Nicola Zingaretti fugge dal confronto con Matteo Salvini. Domenica scorsa il leader leghista era ospite a Raitre da Lucia Annunziata. A fine trasmissione, dopo un’intervista serrata, la giornalista dice: “Ora non verrà più da me…?”. “Verrei anche domenica prossima”, la risposta del ministro. “Domenica (domani, ndr) c’è Zingaretti, sarebbe disponibile a un confronto con lui?”. “Certamente”. Nello stesso giorno, però, la Rai fa un comunicato per avvertire che il confronto Salvini-Zingaretti a Mezz’ora in più non si può fare per questioni di par condicio. Nelle ultime domeniche, infatti, sono stati intervistati i diversi leader e un faccia a faccia non previsto metterebbe il programma fuori dalle norme. Qualche concorrente, però, deve aver seguito il botta e risposta tra la conduttrice e il vicepremier. Così durante la settimana dalle trasmissioni de La7 sono partiti diversi inviti a Salvini e Zingaretti per verificare la disponibilità a un confronto prima del voto. Ma, a quanto si apprende da alcune fonti, il leader del Pd ha risposto di no. A conferma della voce secondo cui il fratello del commissario Montalbano non sia esattamente un cuor di leone.
De Vito resta in galera: “Barattò il suo ruolo per interessi privati”
Marcello De Vito non era un semplice “taglia nastri”, come lo definisce il suo amico, l’avvocato Marcello Mezzacapo, ma un “amico potente” che godeva “di notevole credito nel circuito del M5S e nel Comune di Roma”. È la descrizione fatta dai giudici del tribunale del Riesame di Roma, nelle motivazioni che confermano il carcere per l’ex presidente dell’Assemblea capitolina, arrestato a marzo scorso per corruzione. Secondo l’accusa, l’ex pentastellato “barattò” il suo ruolo istituzione “intervenendo su assessori e funzionari amministrativi” in favore degli imprenditori Pierluigi e Claudio Toti, Luca Parnasi per lo stadio della Roma, e Giuseppe Statuto, diventando un “interlocutore privilegiato” in Campidoglio. In cambio avrebbe fatto ottenere consulenze allo studio di Mezzacapo (il denaro in parte poi finiva in una società che per i pm era condivisa tra i due), creando insieme all’avvocato, accusato di corruzione e traffico di influenze illecite, “un vero e proprio sodalizio”, con un “totale spregio per la funzione pubblica”, che per ottenere “il massimo profitto” sarebbe stato “asservito agli interessi dei privati”.
Euroimbarazzanti: la lista elettorale più lunga è di chi ha guai con la Giustizia
Puntuale come le urne, riecco l’elenco dei candidati che hanno pendenze con la Giustizia. Premessa: i casi sono molto diversi tra loro. Ci sono ipotesi pesanti, come la richiesta di 5 anni di reclusione per il forzista Salvatore Cicu, a processo con altri 16 imputati per il presunto riciclaggio di denaro della camorra nella costruzione di un villaggio turistico a Villasimius, in Sardegna (reato peraltro destinato alla prescrizione). Poi ci sono indagini su reati minori: Massimo Casanova, patron del Papeete e amico di Matteo Salvini, ha ricevuto una visita della Guardia di finanza nelle tenute di Bosco Isola sul Gargano ed è indagato per abuso edilizio. Oppure la capolista del M5S Maria Angela Danzi, indagata per “invasione di terreni pubblici” (ovvero una recinzione abusiva). O ancora Daniela Santanché, condannata per una manifestazione non autorizzata. Resta un fatto: anche stavolta i partiti non hanno potuto o voluto presentare delle liste al di sopra di ogni possibile contestazione.
Campione di questa speciale classifica – non si può dire che sia una sorpresa – è Forza Italia: oltre a Silvio Berlusconi che torna a candidarsi da capolista in tutte le circoscrizioni (escluso il Centro Italia) – con un curriculum giudiziario praticamente interminabile – gli azzurri schierano altri 9 tra indagati, imputati e condannati. Secondi i Fratelli d’Italia. La campagna iper patriottica del partito di Giorgia Meloni evidentemente non ha battuto sul tasto delle liste pulite: ben sette candidati hanno avuto o hanno guai con le procure. Completa il podio la Lega: tra i candidati di Matteo Salvini (oltre al già citato Casanova) ci sono Angelo Attaguile, indagato per voto di scambio, Cinzia Bonfrisco che è stata graziata a più riprese dai suoi colleghi senatori in Giunta e Angelo Ciocca, condannato in primo grado a 1 anno e 6 mesi per le “spese pazze” in Lombardia. Ci sarebbe lo stesso Capitano, indagato con Conte, Di Maio e Toninelli per i migranti della nave Sea Watch. Quella di Salvini però è una candidatura farlocca: non ha intenzione di andare a Bruxelles. Nei prossimi giorni, la lista degli altri impresentabili: per motivi non penali ma politici.
Angelo Attaguile – Lega
Primo salviniano di Sicilia, Attaguile è indagato per voto di scambio in un’inchiesta che coinvolge quasi cento politici dell’isola
Cinzia Bonfrisco – Lega
Indagata per associazione a delinquere e corruzione, graziata dalla Giunta del Senato che ha negato l’autorizzazione al processo
Angelo Ciocca – Lega
È l’eurodeputato che calpestò il discorso di Moscovici: condannato in I grado nella “Rimborsopoli” della Lombardia a 1 anno e 6 mesi
Massimo Casanova – Lega
Il proprietario del Papeete Beach di Milano Marittima, amico del cuore di Salvini, è indagato per presunti abusi edilizi nella sua tenuta di Bosco Isola a Lesina (Foggia)
Alfredo Antoniozzi – Fratelli d’Italia
Ha una condanna contabile da 80mila euro nel processo alla Corte dei Conti sull’Affittopoli di Roma. I magistrati hanno stimato un danno erariale a favore della Romeo Gestioni Spa
Luca Cannata – Fratelli d’Italia
Il sindaco di Avola è indagato dalla Procura di Siracusa per falso ideologico: avrebbe sollecitato dei funzionari regionali per il rilascio di un’autorizzazione per un’opera pubblica
Raffaele Fitto – Fratelli d’Italia
Plurinquisito e finora assolto, rimane a suo carico una delle accuse contestategli nell’inchiesta su La Fiorita: la Cassazione ha riaperto il processo per peculato
Remo Sernagiotto – Fratelli d’Italia
A processo con l’accusa di corruzione e truffa aggravata in un’inchiesta sui finanziamenti pubblici incassati per un centro per portatori di handicap
Stefano Maullu – Fratelli d’Italia
Anche lui, come Ciocca, condannato a 1 anno e 6 mesi in I grado al processo sulle “spese pazze” con soldi pubblici dei consiglieri della Regione Lombardia
Daniela Santanchè – Fratelli d’Italia
Condannata nel 2009 per una manifestazione “anti burqa” non autorizzata a Milano. La pena di 4 giorni di arresto fu convertita in 1.100 euro di ammenda
Fabrizio Ghera – Fratelli d’Italia
Definito “incorruttibile” dal ras Salvatore Buzzi, Ghera è indagato con altre 19 persone (tra cui l’ex sindaco Alemanno) nell’inchiesta sull’ippodromo di Capannelle
Mario Malossini – Forza italia
La carriera dell’ex Dc è stata macchiata ai tempi di Tangentopoli da una condanna per ricettazione e poi da un’accusa di corruzione, con il reato che però fu estinto dalla prescrizione
Lara Comi – Forza Italia
È la più fresca indagata di questa lista: a suo carico si ipotizza il reato di finanziamento illecito a causa di decine di migliaia di euro ricevute dal presidente di Confindustria Lombardia Bonometti
Pietro Tatarella – Forza Italia
Già “giovane promessa” di Forza Italia, è stato arrestato il 7 maggio con l’accusa di corruzione nella maxi-inchiesta sugli appalti della Regione Lombardia condotta dalla Dda di Milano
Salvatore Cicu – Forza Italia
È a processo per presunto riciclaggio di denaro della camorra attraverso la costruzione di un villaggio turistico a Villasimius, in Sardegna. Il pm ha chiesto 5 anni, ma incombe la prescrizione
Saverio Romano – Forza Italia
Assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, è di nuovo indagato per rivelazione di segreto d’ufficio per la presunta compravendita di sentenze nel Consiglio di Stato
Aldo Patriciello – Forza Italia
Il campione di preferenze molisano è uscito indenne da una lunga sfilza di processi, ma ha una condanna definitiva per finanziamento illecito, seguita da riabilitazione del tribunale
Giovanni Paolo Bernini – Forza Italia
Prosciolto dall’accusa di corruzione elettorale nel processo Aemilia, è stato condannato in primo grado a 2 anni e 6 mesi nel processo Easy Money per tentata concussione e corruzione aggravata
Lorenzo Cesa – Forza Italia
Arrestato nel ‘93 e condannato nel 2001 a 3 anni e 3 mesi per corruzione (per un giro di tangenti milionarie). Nel 2003 la condanna fu annullata per un vizio tecnico, scattò infine la prescrizione
Giuseppe Milazzo – Forza Italia
Il capogruppo di Forza Italia nell’Assemblea regionale siciliana a gennaio è stato iscritto nel registro degli indagati in un’inchiesta sull’Istituto autonomo case popolari di Palermo.
Maria Angela Danzi – M5S
La capolista dei 5Stelle nel collegio Nord Ovest è indagata dalla procura di Brindisi per “invasione di terreni pubblici”. Il Movimento ha confermato la sua candidatura: “L’indagine è irrilevante”
I Legnanesi
C’era una volta la Lega Nord di Umberto Bossi, che sguainava lo spadone (duro anche quello) di Alberto da Giussano: l’eroe che, secondo la leggenda, nel 1176 avrebbe guidato le truppe padane alla vittoria di Legnano contro Federico Barbarossa. Un personaggio mai esistito, come del resto il Dio Po, la Padania, le Cinque Macroregioni, la Devolution, il Federalismo, la Secessione e le altre supercazzole che tennero in vita per tre lustri un partito in origine fondamentale per scardinare il regime della Prima Repubblica, sostenere il pool Mani Pulite e rovesciare il primo governo B., ma irrimediabilmente defunto con l’ingresso dell’Italia nell’euro (1998) e il ritorno di Bossi a Canossa, anzi ad Arcore. L’epitaffio al Carroccio, quello vero, lo scrissero B. e il fido Agostino Saccà, direttore di Raifiction, in una telefonata intercettata nel 2007, a proposito di certe squinzie da sistemare e della mitica serie Barbarossa da produrre a maggior gloria di quel che restava dell’Umberto.
Berlusconi: “C’è Bossi che mi sta facendo una testa tanta con questo cavolo di fiction di Barbarossa”. Saccà: “Barbarossa è a posto per quello che riguarda Rai Fiction, cioè in qualunque momento…”. B.: “Allora mi fai una cortesia? Puoi chiamare la loro soldatessa che hanno dentro il consiglio (Giovanna Bianchi Clerici, membro del Cda Rai in quota Lega, ndr)?”. Saccà: “Sì”. B.: “Dicendogli testualmente che io t’ho chiamato… e tu mi hai dato garanzia che è a posto”. Saccà: “Sì, sì, tutto a posto”. B.: “Chiamala, perchè ieri sera…”. Saccà: “La chiamo subito, Presidente!”. B.: “…a cena con lei e con Bossi, Bossi mi ha detto: ma insomma… di qui di là… Ecco, se tu potevi fare ‘sta roba… mi faresti una cortesia”. Saccà: “Allora diciamola tutta, presidente… Intanto il signor regista ha fatto un errore madornale, perché un mese fa ha dato… un’intervista alla Padania, dicendo che aveva parlato con Bossi e che era… tutto a posto… bla bla bla”. B: “Chi è il regista?”. Saccà: “Martinelli, che è un bravo regista, però è uno stupido, un ingenuo, un cretino proprio”. B.: “Uhm”. Saccà: “Un cretino, mi ha messo in una condizione molto difficile, perché mi ha scritto un articolo sul Corriere della sera… e poi, non contento, Aldo Grasso sul Magazine del Corriere scrive: il potente Saccà fa quello che gli dice Berlusconi e basta… Che poi non è vero… Lei è l’unica persona che non mi ha chiesto mai niente!”. Il Barbarossa andò poi in onda a spese nostre: una delle più strepitose catastrofi della televisione mondiale. Ora, 12 anni dopo, la Lega non si chiama più Nord. Salvini ha di peggio da fare che inseguire i fantasmi della storia.
E Legnano passa dallo spadone alle manette con l’arresto del sindaco leghista Gianbattista Fratus e di due assessori forzisti. Fratus è ai domiciliari grazie all’indagine “Piazza pulita”, astutamente attivata da lui stesso con un esposto contro il clientelismo del centrosinistra. Esposto quantomai azzeccato, solo che il clientelismo, ammesso e non concesso che lo praticassero gli altri, l’hanno proseguito lui e i suoi: nomine pilotate per gli amici nelle società comunali, bandi truccati ad personam (“Si individua la persona, poi si fa la gara, finito!”), voti barattati al ballottaggio in cambio dell’assunzione della figlia dell’aspirante sindaco trombato Luciano Guidi, centrista del partito della Lorenzin alleato del Pd. L’assessora FI Chiara Lazzarini, intercettata e ora in manette, riporta le parole del sindaco: “Ha detto ‘io negli accordi elettorali che ho preso con Guidi per il ballottaggio gli avevo detto che se mi appoggiava…’, accordi che aveva preso a livello regionale con Paolo Alli, Graziano Musella e Salvini, avrebbe dato un posto alla Guidi”. Chissà se qualcuno chiederà a Salvini che tipo di accordi aveva stretto con Fratus, Alli (già braccio destro di Formigoni, ora alleato del Pd come Guidi) e Musella (FI) per sistemare la figlia d’arte.
La storia fa il paio con quella di un altro fresco arrestato nella nuova Tangentopoli lombarda: il forzista Alessandro Petrone, uomo dell’altro neoarrestato Gioachino Caianiello, detto “Jurassic Park”, ras forzista di Varese malgrado una condanna definitiva per concussione (o forse proprio per questa). Il sindaco leghista di Gallarate, Andrea Cassani, non ha alcuna intenzione di nominare Petrone (cioè Caianiello) assessore all’Urbanistica. E per quattro mesi si tiene la delega. Poi ne parla col sottosegretario Giancarlo Giorgetti. Che – racconta lui stesso – gli raccomanda di mettere chi ha deciso FI, senza discutere. E così deve capitolare, fino alla retata del 7 maggio, con gli arresti di Petrone&Caianiello. Dopo questi e altri quadretti di buongoverno leghista nel mitico Nord (c’è pure il governatore Fontana che sistemò l’ex socio di studio per “risarcirlo” della trombatura, dunque viene difeso a spada tratta dai pidini Sala e De Luca, che han fatto pure di peggio), sarebbe interessante conoscere il parere di Salvini e Giorgetti. Ma il secondo non parla, mentre il primo si limita a dire: “Mi fido dei miei”. E ci mancherebbe pure, se è vero che ad alcune nomine incriminate partecipava pure lui. Solo, non si comprende a che titolo chieda la testa della Raggi (assolta), della governatrice pd umbra Marini (inquisita, ma non per corruzione), come in passato di ministri centrosinistri non indagati ma in conflitto d’interessi (Cancellieri, Guidi, Alfano, Boschi). Siccome il Corriere, in stereo coi giornali di destra, riattacca col garantismo e il giustizialismo, lo scontro magistratura-politica, la giustizia a orologeria e persino il complotto di un imprecisato “grande vecchio della sinistra d’intesa con Berlino e Bruxelles per dividere Di Maio da Salvini”, segnaliamo un’altra categoria finora poco approfondita: i giustizialisti col culo degli altri.
Milano, omicidio all’Idroscalo: indaga la polizia ma è il Caso che risolve il mistero
Alla fine, il pm De Zan – dal fegato stroncato da etti di zampetti di cinghiale cucinati con amore, panna acida, aglio e cipollone dalla sua collaboratrice domestica esotica – sentenzia: “Sua Maestà il Caso ha dato una fregatura proprio a lei, che ne è il suo massimo estimatore”. Di fronte a lui c’è il capo della Omicidi di Milano, che comincia questa inchiesta laddove si era appartato pochi minuti prima con Marcella, la sua amante veterinaria con marito comandante di aerei. Ossia, all’Idroscalo, presso il fitto Laghetto delle Vergini. Il poliziotto (nel romanzo non viene mai chiamato per nome) va via con Marcella e poco dopo ritorna allertato con modi bruschi dal suo vice Testa: “C’è un cadavere”.
Una giovane donna è stata uccisa con un colpo di bisturi al cuore. Lavora come ferrista in camera operatoria alla clinica Esculapius, di proprietà di Roberto Bellomo, fascinoso cardiochirurgo che eccelle in varie attività: dalle conquiste femminile, benché sposato, alla vela. Da qui in poi è una serrata evoluzione di coincidenze e altri omicidi. È il caso che governa i destini umani, secondo la lezione di Dürrenmatt, e Nino Marino, scrittore e sceneggiatore di tanti film (da Salce a Pupi Avati) combina questa regola con una scrittura secca e ironica. È un giallo sul giallo, se così si può dire, e Marino costruisce una trama in cui si smonta finanche un’altra regola: gli indizi contro Bellomo sono talmente evidenti che il capo della Omicidi, scettico, finisce per essere come un topolino che non trova la via d’uscita. Notevoli, poi, due monologhi: l’ex miss tedesca diventata suor Benedetta e la “racchia” (così nel romanzo) albanese amante di Bellomo che raccontano la loro vita.
Estasi, solo l’ironia riesce a salvare l’autobiografia erotica del fumettista
Poche cose sono più difficili da raccontare del sesso. E poche sono così noiose una volta su pagina. Il successo di Cinquanta sfumature di grigio è l’eccezione, non la regola. Il celebre fumettista francese Jean-Luis Tripp, dopo il grande successo della serie di volumi Magasin Général, si è quindi preso un certo rischio con Estasi, tradotto ora in Italia da Magic Press. Perché non solo è un fumetto tutto dedicato al sesso, ma anche una autobiografia erotica: il protagonista è lo stesso Tripp che alterna il racconto della scoperta della sua vocazione da fumettista a quella per i sessi (entrambi, soprattutto quello femminile). Visto l’argomento, tutti i problemi dell’autofiction, moda assai diffusa soprattutto tra gli scrittori maschi, si presentano all’ennesima potenza: il narratore è onesto col lettore? Che senso ha una pretesa di autenticità nel racconto di una storia inevitabilmente parziale e filtrata? E se non ci fosse la pruriginosa curiosità di entrare nelle mutande di un famoso fumettista, avrebbe un qualche interesse questa sequela di amplessi più o meno riusciti? Di queste trappole narrative è consapevole anche Tripp che nella premessa sottolinea che tutti gli episodi sono veri, ma che i partner sessuali non sono riconoscibili, che ha fuso insieme due ragazze diverse o ha attribuito episodi accaduti con la stessa persona a diversi partner narrativi. A differenza di altri autori che in questo esercizio autoerotico si sono presi così sul serio da risultare imbarazzati e imbarazzanti – da Domenico Starnone a Francesco Piccolo – Tripp usa un tratto morbido e spiritoso, un montaggio mai morboso e molta ironia. Alcuni eccessi ginecologici sono ridondanti, ma in compenso ci sono tavole di grande creatività perfino poetiche (neanche Milo Manara aveva mai disegnato un orgasmo).
Kounellis l’anti-Pop made in Italy
Questa storia inizia a Roma alla fine degli anni 50 con la superficie di un lenzuolo cosparsa di lettere e segnali: accanto c’è un giovane artista arrivato dalla Grecia. E’ Jannis Kounellis (Pireo 1936-Roma 2017) a cui la Fondazione Prada dedica ora una grande mostra, a cura di Germano Celant, nella sede di Venezia. Kounellis, artista profondamente italiano, nasce con una lingua e un alfabeto diversi, che lo ancorano a una civiltà, classica e mediterranea al tempo stesso. Il fatto che i primi quadri presentino le lettere del suo nuovo alfabeto è significativo: le considera per il loro suono, tanto è vero che nelle prime presentazioni quelle lettere le canta. Ma quelle lettere Kounellis ha detto anche di considerarle come le pietre con le quali in Grecia i contadini segnano i confini. A Roma all’alba degli anni 60 gli artisti perseguono il grado zero della pittura monocroma; Kounellis, sulla radicalità dell’azzeramento imprime quei segni che già annunciano una ricostruzione. La pittura si farà poi antinaturalistica con la parola Giallo scritta in rosso (1965) e con le gigantesche rose nere. Un quadro del ’67 con tre rose bianche ha ai lati due file di gabbie di uccellini viventi.
Kounellis porta in scena direttamente la natura, passa dalla rappresentazione alla presentazione con il variopinto pappagallo, allegoria della pittura, posto davanti a una lastra di metallo che ha le dimensioni del foglio da disegno e con i cavalli che varcano la soglia di un garage (1969). Ma nel frattempo un’altra forza primigenia è entrata in campo: il fuoco. La Margherita di fuoco del ’67 è un fiore con petali di metallo da cui esce una fiamma. “Il fuoco per me equivale al pappagallo… ma nessuno dei due… avrebbero avuto senso senza il loro supporto di ferro. Sono vivi, reali, ma sono soprattutto segni di un’immagine costruita su supporto e in fin dei conti per me sono entrambi pittura”. Nel ’71 le fiammelle invadono il pavimento di una stanza. Poi, con lo spegnersi dei sogni e delle ideologie rivoluzionarie, i fuochi diventeranno fumo e la fiamma resterà imprigionata nella struttura di mattoni della ciminiera. È l’energia delle presenze vive a contrapporre l’opera di Kounellis alla Pop Art, mentre è più sottile la distinzione con la Minimal Art: le lastre di ferro delle installazioni di Kounellis hanno le misure di un letto, di un tavolo, di una porta, sono commisurate all’uomo, come quella del foglio da disegno. Questa tensione antropologica attraversa tutta l’opera. In questa Biennale abbiamo visto prevalere realtà virtuali e tecnologie digitali: a questa orizzontalità smaterializzata Kounellis opponeva fieramente la verticalità, la corporeità, la fisicità, il peso della materia.
Jannis Kounellis, Fondazione Prada, Venezia. Fino al 24.11.2019
Il Male si annida pure nella città di Dio
Immaginate di infilare la testa sottoterra, sbucare dall’altra parte, passeggiare a ‘Spoon River’ e incontrare i personaggi la cui storia verrà raccontata dalle poetiche lapidi del suo piccolo cimitero. Molto probabilmente vi ritrovereste in un minuscolo borgo agricolo del Dorset, nascosti al mondo dall’abbraccio avvolgente di una corona di complici colline. Parliamo di “Madder di Dio”: borgo fantastico. In tutti i sensi: frutto di fantasia, irreale, stravagante. E, naturalmente, straordinario. A partire dal nome: “God’s Madder”, nell’originale. Nome che, giocando con le parole – madder è anche il comparativo di mad – potrebbe indicare un Dio più arrabbiato, furioso o, addirittura, pazzo di certe concezioni. L’autore di questa piccola perla si chiama Theodore Powys: uno dei “rari scrittori metafisici del Novecento”, secondo la quarta di copertina.
Nessuno avrebbe mostrato “con la stessa infernale precisione” dove si annidi il Male. In effetti – pur trattando il tema più reale di tutti: l’eterno, irresolubile, conflitto tra Bene e Male – La gamba sinistra non è un racconto realista. Ed è vero: il modo nel quale Powys snida e disvela il Male è unico. Nella sua lingua, intrisa di atmosfere e richiami biblici, tutto è allegoria. Di ogni cosa esistono un sopra e un sotto, un dentro e un fuori, un davanti e un dietro. A noi individuarli. Un microcosmo che è l’Universo nel quale Eden e Ade convivono, intrecciati come trama e ordito, da una scrittura animata da un’ironia talmente affilata e sottile che rischiamo di ferirci a ogni frase. Bellissima la traduzione di Adriana Motti. Raramente uno specchio riflette con tanta lieve brutalità, superficiale profondità, spietata empatia. Tra colline che dormono di giorno e restano sveglie nelle “notti serene quando brillano le stelle”, si muove un’indimenticabile galleria di personaggi: Tom il matto, che corre dietro alle ragazze per “erudirle sui fatti di natura”; Nellie la monella, che non vede l’ora di farsi acciuffare da Tom; James Gillet che ha perso interesse per la terra, perché ha trovato “un’idea più terribile”: Dio; quell’Onnipotente che, secondo il reverendo Summerbee, ha “strani capricci” al punto che “la sua chiesa potrebbe farGli la predica”; Ann Patch, che alleva galline nere, odia i bambini e gode solo nello schiacciare scarafaggi; la seducente Minnie Cuddy, che ha per la testa solo gli uomini e desidera aiutarli “come può farlo una donna”. Padrone assoluto di tutto e tutti è Mew il Fattore, un impietoso Mazzarò, la cui regola di vita è accaparrarsi tutto. Per lui vivere significa “acquistare potere su tutto ciò che desidera, fino a farlo completamente suo”. La vita, solo apparentemente innocente, del piccolo borgo verrà stravolta dal crescendo di avidità e follia di Mew: un uragano che travolgerà uomini e cose, e si placherà solo dopo lo scontro finale tra il Fattore e il misterioso “vecchio Jar”, tornato, inatteso, per affrontarlo. “Sei venuto a rubare?”. “Sì, io sono il ladro: il ladro che viene di notte”. Solo una cosa il cielo di Madder restituirà: una gamba sinistra. A chi appartenga, a voi scoprirlo per sciogliere l’ultimo nodo.
Una “Cammuriata” napoletana: Sansone recita la malavita secondo Patroni Griffi
“Una rapsodia su temi della malavita napoletana di sempre, anche se oggi gli aspetti di costume sono mutati (ma non troppo)”: Giuseppe Patroni Griffi ha usato queste parole per descrivere la sua opera, Camurriata. Canti di Malavita, nel 1983. Proprio per questo motivo il testo mantiene un’attualità intramontabile, i cui tratti salienti verranno rappresentati al Ridotto del Mercadante fino al 26 maggio, su produzione del Teatro Nazionale di Napoli: la regia di Enrico Maria Lamanna riporta in scena la pièce, affidandone l’interpretazione all’attrice Lara Sansone.
Una scelta imprevista, considerando che lo spettacolo era stato originariamente scritto per un uomo: la protagonista dovrà diventare Napoli, perdere la sua sessualità, diventare una fata, un furetto, un travestito, una madre. Compito non certo facile, come spiega la stessa Sansone: “È stato un lavoro profondamente complesso, quello della ricerca di un’anima. Ha costituito anche una grande sfida per quanto riguarda il linguaggio: in scena predomina il dialetto napoletano, che spesso può sembrare feroce ma rimane profondamente poetico”.
L’attrice non nasconde l’amore e la passione che nutre per la sua terra: “Amo profondamente Napoli, nonostante sia una città spesso umiliata. Ci si concentra troppo sui suoi aspetti negativi, dimenticando le ricchezze e le meraviglie che possiede”. Tra i lati messi più in risalto dalla cronaca e dallo stesso spettacolo, infatti, rimane il fenomeno della Camorra, ma non bisogna ingigantire la sua portata: “Lo descrivono spesso come una caratteristica napoletana, ma secondo me è comune al mondo, non credo che sia più forte sul territorio. Io vedo tanti giovani che studiano, si impegnano e promuovono la cultura: per questo credo fermamente in una possibilità di rinascita per questa città”.
La potenza americana dei finti carri armati
Ben Affleck dirigerà, interpreterà e produrrà per la Universal Pictures Ghost Army, un film sceneggiato dall’autore di True Detective Nic Pizzolatto che ha preso spunto da un omonimo documentario e dal libro The Ghost Army of World War II di Rick Beyer ed Elizabeth Sayles. Al centro del racconto la vera storia di uno squadrone di giovani reclute americane provenienti da scuole d’arte, agenzie pubblicitarie e altre imprese creative che, durante la seconda guerra mondiale, fu protagonista di una missione segreta con il compito di ingannare e depistare i nazisti mostrando una potenza bellica degli Stati Uniti molto più alta di quella effettiva attraverso inganni ottici, finti carri armati gonfiabili e registrazioni di effetti sonori. Il 46enne divo californiano l’anno prossimo sarà il regista e il protagonista del remake di Testimone d’accusa che Billy Wilder portò sullo schermo nel 1957 adattando il romanzo di Agatha Christie Witness for prosecution e apparirà intanto in due film per Netflix, l’action thriller Triple Frontier e The Last Thing He Wanted con Anne Hathaway protagonista, oltre che in Torrance dove interpreta un ex giocatore di basket alcolizzato che supererà la propria dipendenza diventando allenatore di una squadra di liceali.
Set a Torino e dintorni per Il nido, un thriller/ horror realizzato da Colorado Film e Vision Distribution, diretto dall’esordiente Roberto De Feo e interpretato da Francesca Cavallin, Justin Korovkin e Ginevra Francesconi. Un irrequieto ragazzo, costretto su una sedia a rotelle, vive con una madre possessiva e con il divieto di allontanarsi in una villa isolata circondata da boschi sconvolta sempre più spesso da avvenimenti inquietanti.
L’arrivo inaspettato di una ragazza darà al protagonista la forza di cercare la verità sul mondo che lo circonda.