Gli Internazionali d’Italia cadono in un momento particolarmente significativo della storia del tennis. Da un lato c’è lo scontro generazionale tra i campioni di ieri/oggi e quelli di oggi/domani; dall’altro la sensazione che, forse e finalmente, l’Italtennis maschile possa tornare ai livelli dei tempi non vicinissimi di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti e Paolo Bertolucci.
La grandezza di Djokovic, Nadal e Federer è semplicemente spaventosa, come lo è la loro longevità. Più volte – anche dal sottoscritto, e di ciò chiedo scusa – sono stati dati al capolinea quando non addirittura finiti, per poi rialzarsi con quel colpo di reni che è tipico unicamente dei campioni adusi all’epica. Moschettieri ormai orfani del più brutto (ma fortissimo) dei quattro, ovvero quel Murray fermato dalla mitraglia vile degli infortuni, i tre dominano da decenni questo sport definito non per nulla “del Diavolo”.
Il pubblico romano li conosce benissimo e quest’anno ha potuto riabbracciare anche Federer. Ognuno di loro incarna un archetipo tennistico: se Roger è la Bellezza quasi eccessiva nella sua propensione al Divino “didascalico”, Nole è la Meccanica Razionalistica e Rafa l’Abnegazione Agonistica elevata a Sacrificio continuo. Le loro sfide si sono più volte consegnate all’immortalità, grazie a tutto quel talento e tutta quella diversità. È mancata la rivalità feroce che dona il surplus d’epica, quella per intendersi che portava Lauda a detestare (epperò stimare) Hunt e viceversa, ma solo perché il trio ha sempre smussato gli spigoli caratteriali. Da qui una generalizzata inclinazione al politicamente corretto e un’assenza – unica lacuna rilevante del tennis odierno – del bad boy. Del ragazzo incline a rovesciare con gusto irriverente il bicchiere di vino nella tovaglia buona: anche solo per vedere l’effetto che fa.
Non c’è il bad boy
Nessuno di questi campionissimi è McEnroe, né del resto anela a esserlo. Lo era forse il primissimo Federer, quello che sfoggiava capelli ossigenati tremebondi e spaccava racchette con nervosismo comico, ma lo svizzero ha presto barattato quella sghemba iconoclastia per una maturità a tratti robotica che gli ha fatto vincere tutto. Anzi di più.
È uno dei più grandi di sempre, e anche per questo perfino gli anni che passano sembrano avere un particolare rispetto per lui. Nadal pare invece ben più logorato, anche perché il suo tennis è assai più usurante. Forse per la prima volta non è imbattibile sulla terra rossa, almeno due set su tre. Nelle scorse settimane ha perso da Fognini, Thiem e Tsitsipas. Al Roland Garros sarà ancora favorito, perché tre set su cinque è un altro sport, ma il Djokovic visto trionfare a Madrid può eccome insidiarlo. Ed è una sfida che si potrebbe riproporre in finale a Roma, sempre che lo spagnolo non inciampi ancora e il serbo non si mostri appagato (o stanco) dopo la vittoria in terra iberica.
Se i più forti restano ancora loro, e a sancirlo è la classifica oltre che il campo, le nuove – o nuovissime – leve sono pronte per la grande vittoria. Al Foro Italico, magari. Per poi decollare in uno Slam.
C’è anzitutto Sasha Zverev, lungagnone diversamente esaltante: vincerà tanto, ma a Roma è già uscito (battuto da Matteo Berrettini) e non sta certo vivendo la sua fase migliore. Ci sono Coric, Khachanov, Medvedev, De Minaur, Auger-Aliassime (un classe 2000 palesemente predestinato), Edmund, Djere, Garin, Hurkacz, Tiafoe, Norrie, Fritz, Munar (forse lo spagnolo più futuribile), Opelka (il nuovo Isner), Humbert, Ruud, Nishioka, Jarry, Rublev. Alcuni sono fortissimi, altri forti. Quasi tutti nati dal 1995 in giù.
Quelli belli da vedere
Più grande, e più prossimo a vincere uno Slam, ecco Dominic Thiem. Austriaco, classe 1993, numero 4 al mondo: sul rosso, al suo meglio, è superiore a Federer, se la gioca con Djokovic e non parte troppo indietro rispetto a Nadal. A Roma ci proverà e a Parigi tenterà l’acuto.
Ho volutamente lasciato fuori i tre giovani più belli da vedere: Stefanos Tsitsipas, Denis Shapovalov e Nick Kyrgios. Se nel tennis bastasse il talento, sarebbero loro i nuovi dittatori. Ma il tennis è anche, e anzi soprattutto, testa. Fatica. Tigna. Non di rado gogna e calvario. Per questo Kyrgios, dotato di un genio totale e osceno, pare – deliberatamente – destinato a una carriera dissipatrice e nichilista. Se volesse vincerebbe tutto, ma si accontenta dell’orpello fine a se stesso: il servizio da sotto “alla Chang”, il tweener. L’eterno colpo circense. Artista catulliano, l’australiano è tennista da odi et amo: più la prima che la seconda, ahinoi, ma quando vuole egli sa incarnare la Meraviglia. E a quel punto ogni cosa è illuminata.
Tsitsipas è un fenomeno greco sontuosamente anacronistico, nel fisico e nei movimenti. Una scheggia bella del passato. Sembra il tennista dei Tenenbaum e sarebbe stato perfetto come rivale di Edberg (ma pure di Nastase e Gerulaitis). Il suo rovescio a una mano incanta, il suo dritto incendia. È già top ten, dei tre campioncini in erba è il più solido mentalmente e se vincerà uno Slam mi vedrete far cortei sulle note di Shine On You Crazy Diamond: siete invitati anche voi.
Infine, Shapovalov. Canadese. Mancino. Appena meno folle e circense di Kyrgios, ma ci vuol poco. Pecca in agonismo, brilla in estetica: il suo rovescio a una mano non ha nulla di terreno, provenendo palesemente da un vezzo di Zeus che ha scagliato sulla Terra una saetta per mero ghiribizzo. E quella saetta, chissà perché, è divenuta a suo modo bagaglio edonistico del biondo canadesino volante. Vi è davvero grande lode.
Il movimento italico
Se questa non è che una piccola ricognizione del tennis di oggi, che a Roma sta dando mostra di sé con un vernissage seguito come sempre ottimamente da Sky (lodi a tutti, dal mitico Paolo Bertolucci alla dolce Elena Pero), resta da dire dell’altro punto che immagino più prema da queste parti: lo stato dell’arte del “movimento”. Cioè dell’Italtennis maschile. Da quarant’anni attendiamo non poco ansimanti un top ten. Un lasso di tempo infinito, reso ogni tanto meno amaro – mentre le ragazze volavano: Schiavone, Pennetta, Vinci, Errani – dai Canè, Camporese, Caratti, Pistolesi, Pescosolido, Ocleppo, Furlan, Guadenzi, Pozzi, Sanguinetti, Luzzi, Bracciali, Starace, Seppi, Volandri, Bolelli. Non molti altri. Ebbene, e senza dirlo troppo in giro, il tennis maschile italiano non stava così bene dalla fine dei Settanta. Nessuno come noi è bravo a perdere da solo, ma un Fognini così solido e centrato non si era mai visto. Sulla terra (e non solo) è sempre stato da primi dieci, ma era il primo a fingere di non saperlo. A Montecarlo ha giganteggiato con sicumera, Nadal non era forse mai stato così vilipeso sul rosso e la top ten è a un passo. Ma non c’è solo Fabio: la semifinale di Marco Cecchinato un anno fa al Roland Garros resta una delle sorprese più inspiegabili nella storia dello sport e il ragazzo, benché umorale come pochi, ha ancora molte cartucce. C’è poi Matteo Berrettini: uno con quel servizio lì, in Italia, non si era mai visto. I miopi lo paragonano a Roddick: gli auguro di vincere quanto lo yankee, ma Matteo ha un tennis molto più vario – e dunque bello – di quello bassamente primitivo di Andy. Berrettini è piuttosto un “Camporesino”, che forse quest’anno ha trovato la sua piena maturità. Lorenzo Sonego non è un campionissimo ma ha fame e grinta, dalle retrovie spingono Musetti (campione juniores agli ultimi Australian Open), Zeppieri, Moroni e Mager.
Appare poi fortissimo Jannik Sinner, altoatesino che di peccaminoso ha giusto il cognome. Per dirla in breve, Sinner è il classe 2001 più forte del mondo. Un predestinato vero, così sicuro di sé da avere bypassato il percorso juniores (niente parabole balbettanti alla Nargiso o Quinzi) per buttarsi subito nella mischia del professionismo. Non ha neanche 18 anni e sembra un veterano. Vince challenger con leggerezza aliena e al debutto in un Masters 1000, proprio domenica al Foro Italico, ha rimontato un set e annullato financo match point al navigato Johnson. Se non si perderà per strada, pratica di cui siam maestri ma che in Val Pusteria e Val Fiscalina non è mai stata di moda, potrà divertirsi molto. E magari la Tsitsipas-Sinner Tsitsipas-Sinner che andrà in scena oggi a Roma diventerà uno dei grandi classici del bel tennis che verrà.