D’accordo che il clima è impazzito, ma un Regalo di Natale a metà maggio è decisamente fuori stagione e, di più, fuori formato, come tutti (o quasi) gli spettacoli teatrali mutuati dal cinema.
Tratto dall’omonimo film di Pupi Avati del 1986 – Coppa Volpi a Carlo Delle Piane alla Mostra di Venezia numero 43, due David di Donatello e un Nastro d’Argento –, Regalo di Natale è stato riscritto per palcoscenico da Sergio Pierattini e diretto da Marcello Cotugno: interpreti ne sono Gigio Alberti, Filippo Dini, Giovanni Esposito, Valerio Santoro e Gennaro Di Biase, nei ruoli che furono, rispettivamente, di Delle Piane, Diego Abatantuono, Alessandro Haber, Gianni Cavina e George Eastman.
Pur attualizzata, anche in modo triviale (un esempio su tutti: i “blogger teatrali asini”), la trama è la stessa: un gruppo di amici, o sedicenti tali, si ritrova alla vigilia natalizia per spennare uno sconosciuto “pollo” a poker, sebbene a finire spennati siano loro. “Il testo è stato trasposto ai giorni nostri, in cui la crisi economica globale si è abbattuta sull’Europa segnando profondamente la società – spiega il regista nelle note –. In risposta a recessione e precariato, il gioco d’azzardo vive una stagione di fulminante ascesa”. Messa così, sembrerebbe una pièce di denuncia, ma non lo è: il core business dell’allestimento restano i sentimenti, i sommersi e i truffati. Con un limite: mentre al cinema è facile fare psicologia – con la camera che lavora sul piccolo, sul dettaglio, sulle facce –, a teatro è facile fare psicologismo, con gli attori che, però, scalpitano per strappare una risata in più.
La bontà degli interpreti non si discute, tuttavia la recita è sopra le righe, e impallidisce, proprio perché sovreccitata, al confronto col film di Avati: chiacchiere, gag, gigionismi, siparietti e improvvisazioni varie, di cui ridono gli attori stessi (non i personaggi) in una gara a chi la spara più grossa. Loro si divertono, il pubblico si diverte: è un assioma, in palcoscenico, ma è pure un peccato. Il primo tempo scivola via così, in un’ora di cazzeggio non sempre organizzato; il secondo tempo rallenta sul gioco (il poker) viceversa organizzatissimo, ma noioso, fino al finale amaro quanto digestivo.
Sulla carta Cotugno stressa la metafora tra poker e teatro, gioco e rappresentazione, ma sulla scena i “due specchi” non si guardano: la truffa è truffa, non recita, e la storia dell’amicizia tradita è quasi dozzinale, non commovente. Il contorno non aiuta: a parte la drammaturgia ipersemplificata, la scena, firmata da Luigi Ferrigno, è tutta schiacciata a destra, sul tavolo da gioco, e lo spazio mal gestito.
Il pubblico, però, alla fine si lascia andare a un lungo e caloroso applauso: al di là di tutto, è questo il regalo più bello, senza aspettare Babbo Natale o una Dodicesima notte qualunque.
Roma, Teatro Quirino, fino a domenica Regalo di Natale Di Pupi Avati Regia di Marcello Cotugno