunque cosa conoscessero. Sapevano usare un fucile e sapevano curare il bestiame e, quando le scarpe dei figli passavano di misura, imparavano dagli indiani a fabbricare mocassini. (…) Tendevano a adattare ogni mezzo disponibile al raggiungimento di un fine incerto. Tendevano a evitare di riflettere troppo a lungo sulle implicazioni di un simile fine. Quando non si presentava un’altra soluzione, avanzavano di altre mille miglia e piantavano un nuovo orto: fagioli e zucca e taccole con semi che avevano portato con sé dalla tappa precedente. Si poteva dimenticare il passato, seppellire i figli, abbandonare i genitori, ma i semi no, quelli si portavano sempre.

Erano donne, le donne della mia famiglia, con poco tempo per i ripensamenti, poco inclini all’ambiguità; e in seguito, quando l’ebbero, il tempo, o quando poterono coltivarla, quell’inclinazione, subentrò in loro una propensione, che nel tempo ho capito essere endemica, a piccoli e grandi squilibri, ad affermazioni all’apparenza singolari, a smarrimenti oscuri e a traslochi alquanto improbabili. (…)

“Si partiva in cerca di una terra dell’oro romantica e remota, una terra di promesse, e ci si trovava nella selva di questo mondo, spesso guidati solo da segni celesti”, scrisse Josiah Royce. (…) La tristezza assoluta, scriveva Sarah Royce (la madre di Josiah Royce, ndr). Senza una casa o un tetto sopra la testa, scriveva Sarah Royce. Basti dire che siamo partiti, scriveva il mio bis-bisnonno William Kilgore.

Il momento della partenza, la morte che precede necessariamente la rinascita, è un elemento topico nelle storie di traversata. Sono storie raccontate senz’arte. Nella loro ripetitività sopravvive un’elisione o un’inflazione, entrambe problematiche, c’è un difetto narrativo, un problema di punto di vista: il vero osservatore, o camera eye, è spesso difficile da individuare. Così recita l’addio alla madre di Josephus Adamson Cornwall, raccontato da un figlio che ha sentito raccontare la storia dalla madre, Nancy Hardin Cornwall, la quale non aveva assistito in prima persona alla scena: “Appena fu pronto per partire, entrò nel salotto della madre. Lei lo accompagnò fuori, dove lo attendeva il cavallo, per dirgli le ultime parole e vederlo partire. Gli disse che non l’avrebbe mai rivisto in questo mondo, gli diede la propria benedizione, e lo affidò a Dio. Lui allora montò a cavallo e partì, mentre lei lo seguiva con l’ultimo sguardo, finché svanì dalla sua vista”. Chi è il testimone di questa partenza? La camera sulla madre di Josephus Cornwall, che vede il figlio per l’ultima volta? O sul figlio, che si guarda alle spalle mentre svanisce dalla sua vista? La gravità di quella fatale separazione reclama una storia. (…)

Sono nata a Sacramento e ho vissuto in California per gran parte della mia vita. Ho imparato a nuotare nel fiume Sacramento e nell’American, prima delle dighe. Ho imparato a guidare sugli argini su e giù lungo il fiume. Eppure la California resta per me ancora impenetrabile, un faticoso enigma, come per molti di noi che veniamo da lì. Ce ne preoccupiamo, la correggiamo, la sottoponiamo a revisione, cerchiamo invano di definire la nostra relazione con lei e la sua relazione con il resto del paese. Annunciamo a gran voce le nostre partenze, come fece Josiah Royce quando lasciò Berkeley per Harvard.

© 2003 by Joan Didion © il Saggiatore S.r.l., 2018

Il regalo di Natale (in cella) di Metilde la “carbonara”

È plumbeo il dicembre del 1821 per le patriote e per i patrioti milanesi. Il giorno 13 è stato arrestato Federico Confalonieri. Alla vigilia di Natale la polizia austriaca ferma e interroga Metilde Viscontini Dembowski, la giovane signora amica di Ugo Foscolo e amata perdutamente e vanamente da Stendhal, che si ispirerà a lei per il suo De l’amour.

Non è sicuramente una donna comune, Metilde. Nata a Milano il 1° febbraio 1790, e costretta a sposare il generale napoleonico Jan Dembowski, è riuscita, tra il 1814 e il 1815, a separarsi dal marito. Con la stessa determinazione avuta nell’allontanarsi dal brutale Dembowski, affronta, quel 24 dicembre, l’interrogatorio. Le carte di polizia registrano che è comparsa “Viscontini Metilde maritata Dembrowky (sic)”. È sospettata di far parte della cospirazione carbonara che ruotava intorno al giornale Il Conciliatore – scrive la sua biografa Marta Boneschi –. Dopo l’arresto di Confalonieri, quel gruppo di liberali si riuniva nella saletta azzurra dell’appartamento della signora in piazza Belgioioso, e così lei viene accusata “di aver inviato del denaro a Giuseppe Pecchio”, uno dei patrioti, “nel frattempo riparato a Madrid, e di aver divulgato un suo scritto”. Intanto, a giugno, temendo di essere arrestato per le sue frequentazioni dei patrioti, Stendhal aveva lasciato per sempre Milano, riparando a Parigi. Ricorderà: “Lasciavo dopo tre anni d’intimità una donna che adoravo, che mi amava, e che non mi si è mai data”.

L’affascinante Metilde, in quella tetra vigilia di Natale di duecento anni fa, tiene testa alla sbirraglia del Regno del Lombardo-Veneto che la interroga. Come scrive Michel Crouzet, uno dei massimi studiosi di Stendhal, lo fa “con un’efficacia che i congiurati maschi avranno molto raramente. O non sa nulla, e non ha niente da dire, oppure non concede che informazioni vaghe e banali”. Aggiunge la Boneschi: “In un capolavoro di abilità e dissimulazione, Metilde ammise i fatti comprovati ma politicamente irrilevanti, negò di essere a parte di una cospirazione e non compromise alcuno dei patrioti”.

Narra lo scrittore risorgimentale Atto Vannucci che “fu arrestata per carbonarismo a Milano in mezzo alla strada; fu rinchiusa prigioniera in sua casa con una guardia alla porta”. Metilde era “un’angelica donna, che alla rara bellezza e al più soave affetto congiungeva la più sublime energia. Amava fraternamente Federigo (Confalonieri) e Teresa (la moglie Casati Confalonieri), e a quest’ultima, dopo la sciagura dell’arresto, fu larga di consolazioni, di consigli e di cure. Amava ardentemente l’Italia… e conosceva tutti i più famosi carbonari, e a tutti quelli che si adoperavano a render libera e indipendente la patria portava affetto singolarissimo”. Condotta “davanti alla commissione inquisitoriale, ebbe a sostenere un interrogatorio di dieci ore. Fece dignitose e forti risposte”. L’imperial-regio poliziotto Antonio Salvotti, “per insulto alle degne parole di lei, in tuono ironico le domandò se per avventura pensava di esser sempre in mezzo ai carbonari ai quali ella presiedea: ‘No’, rispose la energica donna, ‘ma credo di esser in mezzo agl’Inquisitori di Venezia’”. Poi, “protestando contro le violenze che indegnamente si facevano alla debolezza di una donna, dichiarò che non risponderebbe più nulla; e Salvotti pieno di rabbia fu costretto a rimetterla in libertà”.

Ci fu un secondo interrogatorio, il 26 dicembre. Metilde si rivolse allora al governatore militare della Lombardia, il conte Ferdinand Antonín Bubna von Littitz, che Stendhal definisce “uomo di spirito e di cuore”. Chiese di “essere soggetta alla giurisdizione militare e non a quella civile”, scrive la Boneschi, “cosa che ottenne nel febbraio 1822. Non fu più interrogata né incriminata”. Per Vannucci, tuttavia, da “quell’ora in poi la polizia non cessò mai di tormentarla nei modi più atroci: ma essa pose in non cale i pericoli, non si ritirò mai da niun sacrifizio, e fece tutto quello che il suo nobile cuore le comandava per tutti i generosi proscritti e per la patria infelicissima”.

Ma “i dolori si accumularono in troppo gran numero sopra il suo capo”, la “sua energia si affranse nelle comuni sciagure”. Metilde morì a Milano a trentacinque anni appena, il 1° maggio del 1825, in casa della cugina Francesca Milesi Traversi. Ugo Foscolo ne parlerà come della “gentile e più cara donna”. Stendhal annoterà in Souvenirs d’égotisme: “Quell’anima angelica, chiusa in sì bel corpo, lasciò la vita nel 1825”.

“Io, il tango e le poesie. Sono pigro, ma senza la lotta non c’è vita”

Quando parlai a Papa Francesco di realizzare una docu-serie sul rapporto tra anziani e giovani, la sua risposta fu un sì frutto di riflessione. Gli proposi un paio di ampie conversazioni su quattro temi: amore, sogni, lotta e lavoro. Il filo conduttore sarebbe stato il rapporto tra anziani e giovani alla luce dell’esperienza di donne e uomini over 70 provenienti da ogni parte del mondo che si sarebbero raccontati davanti all’obiettivo di giovani filmmaker under 30. Il progetto sarebbe stato ispirato al volume La Saggezza del tempo, il libro scritto di Papa Francesco frutto di una ampia conversazione che ho avuto con lui nel 2017, edito in Italia da Marsilio. Erano storie di eroi della vita quotidiana. Come in precedenza, avevo contattato Martin Scorsese, il quale mi ha dato immediatamente la sua disponibilità a raccontarsi davanti alla figlia.

Il Papa accettò con una precisa indicazione: la sua presenza sarebbe stata non quella da “protagonista”, ma da accompagnatore di questi dialoghi. In questo senso avrebbe offerto i suoi commenti e la sua esperienza. Avevo discusso del progetto con la regista Simona Ercolani perché a produrre la serie fosse Stand By Me. Nacque spontaneo il desiderio di offrirla a network globale come Netflix. Così è nata Stories of a Generation con Papa Francesco, una docu-serie in 4 episodi che sarà disponibile su Netflix da sabato 25 dicembre in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo. Stories of a Generation è un racconto corale sulla terza età come tesoro da riscoprire, narrato da un punto di vista inedito e originale: gli occhi delle giovani generazioni. In un anno di riprese sono state portate sullo schermo 18 storie provenienti dai 5 continenti. Propongo qui un estratto dalle conversazioni che ho avuto con il Pontefice.

Santo Padre, cos’è l’amore?

Mi viene da chiederti: “Cos’è l’aria?”. Sì, potrei dirti che l’amore è un sentimento, l’elettricità che attraversa un organismo simile alla sensazione di due poli che si attraggono. Quando Scorsese venne con sua moglie, lei al tempo era malata e lui era la “grande star”, eppure disse: “È lei che mi interessa. È più importante di tutti i miei successi, di tutti i miei film e delle cose che ho fatto. Questa donna è tutto ciò di cui mi importa”. Era una priorità. Non era sulla difensiva riguardo la malattia della moglie. Mostrò il suo amore. Questo merita più premi dei suoi film, che sono eccezionali.

Le piace il tango?

Sì.

L’ha mai ballato?

Sì. Guidare ed essere guidati, avere la responsabilità di prendersi cura dell’altro. Sono tutte immagini di tenerezza, no? Il tango è una melodia che evoca nostalgia e speranza. Nel gennaio del 1970, venni a sapere che la grande cantante argentina di tango Azucena Maizani era molto malata. Ero prete da un mese. Ma dato che eravamo stati vicini di casa, le diedi io l’estrema unzione. Il suo pezzo migliore, perché lei componeva anche, era quello chiamato Però yo sé. Succedono molte cose, “Ma io lo so”. Il tango ti dà sempre speranza per il futuro.

Che significa essere padre? Che cos’è l’amore paterno?

Sei un padre quando ti prendi cura di tuo figlio, delle sofferenze di tuo figlio. Soffri e poi vai avanti. Non diventi padre perché hai generato un figlio. No, questo non ti fa padre. Biologicamente sì. Il vero padre è chi trasmette la propria esistenza al figlio, non chi lo genera. Nella vita ciò che ti rende padre è il tuo impegno verso l’esistenza, i limiti, la grandezza, lo sviluppo di questa persona a cui hai dato la vita e che hai visto crescere.

Santo Padre, parliamo dei sogni.

A una persona che non è capace di sognare manca qualcosa. È una persona asettica. Va bene nelle sale operatorie, ma non nella vita.

Quando era giovane, che sogni aveva?

Ero un sognatore. È vero. Scrivevo anche poesie, ma poi le strappavo perché non mi piacevano. Era così che davo voce ai miei sogni. Abbiamo tutti bisogno di sognare. Consciamente o inconsciamente. A chi è incapace di sognare manca la poesia nella vita. Gli mancano la vita, i sorrisi e il luccichio negli occhi. Gli anziani, se sono sognatori, possono portarvi verso orizzonti che non potete immaginare. Dobbiamo mostrare la strada ai giovani, affinché trovino la strada per i propri sogni.

Gli anziani sognano?

Gli anziani devono sognare. Se una persona anziana non sogna e non va avanti, il suo cuore si indurisce. Ecco perché devono essere incoraggiati a sognare. E chi può incoraggiarli? I giovani. Perciò è importante che i giovani si avvicinino agli anziani. Così possono reagire e proseguire. I sogni di una persona anziana sono la ricchezza della vita che vi offrono e vi regalano. È la ricchezza di tutta quella vita che vi offrono come un’esperienza di vita. Il sogno dei giovani è la profezia, cioè la capacità di andare avanti. Ecco perché è importante far incontrare i giovani e gli anziani. L’anziano che dona i propri sogni e il giovane che li riceve e può tramandarli, in vista del futuro.

Per realizzare i sogni a volte è necessario lottare. Quindi la vita di ogni persona deve sempre essere una lotta?

Se mi chiedi se sono uno che lotta, ti rispondo: “No, sono pigro”. Per natura sono più pigro che combattivo. Se posso evitare una lotta, la evito. Anche a volte, quando devo fare giustizia, che è un atto violento. Punire una persona. Lo trovo molto difficile, perché è una lotta. Dove sembra che ci siano vincitori e vinti. La lotta è una realtà. Non mi piace, ma non può esserci vita senza lotta. È una cosa che è dentro di noi. Per sopravvivere, dobbiamo lottare. Non sei mai troppo vecchio per lottare per ciò che ti porti dentro e per cui hai rischiato la vita, se hai un cuore e un’anima aperti.

Parliamo del lavoro.

Il lavoro è ciò che ci dà dignità. Senza lavoro, non c’è dignità. Posso raccontare un aneddoto personale? Quando finii le elementari, a 12 anni, mio padre mi disse: “Avrai un mese di vacanza, e lo passerai con i tuoi nonni. Ma gli altri due mesi lavorerai”. E mi mandò alla fabbrica di calzini di un suo amico. Non mi mandò a lavorare in un ufficio, ma a fare le pulizie. Vissi l’esperienza del lavoro come fonte di dignità senza rendermi conto che mi stava dando dignità.

Che cos’è per lei la creatività?

Creatività. C’è una parola di origine greca che la descrive molto bene: poesia. La creatività è poesia. Pensiamo che il poeta sia uno che sogna a occhi aperti. Un creatore è un poeta. Quando crei qualcosa, sei un poeta. Stai facendo poesia. Non c’è dignità senza creatività. La dignità ci porta a creare. Non ci si automatizza nel lavoro. L’automatismo è pericoloso. Ecco perché un buon lavoratore è sempre creativo. Trasforma se stesso o se stessa in un dono per gli altri.

Sicari on demand: “Assoldati sul darkweb per sfregiare l’ex”

È il 23 febbraio 2021 quando Der Spiegel ci contatta: i reporter del settimanale tedesco stanno lavorando a una inchiesta sui sicari del web e hanno bisogno di un aiuto. Hanno una pista che porta in Italia. Tommaso, milanese di quarant’anni, manager di una grande società, sta cercando di assoldare un killer del “cartello di Sinaloa”: Tommaso desidera sfregiare il volto della sua ex ragazza e paralizzarla per sempre. Ma non vuole che muoia: “Voglio che sia paralizzata alla schiena e che resti su una sedia a rotelle”, scrive in una delle chat sul darweb analizzate dal Fatto. Vuole anche che sia sfregiata con l’acido. “Ma per favore – scrive agli amministratori del sito in una delle conversazioni criptate – assicurati che i suoi occhi non vengano colpiti”.

Le truffe d’amore online sono ormai diventate un grande classico, ma il fenomeno più pericoloso è quello dei siti che promettono di realizzare su commissione omicidi e qualsiasi altro tipo di violenza. Secondo l’hacker britannico Chris Monteiro – esperto di sicurezza e ricercatore di darknet che racconta quello che trova nella rete oscura di Internet sul suo blog pirate.london – da gennaio 2018 a settembre 2019 su questi siti sarebbero stati commissionati quasi 300 omicidi. Sapere quanti di questi assassinii vengano poi effettivamente realizzati è un mistero. Più facile fermare i clienti. Da qui è nata la collaborazione tra il nostro giornale e il settimanale tedesco: dall’esigenza di fermare Tommaso prima che fosse troppo tardi, e di raccontare i meccanismi di questo nuovo mercato della morte.

Tutto avviene sulla darknet, la cosiddetta parte nascosta di Internet, irraggiungibile tramite motori di ricerca come Google. Per entrare c’è bisogno di un browser Tor, che permette agli utenti di navigare in modo anonimo. È così che si trovano le offerte di questi servizi: oscillano tra poche migliaia e 50mila euro, a seconda dell’esperienza dell’assassino e della complessità dell’attacco (i prezzi più alti sono richiesti per uccidere ex militari).

Già qualche anno fa, in un’inchiesta sul Fatto avevamo identificato una decina di siti che offrivano questo servizio per 10mila o 12mila euro. Avevamo contattato un sicario che chiedeva il pagamento in bitcoin: metà prima, metà dopo l’omicidio. Dall’Europol ci avevano spiegato che era difficilissimo verificare se questi tipi di servizi siano delle truffe o meno. Ciò che invece si può fare è identificare coloro che commissionano.

Oggi sono rimaste due pagine di sicari sulla darknet: “Internet Killers” e “Il Cartello di Sinaloa”. A quest’ultimo si è rivolto Tommaso.

Le chat analizzate da Il Fatto e Der Spiegel suggeriscono che il manager ha pagato 10mila euro in bitcoin. “È importante che l’hitman faccia il lavoro il prima possibile. Ho pagato quasi due settimane fa. Non posso più aspettare”, si spazientisce dopo un po’ Tommaso. La conversazione avviene con un intermediario, non con l’assassino: “Ok, glielo farò sapere”, replica l’amministratore del sito. “Hai degli altri bitcoin? Forse farà il lavoro più velocemente se gli dico che puoi pagare di più”. Tommaso rifiuta e chiede un contatto diretto col sicario. “È Mlefebvre – gli rispondono – e viene dalla Francia, ma lavora in tutta Europa, Italia compresa”. Tommaso inizia a chattare anche con Mlefebvre: “Ho avuto qualche problema a viaggiare a causa delle norme Covid”, spiega il presunto killer. “Penso che sarò pronto in due o tre giorni”. L’amministratore rilancia: “Ho un killer molto esperto in Italia che ora ha tempo. Ma costa di più, circa 0,4 bitcoin”. A quel punto Tommaso prende tempo: “Va bene, aspettiamo una settimana. Se l’altro sicario non farà il lavoro, passeremo all’italiano”.

Le cose si mettono male. Mlefebvre scrive ancora: “Mi dispiace, ho rubato un’auto e sono stato quasi arrestato, la mia carta d’identità falsa era sospetta. Mi dispiace di aver incasinato il lavoro”. Si passa quindi a un nuovo hitman, il manager italiano paga i 0,4 bitcoin in più. E qui tutto si ferma.

Der Spiegel informa le autorità investigative tedesche, che si attivano con quelle italiane, a nostra volta allertate. La donna viene immediatamente avvertita della minaccia dalla polizia. Il cliente, Tommaso, è stato arrestato il 6 aprile scorso. Gli investigatori della Polizia postale – che ha lavorato al caso insieme all’Europol – hanno trovato prova delle transazioni finanziarie, la squadra specializzata in reati di violenza di genere ha ricostruito la vita della vittima designata, le sue frequentazioni e i rapporti sentimentali. Quando hanno avvertita la donna, raccontano i poliziotti che le hanno parlato, ha detto che “non se lo aspettava. Ci ha fornito un elenco di nomi tra cui quello del manager, ma anche altri. Poi a posteriori, dalla lettura di alcuni messaggi, alcuni sono in effetti risultati sospetti”. Lui le inviava fiori, le chiedeva di incontrarsi, anche se non stavano più insieme. Mentre pianificava un finto incidente.

Impossibile dire se quella del Cartello di Sinaloa fosse una truffa ai danni di Tommaso o se il killer avrebbe agito davvero, ma la domanda rimane: quanti omicidi commissionati sulla darknet vengono realmente commessi?

Secondo Chris Monteiro, che aveva definito una frode “Besa Mafia” – uno dei siti più conosciuti della nicchia dei sicari della darknet che si descrive come parte della mafia albanese – nella maggior parte dei casi di tratterebbe di una “trappola” per scucire soldi a mandanti di omicidi che in realtà non avvengono mai. Qualche tempo fa Monteiro si era messo sulla tracce di un utente che si fa chiamare Yura. Dopo poco viene pubblicato in rete un registro di migliaia di messaggi e dettagli utente. Si dice provengano dall’area clienti del sito web di Besa Mafia. Contiene centinaia di ordini di omicidio specifici e i pagamenti Bitcoin destinati a loro. Monteiro contatta la polizia di Londra. Gli dicono che il materiale è inutilizzabile, perché potrebbe essere stato ottenuto illegalmente. Poche settimane dopo, la casa di Monteiro verrà perquisita e lui finirà sospettato di coinvolgimento in omicidio.

Oggi Monteiro è stato prosciolto da ogni accusa, e continua a osservare con attenzione il mondo dei sicari sul darkweb (dei 282 omicidi commissionati sulla darknet tra gennaio 2018 e settembre 2019, 15 riguarderebbero l’Italia, dice) e crede che Yura sia ancora nel giro.

Dall’analisi della scrittura in inglese, che presenta errori simili che si ripetono nel tempo, Monteiro si è infatti convinto che ci sia proprio Yura dietro “Il cartello di Sinaloa”, il sito su cui l’ex manager italiano Tommaso G. all’inizio di quest’anno stava organizzando di far sfregiare con l’acido l’ex fidanzata. Yura, che per come scrive in inglese sembrerebbe essere originario dell’Est Europa, per Monteiro è sempre lo stesso. L’utente che lo ha contattato tre anni fa, con l’obiettivo di fargli cancellare una recensione in cui definiva “Besa Mafia” una frode. Solo un caso?

Milano, Ferrero lascia il carcere. Andrà ai domiciliari a Roma

Lascia il carceredi San Vittore, a Milano, e va ai domiciliari l’ex presidente della Sampdoria, Massimo Ferrero, che era stato arrestato per bancarotta nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Paola. Lo ha deciso il Tribunale del riesame di Catanzaro, accogliendo la richiesta dei difensori. L’imprenditore andrà agli arresti domiciliari nella sua casa a Roma. “Esprimiamo grande soddisfazione per il lavoro svolto che permetterà al presidente di trascorrere il Natale a casa”, sottolinea l’avvocato Luca Ponti, che difende Ferrero insieme alla collega Pina Tenga.

Covid-19, morto Pepe: ex M5s, convinto no vax

La polmoniteinterstiziale bilaterale causata dal Covid non gli ha dato scampo. È morto Bartolomeo Pepe, ex senatore del Movimento 5 Stelle, poi passato al gruppo Grandi Autonomie e libertà: era ricoverato da alcuni giorni nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Cotugno di Napoli e nelle ultime 24 ore le sue condizioni erano precipitate. Il politico campano, 59 anni, convinto no-vax, si era espresso più volte su posizioni contrarie alle vaccinazioni anti-Covid. “Apprendo con dispiacere della morte dell’ex senatore Bartolomeo Pepe. Alla sua famiglia e ai suoi cari le condoglianze del nostro gruppo parlamentare”, ha dichiarato Davide Crippa, capogruppo del Movimento 5 Stelle alla Camera dei deputati.

I pm del caso David Rossi: “Il carabiniere che ci accusa non era con noi nella stanza”

Una lettera indirizzata al presidente della Camera, Roberto Fico, per contestare la Commissione d’inchiesta sulla morte di David Rossi, accusata di “indebita prevenzione” sulla pista alternativa al suicidio, e di rilasciare troppe interviste (l’attacco è ai commissari più attivi della commissione, Luca Migliorino, M5S, e Walter Rizzetto, Fdi) che violerebbero “se non il segreto, i comuni principi di riservatezza” e “contribuendo a “riflessi mediatici” che legittimerebbero “dubbi sulla responsabilità” dei pm di Siena. La missiva, inoltre, critica l’aver scelto tra i consulenti il giornalista Davide Vecchi e l’avvocato Massimo Rossi, considerati da chi scrive incompatibili. A scrivere è l’avvocato Andrea Vernazza, peso massimo del foro di Genova (da poco è stato nominato difensore di Ciro Grillo, figlio del fondatore del M5S), che rappresenta i pm senesi che incrociarono il caso Rossi, e in particolare Nicola Marini, oggi reggente della Procura toscana: “Nessuno potrebbe tollerare una tale pressione – dice al Fatto dal suo studio – chi ha fatto certe dichiarazioni ne risponderà nelle sedi dovute”.

Il riferimento è alle parole del colonnello Pasquale Aglieco, ex comandante provinciale di Siena, che ha esposto un quadro di inquinamento probatorio attribuito a Marini e ai due colleghi Aldo Natalini e Antonino Nastasi: “Alcune operazioni descritte, come svuotare il cestino sulla scrivania o rispondere alla Santanché dal telefono di Rossi, sono inaudite, sembrano cose uscite da Topolino. Aglieco non è mai stato in quella stanza, il sopralluogo lo ha effettuato la polizia. Non sta a me dire cosa lo spinga a fare certe affermazioni. I miei clienti sono tranquilli perché convinti di aver agito correttamente”. Dichiarazioni che preludono a una resa dei conti: i magistrati compariranno davanti alla commissione a febbraio.

Il presidente della Camera Roberto Fico ha liquidato l’iniziativa con un tweet: “Le prerogative e i poteri delle commissioni parlamentari d’inchiesta sono definiti dalla Costituzione. La commissione sta lavorando su una vicenda molto delicata su cui è fondamentale far luce”. Così, invece, il presidente della commissione d’inchiesta, Pierantonio Zanettin: “L’attività fin qui svolta è stata ed è pienamente rispettosa delle finalità dell’inchiesta stabilite con delibera della Camera, nonché dei canoni di legalità e legittimità”. Rizzetto, da parte sua, non esclude che la Commissione possa convocare lo stesso avvocato Vernazza.