“Lo Sblocca-cantieri rischia di favorire infiltrazioni mafiose”

Norme pericolose. Il presidente dell’Anac Raffaele Cantone lancia l’allarme sul decreto sblocca cantieri e punta il dito sui tanti aspetti problematici e in particolare sulla misura sui subappalti per i rischi di infiltrazione mafiose e per la qualità delle opere. “Più che al far bene si pensa al ‘fare comunque’”, afferma. “In questo provvedimento, sulle grandi opere c’è poco, tranne la norma sui commissari straordinari che è molto pericolosa” per le deroghe concesse ai commissari stessi. Il numero uno dell’Anac annuncia poi uno studio sul provvedimento.

La normativa è finito anche nel mirino della Corte dei Conti: troppe deroghe, troppe continue modifiche, troppi cambiamenti in corso d’opera, un ginepraio che lascia spesso “sgomenti” gli operatori, soprattutto negli enti locali.

Tra le cause del blocco degli investimenti, la Corte dei Conti elenca anche l’assenza di “ordinarietà”, di regole semplici e stabili nel tempo, comprensibili e applicabili da tutti.

Per il presidente dei magistrati contabili, Angelo Buscema “sono più le deroghe che le regole, ma le deroghe quando diventano prevalenti non aiutano nessuno”.

Frode sull’Iva, blitz della GdF dal senatore FI Biasotti & C.

Una frode sull’Iva per 9 milioni. È l’ipotesi dei pm di Genova e della Finanza che ieri hanno perquisito le società del gruppo Biasotti (tra i più grandi d’Italia nella vendita delle auto) e altre 12 imprese. Il gruppo Biasotti fa capo a Sandro Biasotti (non indagato), senatore di Forza Italia, in passato governatore della Liguria. Ma cosa contesta il pm ai due indagati (uno, Antonio Barba, è cognato di Biasotti nonché presidente e ad del gruppo) per dichiarazione fraudolenta? In quattro anni sarebbe stata evasa l’Iva su 200 auto. Il meccanismo, secondo l’accusa, era questo: la Biasotti avrebbe ceduto le auto a società che presentavano lettere di intenti in cui si dichiarava che i mezzi erano destinati all’esportazione. Quindi l’acquirente non pagava l’Iva. Ma le auto sarebbero rimaste in Italia per essere vendute a un prezzo ridotto del 20%. Secondo il pm Francesco Pinto i concessionari che acquistavano dal gruppo Biasotti potrebbero essere teste di legno. Immediata la replica di Biasotti: “Io non ho mai parlato di giustizia a orologeria e non lo faccio oggi. Ma mi pare un abbaglio in buona fede. Non ho più ruoli operativi nel gruppo, ma da anni facciamo controlli sulle ditte che acquistavano le auto per esportarle. Aggiungo che non conoscevamo nessuna delle persone citate”. Biasotti assicura: “Una truffa del genere nelle nostre tasche non porterebbe un euro, anzi, ce ne farebbe perdere. Sarebbe folle evadere 9 milioni per un gruppo che in quattro anni fattura 900 milioni e vende 20mila auto con decine di migliaia di clienti. Anche tanti politici vengono da noi, dal centrodestra al centrosinistra”.

Morandi, fermata società vicina ai clan

La prima pietra e la prima interdittiva antimafia. I lavori per il nuovo ponte Moranti proseguono a fatica, ma ecco che arriva il primo allarme. La Dia (Direzione investigativa antimafia) ha notificato la prima interdittiva emessa dal prefetto. Destinataria un’impresa napoletana, la Tecnodem. Non una delle principali ditte impegnate, ma comunque è un segnale, perché, secondo la Dia, la società sarebbe “ritenuta permeabile ed esposta al pericolo di infiltrazione della criminalità mafiosa”.

La Tecnodem, ricorda la Dia, “si occupa di demolizione industriale di materiale ferroso”. Che cosa ha fatto scattare l’intedittiva (che, ricordiamo, non è una condanna penale)? Amministratrice e socio unico della Tecnodem è Consiglia Maragliano, priva di titoli o esperienze professionali di settore”. La donna, precisa la Dia, “è consuocera del pluripregiudicato Ferdinando Varlese”. Proseguono gli investigatori: “Tra le condanne riportate dal Varlese, emerge la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Napoli nel 1986 per associazione a delinquere. Tra i coimputati vi erano soggetti affiliati al clan Misso-Mazzarella-Sarno, già appartenente all’organizzazione camorristica denominata “Nuova Famiglia”, i cui boss di riferimento erano Michele Zaza e Ciro Mazzarella”.

Fino a oggi gli investigatori hanno eseguito controlli su 92 società e 4.062 persone fisiche impegnate nella ricostruzione del ponte. Da subito infatti c’era stato chi – compresa l’Anac – aveva segnalato il rischio di infiltrazioni mafiose: centinaia di milioni piovono in Liguria e devono essere spesi velocemente. Senza contare che le procedure di assegnazione sono state ‘snellite’. Un varco attraverso il quale molti temevano l’infiltrazione delle mafie che in Liguria sono già molto forti: ‘ndrangheta, mafia siciliana e camorra. Da qui l’allarme per l’interdittiva di ieri che pure riguarda un subappalto di 100 mila euro.

Ma il clan Zaza non è certo una presenza di secondo piano nel panorama camorristico. La presenza in Liguria di figure a esso vicine è già stata segnalata più volte in documenti e informative degli investigatori. Soprattutto al confine con la Francia: in particolare alcuni membri della famiglia Tagliamento tra cui “un pluripregiudicato che, nelle diverse inchieste giudiziarie in cui è stato coinvolto, viene indicato come una delle figure apicali della camorra nel Ponente. Negli anni 80 e 90 veniva accostato al più noto criminale Michele Zaza. Nonostante le sue origini” napoletane “ha sempre stretto legami con la malavita calabrese tra Riviera dei Fiori e Costa Azzurra”.

Eppure di mafia si parla ancora poco. E molti, anche tra i politici, negano le infiltrazioni. Tra le poche voci impegnate (non senza rischi) contro le mafie c’è Christian Abbondanza: “Chi oggi si dice stupito può essere solo un inetto o uno dei troppi negazionisti”, attacca il presidente della Casa della Legalità, “Quando abbiamo lanciato un allarme, già nei giorni successivi al disastro Morandi, ci hanno preso per i soliti ‘rompiscatole’; così come quando lo abbiamo rinnovato viste alcune delle imprese incaricate. Nei cantieri s’erano già evidenziate infiltrazioni dalla criminalità organizzata. In Liguria funziona così. Anche ora che nel Ponente, come a Ventimiglia e Sanremo, si vota, ma quasi nessuno parla di mafia. E anche tanti elettori voltano la testa dall’altra parte”.

L’ultima di Autostrade: riciclare vecchie barriere

Non si possono spacciare per efficienti, omologate e a prova di incidente le vecchie e logore barriere di cemento ai bordi delle autostrade solo perché nel frattempo sono state sottoposte a un semplice rattoppo con la sostituzione dei tiranti di ancoraggio all’asfalto. Con un parere dettagliato espresso nell’adunanza dell’11 aprile 2019 il Consiglio superiore dei lavori pubblici oppone un no secco al tentativo di Autostrade per l’Italia del gruppo Benetton di riciclare le barriere di cemento del tipo New Jersey installate, in alcuni casi, una quarantina di anni fa su molti tratti della rete autostradale e messe sotto osservazione speciale dopo il disastro del viadotto Acqualonga: un bus precipitato nella scarpata il 28 luglio 2013 dopo aver urtato contro le barriere che non avevano resistito al colpo, 40 morti.

Sul tratto di autostrada tra Napoli e Canosa dove avvenne la sciagura, le barriere New Jersey sono state di recente messe sotto sequestro su 12 viadotti per ordine della magistratura che nel frattempo aveva condannato per la tragedia del bus alcuni dirigenti del tronco autostradale. Nonostante ciò, la società del gruppo Benetton tira dritto ritenendo che si possa fare a meno di sostituire le vecchie barriere piazzate sui 3 mila chilometri della sua rete. Barriere che dopo un’esposizione di decenni alla pioggia, alla neve e alla corrosione del sale sparso d’inverno contro il ghiaccio, risultano ormai rovinate da tutti i punti di vista e non solo nella parte fondamentale dell’ancoraggio, ma anche del calcestruzzo che si sfalda fino ai manicotti di giunzione. Le barriere costituiscono un sistema di sicurezza composto da più elementi e quel sistema dopo tanto tempo non appare più idoneo allo scopo.

Autostrade per l’Italia ha però unilateralmente deciso che fosse sufficiente un intervento concentrato solo sul sistema di ancoraggio. Nel fitto carteggio intrattenuto con le autorità statali competenti riportato nel parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, si viene a sapere che dopo il disastro di Acqualonga, la società dei Benetton ha provveduto a sua totale discrezione al “rinnovo dei dispositivi di ritenuta” su tutta la rete autostradale sostituendo i precedenti ancoraggi di tipo Liebig con barre filettate inghisate. Nel loro parere i 14 tecnici del Consiglio dei lavori pubblici precisano però che in tale autonoma decisione di Autostrade “non si rinvengono le motivazioni che avrebbero indotto il Concessionario ad attuare la sostituzione se si eccettua una generica finalità di miglioramento di durabilità e manutenibilità”. Ma soprattutto “non si rileva la valutazione di soluzioni alternative, incluso il rinnovo dei dispositivi di ritenuta”, cioè la sostituzione completa delle barriere.

A luglio di un anno fa, il Consiglio dei lavori pubblici aveva già avvertito che non “era sufficientemente documentata la sostanziale equivalenza di prestazioni tra il dispositivo modificato” con le barre filettate rispetto a quello precedente. Autostrade per l’Italia aveva ritenuto di superare la pesante obiezione effettuando questo inverno una serie di crash test i cui risultati sono stati inviati alle autorità competenti. La società dei Benetton riteneva che a quel punto il rattoppo effettuato potesse consentire l’omologazione e la certificazione ex post delle vecchie barriere. Il Consiglio dei lavori pubblici ha detto di no: “Non sussistono i presupposti e i contenuti tipici delle procedure di qualificazione… non è possibile estendere una certificazione CE a un sistema esistente, già installato e non qualificato, anche se sottoposto a modifiche atte a renderlo del tutto simile al campione oggetto di qualificazione”.

Sulla faccenda ora dovrà esprimersi anche l’Agenzia per la sicurezza delle ferrovie, delle strade e autostrade (Ansfisa) diretta da Alfredo Mortellaro.

Il Rosatellum 2 ad Hyde Park: meno eletti, meno rappresentanza

Ve lo ricordate il “combinato disposto”? No, non in generale, ma quello di cui si parlò ai tempi del combinato disposto, appunto, tra la riforma costituzionale di Renzi e la sua legge elettorale (l’Italicum). Il Senato era non elettivo e non votava la fiducia, la Camera era eletta col super maggioritario: un capo, il suo governo, la sua maggioranza blindata e, absit iniuria verbis, un bacione a tutti (per i nostalgici: pensateci coi sondaggi di oggi). Ecco, il combinato disposto è ritornato. S’allude a quello tra il taglio di 345 parlamentari appena passato in prima lettura e la legge elettorale: le Camere hanno infatti votato pure una riforma del Rosatellum – un terzo dei seggi uninominali, il resto proporzionali – che delega il governo ad adattarlo ai futuri 400 deputati e 200 senatori. Ecco, domani ogni collegio uninominale alla Camera sarà da 400 mila abitanti in media, in Senato da 800 mila con punte oltre il milione (Abruzzo): ora immaginate, a proposito di costi della politica, la campagna elettorale per questa platea. Poi ci sarebbe la rappresentanza: per la Carta il voto, tra le altre cose, è “uguale”. Questo è il conto pro domo sua di Federico Fornaro di LeU: un anno fa con quasi un milione di voti e il 3,28%, Bersani & C. elessero 4 senatori, domani sarebbero 2. Insomma, il nuovo combinato disposto trasforma milioni di voti in fantasmi: e allora i risparmi per carità, la governabilità vabbè, ma la democrazia rappresentativa non è il diritto di salire su una cassetta della frutta ad Hyde Park o su Rousseau per urlare mentre nessuno ti sta a sentire.

Il diritto alla casa e il disprezzo dei democratici

 

Qualche giorno fa monsignor Krajweski, elemosiniere del Papa con un passato da elettricista, è intervenuto di persona personalmente nel palazzo Spin Time di Roma, occupato da centinaia di persone, per riallacciare la luce, staccata per una perdurante morosità. Il Segretario di Stato vaticano Parolin ha provato a spiegare il senso del gesto così: “L’intenzione era attirare l’attenzione di tutti su un problema e cercare insieme di risolverlo”. Invece il ministro Matteo Salvini, che notoriamente non si lascia scappare occasione per commentare episodi di cronaca, ha invitato il Vaticano (indovinate un po’ a fare cosa???) “a pagare le bollette degli italiani in difficoltà”. Nel palazzo vivono 450 persone (tra cui 98 bambini) che da giorni (e giorni freddi) vivevano senza elettricità e acqua calda. Secondo le cronache, gli inquilini provengono da 18 paesi diversi, ma molti sono italiani. A Salvini, hanno fatto sapere: “Pagheremo le bollette a rate, come la Lega”. Intanto è stato inviato in Procura un esposto a carico di ignoti che denuncia il furto di energia. Ieri, a corollario della vicenda, Repubblica faceva giustamente notare che a nemmeno un chilometro di distanza dal palazzo di via Santa Croce in Gerusalemme teatro del furto, c’è lo stabile occupato da CasaPound dove ugualmente le bollette non si pagano. Eppure, come si sa, tutto continua a funzionare nonostante un pignoramento del tribunale: dopo 15 anni di occupazione, lo sgombero è una prospettiva remotissima. Il palazzo non è compreso nell’elenco dei 20 immobili che la prefettura vuole liberare urgentemente. Che volete, ognuno ha le sue priorità.

Martina Gerardi

 

Ma la circostanza che più dà da pensare non è nemmeno questa. Facendo zapping tra i talk show, si capisce che il gesto di monsignor Krajweski ha fatto arrabbiare molti insospettabili. Perché questa gente che occupa a sbafo è uno schiaffo a tutti gli onesti che tirano cinghia e pagano le tasse, facendo sacrifici enormi. Ora, è evidente che non si dovrebbero violare le leggi e dunque non si dovrebbero occupare le case. Però ascoltando le testimonianze di molti inquilini si scoprono storie di disperazione e, nella maggior parte dei casi, storie di cittadini che hanno fatto, avendone diritto, richiesta di un alloggio popolare da dieci o anche quindici anni e che si sentono profondamente umiliati da quanto la necessità li spinge a fare. Ogni caso fa storia sé e noi non siamo qui a difendere persone che non conosciamo (ma allora, se permettete, nemmeno a ingiuriarle perché sono povere: la povertà non è una colpa). Colpisce, e non poco, l’accanimento e il livore con cui la vicenda del palazzo romano è stata commentata, anche da opinionisti soi disant di sinistra. Nessuno, o quasi, che abbia puntato il dito contro l’emergenza abitativa che affligge la capitale. È davvero sensato che ci si occupi di case popolari solo quando una famiglia rom viene minacciata (intendiamoci: episodio vergognoso, indegno e penalmente rilevante) a Casal Bruciato? Possibile che la sofferenza sociale venga non solo ignorata ma addirittura vilipesa? Possibile che nel mirino di critiche tanto spietate finiscano i poveracci e non gli evasori o i grandi imprenditori e manager italiani che preferiscono pagare le tasse in Svizzera? E sì, certo che la Costituzione garantisce la proprietà privata. Ma impone anche alla Repubblica “di rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Ci sarebbero altri articoli da citare (il 47, per esempio), ma basti questo ai dispensatori di disprezzo: verrebbe da augurar loro di trovarsi un giorno senza sicurezze e prospettive. E senza casa.

Camilla Tagliabue

Lagunari, cosacchi e libici: ecco chi staccherà i prossimi striscioni

In principio fu la Digos. Poi si chiamarono i pompieri. In entrambi i casi qualche polemica ha turbato le coscienze civili del Paese. E ora, chi toglierà dai balconi d’Italia gli striscioni che contestano Matteo Salvini durante i suoi pittoreschi comizi? Il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare le prossime mosse dello staff del ministro dell’Interno per staccare dalle case le lenzuola con messaggi e scritte a lui dedicati. Ecco le forze chiamate a intervenire.

I lagunari. Contattato da Luca Morisi e retribuito con otto barattoli di Nutella, il famoso reparto d’assalto anfibio dell’esercito interverrà prontamente in caso di contestazione al capo della Lega. Giunti nei paesi della bassa padana a bordo di un sommergibile, i lagunari saranno per l’occasione dotati di cesoie per staccare gli striscioni dai balconi degli italiani più ingenerosi, colpevoli di non amare il Capitano. Azione rapida, silente ed efficace, solo un po’ complicata dal dover attraversare di corsa le piazze italiane con le pinne.

I cosacchi. Forte di una collaborazione con i corpi speciali della polizia russa, il ministro dell’Interno italiano si è assicurato il fedele supporto di un reggimento di cosacchi del Don. Abbeverati i cavalli alle fontane pubbliche, i valorosi combattenti, giunti in pullman da Vladivostock, hanno staccato a colpi di sciabola due lenzuola matrimoniali dal secondo piano di una palazzina di Carugate. Polemiche per i saccheggi e i rapimenti di giovani donne del luogo. Vodka esaurita in tutta la Brianza.

I redattori di “Libero”. Milizia ardita e coraggiosa, famosa per lo sprezzo del ridicolo, interverrà agli ordini dello staff di Matteo Salvini per rimuovere graffiti offensivi e manifesti sgraditi al Capo. Le scritte sui muri (“Salvini vattene” o “Salvini non ti vogliamo”) saranno coperte con gli editoriali di Vittorio Feltri che daranno un tono di scanzonato buonumore alcolico alle location scelte da Salvini per i suoi comizi. Gli striscioni di contestazione esposti alle finestre verranno sostituiti con pittoresche vedute di Bergamo alta e gigantografie di grandi del passato che non sono stati capiti, come Mussolini, Videla, Pinochet e altri geni incompresi che hanno fatto “anche cose buone”.

Olindo e Rosa. Ottenuto dal ministro dell’Interno uno speciale permesso premio, i due dinamici simpatizzanti della Lega interverranno personalmente per staccare gli striscioni sgraditi al vicepresidente del Consiglio in carica. Mentre Olindo, affronterà le pareti in mattoni arrampicandosi fino ai balconi, Rosa realizzerà all’uncinetto stendardi alternativi con frasi di elogio al Capo, ricette del coniglio in umido ed enormi scritte “Bacioni” tracciate a punto-croce. Timide proteste del ministro della Giustizia.

La guardia costiera libica. Forza di interdizione addestrata alla cattura e compravendita di disperati diretti in Europa, collaborerà all’azione di bonifica delle piazze destinate ai comizi di Salvini, rimuovendo striscioni e cancellando scritte sui muri. Si tratta di un’azione spontanea per sdebitarsi dai favori ricevuti dal ministro dell’Interno italiano. “Da quando comanda lui i nostri affari nel settore schiavismo vanno a gonfie vele”.

Gli scrittori di CasaPound. Seccato dalle critiche sulla sua indifferenza per la letteratura, Matteo Salvini passa all’attacco e decide di utilizzare gli autori della casa editrice di CasaPound per stroncare sul nascere le contestazioni a base di lenzuola appese ai balconi. Purtroppo, molti autori della casa editrice sono stati impiccati dopo il processo di Norimberga, alcuni hanno superato i novant’anni e altri, anche più anziani, vivono nascosti in Argentina. Restano dunque pochi arditi disposti a scalare le pareti delle palazzine fino ai balconi e ad agire con virile determinazione armati di otto milioni di baionette.

Xylella, emergenza o speculazione?

Il Gip di Lecce ha disposto il 3 maggio un decreto di archiviazione dell’indagine relativa alla Xylella in Puglia, il batterio che starebbe distruggendo gli ulivi, prima del Salento e ora anche della provincia di Brindisi. Il decreto, che vede imputati diversi docenti, ricercatori e dirigenti di istituzioni regionali, è stato adottato in quanto, sostiene il giudice competente, gli elementi raccolti non appaiono sufficienti e idonei a dimostrare la sussistenza del nesso causale tra le condotte (pur accertate) e l’evento del delitto colposo di inquinamento ambientale. Ma l’interesse del provvedimento non sta nell’archiviazione, quanto nei motivi che hanno spinto il giudice a rinviare la questione alla Procura di Bari.

Questo significa che la Procura di Lecce, suffragata dal Gip, ha accertato, a carico dei suddetti imputati, molteplici aspetti di irregolarità nell’affrontare la vicenda Xylella: pressappochismo, negligenza e ove verranno dimostrati nelle sedi giudiziarie competenti, anche reati di falso, ritardo nell’affrontare la fenomenologia segnalata dagli agricoltori e la non corretta applicazione delle procedure imposte da normative e direttive europee. Reati rilevanti, accertati e rinviati per competenza al giudice di Bari. Si tratta di comportamenti assolutamente disarticolati, caratterizzati da scarsa trasparenza e professionalità e non consoni a una corretta gestione dell’emergenza, ancor di più se si considera che a tutt’oggi, come afferma il giudice di Lecce, non vi è chiarezza scientifica sulla piena conoscenza del fenomeno naturale, sulle sue cause, né tantomeno sui rimedi. Insomma, emerge un quadro che da tempo i vari movimenti ambientalisti e civici, con il supporto di scienziati indipendenti, denunziano, chiedendo di aprire sulla vicenda Xylella, in Europa e in Italia, un dibattito serio e plurale. Cosa dire? È evidente che le ultime vicende giudiziarie sulla questione degli ulivi e della cosiddetta emergenza Xylella decretano l’inaffidabilità dei monitoraggi e la scarsa credibilità e inefficacia delle misure di attuazione e gestione del Piano di contrasto al batterio. Sembrerebbe che tutto si sia mosso per realizzare, attraverso lo stravolgimento del territorio e del paesaggio, progetti industriali di natura economico-finanziaria che nulla hanno a che vedere con l’emergenza Xylella. Anzi, l’emergenza viene utilizzata per drenare risorse, anche europee, con la giustificazione che bisogna intervenire con la massima urgenza. Pochi giorni dopo il provvedimento della procura di Lecce, l’Osservatorio Fitosanitario pugliese ha comunicato la sospensione immediata degli abbattimenti dell’ulivo di Monopoli sequestrato dalla Procura di Bari e delle piante ospiti del batterio presenti nei 3,14 ettari circostanti, a seguito delle analisi svolte sull’albero dichiarato infetto nel dicembre scorso e risultato, adesso, negativo al batterio. Questo significa che, se si fosse dato seguito agli esiti tramessi dalla Rete dei Laboratori Selge (gli unici accrediti per le analisi per il rinvenimento della Xyella) adesso avremmo una superficie di tre ettari pressoché desertificata!

Se a questo si aggiunge che proprio in questi giorni è in discussione al Senato il decreto Emergenza – i cui articoli 6, 7 e 8 riguardano la questione Xylella – per la conversione in legge, approcciata con una logica di Stato di polizia, su massicce eradicazioni e limitazioni di libertà personali, intendiamo rendere noto all’opinione pubblica che, insieme a un gruppo di docenti universitari, negli scorsi mesi abbiamo inviato alle massime cariche dello Stato e ai ministri dell’Ambiente, dei Beni culturali e della Salute, una nota nella quale esprimiamo forti perplessità rispetto all’applicazione delle misure disposte per il contenimento e l’eradicazione della Xyella (abbattimenti degli alberi infetti e degli alberi sani nel raggio di 100 metri dalla pianta infetta, utilizzo di trattamenti fitosanitari neurotossici per il controllo del vettore), in mancanza della valutazione di impatto ambientale, della valutazione ambientale strategica e della valutazione di impatto sanitario. Misure che, associate alle soluzioni che si prospettano all’orizzonte (in primis, la sostituzione degli ulivi secolari con cultivar brevettate e dell’oliveto tradizionale con gli impianti superintensivi), aprono a inquietanti scenari di stravolgimento del territorio.

Pertanto, abbiamo richiesto alle suddette istituzioni un intervento urgente a tutela del paesaggio, dell’ambiente e della salute, valori e diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione, allegando una relazione su elementi e aspetti che meriterebbero di essere approfonditi e segnalando la nostra preoccupazione per un clima che appare sempre più intimidatorio verso coloro i quali manifestano dubbi sull’efficacia delle misure di lotta al batterio e sulle soluzioni sopra richiamate.

 

Mail box

 

Una targa nelle scuole per la Liberazione

Propongo di affiggere una targa in ogni edificio pubblico (ex. scuole, municipi, musei) che reciti: “Il 25 aprile l’Italia festeggia la liberazione dal nazifascismo”. “Prima di tutto vennero a prendere gli zingare, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”: non dimentichiamo ciò che scrisse Martin Niemoller.

V. R.

 

Un risata li seppellirà: l’ironia contro i potenti

Come mette bene in evidenza il direttore Travaglio, l’ironia è l’arma più potente contro i falsi messia che cercano di sedurre le masse presentando se stessi come leader carismatici in grado di risolvere magicamente tutti i problemi della terra. L’aveva intuito anche il movimento studentesco del ’68 che, riprendendo una frase del passato, gridava ai potenti: una risata vi seppellirà.

Domenico Forziati

 

La retorica antifascista e il pericolo dell’intolleranza

Ho letto della cacciata dei rappresentanti antimafia del M5S da parte del fratello di Peppino Impastato.

Questo gesto di intolleranza fanatica verso chi combatte la mafia da parte di un parente di una vittima dimostra una volta di più a quale livello di follia è giunta la lotta tra fazione e camarille in Italia, e come la demagogia del dare del fascista a vanvera abbia ormai portato ad atteggiamenti fanatici e intolleranti, e che non basta dirsi antifascisti, ma bisogna esserlo nella condotta pratica.

Tale episodio conferma ciò che ha scritto il vicedirettore Feltri pochi giorni fa sulla retorica insulsa del dare del fascista a vanvera.

Vincenzo Magi

 

Il giornalismo ha bisogno di imparzialità e oggettività

Due righe per ringraziare la vostra direzione e tutti i giornalisti della testata che ogni giorno si prodigano per portare a noi lettori la notizia per così com’è, senza genuflessioni di sorta. Leggendo il vostro giornale ho trovato ciò che veramente cercavo, un sollievo alle mie idee, perché non potevo continuare a leggere il lupo mannaro capitalista che tira i fili legati alla mano dei giornalisti, a mo’ di pupi siciliani, a impormi le sue idee. Grazie ancora e continuate così.

Fulvio da Pordenone

 

Leggo un suggestivo articolo del collega Roselli sul Fatto di oggi riguardo una struttura Delta che in Rai orienterebbe in senso leghista l’attività della Azienda. Non entro nel merito della tesi ma a questo punto devo fare una doverosa precisazione, altrimenti si ingenera una clamorosa confusione e un grave equivoco. Con un ordine di servizio aziendale, come in occasione dell’ultimo voto politico e del precedente referendum costituzionale, è stato istituito un gruppo di lavoro in Rai, coordinato da me e dalla mia direzione relazioni istituzionali, per assistere e aiutare se richiesto i direttori di rete e di testata nel loro complesso compito di applicare la normativa sulla par condicio: riunioni pubbliche e richieste di pareri. Così è accaduto nel caso citato nel vostro articolo (una intervista del vicepresidente del Consiglio Di Maio a una puntata di Che tempo che fa): ho risposto a una richiesta arrivata dal responsabile Rai della trasmissione, a cui ho ricordato le norme in questione e al quale è stata poi rimessa la decisione di effettuare la intervista, che è poi stata realizzata. Questi i fatti. Nessun tentativo di bloccare l’intervista come si vorrebbe far credere. Riguardo invece alle etichette che spesso vengono attribuite da alcuni giornali, mi corre l’obbligo di ricordarne alcune che ho ricevuto: esponente del mondo cattolico, vicino al pd, amico di Rutelli, area Opus Dei, moderato, amico di Gentiloni, ora pure sovranista. Ho ovviamente le mie idee e i miei liberi convincimenti che mi formo ogni giorno sulla base dei principi in cui credo e a cui mi sforzo di aderire. Ho iniziato a collaborare con la Rai 40 anni fa e ne sono dipendente da 32 avviato a questa professione da Ettore Bernabei, sono stato addetto stampa con il governo Fanfani nel 1982, notista politico di Avvenire e del Tg 3 con Sandro Curzi, sono stato vicedirettore del Tg1 per 14 anni con sei direttori diversi. Ognuno è libero di mettere etichette, io altrettanto libero di rifiutarle e di cercare di far meglio il mio lavoro per la Azienda per la quale, come tanti miei stimati colleghi, mi impegno da professionista ogni giorno .

Fabrizio Ferragni

 

Caro Ferragni, non posso fare altro che confermare quanto già scritto. A quanto mi risulta, lei ha contattato direttamente una persona dello staff di Fabio Fazio per chiedere se fosse il caso di intervistare Luigi Di Maio nella puntata del 7 aprile 2019, facendo presente l’impossibilità di controbilanciare la cosa con una successiva intervista a Matteo Salvini (dato che Salvini da Fazio non ci va).

Gianluca Roselli

Salone del Libro. Le polemiche politiche hanno davvero soffocato i temi culturali?

 

Il Salone del Libro si è chiuso, quest’anno, con un grande successo di pubblico ma con un lungo strascico di polemiche di carattere politico. È giusto ammettere questo tipo di argomenti in riferimento a un evento come quello del Salone, che quindi dev’essere riorganizzato in futuro tenendo maggiormente conto di questa componente, oppure l’attenzione su questi temi distoglie dall’interesse principale, che dovrebbe essere costituito dai libri e dalla cultura?

Martina Gerardi

 

Gentile Martina, come diceva Terenzio, tutto fa brodo in cultura, anche la politica, anche – nella fattispecie – il dibattito su un editore che si dichiara orgogliosamente fascista e perciò è stato denunciato e successivamente estromesso dalla fiera. Non cada, per favore, nella trappola maliziosa del direttore del Salone Nicola Lagioia e del suo staff, che prima escludono dal programma ogni riferimento (presentazioni, incontri, firmacopie…) alla politica – “Bisogna parlare di libri”, hanno detto, ben sapendo che il tabù erano gli imminenti appuntamenti elettorali –, poi incolpano altri per la scelta di ospitare la casa editrice di CasaPound, infine fanno pressioni sulla politica (leggasi, Comune e Regione, nelle persone di Appendino e Chiamparino) affinché sia la politica a espellere d’imperio Altaforte. Un gioco raffinatissimo, se non furbo, che si è attirato la massiccia attenzione dei media e del pubblico a costo zero, ovvero senza assumersi alcuna responsabilità.

Però, evviva, proprio grazie a una manifestazione culturale si è tornati a parlare di neofascismo, censura, libertà d’opinione, Costituzione, che, su questo concorderà, sono Cultura. Poi, certo, oltre alle “polemiche politiche” si è discusso di poc’altro: nessuna grossa novità editoriale (al contrario, molte celebrazioni delle vecchie glorie: i 90 anni della Bompiani, i 70 di Bur, i 50 di Sellerio, i 40 di e/o…); un mercato asfittico che cresce dello zero virgola; una platea di lettori risibile, se non fosse preoccupante; nessun romanzo scandalo, figuriamoci uno Houellebecq nostrano; nessun gossip sullo Strega e dintorni. Ma se n’è sentita davvero la mancanza?…

Quanto al prossimo Salone del Libro (e anche a quello del 2021), l’ideazione, progettazione e direzione è sempre affidata a Lagioia and company: fossi in loro, inizierei a contattare qualche politico come consulente di marketing.

Camilla Tagliabue