“Per noi è una seconda mamma”

“Siamo sconvolti, per noi la professoressa Dell’Aria è una seconda mamma”. Gli studenti della II E della scuola più chiacchierata d’Italia non riescono a farsene una ragione: la loro docente d’Italiano all’istituto tecnico industriale Vittorio Emanuele III di Palermo è stata sospesa per non aver vigilato sull’accostamento in un loro elaborato tra il vicepremier Matteo Salvini e Benito Mussolini. Si sentono in colpa, insomma, perché con quella che era una loro tesi personale, durante il giorno della memoria, per la loro insegnante è scattato il provvedimento disciplinare che fino al 27 maggio le impedirà di essere in aula. “Non ci aspettavamo un epilogo così enorme, ma rifaremmo tutto allo stesso modo”, dicono. E ripensano ancora all’interrogazione che hanno dovuto subire dai funzionari scolastici per quei fatti avvenuti il 27 gennaio scorso, quando in una slide hanno accostato le leggi razziali del 1938 volute dal regime fascista al decreto sicurezza che porta la firma del capo della Lega.

“Si trattava di uno di quei seminari che svolgiamo regolarmente e da molti anni – racconta Domenico Federico, rappresentante degli studenti – trattando temi di attualità e storici sotto un punto di vista oggettivo e mai soggettivo. Spesso poi si innesca il dibattito. Noi come studenti, insieme al corpo docente, abbiamo saputo della situazione solo pochi giorni fa e abbiamo subito inviato dei messaggi di solidarietà. La docente infatti ha preferito tenere tutto sotto silenzio in questi mesi. Come studenti del Vittorio Emanuele III ci mobiliteremo nei prossimi giorni perché vogliamo fare le cose per bene”.

Ieri intanto la città non ha mancato di far sentire la propria voce a sostegno di Rosa Maria Dell’Aria con un doppio presidio – alla prefettura convocato dai centri sociali e quello dei sindacati al Vittorio Emanuele III – che ha visto la partecipazione di centinaia di persone tra docenti, personale Ata e cittadini comuni. Mancava però il dirigente scolastico Carmelo Ciringione, insediatosi al Vittorio Emanuele III proprio quest’anno. Un’assenza che pesa, la sua. E che è stata notata a denti stretti anche dai colleghi insegnanti.

Tra coloro che invece hanno scelto di esserci, a fianco della docente palermitana, ci sono anche i suoi ex studenti. Come Salvo Finazzo, attualmente studente universitario e con un passato da rappresentante degli studenti: “Questa vicenda mi sconvolge, è la mossa politica più grossolana che possa ricordare”.

“Io non sono contro Salvini – dice Giovanna Mendola, che insegna alla scuola elementare Monti Iblei – ma sono per difendere la libertà. Non ha importanza che qualcuno abbia la mia stessa idea ma è importante che tutti possano esprimerla. Qui invece si vogliono imbavagliare i docenti, e questo non lo possiamo permettere, a costo di subire ulteriori provvedimenti disciplinari”.

C’è chi poi ha voluto ricordare il caso di Lavinia Flavia Cassaro, la docente siciliana che è stata licenziata (dopo l’annuncio in diretta tv dell’ex premier Matteo Renzi) per aver inveito contro gli agenti dell’antisommossa a un presidio contro la presenza del gruppo neofascista di Casapound a Torino.

Prof sospesa, pure Salvini mette Bussetti all’angolo

In questa storia c’è chi se ne lava le mani, il ministro dell’Istruzione Bussetti, chi tira per la giacchetta addirittura il capo dello Stato, il provveditore di Palermo Anello, chi a parole scarica collega ministro e provveditore tendendo la mano alla professoressa sospesa, il vicepremier Salvini, e nel frattempo la Digos entra a scuola per parlare con i docenti.

Così la sospensione di quindici giorni inflitta alla professoressa Rosa Maria Dell’Aria, per un elaborato dei suoi studenti che paragonava le leggi razziali di Mussolini al decreto sicurezza di Salvini, è diventata un caso nazionale. Il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti si maschera da Ponzio Pilato: “Questa è una scelta autonoma dell’Ufficio scolastico provinciale di Palermo. Se non vedo le carte non posso giudicare. Non commento perché gli uffici dei procedimenti disciplinari dei provveditorati agiscono secondo la norma che prevede in questo caso sanzioni, ma ho solamente chiesto le carte per dare un’occhiata”. Certo l’Ufficio provinciale non avrebbe mandato gli ispettori se non fosse arrivato l’input dal Ministero dell’Istruzione dopo la segnalazione, rivendicata, del sottosegretario ai Beni culturali Lucia Borgonzoni per assecondare la richiesta di provvedimenti di Claudio Perconte, autore della rivista di estrema destra, vicina a Casapound, il Primato nazionale.

E il provveditore Marco Anello si giustifica così: “Ho agito secondo giustizia e coscienza, conosco a menadito le carte e ho svolto il mio lavoro con serietà. Noi burocrati parliamo solo con le carte e io ho le carte a posto, ma una cosa la voglio dire: il decreto sicurezza è controfirmato dal capo dello Stato Sergio Mattarella”. Infatti, l’avvocato Alessandro Luna, figlio e legale della prof, ricorda che durante i colloqui sostenuti durante l’ispezione questo riferimento ad un’offesa nei confronti del Colle è stato più volte tirato in ballo. L’elaborato degli studenti non può essere considerato frutto di libera espressione del pensiero – si legge nella “sentenza” di sanzione del provveditorato – “perché darebbe un’interpretazione distorta della verità storiografica”.

Ma a un certo punto della giornata di ieri il colpo di scena arriva dal Viminale, perché evidentemente Matteo Salvini si accorge della piega che sta prendendo la situazione, con solidarietà espressa alla docente in modo trasversale dai mondi della scuola, della cultura e della politica. Il capo della Lega, almeno a parole, scavalca a sinistra il ministro dell’Istruzione, affermando: “Giovedì sarò a Palermo per onorare la memoria di Giovanni Falcone e dei caduti della strage di Capaci. Sarò felice di incontrare la professoressa Dell’Aria, che mi auguro possa tornare quanto prima al suo lavoro a scuola. E gli studenti del Vittorio Emanuele III per spiegare la distanza abissale tra le mie idee e le leggi razziali del periodo fascista”. E la professoressa da Palermo subito risponde: “Non ho alcuna remora a incontrare il ministro Salvini se può essere un’occasione di dialogo e di confronto che ben venga. Sono disposta ad ascoltarlo insieme con i miei studenti”. La docente è pronta ad accogliere anche l’invito in Senato a lei e ai suoi studenti della II E inviato dalle senatrici a vita Liliana Segre ed Elena Cattaneo. “Un invito importante – afferma la prof Dell’Aria – per un ulteriore momento di confronto”. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti chiede al governo “di attivarsi per l’immediato reintegro dell’insegnante”.

Intanto due giorni fa all’Istituto Industriale Vittorio Emanuele III si sono presentati addirittura due agenti della Digos per parlare con gli insegnanti; “al fine di riscontrare la veridicità di quanto riportato dalla stampa”, spiega la Questura con una nota. E il questore Renato Cortese precisa: “Non c’è nessuna delega ad indagare, è stato solo per riscontrare quanto emerso sugli organi di informazione, ma per noi non solo finisce qui, non è neppure mai cominciata”.

Preside fa campagna a scuola, il candidato Decaro la censura

“Cari genitori vi scrivo per rendervi partecipi della mia candidatura alla carica di consigliere comunale di Bari nella lista Sud al Centro: non pretendo necessariamente il vostro voto, ma chiedo con convinzione un aiuto per riuscire a realizzare questo obiettivo”. Firmato Rosangela Colucci. Preside della scuola media Amedeo d’Aosta di Bari, dell’istituto alberghiero Perotti, e ora candidata nella lista sponsorizzata da Anita Maurodinoia, a sostegno del sindaco Antonio Decaro. La lettera viene distribuita in classe agli alunni della scuola media D’Aosta e tra i genitori scoppia la protesta. In molti segnalano l’arrivo del santino elettorale direttamente al sindaco Decaro, che interviene con un comunicato stampa repentino. “Mi giunge notizia che una dirigente scolastica abbia diffuso nelle aule di una scuola barese una lettera da consegnare ai genitori degli alunni, corredata da materiale elettorale – scrive Decaro – Sono sconcertato da questo assurdo comportamento. Sono sconcertato da cittadino, da padre e da rappresentante delle istituzioni. La scuola è sacra. Nessuno deve azzardarsi a utilizzarla per scopi diversi dall’educazione dei nostri figli. Lo dice la legge, ma soprattutto lo impone il senso civico”.

La sottosegretaria e i vecchi arnesi: il nuovo corso leghista nel Casertano

Il rinnovamento della classe dirigente del Sud promesso dagli uomini di Salvini non passa per Grazzanise, paesino di 7.000 abitanti in provincia di Caserta sciolto tre volte per camorra. Negli anni 90 è successo due volte e all’epoca era sindaco il geometra Marcello Vaio, consigliere comunale da circa 40 anni e attuale vicesindaco salviniano di un’anomala giunta con sindaco Pd e assessori di Lega e Fdi.

Vaio ieri sera ha fatto gli onori di casa all’inaugurazione di una sede del Carroccio in via Diaz. A tagliare il nastro la sottosegretaria al Mezzogiorno Pina Castiello. In un frizzante tailleur azzurro, la deputata di Afragola era accompagnata dallo spin doctor della Lega in Campania, l’ex senatore Pdl Vincenzo Nespoli. Il 3 maggio la Cassazione ha “salvato” Nespoli da una condanna a cinque anni per la bancarotta dell’istituto di vigilanza La Gazzella, disponendo un nuovo appello. E ora eccolo qui, in completo scuro mentre apre la porta dell’auto alla sottosegretaria e poi si accomoda sul sedile posteriore, verso altri appuntamenti elettorali. Nel circolo, a spiluccare ottime mozzarelle casertane, restano Vaio, qualche decina di militanti leghisti e il sindaco Pd Vito Gravante: “Sono qui solo per un saluto istituzionale a un’esponente del governo”.

A Grazzanise i dem si sono spaccati. Teresa Cerchiello, pupilla della turborenziana Pina Picierno, fu sfiduciata dalla presidenza del consiglio comunale perché ritenuta “fuori linea” e al suo posto è stato eletto Benito Palazzo, uno che sul profilo Facebook ha lo stemma del Carroccio e il fotomontaggio di un selfie con Salvini. “Mi fecero fuori – sostiene Cerchiello – perché mi opposi alla nomina del dirigente dell’ufficio tecnico Maurizio Malena”. L’architetto finì nel 2016 ai domiciliari nell’inchiesta sulle infiltrazioni del clan dei Casalesi nell’appaltone dell’“Emissario Grazzanise”, il maxi collettore fognario. “Non è così – replica Gravante – Cerchiello è stata sfiduciata perché non sapeva svolgere il suo ruolo con imparzialità, come ha confermato la sentenza del Tar a cui lei aveva fatto ricorso. Malena? È un dipendente e ha i suoi diritti. E noi ci siamo costituiti parte civile nei processi”. A gennaio la Dda di Napoli ha chiesto il rinvio a giudizio di Malena per concorso esterno in associazione camorristica. “Adesso sta all’area amministrativa” precisa Vaio, che ha la delega all’Urbanistica, gentile a rispondere alle domande (“ho subito diversi furti in casa, vero, ed il decreto sicurezza mi piace, ma non prenderò un’arma”) fino a quando non si tocca l’argomento degli scioglimenti per camorra. E quel passaggio del decreto firmato nel 1998 dal ministro dell’Interno Giorgio Napolitano sulla “accentuata propensione dell’amministrazione a deviazioni dal sistema di legalità, che la rende particolarmente vulnerabile alle pressioni esercitate dall’esterno”, quelle del clan Cantiello. “Io non sono mai stato coinvolto, entri e si mangi una mozzarella”, quasi grida Vaio. Un vicesindaco di quegli anni, Antonio Papa, fu rimosso per una sfilza di denunce ed è stato recentemente arrestato per concorso in omicidio a Follonica. I giornali toscani ne hanno ricordato i trascorsi politici a Grazzanise. Sono soddisfazioni.

Legnano, il comitato d’affari salvato dai vertici di Lega e FI

Un mese di telefonate e discorsi captati: dal 20 marzo al 21 aprile quando le intercettazioni disposte dalla Procura di Busto Arsizio vengono sospese. A Legnano saranno trenta giorni caldissimi. Nelle rete tessuta dai magistrati finiscono i livelli di vertice della Lega e di Forza Italia. Ma la grande animazione scuote soprattutto il vicepremier Matteo Salvini e il segretario nazionale Paolo Grimoldi. A partire dal 26 marzo, infatti, il rischio di un Comune commissariato si fa concretissimo. Diventerà reale dopo gli arresti di giovedì. In quei giorni, però, si tratta di un’eventualità che la Lega non può permettersi e non solo perché Legnano è la città di Alberto da Giussano e del Carroccio. In vista ci sono le elezioni europee e le Comunali. Perdere la città per Salvini sarebbe un disastro. E così iniziano le pressioni ai più alti livelli per salvare Giambattista Fratus e il suo “criminale” comitato d’affari. Oltre ai leghisti sarebbero stati sentiti anche referenti nazionali di Forza Italia, il deputato Graziano Musella e l’ex ministro Mariastella Gelmini. Di queste intercettazioni che riguardano anche parlamentari ci sono solo i brogliacci non depositati. La Procura valuterà la rilevanza penale del pacchetto.

L’ipotesi di reato è abuso d’ufficio. Non ci sono indagati. Dai nove faldoni dell’indagine “Piazza pulita” emerge chiaramente che la candidatura di Fratus nel 2017 è stata paracadutata dai vertici nazionali della Lega e in particolare da Grimoldi. Il Carroccio ha ottenuto un successo schiacciante, eppure Fratus fin da subito risulta “sottomesso” alle direttive del vicesindaco Maurizio Cozzi e della “zarina”, l’assessore Chiara Lazzarini, figure influenti di Forza Italia. Un dato che il vertice federale della Lega sottoscrive. Tanto da essere a conoscenza dell’accordo politico per il ballottaggio, dietro al quale si cela una presunta corruzione elettorale con Fratus che incassa i voti della lista di Luciano Guidi e in cambio nomina nel Cda della partecipata Ala la figlia Martina, brigando addirittura per farle avere uno stipendio (“la mazzetta”, dicono i magistrati) non previsto dall’incarico. Informata da Martina Guidi dell’assenza del compenso, Lazzarini esclama: “Non esiste proprio questa cosa”.

Ieri in Procura si è usata la frase “grande fermento” per descrivere quell’ultimo mese di intercettazioni. Le telefonate giorno dopo giorno salgono in modo “ascensionale” scalando prima i livelli regionali e poi quelli nazionali. L’ordine è: salvare Fratus. Le prime scosse iniziano la sera del 26 marzo, quando 12 consiglieri comunali rassegnano le dimissioni. Due sono della Lega. Un terzo consigliere del Carroccio si era dimesso qualche giorno prima. Il 27 mattina è ufficiale. Eppure il Consiglio comunale si raduna lo stesso. L’articolo 9 dello Statuto del Comune lo vieta. Alla fine sarà una fumata nera. Su 25 consiglieri 13 si sono dimessi. Il dato è comunicato al prefetto di Milano per il commissariamento immediato. In Prefettura, inspiegabilmente, si prende tempo. Fratus scrive al difensore civico della Regione Lombardia e segnala l’assenza dei consiglieri. La lettera sarà però oggetto di denuncia in Procura per falso in atto pubblico nei confronti del sindaco e coordinatore provinciale della Lega. “I consiglieri infatti – ci spiega chi ha fatto la denuncia – non erano assenti ma dimessi”. Il difensore civico è Carlo Lio, ex sindaco di Cinisello Balsamo, ex assessore regionale, da sempre in quota Forza italia e molto vicino al cerchio magico di Nino Jurassic Park Caianiello, l’uomo chiave del presunto giro di tangenti scoperchiato il 7 maggio dalla Dda di Milano, nonché “abituale frequentatore dei momenti conviviali presso il ristorante da Berti di Milano” con l’ex sottosegretario all’Expo Fabio Altitonante e vecchie glorie di Tangentopoli come Loris Zaffra. Annotano i carabinieri di Monza: “Caianiello tenta di collocare Zaffra in alcuni uffici della Regione Lombardia, affinché possa occuparsi di lobby politica nell’interesse dell’intero gruppo. Si capisce come Caianiello intenda collocarlo nell’ufficio di Carlo Lio”. A questo punto Lio, che non è indagato a Milano, nomina un commissario ad acta che procede con le surroghe (sostituzioni) dei dimissionari. Ne farà tre, quelle di maggioranza. E lo farà, spiega una fonte del Comune di Legnano, senza passare dal Consiglio come vuole la legge. “E comunque – dice la fonte politica – non poteva farlo visto che i consiglieri erano dimessi”.

Così Fratus e il comitato d’affari vengono salvati fino agli arresti di giovedì. E su questo la Procura valuta l’abuso d’ufficio: chi lo ha fatto e chi vi ha concorso. Ecco perché quelle intercettazioni diventano fondamentali. Il rischio concreto è che le indagini possano travalicare i confini locali, ancor più di quella milanese.

L’Anac in 24 pagine seppellisce lo Sblocca cantieri

Norme confuse, rischi sul subappalto e poca semplificazione. Così l’Anac di Raffaele Cantone – che già aveva espresso critiche nei giorni scorsi – ha bollinato, con un report di 24 pagine, il decreto legge Sblocca cantieri che martedì prossimo tornerà nelle Commissioni riunite Ambiente e Lavori pubblici del Senato per essere votato. Uno degli aspetti ritenuti più problematici dall’Autorità Anticorruzione è quello dei subappalti: l’innalzamento della quota di affidamento dal 30% al 50%, che riduce i limiti per il subappalto. Non solo. “L’eliminazione del divieto di subappalto in favore del concorrente, potrebbe stimolare accordi collusivi in fase di gara”. Per quanto riguarda le modifiche alla disciplina degli appalti sotto-soglia, per l’Anac “rischiano di non centrare gli obiettivi di snellimento e semplificazione”. Ora è possibile fare una procedura negoziata per gli appalti tra 40mila e 1 milione di euro: lo Sblocca cantieri, invece, riduce la procedura negoziata a 40mila-200mila euro, con soli tre preventivi, mentre al di sopra prevede gare aperte a chiunque. In tema di riduzione dei controlli, si introduce la facoltà di nominare commissari straordinari non prevedendo i criteri con cui individuare gli interventi prioritari.

Caso Fazio e RaiCom: il cda di viale Mazzini all’attacco di Foa

Un cda Rai molto duro, a tratti burrascoso, dove si sono alzati i toni, ma ancora senza nuove nomine. I nomi per alcune caselle di corporate sarebbero già decisi, ma Fabrizio Salini non li ha comunicati ieri, lo farà forse oggi e comunque entro lunedì. Si è partiti subito col botto, con i consiglieri Laganà e Borioni che, tramite lettera, hanno chiesto a Marcello Foa di dimettersi dalla presidenza di RaiCom. “Stai esponendo l’azienda a una polemica inopportuna e a un danno d’immagine”, è stato detto al presidente Rai, che però al momento non ha intenzione di dimettersi dalla consociata. Altro punto di forte attrito è stato il confronto “serrato” con Igor De Biasio per la sua intervista in cui ha parlato di taglio dei dipendenti. Gli è stato fatto notare che non è materia su cui debba esprimersi un consigliere, che tra l’altro “ha votato un piano industriale in cui non si parla assolutamente di esuberi”. Infine, la questione Fazio-De Santis, con la relazione di Salini sulla vicenda: “È possibile che un direttore tagli puntate a un programma così importante senza avvisare l’ad? È un precedente pericoloso”. A fine consiglio, espressioni tese e volti tirati. E nomine rinviate.

Tria vuole un nuovo dipartimento al Mef sugli investimenti contro Chigi e i partiti

Il Consiglio dei ministri, nonostante le liti sul decreto Sicurezza, si dovrà fare e probabilmente proprio lunedì sera. Dal 20 maggio, infatti, non ci sarà più il Ragioniere generale dello Stato: Daniele Franco scade domenica e dal giorno successivo torna in Banca d’Italia come membro del Direttorio e vicedirettore.

C’è pure un’altra nomina da fare in settimana: il comandante della Guardia di Finanza Giorgio Toschi, nome a suo tempo fortemente voluto da Matteo Renzi, termina il suo incarico venerdì. Su quest’ultima casella un accordo non c’è: la Lega sponsorizza il generale Giuseppe Zafarana, comandante dell’interregionale dell’Italia centrale; il Movimento 5 Stelle invece supporta il numero 2 della Gdf, il generale Edoardo Valente, che pare abbia il sostegno anche di Giovanni Tria, che per legge è il ministro proponente e sotto la cui egida opera la Finanza.

Il titolare dell’Economia aspetta con ansia il Consiglio di lunedì anche per un altro motivo. No, non per il nome del nuovo Ragioniere generale, che è già deciso: sarà Biagio Mazzotta, finora vice di Franco, graditissimo al Quirinale (che controfirma) e per anni guardiano dell’ortodossia brussellese al Tesoro. Sconfitta dunque Alessandra Dal Verme, anche lei in Ragioneria, che stavolta sperava di farcela.

La dottoressa Dal Verme – di nobili origini e ben sposata con un altrettanto nobile Gentiloni Silveri, precisamente il fratello dell’ex presidente del Consiglio – è appunto la fonte dell’ansia del ministro. Al prossimo Consiglio, infatti, Tria proverà il colpaccio sotto la forma assai umile di una modifica regolamentare all’assetto del suo ministero: l’idea è istituire un nuovo dipartimento all’interno del Tesoro, il quinto, da affidare proprio a quella che in molti a via XX settembre chiamano, e non con simpatia, “la contessa”.

Questa non è, come potrebbe sembrare, una riorganizzazione interna più o meno necessaria: il nuovo dipartimento – intitolato alle “politiche di investimento” – sarebbe un enorme centro di potere interno e anche un contropotere di rilievo rispetto ad organismi analoghi al ministero dello Sviluppo economico e, soprattutto, a Palazzo Chigi, dove da due mesi operano Investitalia e Strategia Italia, una cabina di regia sugli investimenti prevista dalla legge di Bilancio e istituita solo a marzo (già in autunno Tria, che la pretendeva al Tesoro, fu sconfitto e Conte si prese tutto). Insomma, in vista della manovra d’autunno – ammesso che il governo sia ancora lì – il ministro tecnico afferente al partito del Quirinale, il terzo contraente del contratto di governo, prova a ritagliare per sé e la sua dirigente di fiducia un ruolo più pesante rispetto ai colleghi “politici”.

Tecnicamente parlando, il nuovo dipartimento sarebbe una sorta di spin off dell’ispettorato della Ragioneria generale guidato finora dalla Del Verme e dedicato proprio agli investimenti pubblici: in sostanza Mazzotta, appena nominato, si vedrebbe tolto un bel pezzo del suo regno a favore della collega. Il nuovo organismo, per di più, finirebbe per unire alle competenze sottratte alla Ragioneria quelle dedicate al Cipe (Comitato interministeriale di politica economica) e agli investimenti immobiliari e mobiliari: una cosa enorme.

Per giustificare la cosa, Tria probabilmente ricorderà i quasi 140 miliardi di spesa in conto capitale stanziati in un quindicennio e bloccati da burocrazia e carenza di programmazione: secondo una stima dell’Ance, per fare qualche esempio, si tratta di 60 miliardi del Fondo investimenti e sviluppo infrastrutturale, 27 del Fondo sviluppo e coesione, 15 di fondi strutturali europei, 8 miliardi per i terremoti e via così.

Tutto vero, ma è difficile che Lega e 5 Stelle – ammesso che si accorgano della manovra – gli facciano creare un nuovo organismo che finisca per aumentare ulteriormente il potere del suo ministero a loro danno.

“La Lega ha forzato sulla sicurezza solo per fini elettorali”

Dal telefono rumori di autostrada: “Ho fatto una visita senza preavviso al tribunale di Livorno, poi una serie di appuntamenti elettorali”. Ma il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, il numero due del M5S, trova comunque il tempo di parlare. Anche del rapporto tra politici e magistrati, in giorni di continui arresti: “Al di là delle singole inchieste c’è un’emergenza sulla corruzione. E io terrò la magistratura al riparo dagli attacchi della politica”.

Partiamo dal dl sicurezza-bis di Salvini. In pre-consiglio i tecnici del suo ministero hanno avanzato forti critiche al testo, partendo dalla multa per chi soccorra i migranti in mare.

I tecnici dei vari ministeri si stanno confrontando tranquillamente con quelli del Viminale. Se c’è l’obiettivo di approvare norme che erano state dimenticate nel precedente decreto, è comprensibile. Ciò che pare strano è che nel testo non ci sia nulla sui rimpatri, che pure sono un tema fondamentale ora.

Sul decreto c’è uno scontro.

Semplicemente, fino a oggi avevamo sempre parlato delle norme prima di portarle in pre-Consiglio. Invece ora si è partiti dalla valutazione tecnica.

Cioè non vi parlate più?

Personalmente fino a due mesi fa avevo un’ottima interlocuzione con la ministra della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno, con cui abbiamo collaborato per molte leggi. Ma nelle ultime settimane ho avuto rari contatti con la Lega.

La multa è eticamente raccapricciante oltre che incostituzionale, no?

Il tema tecnico raramente può essere slegato dal tema etico, quindi dalla costituzionalità della norma. Se chi viola le regole viene sanzionato non ci trovo nulla di male. Ma la valutazione va fatta sul testo che arriverà in Consiglio dei ministri, e per ora siamo alle bozze. Sarebbe stato meglio parlarne prima.

Salvini ha forzato?

Sì, anche perché continua a ripetere che vogliamo dire no al decreto, con un’enfasi immotivata. E il mio sospetto è che questa sia una forzatura a fini elettorali.

“Se lunedì in Cdm non approviamo il decreto mi arrabbio”, ha detto.

L’umore del ministro dell’Interno non è un mio primo problema.

I tempi per approvarlo lunedì non paiono esserci.

Su questo non dico nulla. Posso ricordare quanto ho fatto sulla riforma del processo penale e di quello civile, che per me è il modo giusto di lavorare. Ovvero ho messo attorno a un tavolo magistrati e avvocati prima di scrivere i testi.

Ai vertici sulle riforme Salvini e i leghisti non si sono presentati.

Sono saltati all’ultimo minuto, e non per colpa mia. Ne parleremo dopo il 26 maggio.

Dalla Lega filtra che la riforma penale non va bene, perché contiene proposte “troppo a favore delle procure”, come scrive il Giornale.

Nei tavoli di lavoro c’erano quattro associazioni di avvocati e una in rappresentanza dei magistrati, che solo una ne hanno. Dopodiché i leghisti non sanno nulla del testo. Fare critiche prima di leggerlo dà l’idea che si voglia alzare un polverone sulla giustizia.

Cosa contiene la riforma penale?

Punterà a eliminare i tempi morti del processo e a far conoscere a tutte le parti la tempistica. Appena possibile, il giudice dovrà indicare il calendario delle udienze.

Salvini ripete che, se non si fanno le riforme, non potrà scattare lo stop della prescrizione.

Ho dato la mia parola ai cittadini. E a un certo punto si tirerà una linea: chi c’è c’è.

Luigi Di Maio ha parlato di una “nuova Tangentopoli”. Una chiara accusa anche alla Lega, no?

Non abbiamo mai detto che i leghisti sono corrotti. Ma chiediamo a tutti i partiti una risposta immediata di fronte ai casi di corruzione.

Se condannato, il sottosegretario Rixi dovrà andarsene?

Non mi esprimo su singoli casi.

È tornato lo scontro tra politica e magistratura?

L’epoca degli attacchi alla giustizia di Berlusconi e del finto centrosinistra non deve tornare.

Il conflitto di interessi è un tema attuale o un annuncio elettorale?

Se elimini il conflitto fai sì che chi ricopre cariche non possa trovarsi di fronte alla tentazione di scegliere tra i suoi interessi e quelli dei cittadini.

Tra le proposte c’è quella di lasciare per due anni senza stipendio i magistrati che si siano candidati. Non è punitiva?

Il tema delle porte girevoli tra magistratura e politica è molto delicato e va affrontato dal Parlamento. Ma per il Movimento il magistrato che entra in politica non può tornare a fare il giudice o il pm che per definizione devono essere terzi e non di parte.

Dove sono finite le norme contro gli evasori?

Le norme contro la grande evasione arriveranno. Abbasseremo le soglie di punibilità e servono strumenti più efficaci per il recupero di soldi e beni.

E lo Sblocca-cantieri è efficace? Per molti favorirà le tangenti, ed è assai critico anche l’Anac di Cantone.

Si vuole solo semplificare la procedura per gli appalti sotto i 200mila euro. Detto questo, tutte le norme sono migliorabili. E con l’Anac c’è un ottimo e costante dialogo.

Salvini attacca Conte e i pm. Governo in stallo sui decreti

La campagna elettorale per le Europee volge al termine e, com’è normale, si fa più virulenta. Bizzarramente, però, la dialettica più dura resta quella tra Lega e M5S che sono, a minuti alterni, maggioranza e opposizione. Ora il campo di battaglia è il prossimo Consiglio dei ministri: dovrebbe tenersi lunedì perché ci sono nomine da fare (vedi in basso), ma su quel che si dovrà approvare e in che forma è il caos. Pure Giuseppe Conte è finito nel tritacarne della maggioranza/opposizione: Matteo Salvini gli manda a dire che “la nave Sea Watch non arriverà in Italia: la risposta è no e non c’è presidente del Consiglio o ministro 5 Stelle che tenga”.

Conte, in realtà, sulla Sea Watch 3 – che incrocia al largo delle coste italiane, diffidata dalla Finanza ad avvicinarsi (ieri sbarcati i minori coi genitori) – non aveva detto nulla (“mi informerò”), ma Salvini, che oggi riunisce a Milano i suoi sostenitori, ha bisogno di mostrarsi duro su un tema mobilitante. E infatti attacca anche i magistrati: “Il Tribunale dei ministri di Catania ieri ha ascoltato per ore il mio capo di gabinetto e l’ex capo del dipartimento Immigrazione, come se fossero soggetti pericolosi, per il blocco di un barcone: state usando male i soldi pubblici”. Salvini s’infervora: “Processatemi, non convocate i miei collaboratori, vengo anche domani”. Forse ha dimenticato che disse più o meno le stesse cose per il caso “Diciotti”, salvo poi farsi salvare dal Senato. Fuori dalle righe, comunque, pure il commento di Luigi Di Maio: quella di Salvini è “una prepotenza che ricorda Renzi e la prepotenza aumenta, soprattutto sui migranti, quando è in difficoltà con gli scandali di corruzione”. In serata si sveglia anche l’ufficio stampa di Conte: “Toni sbagliati. Il premier non da e non ha dato ordini, ma come previsto dalla Carta coordina l’attività di tutti i ministri, nessuno escluso”.

Se la battaglia navale è sulla Sea Watch e i migranti rimasti a bordo, il fronte a terra coincide con Palazzo Chigi. Le riunioni del pre-Consiglio dei ministri sono diventate una sorta di guerriglia gialloverde sui decreti: i gialli sparano su quello “Sicurezza bis” leghista, i verdi sul testo per la “Famiglia” grillino; le intese sull’autonomia con Veneto e Lombardia aleggiano nella stanza come l’arma “fine del mondo”. Anche qui nessuna sorpresa: i due decreti sono due “bandierine” elettorali.

Quello sulla sicurezza bis è una sorta di summa delle ossessioni salviniane – immigrazione e ordine pubblico – scritto stavolta senza alcun riguardo per Costituzione e diritto internazionale: i tecnici dei ministeri interessati (Giustizia, Infrastrutture e altri) hanno fatto notare certe previsioni confuse quando non a evidente rischio bocciatura della Consulta (dalla multa per chi soccorre migranti in mare alla pretesa del Viminale di avere esclusiva potestà su quanto avviene in mare e nei porti; a non dire delle norme punitive su cortei e manifestazioni). Un’accozzaglia di norme che piace poco pure al Colle, anche se in serata “fonti del Viminale” vantavano la soluzione dei “nodi tecnici”: “Il testo quindi dovrà (nota bene, ndr) essere esaminato lunedì”.

Sul decreto “Famiglia” la situazione è rovesciata. Esiste, è vero, un ministero ad hoc guidato dal leghista Lorenzo Fontana, ma il testo è stato partorito da Luigi Di Maio coi soldi avanzati dal reddito di cittadinanza: quel testo, però, finisce per mettere in fuori gioco gli emendamenti – sullo stesso tema e con la stessa copertura – presentati da Fontana al decreto Crescita in Senato. Sulla bandierina Di Maio arriva a minacciare la crisi: “Spero non ci siano rotture, ma se mi si impedisce, come ministro del Lavoro, di fare un decreto sulla famiglia…”. La vendetta di Fontana arriva a mezzo Ragioneria dello Stato: le coperture non sono certe, i risparmi del Rdc vanno calcolati a consuntivo, ma Di Maio vuole spendere già quest’anno. Finirà col solito “sì salvo intese”? Probabile.