Il professor Cassese, quale Giove tonitruante, scaglia dalle colonne del Corriere della Sera moniti e anatemi ai governanti gialloverdi. Gli ultimi strali (pubblicati il 13 maggio) si dirigono sugli ultimi atti legislativi in virtù dei quali si procederà a migliaia di assunzioni nel pubblico impiego. Di queste, una quota importante servirà a stabilizzare precari e a mantenere in servizio dipendenti a tempo determinato, personale cioè inserito nella Pubblica amministrazione da governi che il noto docente continua a elogiare. Come dire: il ricorso al precariato come pratica elusiva del principio costituzionale del concorso pubblico va bene se usato da un governo di centrosinistra, mentre una misura organica e di rispetto della dignità dei lavoratori, anche in aderenza a regole europee, va criticata se proviene dal governo in carica.
Gli argomenti del noto giurista non sono proprio convincenti. Il primo evoca due dubbi: serviranno sul serio queste assunzioni e così non si aumenterà la spesa? In realtà la risposta è nel corpo dell’articolo, dove si ammette che l’età media dei dipendenti pubblici supera non di poco i 50 anni (il che impone un celere ricambio) e che la spesa pubblica aumenterà solo quando i nuovi assunti avranno acquisito una certa anzianità. Cioè più o meno tra una decina d’anni.
Il secondo quesito manifesta perplessità sul metodo dei rimpiazzi lineari nella logica del turn over, senza cioè calcolare prima i carichi di lavoro e le esigenze degli utenti. L’approccio del professore non è nuovo. Un tentativo di calcolo, implicito alla corretta applicazione della legge n. 241 del 1990, richiese sei anni buoni per una sua prima sistemazione. Ripetendolo, anche se modificato secondo i dettami del Giudice costituzionale emerito, potremmo arrivare intorno al 2025, giusto in tempo per assistere allo svuotamento totale, con relativa chiusura, degli uffici pubblici. Con il ricorso alla mobilità, poi, sono possibili notevoli assestamenti, così che la tematica può ritenersi tranquillamente superata.
Il terzo difetto del sistema sarebbe costituito dallo scorrimento delle graduatorie anche agli idonei, meno preparati e capaci dei vincitori di concorso. Qui il professore, dispiace constatarlo, non ha letto bene. Mentre i precedenti governi, alcuni da lui tanto lodati, consentivano il recupero di idonei di graduatorie vecchie anche di 18 anni, il governo Conte ha, con il comma 362 dell’articolo 1 della legge di Bilancio, introdotto una disciplina transitoria stringente e con un esame per saggiare la permanenza dell’idoneità per le graduatorie, risalenti al massimo a nove anni fa, e ridotto progressivamente fino al triennio la validità delle graduatorie successive al 2014. Una metodica corretta che contempera aspettative consolidate, l’esigenza di acquisire tempestivamente professionalità adeguate e di favorire in prospettiva solo l’ingresso dei migliori.
Il quarto difetto riguarda la scelta di far svolgere i concorsi secondo le ordinarie procedure, cioè quelle tuttora vigenti, senza prescrivere alcun miglioramento delle stesse. Il testo del quale il professor Cassese rimprovera al governo gialloverde la mancata modifica è quello che il medesimo, nelle vesti di ministro (del governo Ciampi), ha sottoscritto 25 anni fa (Dpr 9 maggio 1994, n. 487)! La critica contro la procedura concorsuale come prova (citiamo le parole dell’illustre accademico) “di capacità mnemonica e non come prova di qualità, di equilibrio, di esperienza, di capacità di discernimento” si rivela in realtà profonda e desolata autocritica. Il che, come concludeva spesso Giovannino Guareschi, è bello e istruttivo.