“Come i girotondi ma più popolari, creativi e… stanchi”

Ese questi focolai di contestazione a Matteo Salvini fossero i nipotini dei girotondi? “Per certi versi vedo un’assonanza: c’è una società che svolge un ruolo di supplenza rispetto a quello che dovrebbe fare la politica”, spiega il sociologo Marco Revelli. “I girotondi erano la denuncia dell’impotenza dell’opposizione a Berlusconi e l’assunzione in prima persona dell’impegno da parte di cittadini che si auto-organizzavano. Ma c’è una differenza sostanziale: mentre i girotondi avevano come protagonisti gli esponenti di quello che Paul Ginsborg definiva ‘il ceto medio riflessivo’, questa contestazione a Salvini è un fenomeno molto più popolare. Quelli dei selfie-trabocchetto non sono professori di università orfani della sinistra storica, sono giovani creativi infastiditi da una figura così rozzamente intrusiva. Più fastidio che supplenza della politica tradizionale”.

Professore, che cosa sta accadendo?

Salvini ha superato un limite. Non solo dal punto di vista del contenuto politico, e mi riferisco a un’ostentazione di disumanità verso gli ultimi divenuta esasperata. Un messaggio che era indirizzato, e in qualche misura incontrava anche, ai cattivi sentimenti delle maggioranze silenziose, ma che è diventato troppo rumoroso. Troppo radicale perché si è coniugato con forme di estremismo politico di destra che non rassicurano le maggioranze silenziose. C’è un clamoroso errore comunicativo nell’agire del ministro, che è lo sbaglio in cui incorrono tutti quelli che puntano tutto sull’esibizione di se stessi e sulla messa in scena della propria persona.

Quest’operazione inizialmente ha pagato.

Attraversiamo un periodo di forte personalizzazione della politica, quella fase però è durata poco. Esibire il proprio gigantesco io – mentre mangia la Nutella o il ragù, mentre sta a letto con la fidanzata o è in spiaggia – dopo un po’ fa l’effetto della bulimia. Renzi docet.

Ha visto il “Vinci Salvini”? Un ministro non dovrebbe mostrare rispetto per la funzione che esercita?

Quel filmato è un grande autogol: credendo ciecamente nel racconto che fa di sé, si autoelimina. Essendo un pubblico funzionario c’è un tempo delle sue giornate che dovrebbe essere dedicato alla pubblica funzione appunto. E abbiamo visto quanto poco stia al Viminale… Dopo mesi e mesi di tournée permanente la gente si stanca. Le persone si rendono conto perfettamente che gli viene corrisposto uno stipendio e lui lavora più che altro per sé. Non vedo grande differenza con quelli che timbrano il cartellino e poi fanno un secondo lavoro. Dà l’impressione di ricoprire una carica per cui non ha la professionalità necessaria e allora la butta in caciara.

Per questo i sondaggi calano?

Prima ancora che per un rimbalzo di sfiducia politica, i consensi calano perché diminuisce la tolleranza verso la persona. È come quando durante un programma una pubblicità viene trasmessa troppe volte. Io sarei molto felice se dietro questo calo ci fosse anche la consapevolezza dell’orrore dei contenuti che il ministro propone, ma non ne sono convinto.

Ha letto l’inusuale intervista del capo della polizia al Corriere della Sera? Che impressione le ha fatto?

Credo dia la misura di un disagio che diversi segmenti delle nostre istituzioni hanno mostrato di avere: dall’esercito alla polizia, dai vigili del fuoco agli alpini che gli hanno fatto presente di non mettersi il loro cappello. Infastidisce la continua usurpazione di funzioni e il continuo stressare i corpi istituzionali nel tentativo di piegarli a logiche che sono loro estranee.

Lei è torinese ed è anche figlio di un partigiano. Cosa ha pensato della vicenda di CasaPound al Salone del libro?

L’esclusione dell’editore Altaforte è stato un atto dovuto: Francesco Polacchi, prima di essere un editore, è un personaggio che ha maneggiato la spranga e praticato forme di violenza, tanto è vero che sta subendo un processo. Dovendo scegliere tra lui e Halina Birenbaum non credo ci fosse dubbio: la vittima del lager non poteva convivere con un cantore dei suoi carnefici. Certo è uno scandalo che mentre l’editore è talmente fascista da essere ritenuto incompatibile con il Salone, il protagonista di un libro di pura propaganda, cioè il ministro, resti serenamente al suo posto senza colpo ferire.

I reati d’opinione sono molto scivolosi.

Qui non è un’opinione. Quelle di Polacchi sono appendici di comportamenti aggressivi. Citando Matteotti, Pertini disse che il fascismo non è un’opinione, è un crimine.

La rivolta delle lenzuola dal Sud arriva a Milano

Èpiù facile contare i balconi senza uno striscione contro Matteo Salvini, il governo e la Lega ieri a Campobasso, capoluogo di quel Molise dimenticato tra un’elezione e l’altra. La disfida delle lenzuola continua e si moltiplica, dal Sud fino a Milano dove andrà in scena dopodomani grazie a Sentinelli, Nonunadimeno, Mediterranea, Insieme senza muri, Sinistra per Milano e pezzi del Pd contro il comizio di Salvini con Marine Le Pen.

Il copione, anche a Campobasso è stato rispettato fin dal primo mattino: due vigili urbani si sono presentati nella sede di proprietà del Comune affittata dall’associazione sportivo-culturale Malatesta della Usip. “Dovete rimuovere lo striscione che avete appeso alla finestra”, spiegano i vigili. La pericolosa scritta? “Odio i razzisti: ieri partigiani, oggi antifascisti”. Ma è come svuotare il mare col cucchiaio, perché in poche ore più di 200 balconi di Campobasso hanno partecipato a questa protesta creativa e giocosa quanto seria. I molisani si sono rivolti all’associazione Malatesta da lunedì per realizzare il proprio striscione anti-Salvini, “portando lenzuola e materiale oppure dando un piccolo contributo”, spiega Riccardo Cretella, impegnato da ore con la bomboletta spray tra le mani. “49 milioni” e “chitemmuort” i più richiesti, ma anche “‘aprite i porti’ non va male”, racconta Italo Di Sabato dell’Osservatorio repressione, tra i promotori dell’iniziativa molisana insieme con l’Unione degli studenti. Qualche fischio se lo è guadagnato Bibiana Chierchia, vicesindaca uscente, che si è fatta ritrarre con il pugno chiuso, addirittura, dietro allo striscione “Il Molise resiste ai fascisti”: le critiche sono dovute al fatto che ad aprile la stessa vicesindaca fu protagonista di un selfie con Salvini al Vinitaly pubblicato sul suo Facebook. Ma gli striscioni, dopo le rimozioni delle forze dell’ordine a Salerno, Avellino e Brembate nei giorni scorsi, compaiono adesso un po’ ovunque; ieri ha vinto il premio simpatia senz’altro quello su un balcone nel centro di Firenze: “Portatela lunga la scala… sono al quinto piano”. Che ci sia anche una zelante repressione del fenomeno lo denuncia alla Camera il deputato Riccardo Magi (+Europa): “Vengono rimossi in queste ore gli striscioni contro Salvini, ma a Roma sono stati tollerati reati a Torre Maura e Casal Bruciato”, dice riferendosi ai blitz di CasaPound contro le famiglie rom assegnatarie di alloggi popolari. Ed effettivamente, dopo l’episodio di Salerno del 6 maggio (raccontato in questa pagina da uno dei protagonisti), anche ieri una persona, un 71enne, è stato denunciato dalla polizia per aver esposto uno striscione a Carpi (Modena) nel pomeriggio poco prima di un altro comizio del ministro Salvini, impegnato in un estenuante tour de force in giro per l’Italia. Infatti, oggi il capo della Lega è atteso a Napoli per partecipare al Comitato per la sicurezza: anche qui sono già comparsi striscioni con scritte non proprio amichevoli, ma al comizio, prima previsto, il ministro ha già rinunciato.

E la lista La Sinistra lancia su Facebook la campagna “Balconi e Bacioni. Contro Salvini, 10, 100, 1000 striscioni”. Un’idea la cui maternità va riconosciuta però a Jasmine Cristallo, 38 anni, che con Potere al popolo, Usb, collettivo studentesco, Anpi, Prc e Mdp ha dato vita l’11 maggio a Catanzaro alla prima iniziativa per riempire di striscioni le facciate delle case: “Sì tutto questo è nato, col nome di ‘riprendiamoci i balconi’ – dopo aver visto Salvini parlare come il Duce a Forlì –, in una città di destra, da un comitato spontaneo, nel profondo Sud troppo spesso abbandonato a se stesso e alle mafie. Ne dobbiamo essere fieri perché adesso tutto il paese sta partecipando”. E sabato l’onda arriverà a Milano, un tempo per la Lega capitale di quella Padania che non era Italia.

“Qui rischiamo l’accusa per turbativa elettorale”

“Questa Lega è una vergogna”: la rivolta delle lenzuola forse non ci sarebbe stata senza lo striscione, scritta bianca su sfondo rosso, comparso per la prima volta a Campagna (Salerno) contro la manifestazione che fu definita “la Pontida del Sud” lo scorso settembre. Tutto nasce dall’idea di Ennio Riviello (in foto), 42 anni, avvocato: “Ci chiamavano terroni fino a poco tempo fa, al di là delle mie idee politiche non potevo e non posso digerire che ora Salvini sia applaudito anche al Sud come se niente fosse”.

E il 6 maggio avete portato il vostro striscione a Salerno. Adesso rischiate guai?

A quanto pare sì. Gli amici dell’Arci di Salerno ci hanno invitati per il comizio di Salvini e ci hanno indicato il balcone della signora, 71 anni, che ha aperto la porta di casa sua, a me e al mio amico Giampietro Perruso, per appendere lo striscione dal balcone. Neppure due minuti dopo sono arrivati i due agenti della Digos, invitandoci a rimuoverlo. Ci hanno detto che se lo avessimo tolto subito non ci sarebbero state conseguenze, a meno che la notizia non fosse trapelata. E la notizia ha fatto il botto.

Hanno preso le vostre generalità, rischiate un’indagine per “turbativa elettorale”.

Esatto: sabato scorso, cinque giorni dopo, la signora è stata invitata in questura per essere sentita a sommarie informazioni. Il che significa che lei di sicuro non è indagata; io e Giampietro non abbiamo, almeno per ora, ricevuto nessun avviso di garanzia, ma il timore c’è, saranno i pm di Salerno a decidere se iscriverci sul registro degli indagati. Non avrei immaginato di ritrovarmi in questa situazione, i miei genitori sono preoccupati.

Rappresentavate un pericolo per l’ordine pubblico?

Ma s’immagini… non abbiamo fatto nessuna resistenza, anche per non creare problemi alla signora che ci ospitava.

“Dolci solo per bimbi italiani”. Indagato consigliere FdI

È indagato a Genova per diffamazione aggravata Luca De Marchi, il consigliere comunale mantovano di Fratelli d’Italia. A rendere noto il caso dal consigliere Luca De Marchi che prometteva un evento pubblico in cui sarebbero state distribuite frittelle gratuite esclusivamente ai bambini italiani, era stata Selvaggia Lucarelli sul Fatto Quotidiano. Accadeva a febbraio 2019. Addirittura la leader Fdi Giorgia Meloni aveva invitato De Marchi ad annullare l’iniziativa, giudicata “inopportuna”

L’inchiesta è stata avviata a seguito della denuncia presentata da Aleksandra Matikj, presidentessa del “Comitato per gli Immigrati e contro ogni forma di discriminazione” commenta: “De Marchi ha annullato l’iniziativa. Ma si è rifiutato di scusarsi. Questa querela è solo un inizio, chiederemo un incontro con il Procuratore capo Francesco Cozzi, sarei curiosa di sapere cosa ne pensa anche lui. Ora – conclude – Matikj – aspettiamo che gli atti vengano trasmessi alla Procura di Mantova dove i fatti si sono compiuti, per fare un’integrazione che stiamo preparando con i nostri legali”.

Faccia a faccia Fazio-Salini: idea Rai2, compenso -20%

Fabio Fazio verso Rai2 con una riduzione del compenso (e delle puntate) almeno del 20%. Un taglio quindi di circa 450 mila euro l’anno su una cifra di 2.240.000 euro. 900 mila euro per 2 anni. Questi i margini di una trattativa ancora in corso che però si è già avviata in questa direzione e di cui un tassello importante è stato messo ieri a Milano con un incontro tra l’amministratore delegato Rai, Fabrizio Salini, e lo stesso Fazio, insieme al suo manager Beppe Caschetto. Un faccia a faccia “cordiale” dopo la bufera dei giorni scorsi, con la soppressione di tre puntate di Che fuori tempo che fa decisa dalla direttrice di Raiuno Teresa De Santis (oggetto domani di un Cda straordinario) e i continui attacchi di Salvini al conduttore. Nonostante le polemiche, il rapporto tra Salini e Fazio si è mantenuto buono. E il conduttore fin dal primo momento si era detto disponibile a discutere una rimodulazione del contratto e del suo impegno con la Rai a fronte della richiesta dell’ad, nell’ottica di una razionalizzazione generale delle risorse avviata dal manager. Il quale, anche di recente, ha sempre parlato di Fazio come di “un talento” e di “una risorsa della tv pubblica”. Il peso dell’offensiva leghista, però, si è fatto sentire e così Fazio alla fine sarà costretto a sloggiare da Raiuno. Nell’incontro di ieri Fazio ha chiesto a Salini una maggiore tutela da parte dell’azienda nei suoi confronti, ma ha anche manifestato apprezzamento per la reazione dell’ad di fronte alla soppressione delle puntate. La diminuzione del compenso del 20% al conduttore e a Officina srl comporterà anche una riduzione del numero delle puntate, che non saranno più 30, ma tra le 20 e le 25, con un’ulteriore riduzione dei costi per la Rai, che paga Officina per realizzare il programma e si accolla anche i costi di produzione. E non si esclude che il programma della seconda serata del lunedì possa essere ripensato, insieme a Carlo Freccero.

“Prima i romeni”: il leghista e gli affari delle Hogan false

“Lotta dura alla contraffazione e difesa del Made in Italy”, una delle tante promesse lanciate da Matteo Salvini dal palco di Montegranaro – provincia di Fermo, il cuore, prima della crisi, del più grande distretto calzaturiero d’Europa – tra gli applausi della folla, compresi – ovviamente – quelli del suo candidato per la circoscrizione Centro alle elezioni europee, Mauro Lucentini. Ex An, poi La Destra di Storace, ora coordinatore provinciale della Lega (primo dei non eletti alle scorse nazionali) e responsabile regionale del tesseramento.

Parole ardue quelle di Salvini, per un candidato che, in tema di contraffazione e Made in Italy, vanta diverse frequentazioni. Due suoi soci sono finiti agli arresti domiciliari nell’inchiesta “Olympia” per “associazione a delinquere finalizzata alla produzione e commercializzazione di calzature con marchio contraffatto”. Una mini holding che produceva in Marocco e in Moldavia false scarpe Hogan e le distribuiva in Italia, prevalentemente nelle Marche e in Campania.

Il primo è Floriano Perticarini, condannato a 2 anni e 2 mesi con rito abbreviato, socio di Lucentini nella società Building&Service. Il secondo è il commercialista (ora radiato dall’Ordine) Endrio Mancini, socio nella L.M Sviluppo e nella Mancini Group Srl. Mancini, già ai domiciliari, è stato imputato (reato prescritto) nell’inchiesta “Ghost Vilance” della Procura di Matera (truffa ai danni dello Stato per investimenti con 106 milioni di euro del ministero per le Attività produttive). E poi c’è l’imprenditore calzaturiero Graziano Di Battista, presidente della Camera di Commercio provinciale di Fermo, ex assessore con Lucentini, Mancini e Gismondi, sempre presente alle iniziative elettorali della Lega, rinviato a giudizio per “infedeltà commerciale” per aver venduto le Hogan che produceva e inscatolava per il Gruppo Tod’s srl. Di Battista, per evitare il clamore mediatico del processo, ha chiesto di essere ammesso ai servizi sociali, il giudice deve esprimersi.

Ciò che trasforma la vita di Lucentini da ragazzo di paese, che trascorreva le serate nei bar e girava con vecchie auto, a quello che sfoggiava fuoristrada di grossa cilindrata che, spavaldo, mostrava agli amici le sue foto sullo yacht, è il legame con Endrio Mancini, nato sui banchi del Consiglio comunale. La storia che emerge dai tanti documenti visionati è intrigata e spericolata. Eccone una sintesi: insieme a Mancini costituisce la L.M Sviluppo srl e insieme vengono rinviati a giudizio per concorso in bancarotta fraudolenta per il fallimento della Rimini yacht San Marino di Giorgio Lolli (arrestato in Libia dov’era latitante), un’evasione fiscale da 40 milioni. Il 14 marzo scorso, Lucentini viene assolto dal Tribunale di Bologna in quanto formalmente non più socio. Mancini, invece, viene condannato a 3 anni e 8 mesi.

La pm Antonella Scandellari aveva insistito sul fatto che, nonostante Lucentini non avesse più alcuna veste formale, di fatto, continuasse ad avere un ruolo, come dimostrerebbero la sottoscrizione di una fideiussione personale di 2 milioni e 838.655,20 euro sottoscritta a favore della società A-Leasing a garanzia dell’acquisto di uno yacht Azimut dal costo 4 milioni e 700 mila euro (un’esposizione insolita in assenza di legami con la società) e la crociera in Croazia con Mancini a bordo imbarcazioni di lusso noleggiate dalla L.M Sviluppo srl di proprietà quest’ultimo (con tanto di foto orgogliosamente mostrate agli amici). Tutto questo all’oscuro del muratore, Daniel Lombardi, a cui Lucentini aveva ceduto le quote. Quando giunge il crac della Rimini Yacht a Lucentini viene pignorato tutto: case, terreni e quote societarie su decreto ingiuntivo del Tribunale di Treviso a favore della società di leasing.

Infine, dopo alcuni giri di quote, la L.M. Sviluppo srl (5.7000,00 euro di passivo) viene ceduta all’albanese Mata Fatmir. Ma c’è un altro piatto goloso. Lucentini entra come procuratore nella Mancini Group srl di suo fratello Nicola, amministratore unico, Monica, sorella di Endrio Mancini e con la Crm Cuoio Rigenerato Marche srl, amministratore unico sempre la sorella di Mancini. Ottengono un mutuo di circa 6 milioni da CariFano, per l’acquisto di un lotto, 28mila metri quadrati, vicino alla fabbrica di Diego Della Valle dove realizzare “Il Villaggio della Moda”. Il Gruppo Tod’s vince il ricorso al Tar, l’area viene sequestrata e il Comune, di cui Lucentini è assessore ai Lavori pubblici, sindaco Gismondi con delega all’Urbanistica, è condannato per aver “eluso la vigente disciplina urbanistica e commerciale” in quanto la “struttura di vendita era incompatibile con le previsioni del Ptc”. La CariFano pignora le quote delle due società.

“So che Salvini ha difeso la mia candidatura”, si vanta Lucentini, forte del sostegno del senatore, questore di Palazzo Madama, Paolo Arrigoni, inviato da Salvini commissario in Abruzzo e nelle Marche.

Arrigoni risponde: “Sono all’oscuro di quanto mi sta dicendo, mi lasci verificare, per ora non ho nulla da dichiarare” Mauro Lucentini, invece, non ha voluto rispondere alle domande inviategli. Lucentini, a cui restano le quote come accomandante (impignorabili) nella società della madre e la piccola ditta Habitat si iscrive alla Lega di Salvini e punta su Bruxelles continuando a contare sull’appoggio dell’amico Endrio Mancini, che posta su facebook le foto del candidato con Salvini e partecipa alle iniziative elettorali. Vero amore o amicizia forzata?

Vitalizi, l’Assemblea siciliana rinvia il taglio a fine mese

Un’occasione persaper la Regione Sicilia, che ha lasciato molti malumori nel Movimento 5 Stelle: la commissione dell’Assemblea Regionale (Ars) insediata ieri avrebbe dovuto decidere il destino dei vitalizi degli ex parlamentari, ma la rimodulazione dei privilegi è stata subito rinviata a fine mese. Il provvedimento era nato con l’obiettivo di evitare un danno ai cittadini: come spiegano i deputati Giancarlo Cancelleri e Jose Marano, componenti della commissione vitalizi per il M5S, il taglio sarebbe dovuto arrivare entro la fine di maggio, altrimenti “la Sicilia subirà una riduzione dei trasferimenti statali del 20 per cento. Cosa che provocherà, giocoforza, l’azzeramento o la riduzione di importanti servizi pubblici”. Con questo rinvio, il pericolo si fa più concreto. “È evidente – commentano Cancelleri e Marano – che non c’è nessuna volontà di cancellare questo odioso privilegio”.

Secondo i deputati regionali, si poteva e si doveva procedere subito: tuttavia ha prevalso la volontà di difendere i “18 milioni della politica, sacrificando 70 milioni di servizi per i siciliani”.

Giovani e politica: sì a Greta, legittima difesa e reddito

Sono giovani, sono tanti, si definiscono “altruisti e impegnati”: i Re-Attori sono 10mila studenti italiani tra i 17 e i 19 anni intervistati dall’Osservatorio “Generazione Proteo” della Link Campus University. Dal settimo rapporto di ricerca presentato a Roma, infatti, emerge un quadro incoraggiante sebbene inaspettato: oltre a un “rinnovato interesse per la politica”, i giovani abbracciano posizioni ben precise. L’approvazione nei confronti del “modello Greta”, ad esempio, è quasi unanime, e ciò dimostra uno spiccato interesse nei confronti dell’ecologia e della sostenibilità; un così ampio consenso viene registrato anche nei confronti della legittima difesa, anche se i più giustificano tale comportamento solo in presenza di un reale e oggettivo pericolo di vita (44,4%). Posizioni favorevoli e concordi anche nei confronti del Reddito di cittadinanza: 2 intervistati su 3 si dichiarano d’accordo, ritenendo che contribuirà non solo a rilanciare l’economia (9,2%), ma anche a ridare dignità alle persone (20,3%). Nicola Ferrigni, direttore dell’Osservatorio, commenta i risultati dichiarando che questa generazione si prepara a “essere protagonista del presente”.

“Norma buona, il no è sbagliato. Bisogna opporsi sui cantieri”

Il senatore che è stato presidente parla di ciò che conosce meglio, la mafia. E spiega una scelta: “Ho votato sì alla nuova legge sul voto di scambio perché migliora quella attuale. Ma è solo un passo nella lotta contro le cosche e non può certo bastare, soprattutto se nel contempo dai un segnale opposto con lo sblocca cantieri”. Così ammonisce l’ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso.

Lei e gli altri di LeU avete sostenuto la legge, mentre il Pd ha votato contro. Cosa ne pensa, lei che è stato presidente del Senato su indicazione dei democratici?

Dal Pd continuano a ripetere sempre lo stesso concetto, ossia che nessuno può fare le cose meglio di quanto le avevano fatto loro in passato. Avevano presentato un disegno di legge, ma si sono rifiutati di prenderne in considerazione altri. Io invece ritengo che sia meglio migliorare i provvedimenti nei rari casi in cui sono condivisibili, collaborando, piuttosto che fare un’opposizione fine a se stessa.

Perché la nuova legge migliora le norme attuali?

Perché nel testo vigente si fa riferimento solo al procacciamento di voti con modalità mafiose, e questo creava grandi problemi interpretative ai magistrati, tanto che alcune sentenze richiedevano come prova che il procacciamento avvenisse attraverso l’intimidazione o l’assoggettamento. Invece la nuova legge, migliorata nel passaggio alla Camera, configura il reato anche per il solo fatto che lo scambio avvenga con un appartenente alla mafia o con un suo intermediario. Insomma, si amplia il raggio della repressione.

E come si stabilisce chi è un appartente alle cosche?

Innanzitutto lo è chi è stato condannato con sentenza definitiva per associazione mafiosa o anche sottoposto a misure di prevenzione per quel tipo di reato.

Un politico non è tenuto a conoscere i casellari giudiziali.

Guardi, il criterio principale è che la richiesta di voto venga percepita all’esterno come proveniente da un ambiente mafioso, ossia che sia un voto di cosca.

Il confine rimane labile, no?

Il metodo mafioso ha modalità precise, previste dal codice: l’intimidazione, l’assoggettamento psicologico o economico, l’omertà. Ma le vie con cui si può realizzare lo scambio tra il politico e l’appartenente a una cosca sono tante. Basta anche che un boss si faccia un passeggiata in centro assieme al candidato di turno. E un politico che si candida in una comunità di solito sa chi può influenzare le elezioni. Detto questo, va necessariamente lasciato ai magistrati un margine per interpretare. E andava ampliato il raggio di azione dei magistrati.

La legge parla anche di intermediari dei mafiosi. E il rischio di confini troppo vaghi cresce.

In questo caso bisogna essere ancora più rigorosi nella raccolta e nella valutazione delle prove, ovvero nel dimostrare che il politico sapesse con chi aveva a che fare. E in questo sono fondamentali le intercettazioni e i collaboratori di giustizia.

Un’altra critica è che le pene vengono aumentate troppo, visto che un eletto con voti della mafia può rischiare fino a 22 anni e mezzo di carcere. “Si rischia l’incostituzionalità”, dicono.

Il problema della sproporzione nel sistema delle pene effettivamente esiste, visto che chi dirige l’organizzazione mafiosa rischia dai 12 a 18 anni. Avevo anche presentato degli emendamenti su questo punto, ma rimane secondario rispetto al miglioramento della norma.

L’approvazione del testo cosa rappresenta?

È una buona notizia. Ma non si può con una mano dare un segnale di rigore, e con l’altra aumentare la soglia degli affidamenti senza gara degli appalti per i lavori pubblici.

Parla dello sblocca cantieri.

Il disegno di legge reintroduce la possibilità di sub-appaltare fino al 50 per cento dei lavori o addirittura senza soglia nel caso dei consorzi. E poi sblocca fino al 2021 gli appalti integrati, cioè quelli in cui chi partecipa alla gara presenta anche il progetto esecutivo. Ed è pericoloso, perché chi spende per un progetto senza avere la certezza di ottenere l’appalto? Così si favoriscono tangenti e malaffare. E sono messaggi al contrario: soprattutto oggi che c’è una mafia invisibile, che si nutre di corruzione.

La risposta di Lega e 5Stelle è che bisogna sbloccare i lavori e che il Codice degli appalti è un ginepraio. Può essere vero, no?

E vanno a cambiare proprio quelle norme che contrastano le tangenti invece di eliminare la burocrazia? Il problema non sono le regole, ma gli uomini che le applicano. I controlli servono: già oggi vengono aggirati con i cartelli tra imprese.

Questo governo come sta impegnandosi contro le mafie?

Non lo si fa inaugurando commissariati o tuffandosi nelle piscine confiscate come fa Salvini, che ha usato la lotta alla mafia per non celebrare il 25 aprile. Servono risorse per magistrati e forze dell’ordine, per fare emergere l’economia criminale nascosta. E bisogna lavorare sul piano sociale e culturale.

“Urna non olet”: Zingaretti non rompe con il passato

Nicola Zingaretti, al tavolo del Nazareno a Roma – la sede nazionale del Pd – dove presenta il “Piano per l’Italia” (elaborato esplicitamente per le elezioni politiche, non per quelle Europee), ha accanto a sé Paolo Gentiloni e Debora Serracchiani, Anna Ascani, Paola De Micheli e Antonio Misiani. Ma anche Pier Carlo Padoan, che fu ministro dell’Economia di Matteo Renzi, e Luigi Marattin, tuttora fedelissimo dell’ex premier.

Segnali di “unità” per dirla con gli uomini del segretario, di “ecumenismo” per usare un termine volutamente aulico scelto da chi lo prende abbastanza in giro per le prime mosse della sua segreteria, in perfetta continuità con il passato.

Al Nazareno, si presentano tre proposte. Eccone una: “Abbassare le tasse per chi lavora, in modo che dal risparmio si possa creare, per 20 milioni di lavoratori, l’equivalente di uno stipendio medio in più di un lavoratore dipendente: 1.500 euro”, nella sintesi del segretario. Ci hanno lavorato Misiani, Padoan e Marattin. Quest’ultimo la presenta così: “L’estensione degli 80 euro di Renzi”. A proposito di rivoluzioni politiche per ora mancate.

“Che cosa sta facendo Zingaretti? Molto poco, tra la presidenza della Regione e la campagna elettorale”, commenta Michele Anzaldi, minoranza, mozione Giachetti. Sottovoce, in molti traducono: “È inesistente, non si vede, non si sente, non ha fatto scelte di rottura”. Ma fino al 27 maggio nessuno parla, nessuno attacca. Mentre lui lavora per arrivare alla somma aritmetica dei voti, la più alta possibile. La strategia è quella di “Piazza Grande”: ovvero tutti dentro, da Carlo Calenda a Laura Boldrini. Anche se questo significa lavorare anche per i voti di Cirino Pomicino, di Franco Alfieri (quello delle “fritture di pesce”), di Vincenzo De Luca. Nulla di troppo sorprendente in realtà: Zingaretti è un politico navigato, che ai vertici del Nazareno è arrivato perché sostenuto da molti big del Pd, romano e nazionale. D’altra parte, il kingmaker della sua candidatura è stato Goffredo Bettini: lo stesso che creò Francesco Rutelli e Walter Veltroni.

Il caso De Luca è emblematico: da uomo del consenso porta i suoi voti a chi può farne buon uso anche per se stesso. Il punto è non creare fratture con chi ha i voti: per questo, il Pd locale ha rimandato ogni decisione sulle dimissioni di Catiuscia Marini dalla presidenza della Regione Umbria a dopo le europee (nonostante lei abbia fatto un passo indietro, su richiesta dello stesso segretario: grande rilevanza mediatica, effetto zero). I voti il presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, indagato per corruzione, ce li ha. Zingaretti non si esprime.

“Mettendo dentro tutti, dagli scissionisti in poi, Zingaretti ha fatto un’operazione matematica, prima che politica, per arrivare a quel 22% che gli serve”, commenta Umberto Del Basso De Caro, già sottosegretario: “Con il 18,7% del 4 marzo siamo arrivati al minimo storico. Un 3% in più sono i voti di Mdp. Certo, non è la svolta per contare davvero (servirebbe almeno un 25%), ma sarebbe comunque un ottimo risultato”.

Luca Lotti, in un angolo del Transatlantico, si rifiuta di dire anche mezza parola. È la linea di tutti. Ma poi, dopo il voto, lo schema di gioco cambia: Zingaretti dovrà fare la segreteria che ha rimandato, tanto per cominciare. E la tregua finirà. Non a caso, il leader del Pd chiama le elezioni un giorno sì e l’altro pure: ne ha bisogno per avere gruppi parlamentari che rispondano a lui e non a un ex segretario come Matteo Renzi che continua a lavorare nell’ombra.

Una polemica, però, non è riuscito a evitarla: è quella sulle presenze tv. I volti che vanno a vendere il Pd sono cambiati, non senza malumori. Nella black list di Zingaretti sono entrate Alessia Morani e Simona Malpezzi, Andrea Marcucci e Gennaro Migliore, lo stesso Marattin, Valeria Fedeli, Alessia Rotta, Raffaella Paita, Matteo Richetti e Roberto Giachetti. In compenso, si vedono ovunque Calenda e Paola De Micheli, mentre si affacciano Roberto Gualtieri, Giuliano Pisapia, Marco Furfaro. Ma anche Elisabetta Gualmini e Pierfrancesco Majorino. Ci vuole uno schermo tv per percepire la discontinuità, evidentemente.