Per sapere se Matteo Salvini è fascista (prendiamo un nome a caso), bisognerebbe sapere cos’è il fascismo. E per sapere cos’è il fascismo bisognerebbe sapere cos’è stato. Il reading dal romanzo M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati (sabato sera, Rai3) ha il merito di suggerire questi dubbi. Ma nell’ora affidata a Luca Zingaretti, Valerio Mastandrea e Marco D’Amore si poteva intuire anche qualche risposta. Scurati promette (o minaccia, vedete un po’ voi) una trilogia. Ma siccome “non vi sono che inizi”, il periodo dalla fondazione dei fasci al delitto Matteotti risulta illuminante. Pensiamo a Mussolini come a un padre, diceva lui – e ripetono tanti pappagalli rapati a zero. Invece fu un figlio, parricida come tutti i figli. Le ideologie, le masse, le rivoluzioni, i regimi: questo fu il Novecento. L’azzardo di Mussolini, “l’uomo del dopo”, fu rovesciare l’utopia socialista mettendola al servizio del capitale (dentro ogni uomo forte dorme un piccolo borghese). Nella lettura scenica ideata da Scurati e Marco Fiorini l’equilibrio tra tesi e narrazione regge; aura tenebrosa come prescrive l’attuale dittatura dolorista, ma senza il cilicio di Saviano o il ribobolo di Baricco. Se le voci sono all’altezza, tre sono meglio di una. Mettere all’indice il fantasma del fascismo può fare il suo gioco; meglio cavare gli stivaloni e strappare la maschera a chi lo inventò su misura per i propri calcoli: “M. scommise che tutti avrebbero dato il peggio di sé. E vinse la scommessa”.
Mail box
L’Italia è e resterà un Paese accogliente e antirazzista
Una turista olandese ha prenotato con i due figli un soggiorno nella splendida Lipari. Ma dopo la conferma del titolare del B&B la turista invia una mail dai toni preoccupati che può essere riassunta così: “Sono di colore, è un problema?”. Dispiace che all’estero, a causa degli scomposti annunci e storpiature ideologiche del passaparola qualunquista, l’immagine del nostro Paese sia in parte compromessa nell’immaginario collettivo. L’Italia è e rimarrà un paese accogliente lontano da razzismo e xenofobia. Chi ha contribuito a sporcare questa immagine del Belpaese con articoli faziosi ha peccato di onestà intellettuale.
Cristian Carbognani
L’anticamorra è una lotta di civiltà e umanità
Il recente abbandono dei lavori in piazza Porta Capuana a causa delle minacce e pressioni dei clan camorristici è l’ultimo episodio che segue la scia degli ultimi mesi, nel corso dei quali abbiamo visto le strade di Napoli diventare teatro di efferati crimini, dalle famigerate “stese” agli agguati, dal racket agli omicidi. L’episodio del gravissimo ferimento della piccola Noemi ha scosso l’opinione pubblica come forse mai prima. È inutile nascondersi dietro a un dito: è in atto una vera e propria guerra. Le vittime però non sono soltanto coloro che finiscono sotto i colpi dei clan, ma anche i parenti; tra di loro, persone meravigliose che quotidianamente combattono la camorra. Dovremmo ripeterci più spesso che l’anticamorra non è e non deve essere un tema politicizzato, ma una questione di civiltà.
Dario Comegna
Diritto di replica
Chiediamo l’immediata rettifica dell’articolo A Rienzi piacciono le spese legali solo se le incassa lui, pubblicato domenica, che diffama pesantemente l’associazione Codacons ribadendo le diffamatorie accuse contenute nell’articolo del 31 ottobre scorso avverso il quale sono state proposte due querele penali. Tale articolo, laddove riferisce di “un accordo tra Monte dei Paschi e Codacons con cui la banca ha rinunciato a una causa per diffamazione contro Rienzi, il quale in cambio non si è costituito parte civile in un processo contro gli ex vertici Mps. Codacons ha così ottenuto, tra l’altro, 612 mila euro per le spese legali, mentre Rienzi personalmente ne ha avuti 291 mila”, è falso e diffamatorio in quanto l’accordo con Mps è stato determinato non da quell’erogazione economica ma dal finanziamento di 6 importanti progetti sociali (contro la ludopatia, per la trasparenza, per le cure dei bambini allergici e altri), mentre le somme di cui scrive Meletti sono state erogate all’associazione per compensarla delle spese legali affrontate in 5 anni per 8 avvocati e 5 periti ed economisti ingaggiati per contrastare le azioni della banca.
Quanto alla costituzione di parte civile nei processi contro i vertici di Mps se il cronista si fosse informato come suo dovere avrebbe saputo che oltre 600 risparmiatori sono costituiti parte civile contro quei vertici assistiti proprio dal vicepresidente Codacons avvocato Bruno Barbieri.
Carlo Rienzi, Presidente Codacons
La verità è che il cronista si informa come suo dovere e pubblica notizie documentate e verificate, mentre Rienzi continua a molestarci con sedicenti “rettifiche” la cui “natura diffamatoria” è stata rilevata dallo stesso Tribunale di Roma con ordinanza del 14 marzo scorso. E quindi, nuovamente, dobbiamo ricordare allo smemorato che cosa ha firmato con il Monte dei Paschi: “BMPS, in ragione del suddetto spirito conciliativo e allo scopo di favorire la definizione di ogni controversia con il Codacons, si impegna a: (i) sostenere sei progetti di interesse civico (…) mediante versamento da parte di quest’ultima dell’importo di (…) Euro 732.000,00 da pagarsi, dietro emissione di relative fatture, entro tre giomi lavorativi dalla conclusione del presente accordo; (ii) corrispondere un contributo alle spese legali sostenute dal Codacons e dall’avv. Rienzi per l’attività resa dai professionisti incaricati nei vari, giudizi indicati nelle premesse, (…) per un ammontare lordo di Euro 612.821,40 a favore del Codacons e di Euro 291.824,00 per l’avv. Rienzi, da pagarsi entro tre giorni lavorativi dalla conclusione del presente accordo”.
E ancora: “Il Codacons dichiara di rinunciare a ogni e qualunque pretesa o diritto fatto valere mediante la costituzione di parte civile e la chiamata del responsabile civile nei confronti di BMPS nel procedimento penale n. 29634/2014 RGNR e nel procedimento penale n. 955/2016 in corso presso il Tribunale di Milano, così come a ogni pretesa o diritto derivante da, o connesso con, i titoli azionati attraverso la costituzione di parte civile e la chiamata del responsabile civile. (…) In coerenza con le rinunce di cui agli articoli che precedono, il Codacons dichiara di rinunciare anche a spiegare e a coltivare il proprio intervento in giudizio a sostegno delle cause promosse nei confronti di BMPS o di ex esponenti di BMPS da investitori in strumenti finanziari emessi da BMPS nel tempo fino alla data odierna, per gli stessi fatti oggetto dei due procedimenti penali sopra indicati, ferma la possibilità – per i legali incaricati o indicati dall’associazione – di continuare a prestare assistenza in favore di singoli investitori”.
Questo Rienzi ha firmato e di questo abbiamo dato notizia. Il fatto che i singoli, non avendo beneficiato della transazione e non avendo ricevuto alcun ristoro economico, si siano costituiti parte civile nei confronti di MPS non smentisce affatto quel che è stato scritto, ma introduce un tema interessante, visto che tutti e 600 sono assistiti dallo stesso avvocato che è anche vicepresidente del Codacons. Sarebbe utile sapere se questa scelta dipenda, al di là della bravura del legale che non è in discussione, anche dal fatto che non si fa pagare, essendo del Codacons, scelta encomiabile, anche se, al riconoscimento di danni, farebbe seguito anche il pagamento delle spese da parte degli imputati, come il Codacons sa bene. Se così non fosse, si porrebbero quesiti cui sarebbe utile dare una risposta.
G. Me.
La Serie A è farsa? Ormai si sogna fino a primavera, per poi diventare realisti
Gentile Fatto, domenica sera ho assistito a Roma-Juventus e ho provato la sensazione di assistere al wrestling, dove la carica di farsa era eccessiva: se la Juve avesse giocato solo un po’ da Juve, avrebbe vinto. Quindi: il campionato non è falsato? Negli anni scorsi chi non aveva nulla da perdere erano le retrocesse, non chi ha lo scudetto in tasca.
Guido Chieregato
Gentile Guido, la capisco. Sempre e comunque si dovrebbe dare il massimo: per rispetto degli avversari diretti, di quelli indiretti, di se stessi e, a maggior ragione, di voi appassionati o tifosi (come si diceva una volta: oggi si dice “clienti”). Ma siamo in Italia, Paese che ha innalzato l’armistizio a simbolo; che sposa le regole e va a letto con le eccezioni.
Nel caso specifico, però, mi permetta di dissentire. O si hanno le prove del falso, o bisogna accontentarsi del verosimile. La Juventus ha vinto lo scudetto il 20 aprile scorso, a cinque giornate dal termine. Era già uscita dalla Coppa Italia e dalla Champions. Al contrario della Roma, non ha più stimoli. E la benzina rimastale, fra infortuni e tabelle sballate (alludo ai carichi degli allenamenti natalizi), le permette di reggere un tempo, non importa se il secondo – che con l’Inter e nel derby le valse comunque il pareggio – o il primo, come domenica sera all’Olimpico, quando solo le grandi parate di Mirante le impedirono di passare in vantaggio.
All’estero non è proprio così, ma neppure così romantico. Certo, una Juventus ancora in lotta per il titolo, o qualunque altra squadra in lizza per un obiettivo, si sarebbe gestita in maniera diversa. Trovare rimedi non è facile. Sono rari, rarissimi, i casi in cui, al di là delle differenze di censo e di classifica, l’uomo ha morso il cane e non viceversa: Mantova-Inter 1-0, Roma-Lecce 2-3, Perugia-Juventus 1-0, verdetti che sconvolsero l’ordine d’arrivo dei rispettivi campionati.
Per questo, sia sognatore fino a primavera e poi diventi realista: è la mia proposta “indecente”.
Roberto Beccantini
Dopo Piero Fassino il nuovo Profeta è Fabio Caressa
Ogni epoca ha i suoi Profeti. La politica italiana nulla sarebbe senza le doti oltremodo vaticinanti dell’aruspice Fassino. Al tempo stesso, il calcio nostrano deve moltissimo al Profeta Caressa. Questo bell’omino sempre umile e mai tronfio, convinto tuttora d’aver vinto da solo i Mondiali 2006, ci letizia da decenni con telecronache per nulla enfatiche e una gradevolezza contagiosa che rammenta da vicino i ricci nelle mutande. Caressa non sbaglia mai e tutto sa. Egli non valuta: sentenzia. Egli non erra: casomai è la realtà che, stolta e prosaica, non suole adeguarsi appieno al suo Verbo. Autoironico quasi come D’Alema, Caressa ci ha regalato due Profezie totemiche. La prima: “Il risultatismo (?), ‘no a me mi piace il gioco…’ (??). Per esempio adesso, vediamo l’Ajax… (pausa teatrale, come a dire: “Io lo so”), squadra di fenomeni (ironico), vediamo l’Ajax contro la Juve. Sono curiosissimo di vederla. Magari gioca una grande partita l’Ajax (eh, magari). Son curiosissimo. Perché è proprio questa divisione qua Ajax-Juventus. I situazionisti (?), cioè quelli che dicono ‘il grande gioco, l’Ajax’ e la Juventus che è un’altra cosa: concretezza. Voglio vede’ come va a finire”. E poi si è visto. La seconda profezia: “Klopp, ragazzi, Klopp rischia di passare alla storia come l’allenatore più esaltato per il gioco e meno vincente della storia”. E qui persino Bergomi (anzi “Beppe”) si è ribellato tipo Kunta Kinte. Ovviamente, di lì a qualche giorno, Klopp avrebbe condotto il Liverpool alla rimonta contro il Barcellona, confermando che Caressa porta fortuna come Crisantemi nella Longobarda.
Caressa, che a Sky ha forse il ruolo di “mediatore”, nel senso che cerca di risultare a tutti indigesto per far media con la bravura di quasi tutti i suoi colleghi, avrebbe potuto ironizzare per primo su questi suoi errori. Non esattamente. Pare anzi che abbia chiesto a Sky di togliere dal web i video incriminati. Chissà. Sia come sia, durante Chelsea-Eintracht non è parso ammaccato dalla mitraglia che lo ha zimbellato sui social. Qualche perla: “L’Eintracht ha piacere ad andare ai rigori” (l’Eintracht ha perso ai rigori). “Paciência è un ottimo rigorista e Hinteregger è il calciatore con maggiore personalità, il migliore in campo dell’Eintracht” (entrambi hanno sbagliato il rigore, eliminando di fatto l’Eintracht). E via così. Direte: “Può capitare a tutti”. Certo. Se però accade a uno che tromboneggia in servizio permanente, l’errore non te lo perdona nessuno. Anche perché, di profezie così, Caressa ne proferisce a quintali. Per esempio: “Piatek è la riserva della riserva della riserva di Milik in nazionale polacca. Li vale davvero tutti ’sti soldi?” (fai un po’ te, Fabio). Stagione 2017/18 alle porte: Caressa vede Napoli e Inter un passo avanti alla Juve (ma la Juve non si mostrerà d’accordo). Ottavi dei Mondiali 2018: “L’Argentina eliminerà la Francia” (la Francia ha vinto i Mondiali). “La Juventus si fermerà tre volte a dicembre. Lo dice l’algoritmo: la Juve va verso il pari contro Fiorentina, Inter e Atalanta” (la Juve ha vinto con Fiorentina e Inter e pareggiato con l’Atalanta, a dispetto dell’algoritmo). Agosto 2018: “Io credo che per l’Inter vedremo nomi grossi: Messi. Il Barcellona deve sostituirlo? Ce ne sono tante di alternative a lui” (come no: il mondo è pieno di alternative a Messi). Sempre quell’estate: “Il Milan è da scudetto” (e Zingaretti il nuovo Marlon Brando).
Per citare il sito 90min.com: “Se Caressa dovesse dare 84 possibili numeri per vincere al Superenalotto, voi giocatevi i 6 rimanenti. Diventerete milionari”. Amen.
Lo dice anche Ravasi: “bisogna alzare la testa”
Un’amica, Silvia Notargiacomo, che opera in tutt’altro settore, quello musicale, che almeno oggi, fra rapper e trap, non si distingue per profondità, mi ha segnalato una riflessione del cardinale Gianfranco Ravasi, che nell’ultimo concistoro è stato a un soffio dal diventare Papa, inserita nel suo libro Breviario Laico, riflessione che prende spunto da un mio articolo pubblicato sul Giorno nell’ormai lontano 1996 e intitolato Caro lettore che paghi di tasca tua i loro lussi. Scrivevo in quel pezzo: “Svegliati, lettore svegliati! Alza la testa dalla tua scrivania, dalle scartoffie, dal computer, dalle presse, dalle merci della tua bottega. Spegni l’assordante fracasso dei televisori con cui imbonitori, buffoni, ruffiani e falsi idoli ti tengono attaccato alla sedia, imbesuendoti e facendoti credere che è Carnevale anche per te. Recupera quel tanto di dignità che ti è stata lasciata. E ascolta le parole di un antico ribelle, così lontane nel tempo e così vicine: ‘Il mio animo va sempre più fremendo di giorno in giorno quando penso al genere di vita che ci aspetta se non ci rivendichiamo da noi in libertà’ (Sallustio, La congiura di Catilina)”. Puntualizza così il cardinal Ravasi: “L’ira, si sa, è un vizio capitale. Ma lo sdegno è una virtù, tant’è vero che Cristo stesso non esita a impugnare la frusta contro i mercanti nel tempio e quella fatta di parole nelle sue denunce contro le ingiustizie e le ipocrisie. La capacità di indignarci viene risvegliata da queste parole di un giornalista e scrittore che può essere discusso nelle sue accuse, ma al quale non si possono negare passione e sincerità. Parlo di Massimo Fini, dalla cui raccolta di articoli intitolata Senz’anima ho tratto lo spunto per una riflessione semplice e necessaria. L’‘antico ribelle’ a cui egli rimanda è il protagonista della Congiura di Catilina dello scrittore latino Sallustio. Siamo nel I secolo a.C. e la prosa tagliente e scultorea mette in guardia contro l’appiattimento dell’opinione pubblica che si adatta a un consenso becero, senza coscienza e critica. Le teste diventano simili a giunchi che si curvano al passaggio del vento della propaganda e al predominio del potere pronto a diffondere i suoi luoghi comuni e i suoi messaggi espliciti o subliminali. Ha ragione Fini: bisogna alzare la testa dal proprio interesse immediato, snebbiare la mente dalla chiacchiera televisiva, liberare l’anima dalle banalità che la narcotizzano e ritrovare la coscienza, il pensiero serio e fondato, la morale coerente. Scrive ancora il giornalista: ‘Più dell’orrore mi fa orrore il nulla’”.
È paradossale che io per trovare un qualche riconoscimento ad alto livello debba cercarlo fra i preti. La cosa mi lusinga, tanto più che ho avuto modo di conoscere il cardinal Ravasi, di apprezzarne l’intelligenza, l’immensa cultura e anche lo spirito ironico, ma non mi sorprende. La Chiesa può avere tanti peccati sulla coscienza ma la sua ragione in ditta rimane pur sempre l’uomo, la centralità dell’uomo. E a me, si parva licet, non sono mai interessate le ideologie, anche se per mestiere ho dovuto, soprattutto negli ultimi anni, occuparmene, mi è sempre interessato l’uomo, con le sue debolezze, le sue fragilità ma anche, quando c’è, il suo coraggio, la sua coerenza, la sua lotta inesausta, e quasi sempre perdente, per rivendicarsi con le sue mani, e non con l’aiuto di altri, in libertà (“Potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo con una scatola di legno che dicesse: perderemo”, De André). Sì, perderemo, perderemo sempre con i potenti e i prepotenti abili nel mascherarsi ogni volta da ‘liberatori’ e pronti a ottundere con ogni mezzo, economico e tecnologico, le nostre coscienze. Eppure le parole di Ravasi, e se permettete anche le mie, suonano estremamente attuali. Alziamo la testa contro un potere globalizzante che, come dicono anche tante cronache, ce l’ha fatta perdere. Meglio cadere in piedi, combattendo, che sopravvivere in una lunga ed estenuante agonia.
Il fascismo iniziò dal linguaggio
Nella discussione sul senso del Novecento, il fascismo italiano, rispetto ai grandi sistemi totalitari carichi di morti, appare come un elemento di contorno, per certi aspetti un governo illiberale (una roba di provincia, quasi a denuncia della sua “italianità”). Un’approssimazione per difetto rispetto ad altre realtà (Germania nazista, Russia sovietica) che, invece, rappresenterebbero “il canone”. […]
Si fa presto a dire fascismo e credo che di questi tempi si usi questa parola con disinvoltura eccessiva. Ha ragione Madeleine Albright quando scrive che “il fascismo è a tutti gli effetti un concetto alla moda, che si fa strada nel dibattito sociale e politico come una pianta infestante”. Il fascismo è contrapposizione tra destra e sinistra; primato dello Stato; primato del partito unico; culto del capo; eliminazione delle opposizioni. Aggiungo che il razzismo di per sé non è un prodotto del fascismo. Il razzismo è un fenomeno presente anche in realtà non fasciste negli anni dei fascismi (negli Stati Uniti, in Francia, in Gran Bretagna). Diviene, invece, una componente essenziale del fascismo quando è coniugato al totalitarismo e all’antisemitismo. Ma resta il problema. Perché la non coincidenza tra allora e ora non esclude altre cose. E soprattutto non esclude che si possa legittimamente fare comparazione. Per farla, bisogna prendere in mano i documenti e lasciarli parlare. Diversamente si fanno solo chiacchiere. […]
Claudio Pavone, lo storico, ha ricordato come il fascismo non sia caduto il 25 aprile 1945, ma come ci sia stata una “continuità dello Stato” (organi di polizia, prefetti, strutture della burocrazia, docenti universitari, apparato scolastico) che ha avuto una lunga vita oltre il fascismo, tanto da configurarsi come aspetto strutturale dell’identità italiana del Novecento. […]
Uno dei campi dove misurare questa lunga continuità è il linguaggio, e anche alcune idee strutturali del modo di pensare il rapporto tra “Io individuale” e “Noi collettivo”. La continuità risiede soprattutto nel linguaggio che dalla protesta (prima ancora che Mussolini sia “il Duce”) arriva alla costruzione del Duce. È lungo l’asse temporale che sta tra il Mussolini agitatore e dirigente socialista dei primi anni del Novecento, fino alla definizione dell’identità collettiva italiana con cui si costruisce in forma consolidata il regime (e dunque tra 1926 e 1928), che quel linguaggio prende corpo definitivamente.
Prende corpo nello stile, nella “lingua di Benito Mussolini”, sia negli anni della sua militanza socialista, sia in quelli del suo essere “Duce”; tanto nello stile retorico, uso delle forme verbali, modalità del discorso pubblico, quanto nei temi o nelle immagini che quella retorica acquista già negli anni del suo esordio in politica, all’inizio del Novecento, e che riassumo in questi: elogio della teppa; antipolitica; autorappresentazione come Italia e dunque definizione di tutti gli avversari politici come Antitalia; sovranismo economico e politica monetaria nazionalista; elogio della famiglia come patrimonio culturale da tutelare e come modello economico da salvaguardare.
Su questi temi si costruisce il linguaggio fascista molto prima che esso si incontri con le politiche colonialiste, razziste e antisemite della seconda metà degli anni Trenta, che oggi appaiono all’italiano medio imbarazzanti e dunque da respingere (al più un errore di percorso, che nella prima parte della sua storia, appunto negli anni Venti, aveva fatto anche “delle belle cose”, secondo un mito che, come ha ricordato di recente Francesco Filippi, è una profonda convinzione dell’italiano medio, indifferentemente dall’appartenenza sociale).
Quel linguaggio, che nelle sue componenti essenziali era già tutto costruito prima di quella svolta, è stato traghettato – incontaminato o pressoché invariato – nel nostro linguaggio corrente e, insieme al sentimento che gli è congiunto, ha prodotto una sensibilità che parla di noi (di allora e di ora). Con quella sensibilità noi italiani non abbiamo mai fatto i conti. La conseguenza è che essa è rimasta parte strutturale del nostro senso comune.
La forza e il successo di quel costrutto politico e culturale stanno anche in due elementi costitutivi della crisi politica italiana di allora (ma che di nuovo allude anche al reticolo concettuale della nostra crisi di oggi): da una parte l’insofferenza per una classe dirigente di tutelatori e di burocrati – avvertiti come lontani, estranei, “nemici” – che governano l’Italia tra la fine dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale; dall’altra l’agitazione – rappresentata proprio dalla “svolta” di Mussolini nell’ottobre del 1914 – sulla necessità dell’intervento, cui rispondono positivamente democratici, sindacalisti rivoluzionari, ma anche una figura fino a quel momento marginale, e che proprio da quella crisi inizia un percorso di riflessione, ovvero Antonio Gramsci. Ne risultano una funzione e una immagine della politica non più come amministrazione, o buona gestione, bensì come proclamazione, come agitazione. Quanto di questa immagine motiva la convinzione diffusa nel nostro tempo? Quanto questa immagine parla ancora al nostro presente di crisi?
“Storico sociale delle idee”, è in libreria con “Me ne frego” (Chiarelettere), una raccolta di discorsi, articoli e interventi di Benito Mussolini, 1904-1927. Il testo che qui pubblichiamo è tratto dall’introduzione
Allerta rossa in Emilia-Romagna: esonda il Savio
L’ondata di maltempo imperversa sull’Italia, con temporali, neve in quota, grandine e raffiche di vento. L’Emilia-Romagna la regione più colpita: è sott’acqua e in allerta rossa, fino a tutta la giornata di domani, per il transito della piena nei fiumi. Le situazioni più critiche nel Modenese, con ponti chiusi e case sgomberate, per la piena del Secchia, e nel Cesenate dove per l’esondazione del Savio è stato chiuso in via precauzionale un ponte ferroviario che ha causato l’interruzione dei treni tra Faenza e Cesena sulla linea Bologna-Rimini per quasi 12 ore. Sorvegliati speciali Secchia, Panaro, gli affluenti del Reno e i corsi d’acqua romagnoli. Sulla costa attese raffiche di bora fino a 90 chilometri orari. In campo a Modena anche l’esercito e in tutta la regione dalla notte scorsa sono al lavoro circa 200 volontari oltre a Vigili del fuoco, forze dell’ordine, protezione civile e Aipo. L’allerta dunque sarà massima per tutta la notte e anche per oggi. “Il peggio – sottolinea Maurizio Mainetti, direttore dell’Agenzia di protezione civile dell’Emilia-Romagna – non è passato”.
Il nuovo business della mafia: “Soldi nella produzione di caffè”
C’è un nuovo business che fa gola alla mafia. Ed è quello del caffè. È quanto emerge da un’indagine della Guardia di finanza che ha svelato un inedito asse tra Milano e Palermo basato proprio sul commercio della bevanda più diffusa al mondo (dopo l’acqua). Sei persone, tra cui alcuni prestanome, sono finite in manette e due aziende sono state sequestrate preventivamente dalle fiamme gialle. Le accuse vanno dal riciclaggio al trasferimento fraudolento di valori, tutti reati con l’aggravante mafiosa. Al centro dell’inchiesta palermitana, gli investimenti della famiglia mafiosa dei Fontana, i cui capi, usciti di galera, si erano trasferiti nel capoluogo milanese. A gestire gli affari ci pensava il clan dell’Acquasanta-Arenella, vicino a Totò Riina e capeggiato dal boss Stefano Fontana fino alla sua morte, nel 2012. I guadagni sarebbero stati riciclati in due società, la “Cafè Moka special di Pensavecchia Gaetano” e la “Masai caffè Srl” di Palermo.
Entrambe sono state sequestrate grazie alle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia. Tra gli arrestati c’è il 41enne Giovanni Fontana: avrebbe investito a partire dal 2014 una cifra fra i 150mila e i 300mila euro frutto dei guadagni mafiosi della famiglia, dedita tra l’altro alle estorsioni, nella società “Cafè moka special”, per avviare l’attività e realizzare un nuovo impianto produttivo. Sarebbe stato lui a curare la remuneratività dell’investimento e per questo da Milano si recava spesso a Palermo, salvo poi delegare alla sorella minore la riscossione del denaro mensilmente dovuto. Le porte del carcere si sono aperte anche per l’imprenditore Gaetano Pensavecchia. Per gli investigatori era “perfettamente inserito nella logica mafiosa”. Le richieste dei mafiosi si facevano sempre più pesanti e senza sapere di essere intercettato dal Gico diceva: “La maledizione del Signore è che siamo in società con questi”.
Omicidio del calciatore La Rosa, ergastolo per Rullo e la madre “Lo ammazzarono per i soldi”
La Corte d’Assise di Milano ha condannato all’ergastolo Antonietta Biancaniello e Raffaele Rullo, madre e figlio accusati di avere ucciso e provato a sciogliere nell’acido l’ex calciatore Andrea La Rosa, ritrovato in un fusto di benzina nel bagagliaio dell’auto della 60enne, nel dicembre 2017. Per entrambi gli imputati, la Corte ha infatti riconosciuto l’omicidio aggravato e l’occultamento del cadavere del 35enne e anche il tentato omicidio della moglie di Rullo, Valentina Angotti. Dopo il verdetto Biancaniello è scoppiata in lacrime, mentre l’informatico è rimasto impassibile. I familiari della vittima si sono, invece, abbracciati.
L’ipotesi dei pm Maura Ripamonti e del procuratore aggiunto Eugenio Fusco è che nel novembre 2017 i due organizzarono una trappola per La Rosa a casa dell’anziana, in via Cogne, alla periferia di Milano. Stando all’indagine coordinata dalla Procura e condotta dai carabinieri, l’ex calciatore fu prima narcotizzato e poi ferito alla gola con un’arma da taglio. Privo di sensi, fu spinto dentro un bidone di gasolio dove i due gli gettarono addosso dell’acido, le cui esalazioni lo uccisero. Secondo inquirenti il movente era legato al denaro. I due avrebbero ucciso La Rosa, al quale il killer doveva 38 mila euro, mai restituiti, dopo il fallimento di un altro piano criminale, che risale a un mese prima del delitto di La Rosa, messo a punto per incassare i 150 mila euro della polizza sulla vita intestata alla moglie del presunto killer che cercarono di assassinare, inscenando un suicidio. La donna si salvò per miracolo. Ieri, rendendo dichiarazioni spontanee, la 60enne si è assunta, ancora una volta, tutta la colpa dell’omicidio tentando di scagionare il figlio. “Ho fatto tutto io”, ha detto, facendo sbottare la madre della vittima che ha gridato in aula “basta”. La Corte ha ordinato risarcimenti provvisionali, immediatamente esecutivi, per circa 475 mila euro, oltre alle spese legali, in favore dei genitori di La Rosa e della Angotti.
Concorso esterno con i Casalesi. Chiesta l’archiviazione per l’ex senatore Pd Diana
Per scriverl, limarla e soppesarla, parola per parola, la Procura di Napoli ha impiegato quasi un anno. E ora sarà il Gip a decidere se merita di essere accolta la richiesta di archiviazione dell’ex senatore Pd Lorenzo Diana, che nel 2015 finì nel cuore di un’inchiesta della Dda di Napoli sulle infiltrazioni del clan dei Casalesi nei lavori per la metanizzazione del bacino di Casapesenna, Casal di Principe e San Cipriano d’Aversa (Caserta), attraverso i subappalti della Cpl Concordia, la coop rossa emiliana che ottenne l’incarico e fu a sua volta indagata.
All’epoca la notizia fece enorme scalpore: Diana era considerato una icona dell’anticamorra nel casertano, l’unico politico citato e lodato da Roberto Saviano nel libro “Gomorra”, eppure fu indagato per concorso esterno in associazione camorristica. Secondo le dichiarazioni dei pentiti, a cominciare da quelle di Antonio Iovine, avrebbe giocato un ruolo di mediatore tra impresa e politica in una partita poco pulita sugli interessi dei clan nella spartizione dei lavori, ognuno dei quali affidati a una famiglia camorristica diversa a seconda del territorio di svolgimento. Il fascicolo, inizialmente curato dal pm Cesare Sirignano (oggi in Dna), era poi approdato sulla scrivania del pm Catello Maresca, per giungere infine all’attenzione del pm Maurizio Giordano. Sua è la firma sulla richiesta di archiviazione, disposta sulla base della inattendibilità delle dichiarazioni di Iovine, che Diana ha contribuito a smontare attraverso un interrogatorio e un paio di memorie difensive. Mentre la posizione di Diana languiva nel limbo di un avviso concluse indagini senza sviluppi, la Dda ha celebrato il processo per la metanizzazione nel casertano che si è concluso il 13 ottobre 2017 con la condanna di due imprenditori di riferimento del clan dei Casalesi e l’assoluzione dei vertici Cpl, tra cui l’ex presidente Roberto Casari. La Procura ha fatto ricorso.