Altri guai per Oliverio, sotto inchiesta la compagna

Questa volta non è indagato ma, politicamente, l’avviso di garanzia alla sua compagna Adriana Toman è un altro guaio giudiziario per il presidente della Calabria Mario Oliverio, candidato in pectore del Pd alle prossime Regionali. Dopo “Lande desolate” e “Passepartout”, la Procura di Catanzaro ha chiuso le indagini sui fondi destinati nel 2016 ai circuiti teatrali regionali: 660 mila euro in parte stati assegnati a soggetti vicinissimi a Mario Oliverio e alla sua compagna indagata per turbata libertà degli incanti.

Soldi pubblici (circa 220 mila euro) che, su istigazione di Adriana Toman, sono stati dirottati alla compagnia teatrale di “Porta Cenere”, di cui era direttore artistico Marco Silani, amico di Oliverio e della sua compagna.

L’inchiesta trasuda il sistema di potere, affari e politica che in Calabria è targato Pd che esce a pezzi dall’indagine “Passpartout”, così come il governatore Oliverio e l’ex deputato Nicola Adamo, marito della parlamentare Enza Bruno Bossio.

Non indagata, quest’ultima è stata intercettata a febbraio 2015 quando si vanta del nuovo assessore ai Trasporti Roberto Musmanno. La scelta l’ha fatta Oliverio, ma la Bruno Bossio si prende il merito al telefono con il direttore di Ferrovie della Calabria Giuseppe Lo Feudo. “È il mio regalo per te” dice all’uomo, ora indagato e all’epoca interessato all’appalto per la metropolitana di superficie di Cosenza. Lo Feudo replica: “È una cosa bella… Sarà una tranvia che li seppellirà”. L’inchiesta è partita da Napoli, dove era stato intercettato Giovanni Santilli, giornalista, oggi “vicesegretario generale della Fondazione Icsa fondata Francesco Cossiga e Marco Minniti”.

Gli inquirenti lo sentono parlare di Calabria dove “c’è – scrivono i pm – un ‘gruppo’ di potere riconducibile a Nicola Adamo e alla moglie Vincenza Bruno Bossio”. “Sono due fondamentali, là, nelle scelte” diceva Santilli. L’inchiesta del procuratore Gratteri gli ha dato ragione: Adamo è il “regista delle vicende politiche e amministrative calabresi”.

Dai collaboratori da piazzare nelle strutture dei consiglieri regionali agli incarichi affidati dall’ufficio di presidenza di Palazzo Campanella. Nelle intercettazioni tra Adamo e la Bruno Bossio c’è anche il progetto di una “struttura ad hoc per il controllo dei dirigenti”: “Tutte le carte – dice alla moglie – devono passare dalle nostre mani”.

Nonostanteda tempo non ha incarichi pubblici, Adamo riesce a stare “dietro le quinte” della politica regionale di cui, a tutti gli effetti, è il puparo in grado di trasformare il suo factotum, un tale Feliciano, da sorvegliante idraulico di “Calabria Verde” a responsabile amministrativo della società in house. “Guadagnerebbe il quadruplo” spiega a Enza Bruno Bossio.

L’ex vicepresidente della Regione vorrebbe di più per lei. Potrebbe gestire i fondi europei ma per farlo dovrebbe approdare al ministero degli Affari regionali.

È il febbraio 2015 e l’ex deputato del Pd caldeggia la nomina della moglie a sottosegretario. “Salverebbe la Calabria” confida a un tale Egidio che lo rassicura (“Sto lavorando nel merito”) e gli svela “di aver parlato con Roberto”. Per gli inquirenti si tratta di “Roberto Speranza, capogruppo del Pd alla Camera”. Ne parla pure con l’ex deputato Ugo Malagnino. Poi intercettato Adamo spiega i vantaggi dell’operazione: “Ci prendiamo tutto… dal punto di vista del consenso politico”.

Voto di scambio, indagato il braccio destro di De Luca

“Inciarmare” è un verbo gergale campano. Indica l’arte di “sistemare, mettere mano, aggiustare”. Uno bravo a inciarmare è uno che mette a posto le cose difficili. Quelle che non tutti sanno fare. Quelle che non sempre si possono fare. Inciarmare è il verbo che pronuncia Franco Alfieri, l’attuale candidato sindaco di Capaccio per i dem e capo della segreteria del governatore Pd della Campania Vincenzo De Luca, da ieri ufficialmente indagato per voto di scambio politico-mafioso, mentre rassicura Fiore Marotta, esponente dei Marotta, la famiglia degli ‘zingari’ di Agropoli – secondo il Riesame di Salerno è un clan camorristico, ma la Cassazione il 3 maggio ha smontato l’aggravante – che quel giorno si trova davanti a lui per risolvere un problema di quelli che non capitano spesso.

Marotta ha bisogno di un lavoro per l’affidamento in prova e attenuare la misura degli arresti domiciliari per espiare una condanna. È il 31 gennaio 2013, la microspia ascolta, Alfieri è il sindaco di Agropoli in carica e il colloquio con il pregiudicato è cordiale. Marotta vorrebbe un posto a tempo indeterminato. Alfieri lo stoppa. “Indeterminato non lo possono fare”. “Dai fammi ‘sto favore”. “Non ti preoccupare, ti faccio fare una cosa io con i servizi sociali” (…) “Io, l’unica cosa che sai già dove posso inciarmare qualcosa, tu dici che non va bene” ricorda Alfieri. “Il camion dell’immondizia” lo precede Marotta. “E non ci vuole andare gliel’ho detto già… è l’unica cosa che mo’ posso fare”, insiste Alfieri. Marotta recalcitra, poi accetterà e quel camion lo andrà a guidare. Quando capita. Spesso si assenterà per i motivi vari.

Le intercettazioni sono rimaste a lungo segrete, per poi fare capolino tra le carte del Riesame di 22 arresti eseguiti a fine novembre scorso. In carcere finirono esponenti dei Marotta accusati di minacce al sindaco di Agropoli Adamo Coppola, che non aveva voluto riceverli in Comune, e a un maresciallo dei carabinieri che stava indagando su di loro. E dalle carte sono emersi, di nuovo, i rapporti tra Alfieri e i Marotta “finalizzati ad avere benefici di vario genere”. Dopo la vicenda, già esplorata negli anni scorsi, delle case confiscate ma rimaste nella disponibilità dei Marotta, costate ad Alfieri, in qualità di ex sindaco, una condanna della corte dei conti confermata in Appello.

Le conversazioni sull’arte di inciarmare sono uno dei terreni della nuova indagine condotta dal pm anticamorra di Salerno Vincenzo Montemurro che ha iscritto Alfieri e l’attuale sindaco Coppola nel registro degli indagati per voto di scambio politico-mafioso. Ieri gli uomini della Dia salernitana coordinati da Giulio Pini hanno perquisito casa e studio legale di Alfieri e hanno acquisito una mole di carte in municipio. Si indaga sugli appalti della spazzatura, sui criteri di reclutamento dei lavoratori nelle cooperative del ramo e controllate dalla politica, e anche sui tentacoli allungati dal clan Marandino di Capaccio Paestum, dove Alfieri si è candidato a sindaco, per monopolizzare il servizio di onoranze funebri tra Capaccio e Agropoli attraverso il ruolo dell’imprenditore Roberto Squecco, recentemente condannato in via definitiva per la tentata estorsione di un prestito usuraio: vittima, una impresa di pompe funebri concorrente.

La coincidenza dell’iniziativa giudiziaria con le imminenti eleznioni ha scatenato reazioni e polemiche di vario tipo. Il M5s in una nota firmata dal deputato Anna Bilotti e dal consigliere campano Michele Cammarano ha chiesto al Pd di ritirare la candidatura di Alfieri “il politico che rastrella preferenze grazie quello che l’attuale presidente Regione Campania ha definito ‘il sistema delle fritture di pesce’”. Il deputato Fdi Edmondo Cirielli si è chiesto “cosa ne penserà il capolista Pd alle europee Franco Roberti (ex procuratore nazionale antimafia, ndr)”. Alfieri ha replicato rammaricandosi della tempistica: “Mi dispiace che queste attività investigative abbiano luogo nel pieno della campagna elettorale. Nell’esprimere, come sempre, la mia piena fiducia nel lavoro della magistratura, vado avanti a testa alta”.

Tiscali, presidente e amministratore delegato Renato Soru

Renato Soru è presidente e amministratore delegato ad interim di Tiscali in attesa dell’assemblea dei soci, che non è stata ancora convocata. È quanto emerge al termine del Cda della società di tlc che ha attribuito le deleghe al proprio fondatore dopo l’accordo per l’ingresso di Amsicora del capitale al posto del socio russo Otkritie. Alex Kossuta lascia l’incarico di amministratore delegato e rimane per ora nel board come consigliere. Secondo quanto si apprende dovrebbe invece lasciare il consiglio di Tiscali l’attuale presidente Alexander Okun. Per convocare l’assemblea tornerà a riunirsi il board presumibilmente quando verrà finalizzato l’accordo annunciato venerdì scorso fra la società guidata da Claudio Costamagna e i russi, attraverso il quale Amsicora diventerà primo azionista col 22% di Tiscali. È prevista poi la firma di patto parasociale con Soru, azionista al 7,94 per cento. Intanto titolo in Borsa, dopo una partenza sprint con un rialzo superiore al 10%, ha perso terreno e ha concluso in calo dell’1,42% a 0,0139 euro. Si tratta di un valore comunque superiore a 0,0085 euro pagati da Amsicora all’azionista russo Ict Holding.

Fontana 4 ore dai pm: “Sono fatti da niente”

Quattro ore di interrogatorio “per chiarire un fatto da niente”. Questa la conclusione della giornata del governatore lombardo, secondo il suo avvocato. Ieri Attilio Fontana è stato sentito dal capo della Dda Alessandra Dolci e dai pm dell’indagine “Mensa dei poveri”.

Sul tavolo l’accusa di abuso d’ufficio per aver favorito la nomina del suo ex socio di studio Luca Marsico nella commissione esterna dell’Unità tecnica di valutazione e di verifica degli investimenti pubblici “in questo modo – si legge nell’invito a comparire – procurando al Marsico un ingiusto vantaggio patrimoniale”. Al termine dell’interrogatorio Fontana ha detto: “Ho chiarito tutto, ora sono più sereno”. Il presidente della Regione ha rivendicato la sua scelta di nominare l’amico per non disperdere le sue competenze da avvocato, scegliendo, per lui, il ruolo più vicino alle sue esperienze e il meno dispendioso, 11.500 euro all’anno. Sul piatto anche la consulenza di Marsico ricevuta da Trenord nel settembre del 2018 (vicenda non contestata nel capo d’imputazione) e i rapporti del presidente con l’ex coordinatore provinciale di FI, Nino Caianiello. Rapporti molto stretti come dimostrano le intercettazioni. Alla frase del governatore: “Ho seguito i tuoi consigli (…) hai visto la giunta non è male”, Caianiello risponde: “Non te ne pentirai vedrai”. Nella giornata di ieri, poi, il gip ha respinto la revoca dei domiciliari chiesta dal consigliere regionale di FI, Fabio Altitonante. Al termine del dispositivo, composto da tre pagine, si legge: “La consolidata rete di relazioni di cui l’indagato continua a godere grazie alla lunga permanenza in diversi ruoli chiave della pubblica amministrazione a livello comunale, provinciale e regionale, consentirebbe al medesimo di perpetrare, anche per interposta persona, altri reati (…), nonché di concertare con persone informate sui fatti una versione di comodo tesa ad alterare la corretta ricostruzione degli accadimenti”.

Altitonante è accusato di aver preso un finanziamento di 10 mila euro. In cambio, secondo i pm, si sarebbe attivato per sbloccare una pratica urbanistica facendo pressioni su funzionari dell’ufficio tecnico del comune di Milano, in particolare sull’architetto Franco Zinna che ieri è stato interrogato. Il funzionario si è difeso sostenendo che l’abuso d’ufficio non può esistere in quanto la pratica che riguarda la villa intestata alla moglie del manager Luigi Patimo non è ancora terminata. Sul tema, il gip riprende poi un’intercettazione tra Patimo e il politico dove il primo dice: “La processione non cammina, la candela si consuma”. Un’espressione “allusiva” che il consigliere regionale riferisce “alle spese che l’imprenditore continuava a sostenere per l’immobile”. Secondo il giudice quelle parole dimostrano, invece, che Altitonante “era in debito di un favore verso il richiedente”. Le spiegazioni di Altitonante sono state ritenute “non idonee a scalfire il giudizio di gravità espresso nell’ordinanza cautelare”. Infatti, il politico “non ha fornito una spiegazione sulle ragioni per cui, pur non gradendo la presenza di D’Alfonso (l’imprenditore che paga la politica), era solito, nel periodo della campagna elettorale frequentarlo assiduamente”. Ancora: “Altitonante richiesto sulla presenza di altri imprenditori non ha saputo evidenziare né il nome né le ragioni dell’incontro”. Per il gip, poi, i soldi della campagna elettorale non erano, come detto dal consigliere regionale, per il consigliere comunale di FI Pietro Tatarella, ma per lui.

Expo, l’accusa contro Sala: “Tredici mesi per due falsi”

Un anno e un mese: è questa la condanna che la Procura generale chiede per il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, sotto processo per falso materiale e ideologico. L’accusa è di aver firmato, quand’era commissario e amministratore delegato della società Expo, due atti falsi, retrodatati, per nominare due commissari supplenti per la gara della Piastra, il più ricco degli appalti per i lavori dell’esposizione universale 2015.

“Il reato è documentalmente provato”, ha detto ieri in aula il sostituto procuratore generale Massimo Gaballo. La Procura generale era scesa in campo dopo che la Procura aveva chiesto l’archiviazione delle accuse a carico dell’ex commissario Expo diventato nel frattempo sindaco di Milano.

Il 15 maggio 2012 vengono nominati i cinque commissari del più grande appalto Expo. Il 18 si svolge la prima seduta pubblica della commissione giudicatrice, alla presenza dei commissari. Subito dopo, emerge che due di loro sono incompatibili, non possono far parte della commissione. La gara rischia di saltare. È “un problema grave”, segnala Gaballo, “tale addirittura da mettere in forse la stessa realizzazione di un evento di rilevanza internazionale”. Tra i manager di Expo seguono contatti frenetici, comunicazioni tese. Il 31 maggio, arriva la pezza per risolvere il problema: Sala firma, nella sua casa di Brera, un atto che annulla il verbale del 15 di nomina della commissione, con la motivazione che “per mero errore materiale non è stata inserita in tale verbale la nomina dei commissari supplenti”; e firma un secondo documento in cui nomina di nuovo gli stessi commissari, aggiungendo però quattro “commissari supplenti, in sostituzione dei predetti membri effettivi della commissione giudicatrice in caso di qualsiasi impedimento di questi ultimi ad attendere a una o più sedute”. La data indicata sui due documenti, falsa, è quella del 17 maggio 2012.

Conclude il pm: “Dobbiamo pertanto ritenere provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che i ‘triumviri’, identificati con certezza nelle persone di Sala, Paris e Chiesa (Angelo Paris e Carlo Chiesa erano i manager che affiancavano Giuseppe Sala in Expo, ndr) decisero di retrodatare gli atti per la sanatoria delle incompatibilità, quale unica modalità per rendere inattaccabile la procedura di gara, scongiurando il rischio di ricorsi giurisdizionali da parte dei concorrenti non vincitori”.

Interrogato in aula il 15 aprile, Sala aveva opposto alle domande del pm una serie infinita di “non ricordo”. Per dieci volte ha ripetuto di non avere memoria di niente. Di non essersi neppure accorto “della retrodatazione dei verbali”, consapevolezza acquisita solo dopo essere stato indagato. “Ho firmato migliaia di atti, ancora oggi non lo ricordo come uno dei passaggi più rilevanti della storia di Expo”, aveva detto. “Solo quando le mie strutture mi segnalarono che due commissari versavano in una incompatibilità presunta, chiesi di trovare una soluzione. Non ricordo quando e dove ho messo la firma”.

Al pm che gli chiedeva se aveva visto che la data degli atti era diversa (17 maggio) da quella in cui li stava firmando (31 maggio), aveva risposto: “Non lo ricordo, per me l’importante era la parte sui sostituti commissari, non ho guardato la data”. Per caso firmò due volte? “Non lo ricordo”. Chi portò i documenti da firmare? “Non lo ricordo”. E aveva aggiunto: “Escludo di aver sempre riguardato dentro le migliaia di pagine di migliaia di atti: non è che firmassi senza guardare, ma la mia era una verifica sommaria, sulla fiducia che i miei tecnici capaci avessero verificato tutto”. Tutta colpa dei suoi “tecnici capaci”, dunque? No, secondo il pm: “Sala non è credibile quando cerca di minimizzare il problema, che invece era grave, perchè poteva pregiudicare la realizzazione dell’evento”, ribadisce Gaballo. E la soluzione trovata per risolvere il “problema” è stata la realizzazione di due documenti falsi. Ora la parola passa alle difese. Poi i giudici decideranno.

Fratel Biagio al 15° giorno di digiuno: no all’espulsione di Paul

Oggi giornata di digiuno di tutti i 1100 ospiti della Missione speranza e carità di Palermo, fondata da Biagio Conte. Il missionario laico da quindici giorni è in sciopero della fame per protestare contro l’espulsione di Paul, un cittadino ghanese giunto quasi vent’anni fa in città e da oltre dieci al servizio della struttura, in cui lo scorso settembre Papa Francesco ha pranzato nella sua visita pastorale a Palermo. L’iniziativa è sostenuta anche dal sindaco Leoluca Orlando.

“Tutti insieme, italiani e migranti per essere accanto a Fratel Biagio in digiuno di penitenza e preghiera da 15 giorni, e a Paul, il ghanese con provvedimento di espulsione”, spiegano dalla Missione. Tutti i laboratori e le attività lavorative saranno interrotte. Dalle 7 del mattino alle 20 di sera si farà il digiuno in piazzetta padre Pino Puglisi, a Brancaccio, e in vari luoghi. “Chiunque può partecipare da ogni luogo – spiegano dalla missione – offrendo questa giornata di penitenza per chiedere al Buon Dio l’apertura dei cuori all’accoglienza”.

L’elemosiniere del Papa rischia di essere indagato

Potrebbe rinunciare all’immunità vaticana Konrad Krajweski, il cardinale elemosiniere che nei giorni scorsi ha riattivato la corrente elettrica allo stabile occupato di via di Santa Croce in Gerusalemme, nel rione Esquilino a Roma. Questo, ovviamente, quando la Procura di Roma aprirà un’indagine a suo carico.

La Areti Spa, società del gruppo Acea – multiutility partecipata al 51% dal Comune di Roma – infatti ieri ha presentato un esposto per truffa contro ignoti.

Il cardinale polacco (ex elettricista) ha ammesso di essersi calato nella centralina elettrica dello stabile ed aver strappato i sigilli apposti dalla compagnia elettrica, lasciando anche il suo biglietto da visita con l’appunto a penna “sono stato io”. Un’azione eseguita “su ordine di Papa Francesco”, assicura Andrea Alzetta, leader storico di Action, il movimento per il diritto all’abitare che nel 2013 ha trasformato l’ex sede Inpdap in “Spin Time Labs”, occupazione dove trovano riparo circa 450 persone di 18 nazionalità diverse. “Se fosse così il pm dovrebbe indagare pure il Papa: buona fortuna”, aggiunge Sabrina, una delle occupanti laureata in Giurisprudenza.

Tecnicamente, l’articolo 21 del Trattato Lateranense del 1929 riconosce agli uomini di Chiesa e, in particolare, ai membri del Collegio cardinalizio una sorta di immunità, cavillo in passato utilizzato da diversi sacerdoti per sfuggire alle accuse di pedofilia. Ma proprio per questo motivo, il mandato di Papa Francesco ha imposto costanti deroghe a questo tipo di privilegio. In attesa di capire se Krajweski risponderà, di fronte allo Stato Italiano, della sua azione di “disobbedienza civile”, ieri pomeriggio si è svolta l’assemblea dello Spin Time. Qui Alzetta ha annunciato che saranno consegnate a Jorge Bergoglio e al cardinal Konrad due tessere onorarie dell’associazione. “La Chiesa è parte integrante di questa occupazione – ha detto –. Nel 2014 abbiamo ricevuto la Benedizione Apostolica e da lì in poi sono iniziati i corsi, come il laboratorio di restauro delle opere sacre, e gli aiuti”. Action ha dato il via a una petizione da presentare alla sindaca Virginia Raggi per il “riconoscimento giuridico dell’occupazione” e la possibilità di “mettere la residenza”. “Derogando al decreto Renzi-Lupi del 2015 – ha spiegato Alzetta – potremo pagare le bollette. E se avremo lo stesso trattamento della Lega con i 49 milioni, ci impegneremo anche per i 300.000 euro di morosità”.

Assente all’Assemblea il Campidoglio, benché il vicesindaco Luca Bergamo – a titolo personale – abbia espresso più volte solidarietà all’occupazione. Presenti la minisindaca Dem del Municipio I Centro Storico, Sabrina Alfonsi, e il consigliere regionale Paolo Ciani, che ieri è statao contestato da alcuni militanti in quanto “la Regione è parte del problema”. Si fa riferimento ai 250 milioni di fondi ancora inutilizzati e, tecnicamente, destinati alla realizzazione di case popolari. Il tutto mentre solo a Roma ci sono 13.000 persone in lista d’attesa per gli alloggi, 1.200 persone nei cosiddetti ‘residence’, mentre nelle roulotte in giro per Roma vivono almeno 20.000 persone (di cui 6.000 nei campi rom).

Intanto, mentre allo Spin Time si applaude al socio onorario Bergoglio, Fratelli d’Italia è tornata in piazza ieri pomeriggio a Casal Bruciato per protestare contro le assegnazioni delle case popolari ai rom.

Stop al Viminale: la nave Mar Jonio sequestrata a metà

La nave Mare Jonio per ora resterà ferma a Lampedusa per nuovi accertamenti. La Procura di Agrigento ha disposto il sequestro probatorio, che permetterà di accertare i fatti e gli eventuali reati. Su indicazione del Viminale la Guardia di Finanza aveva chiesto il sequestro preventivo dell’imbarcazione perché ritiene che l’equipaggio abbia già commesso reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e si appresti a commetterne ancora, ma la Procura agrigentina non l’ha convalidato. Il capitano Massimiliano Napolitano e il capomissione-armatore Giuseppe Caccia sono comunque indagati per quel reato, per aver soccorso venerdì scorso 30 migranti, salvandoli al largo del Mediterraneo senza riportarli in Libia come avrebbe voluto il ministro dell’Interno.

“Siamo colpevoli di aver seguito il diritto internazionale e la legge dell’umanità – spiega al Fatto Alessandra Sciurba, portavoce di Mediterranea, l’organizzazione legata alla sinistra radicale che gestisce la Mare Jonio –. È un modo in più per fare chiarezza, siamo sempre più convinti di essere nel giusto e corretti nel nostro operato, in un contesto che è sempre più violento, arbitrario e disumano in mezzo al Mediterraneo”.

È la seconda volta che la nave viene fermata a Lampedusa. Alcuni mesi fa, dopo aver salvato 49 migranti, il comandante e il capo missione erano stati indagati per lo stesso reato. Pochi giorni dopo la nave è stata dissequestrata.

Negli ultimi due anni, diverse navi di Ong sono finite sotto inchiesta in Sicilia. A partire dalla tedesca Iuventa della Ong Jugend Rettet, sequestrata ad agosto 2017 dalla Procura di Trapani sempre con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, confermata anche dalla Cassazione in sede cautelare: il processo deve ancora iniziare. A marzo dello stesso anno è toccata alla spagnola Proactiva Open Arms, giunta a Pozzallo con 218 migranti e bloccata dalla Procura di Catania guidata da Carmelo Zuccaro. L’accusa di associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina è stata sgonfiata a metà aprile dal giudice di Ragusa, che ha ordinato il dissequestro della nave ritenendo insussistente l’ipotesi di reato.

Altre due navi sono sotto inchiesta a Catania. L’Aquarius di Sos Mediterranée e Medici senza frontiere, bloccata mentre a Marsiglia dopo il salvataggio di 630 persone nel giugno 2018: era stata costretta dal governo italiano a raggiungere Valencia, con costosa scorta militare. Poi il Tribunale del riesame l’ha dissequestrata. E la Sea Watch 3, Ong tedesca e bandiera olandese, è stata sequestrata per ventidue giorni, dopo aver salvato 47 persone ed essere rimasta in mare per 12 giorni. Ha ottenuto il permesso di ripartire solo dopo aver adempiuto alle prescrizioni delle autorità olandesi e dalla Guardia costiera. Ora torna nel Mediterraneo centrale, Matteo Salvini ha già detto che non attraccherà in Italia. Vedremo

Gli stessi magistrati di Agrigento e del Tribunale dei ministri di Catania hanno incriminato due volte il leader della Lega per aver ritardato lo sbarco della nave militare Diciotti (richiesta di autorizzazione respinta dal Senato) e della Sea Watch. Salvini sa benissimo che le norme attuali non gli consentono di combattere le Ong come vorrebbe, tant’è che promuove da giorni un “decreto sicurezza-bis” con multe da “3500 a 5500 euro per ogni singolo straniero trasportato” in Italia anziché riportato in Libia come indicato dal Viminale in base al luogo del soccorso, la “sospensione da 1 a 12 mesi o la revoca della licenza, autorizzazione o concessione” ai natanti contravventori, l’attribuzione al ministero dell’Interno della potestà di “limitare o vietare il transito” e “la sosta nel mare territoriale” per “ragioni di ordine e sicurezza pubblica”, oggi di competenza del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Sulla bozza che circola ci sono forti dubbi di costituzionalità e di contrasto con le convenzioni internazionali firmate dall’Italia. Ieri Salvini ha annunciato di voler aggiungere un fondo per i rimpatri, con il quale corrispondere “premi” in denaro ai Paesi d’origine che saranno più disponibili a riaccogliere migranti irregolari.

I leghisti isolano i 5stelle sui sindacati delle forze armate

È un episodio ma pare anche lo specchio della tensione tra Lega e Cinque Stelle, su tutto. Una divergenza esplosa ieri in commissione Difesa alla Camera, dove il Carroccio ha votato assieme agli altri partiti contro il M5S sulla libertà sindacale delle Forze armate, mettendo in minoranza con 25 voti contro 13 la relatrice del testo, la 5Stelle Emanuela Corda. E così è stato bocciato un emendamento dei 5Stelle secondo cui a occuparsi di tutte le controversie di lavoro dei militari dovevano essere, spiegano i 5Stelle, “i giudici ordinari, in funzione di giudici del lavoro”. Ma la Lega, assieme alle altre forze politiche, ha votato un sub-emendamento di Forza Italia che ha lasciato la competenza ai tribunali amministrativi. Così ora il Pd attacca: “Le frizioni tra Matteo Salvini e il ministro della Difesa Elisabetta Trenta cominciano ad avere concrete ripercussioni parlamentari. La crisi di governo è sempre più profonda”. Il capogruppo alla Camera del M5S Francesco D’Uva replica: “Questa vicenda è slegata dalle dinamiche nazionali”. Ma in serata i deputati del Movimento in commissione parlando di “fatto molto grave perché si è deciso di negare al personale militare una tutela garantita a tutti i lavori”.

Con Lucano però c’è “l’Onda rossa”

Gli studenti sono in piedi da ore, “conquistano” piazzale Aldo Moro, fuori dalla cittadella universitaria della Sapienza di Roma. L’attesa per l’arrivo di Mimmo Lucano, la risposta alle minacce fasciste di Forza nuova, la protesta contro il governo “della Lega e dei 5stelle che hanno legittimato Salvini e i suoi”, hanno riunito un mondo: il coordinamento dei collettivi, studenti non militanti, docenti, la Fiom e altri pezzi della Cgil, diversi partiti della frammentata galassia della sinistra.

“Tanta gente così qui non la vedevo da una vita, forse dalla contestazione a Luciano Lama”, commenta un professore che cerca di farsi largo tra gli studenti. Poi il colpo di scena, atteso: gli agenti arretrati ai margini di piazzale Aldo Moro per far spazio alla manifestazione alzano gli scudi e corrono verso viale delle Scienze. Le camionette, che già avevano sigillato via Piero Gobetti, si spostano, ne arrivano altre. Da destra (per forza), ateneo alle spalle, sta arrivando il manipolo di Roberto Fiore.

Eccole laggiù in fondo le (dieci) bandiere di Forza nuova, un’altra camionetta “controlla” il presidio fascista: i camerati che urlano slogan contro i migranti e Lucano sono non più di trenta. Rimangono un’oretta in piazza Confienza, a seicento metri dai “rossi”. Unico “successo” della giornata: lo schiaffo di un fascista a uno studente davanti alla Biblioteca nazionale di via Castro Pretorio. Nel frattempo Lucano è arrivato. Tripudio e la folla si sposta di nuovo. Lucano sale sull’improvvisato trespolo della fontana, ha la voce rotta dall’emozione: “Sono uno di voi”. La folla che prima urlava “odio la Lega” passa a ritmare “siamo tutti Mimmo Lucano”. Il sindaco sospeso di Riace si commuove: “Noi siamo l’onda rossa che si oppone all’onda nera”. Sommerso dagli applausi viene aiutato a scendere, si apre un corridoio con difficoltà per farlo passare ed entrare in ateneo, mentre tutti vogliono stringergli la mano, magari riuscire a strappare un selfie, come si chiamano oggi gli autoscatti.

Entrare in aula è molto complicato, un muro umano blocca l’ingresso, alla fine con fatica Lucano sale in cattedra. C’è Vito Teti, uno dei più importanti antropologi italiani, con la professoressa Laura Faranda del Dipartimento di Storia che ha organizzato questo ciclo di incontri, seminari scientifici: “Il senso dei luoghi e il senso degli altri. Riace da condividere” è il titolo della conferenza. C’è tanta gente che non si respira, si accomoda per terra tra gli studenti anche lo scrittore Erri De Luca. Arriva l’ex sindaco “scalzo” di Messina, Renato Accorinti. La cantautrice Giovanna Marini raggiungerà la cattedra alla fine per intonare Bella ciao. Quando Lucano prende la parola il fragore degli applausi seppellisce anche il vago ricordo delle bandiere nere, lo schiaffo del camerata di Fiore è cancellato dalla cultura.