La Rc auto, come si sa, è un obbligo di legge e, in Italia, pure croce dell’automobilista e delizia delle compagnie assicuratrici: il primo ha costi mediamente alti, le seconde alti hanno invece i profitti. Per capirci, nel periodo che va dal 2012 al 2017, a fronte di premi raccolti per circa 90 miliardi, gli utili sono stati circa 9 miliardi (dati Ivass), un’enormità se si pensa che nel mondo l’assicurazione obbligatoria è in genere in pareggio o ha redditività molto bassa e funge, più che altro, come fonte di liquidità da usare per rischi più redditizi: non un dato sorprendente, però, se si considera che le sole cinque compagnie maggiori (Unipol, Generali, Allianz, etc.) si dividono oltre il 70% del mercato italiano; in Francia per arrivare alla stessa quota ne servono una ventina.
E dunque? Chiederà il lettore. Qual è il punto? Il punto è che, nonostante gli ottimi risultati economici (e altri ne vedremo in seguito), le compagnie stanno tentando di abbassare ancora i costi di quel che pagano ai danneggiati. Per riuscirci, come altre volte in passato, stanno puntando sull’anello più debole della catena: chi ripara i veicoli, carrozzieri e meccanici. A questo fine domani al Cnel formalizzeranno un accordo con Cna, Confartigianato e altre che punta a realizzare, extra legem, una sorta di convenzionamento di massa degli autoriparatori: la cosa curiosa è che viene di fatto riproposto un modello di gestione dei “sinistri” che fu disdettato dalle associazioni nel 2003 dopo che l’Antitrust aveva aperto un’indagine per “intesa anticoncorrenziale”.
I fatti. La legge sulla concorrenza approvata nel 2017 stabiliva che si dovessero redigere delle “linee guida per la riparazione a regola d’arte” delle auto: una sorta di prontuario che – definendo regole, procedure e costi certi (ad esempio quali pezzi di ricambio per essere “a regola d’arte”?) – aiutasse l’assicurato a capire cosa succedeva alla sua auto e di cosa avesse diritto rispetto all’assicurazione. Ora l’Ania, la Confindustria delle assicurazioni, insieme a Confartigianato, Cna e altre associazioni – disertato il tavolo al ministero dello Sviluppo economico – si mettono d’accordo tra loro per produrre le “linee guida”: il documento letto dal Fatto Quotidiano, però, non fissa affatto alcuna “linea guida”, e anzi rinvia tutto a un oscuro futuro di successive “sessioni tecniche”, ma contiene un’assai interessante seconda parte “facoltativa”, che è l’oggetto di questo articolo.
L’accordo funziona così: se il carrozziere accetta di ricevere dalla compagnia quanto offre quest’ultima (“concorda il danno”), viene pagato direttamente e senza che l’assicurazione provi a resistere contestando l’importo del risarcimento. Chi accetta – ma solo previa iscrizione a Cna, Confartigianato eccetera – sarà iscritto in una lista di “carrozzieri buoni” sponsorizzata dalle compagnie anche attraverso una app a venire: i reprobi, invece, verranno caldamente sconsigliati al danneggiato. In pratica le assicurazioni rinunciano a esercitare eventuali clausole vessatorie, peraltro illegali, in cambio di un’influenza decisiva su costo e tipologia della riparazione: in sostanza si mira, come in passato, a “convenzionare” i carrozzieri trasformandoli in “dipendenti” delle compagnie. L’obiettivo è uno solo, cioè ridurre il costo dei risarcimenti che, peraltro, già cala da solo: il “costo medio dei sinistri” è sceso di quasi il 6% dal 2012 al 2017; quello totale da oltre 14 miliardi di euro a circa 10. Parola di Ania. Anche il contenzioso (che costa parecchio) è calato moltissimo: in un decennio le cause sulla Rc auto sono passate da 350 mila a 145 mila. L’incidenza dei sinistri ogni cento polizze è ormai in media europea: 6,16% nel 2017, sopra al 10% qualche anno fa. Solo i costi per i clienti rimangono fuori scala: nel 2016 – dice l’Ivass, che vigila sul settore – si trattava di 100 euro l’anno in più rispetto alla media Ue (in discesa, va detto, dai 185 euro del 2011).
Ma evidentemente ancora non basta e così si ritorna ai carrozzieri. La cosa può apparire secondaria, ma non lo è: sposta miliardi da alcune tasche ad altre tasche. Detto volgarmente: tra due soluzioni tecniche, il carrozziere “convenzionato” sceglierà quella meno costosa per i suoi “datori di lavoro”. Le “linee guida sulla riparazione a regola d’arte”, ad esempio, avrebbero dovuto fissare regole chiare sui pezzi di ricambio: l’accordo Ania & C. prevede, bontà loro, che siano “a norma di legge”, ma i ricambi possono essere molte cose (originali, equivalenti, alternativi, usati…) e, a parere delle compagnie, devono essere semplicemente quelli che loro stesse vendono ai carrozzieri convenzionati tentando di integrare l’intera filiera del danno (e di certo non sono quasi mai marchiati “casa madre”). È un futuro che in realtà è già il presente: citeremo a titolo di esempio due programmi di Unipol, la prima compagnia italiana per la Rc auto, ovvero la convenzione con MyGlass e il cosiddetto “Auto presto e bene”.
Se questo accordo che prova a mettere in riga i carrozzieri conviene alle imprese riunite in Ania, l’intesa che viene presentata domani al Cnel – che, sia detto en passant, ha spaccato il mondo associativo e non piace ai ministeri dello Sviluppo e del Lavoro – ha i suoi lati positivi anche per Confartigianato (che nacque nell’area Dc), Cna (area Pci) e soci: intanto per aderire bisogna iscriversi a una delle associazioni firmatarie – e questo genera soldi e, soprattutto, potere contrattuale – e poi questo nuovo sistema prevede pure la creazione di un consorzio tra i contraenti che gestisca il nuovo sistema informatico “di rendicontazione e liquidazione del danno” (se ingrana, un discreto business). A questo va aggiunto, solo per dare un’idea della pervasività potenziale dell’intesa che sarà presentata domani al Cnel, che la stima del danno e del lavoro necessario a ripararlo in Italia si appoggia su due soli database: il primo dell’editore di Quattroruote (Domus), a cui collabora Cna, l’altro della Bada srl dell’imprenditore Stefano Silla, realizzato con Confartigianato.