Sanità, De Luca e Zingaretti congelati: Grillo e il Tesoro aspettano le Europee

Lo scontro con la Lega è rimandato a dopo le Europee. Quando il governo tornerà a riunirsi sull’ennesima partita che scotta: la sanità. Solo allora verranno messe in chiaro le cose: la regione Lazio, presieduta dal segretario del Pd, Nicola Zingaretti, è in condizioni di uscire, per quanto ancora malconcia, dal commissariamento. Che invece, almeno nelle intenzioni del ministro pentastellato Giulia Grillo dovrà proseguire in Campania. Ma il governatore Enzo De Luca (anche lui commissario alla sanità della regione che governa) sbraita, convinto di aver risanato il settore. Ma soprattutto assai ostile all’ipotesi che laddove risultasse sbarrata la strada del rientro nell’ordinario che il commissario non sia più lui. Fosse per la Grillo la sua testa sarebbe già saltata e da tempo, ma il Carroccio ha detto no. Il fatto è che il nome indicato dal ministro della Salute per subentrare al ras campano, ossia Enrico Desideri già direttore della Asl Toscana sud est, è sul tavolo del ministro dell’Economia Giovanni Tria. Ma il via libera del Mef ancora non arriva.

Se ne riparlerà minimo fra due settimane dato che con tutta probabilità non si riuscirà a portare la questione all’unico consiglio dei ministri previsto prima del voto. Ma intanto volano gli stracci.

“In Campania si sta consumando un inciucio elettorale tra la Lega e De Luca. La Lega sta bloccando la nomina di un nuovo commissario calpestando una legge dello Stato” dice Valeria Ciarambino, portavoce dei 5 Stelle in Campania denunciando lo strano feeling tra gli alleati di governo e De Luca. Dietro al quale i più smaliziati intravvedono un potenziale incasso elettorale per il Carroccio. “Inciuci? Ma quando mai” spiega Gianluca Cantalamessa che della Lega è il coordinatore regionale: “Personalmente ho apprezzato De Luca sindaco di Salerno, ma nessuno può negare che sia oggetto dei nostri attacchi quotidiani: non siamo interessati a giochini di potere, ci interessa la salute dei cittadini. E quindi seppure riteniamo inopportuno che controllore e controllore siano la stessa persona, siamo convinti che occorra guardare ai dati e ai numeri che segnano miglioramenti”. Ma come detto il Movimento 5 Stelle non ci sente e non solo a livello locale.

Il viceministro all’Economia, Laura Castelli, di fronte ad alcune indiscrezioni di stampa sulla possibilità per la Campania di rientrare dal regime del commissariamento sulla sanità ha chiosato: “Mi dispiace dover smentire quanto emerge da alcune ricostruzioni giornalistiche che attribuiscono al Ragioniere Generale dello Stato, Daniele Franco, valutazioni che evidentemente lo stesso ha fatto a titolo personale. L’ultimo tavolo tecnico tenuto al ministero dell’Economia ha sancito che la Campania non è nelle condizioni di uscire dal Commissariamento”. Insomma per Castelli “non resta che applicare la norma sull’incompatibilità votata dal Parlamento e voluta da questa maggioranza. Questa è la linea ufficiale del ministero”. Opposta la percezione della situazione dal suo omologo leghista a via XX settembre, Massimo Garavaglia. Secondo cui bisognerà aspettare almeno giugno o luglio prima di decidere sul futuro della sanità in Campania e dunque pure su De Luca. Chi da parte sua si dice certissimo di aver fatto bene, anzi benissimo. E che, al solito non ha usato il fioretto, ma la clava: “Il governo è in una posizione di illegalità: secondo la legge si mantiene il commissario se c’è un bilancio in deficit e non si raggiungono i livelli essenziali di assistenza. Da 5 anni il bilancio della sanità campana è in attivo e a gennaio abbiamo raggiunto i livelli dei Lea richiesti. Dovete prendere atto che la Campania ha risolto dopo dieci anni i problemi, se prosegue il commissariamento passiamo sul piano penale, amministrativo e contabile”. Venti di guerra all’ombra del Vesuvio.

Sui giornali di Cairo c’è tutto il Cairo minuto per minuto

C’è l’Urbano Cairo imprenditore che risana i conti delle sue aziende; il Cairo Robin Hood che combatte contro l’élite del calcio europeo; il Cairo sportivo che galvanizza il Torino e sponsorizza il Giro d’Italia; il Cairo politico che sferza il governo per chiedere politiche fiscali più sagge. Dove l’abbiamo letto? Sui giornali di Cairo. Dall’estate del 2016 – quando il patron di La7 ha messo le mani sul più grande gruppo editoriale italiano, diventando presidente di Rcs – i quotidiani del gruppo hanno avuto un inevitabile occhio di riguardo per le uscite pubbliche e private dell’imprenditore milanese.

Nell’ultimo periodo quest’attenzione benevola è diventata particolarmente assidua. Su Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport c’è almeno un Cairo al giorno: ogni tanto in prima pagina, talvolta tra le pieghe delle pagine economiche o sportive, sempre comunque con un’enfasi discreta ma assai positiva.

Normale che Cairo ci tenga alla sua immagine. Gli spifferi che vorrebbero il suo ingresso in politica ormai sono una corrente. Potrebbe essere lui – sostengono fonti azzurre – a proporsi come catalizzatore di un polo moderato e “anti-sovranista” all’indomani del 26 maggio e della possibile, definitiva esplosione di Forza Italia.

Cairo, imprenditore di successo e discreto comunicatore, potrebbe raccogliere in qualche modo il testimone del vecchio Berlusconi. Ma come il vecchio Berlusconi c’è una minaccia politica (che poi sarebbe la stessa da 30 anni): la legge sul conflitto d’interessi. La proposta del Movimento Cinque Stelle dovrebbe contenere norme che metterebbero fuori causa non solo Cairo ma un’ampia platea di imprenditori. Sarebbe incompatibile con le cariche di governo, infatti, “la proprietà (…) di un patrimonio immobiliare o mobiliare di valore superiore a 10 milioni di euro”. Luigi Di Maio ieri sera ha smentito questa direttiva, presente nella prima bozza della legge grillina. Dove c’era anche l’incompatibilità per chi detiene “partecipazioni superiori al 2 per cento (…) di imprese che operino nei settori della radiotelevisione e dell’editoria”. Con queste formule non c’è dubbio: le eventuali ambizioni di Cairo sarebbero seppellite ancora prima di vedere la luce.

Intanto però il presidente di Rcs imperversa sui quotidiani di Rcs. Certi giorni in modo piuttosto clamoroso: sul Corsera dell’11 maggio, per dire, Cairo è citato quattro volte in quattro articoli diversi. A pagina 22, in quanto membro della giuria del premio Carli al Senato. Poi nelle pagine sportive, in un articolo sul libro di Ennio Doris su Coppi e Bartali (pubblicato “con la complicità di Urbano Cairo, amico di lungo corso dell’autore”). E ancora, nella stessa pagina, intervistato sul Giro d’Italia. “Il governo faccia come in Francia: adotti la corsa”, suggerisce Cairo. Ha una modesta proposta: “Mi piacerebbe che fosse il presidente della Repubblica a premiare il vincitore”. Il lettore del Corriere gira pagina e chi trova? Urbano Cairo. Che si scaglia contro la Superlega del calcio europeo progettata dalla Uefa. Al presidente di Rcs e Torino è dedicato un sommario con il virgolettato: “È iniquo e inaccettabile. Un campionato dei ricchi non può avere un futuro. Non è una grande idea”.

La battaglia egualitaria di Cairo contro i giganti del football continentale gli vale una costante copertura sulle colonne rosa della Gazzetta (incidentalmente, un altro quotidiano di sua proprietà). Il 10 maggio Cairo è in prima pagina per sfidare l’Uefa. “In Europa sale la protesta. Cairo: ‘Servono i Churchill’”. Il titolo è corredato da fotografia arrembante del presidente, la notizia viene sviscerata in una doppia pagina (10 e 11) che si apre così: “Cairo boccia l’Uefa”. Lo stesso concetto era stato declinato sulla rosea appena due giorni prima (l’8 maggio) in termini assai simili: “Cairo attacca Agnelli e l’Uefa”. Dentro al giornale, altra doppia pagina (“Cairo va all’attacco di Uefa e Agnelli: ‘Poca democrazia’”) e altra grande foto del “leader dei contrari”. A tempo perso Cairo è anche presidente del Torino. E pure le sue dichiarazioni sui granata conquistano spesso titoli accattivanti (“Cairo tiene alta la tensione, Champions mai dire mai”, 12 maggio; “Cairo: Complimenti agli avversari, daranno il massimo anche con gli altri”, 13 maggio).

Il vero fiore all’occhiello però resta il Corsera. Qui il patron è citato una sola volta il 10 maggio (“Rcs ricavi digitali su. Continua il calo dell’indebitamento”, con foto di Cairo), ben tre volte il 9 maggio, un’altra volta l’8 maggio. Il 3 c’è una pagina intera dedicata ai risultati del suo gruppo editoriale (con richiamo in prima e dichiarazione: “Godiamoci questo dividendo che torna dopo lungo tempo”). Il primo maggio c’è un’altra paginata con intervista a Cairo medesimo sul Grande Torino. Il capolavoro è il 30 aprile: nessun articolo sul presidente ma un’imponente fotografia insieme alla figlia Cristina per pubblicizzare la fiera Amart di Milano. Perché, ci dice Cairo, “anche l’antiquariato è una forma di Design”.

Conflitto di interessi, salta il divieto per i ricchi

Quella tagliola per chi possiede patrimoni mobiliari o immobiliari sopra ai dieci milioni di euro era certamente incostituzionale, gli hanno spiegato. Ma soprattutto avrebbe irritato tanti imprenditori e in generale l’alta borghesia, attirando sul Movimento l’accusa di essere pauperisti e fomentatori dell’odio sociale. Un problema, soprattutto al Nord, dove già il M5S non vanta percentuali da primato, e dove il reddito di cittadinanza conta diversi avversari. Così ieri Luigi Di Maio ha abiurato. E ha fatto togliere dalla proposta di legge sul conflitto d’interessi, che oggi verrà calendarizzata in commissione Affari costituzionali alla Camera, il riferimento ai più ricchi, quelli con patrimoni da dieci milioni in su.

E in serata lo ha annunciato lui stesso a Quarta Repubblica: “La norma sui 10 milioni di euro non c’è, è un’indiscrezione che non troverete nella legge”. E chissà che ne pensa Silvio Berlusconi, a tutt’oggi la prima, possibile vittima del provvedimento, che proprio ieri sera aveva battuto un colpo in tv a Povera Patria: “Non sono preoccupato della legge sul conflitto di interessi perché se non ci pensa la Lega, ci penserà la Corte costituzionale a fermarla. Non sono affatto preoccupato”. E sono sillabe che testimoniano il contrario, ossia l’irritazione del capo di Forza Italia, che ascolta minacce di norme apposite da quando discese in politica nel 1994: e ogni volta si sono dimostrate chiacchiere. Oltre 25 anni dopo, il M5S giura di voler fare sul serio con la proposta di legge che ha come prima firmataria la deputata Anna Macina. E la norma cardine è l’articolo 5, quello che stabilisce come qualsiasi titolare di cariche di governo nazionali o locali, compresi i presidenti delle Authority, “si trovi in una condizione di conflitto d’interessi qualora sia proprietario, possessore o abbia la disponibilità di partecipazioni superiori al 2 per cento del capitale sociale” di società o imprese che “svolgono la propria attività in regime di autorizzazione o concessione rilasciata dallo Stato, dalle Regioni o dagli enti locali” o che operino “nei settori della radiotelevisione e dell’editoria o della diffusione tramite Internet”. E il conflitto scatta anche se le società elencate sono riferibili al coniuge o a parenti o affini entro “il 2° grado”, nonchè a persone “conviventi stabilmente”. Questa in pillole la proposta del Movimento, depositata in commissione insieme a una sulle incompatibilità parlamentari a prima firma di Fabiana Dadone. Sul conflitto d’interessi c’è anche una proposta del Pd. Però la domanda resta sempre quella, cosa ne pensi la Lega, tenuto conto anche che una nuova normativa sul conflitto d’interessi è prevista anche dal contratto di governo tra Carroccio e 5Stelle. E Matteo Salvini continua a mostrarsi quanto mai gelido: “L’unica vera emergenza è il lavoro: di tutto il resto si può parlare, ma prima bisogna aiutare chi assume”.

Però è quanto mai improbabile che oggi la Lega faccia storie in commissione. Piuttosto qualche problema il Movimento ce l’ha in casa propria, visto che il conflitto d’interessi fa riemergere i dissidenti, pochi ma combattivi alla Camera. Al punto da minacciare un emendamento alla legge che tira in ballo nientemeno che la Casaleggio Associati, ossia l’azienda di Davide Casaleggio, patron della piattaforma web del M5S Rousseau. Così ecco Gloria Vizzini: “Bisogna vedere se il conflitto di interessi coinvolga Casaleggio, un privato che influenza le decisioni di un gruppo parlamentare e gestisce una piattaforma web che determina le scelte dei parlamentari”. E a Radio Cusano Campus morde anche la senatrice Elena Fattori: “Abbiamo una piattaforma che decide le sorti del Parlamento, detenuta da una srl privata”. Prosit.

Le idee in manette

Non so a voi, ma a me quest’arietta di censura mette i brividi alla schiena. Ci sono censure di serie A e di serie B, censure che tutti denunciano e censure censurate. O addirittura giustificate. Per esempio, non so se sia più preoccupante la mossa della direttrice di Rai1 contro Fabio Fazio, col taglio di tre puntate del lunedì di Che tempo che fa per far posto al povero Vespa, finora relegato nelle sole serate di martedì, mercoledì e giovedì; o le visite a domicilio della Polizia e ora pure dei Vigili del fuoco con tanto di gru per rimuovere striscioni anti-Salvini affissi ai balconi da cittadini comuni o i sequestri di telefonini ai passanti che fanno selfie beffardi col vicepremier; o ancora la chiusura di 23 pagine Facebook italiane, per metà filogovernative, accusate di non meglio precisate “fake news” e “messaggi di odio”. Sappiamo bene che, per Salvini, il problema sono le idee di Fazio e non il suo stipendio (previsto dal contratto stipulato dalla Rai renziana, dunque modificabile solo col consenso del conduttore). Ma, malgrado la gravità dello stalking quotidiano del Cazzaro Verde contro Fazio, è presto per parlare di nuovi editti bulgari, perché la sua scomparsa dai palinsesti è improbabile. Almeno finché la Rai sarà diretta da un indipendente come Salini.

Ma chi difende il diritto dei cittadini a esprimere le proprie idee, con striscioni, contestazioni, selfie, fischi su un politico che va per la maggiore? Siccome l’articolo 21 della Costituzione – che non risulta ancora abolito – garantisce a “tutti” il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, dovrebbero essere le forze dell’ordine a farlo rispettare. Soprattutto quando il pensiero è critico verso il potere, visto che il diritto di applauso non è mai in discussione. Purtroppo le scene di agenti della Digos e financo pompieri ridotti a concorrenti del “Vinci Salvini” vanno nella direzione opposta. Franco Gabrielli ha un bel garantire l’imparzialità di tutta la Polizia: sarà credibile quando anche un solo agente che ha rimosso striscioni da abitazioni private o cancellato selfie da cellulari privati finirà sotto procedimento disciplinare per abuso di potere. Forse urge, per i funzionari e gli agenti che non l’hanno ancora capito, un corso accelerato sulla differenza fra la libera critica da difendere e i reati da prevenire e reprimere. Così la prossima volta, anziché prendersela con chi affigge striscioni o contesta il ministro, la Digos farà sfoggio di efficienza rimuovendo subito, non dopo tre giorni, il gazebo di CasaPound a Casal Bruciato.

Quello dinanzi alla casa della famiglia rom con due bimbi piccoli, minacciata impunemente di stupro e di morte. Anziché punire i fascisti quando fanno cose lecite, tipo pensarla come gli pare, aprire case editrici e pubblicare libri, sarebbe il caso di sanzionarli quando delinquono: minacciare gente inerme od occupare abusivamente suoli ed edifici pubblici è reato. Lo stesso principio vale per l’ultima retata Web di Facebook: chi fa apologia di reato o istigazione a delinquere e all’odio razziale via social va denunciato, fermato e oscurato per evitare la reiterazione dei reati; chi invece scrive ciò che pensa, anche scemenze contrarie alla logica, al buon senso, alla scienza, deve restare libero di farlo. Perché nessuno può ergersi a giudice della veridicità di una teoria o di un’idea o di una notizia, anche la più assurda e strampalata. Se la dice un giornalista, ne risponde all’Ordine (peraltro piuttosto elastico, visti i cazzari che ancora ospita). Ma se lo fa un passante, nessuno deve permettersi di imbavagliarlo. Se uno è convinto che la terra sia piatta, sono affari suoi; e, se ha dei seguaci, peggio per loro. Al massimo, si può suggerire a questi fresconi qualche sito di fact checking, ma guai a mettere le manette alle idee. Di censura in censura, si spalanca la strada all’oscuramento di tutto ciò che è stona dal pensiero unico autorizzato.
Chi stabilisce cos’è fake news e cos’è informazione corretta? Facebook, che fattura 40 miliardi di dollari proprio perché moltiplica i clic con la peggiore spazzatura? O il mitico “Gruppo alto livello per la lotta alle fake news” dell’Ue, con giudici come Gianni Riotta (quello che inventa una sentenza della Corte Suprema russa sul via libera alla polizia di sequestrare il cellulare a chiunque critichi Putin) e Federico Fubini (quello che inventa procedure d’infrazione Ue contro l’Italia mai deliberate e nasconde 700 bambini greci morti per salvare l’immagine della Troika)? Siamo seri. Su Fq Millennium abbiamo appena pubblicato un’antologia delle migliori fake news dei giornaloni nostrani, quasi tutte contro il governo (come se, per criticarlo, non bastassero le cazzate vere che fa): che fa Facebook, chiude pure le pagine social delle principali testate italiane? Fra l’altro, nessuno sa esattamente perché siano state chiuse quelle 23 pagine (anche se abbiamo scoperto che le fake news non c’entrano nulla). Avaaz, noto sito di cittadinanza attiva, ne aveva segnalate 104. Perché cancellarne solo 23, e perché proprio quelle e non altre? Mistero, salvo che per gli account falsi o col nome cambiato. E le pagine Fb di fake news a sostegno di FI e del Pd, altri noti produttori di bufale, chi le chiude? Spiega Luca Nicotra di Avaaz: “Fb non rende mai pubblico il motivo di una rimozione, a meno che non venga rilevata un’interferenza dall’estero. Quindi solo loro sanno perché hanno agito così. Devono essere più chiari e trasparenti. Molte delle policy di Fb sono vaghe”. Senza regole note a tutti, chiunque può ritrovarsi oscurato e non sapere il perché. “Siamo impegnati – ha detto un portavoce di Fb – a proteggere l’integrità delle elezioni nell’Ue e in tutto il mondo”. Ma va’ a ciapa’ i ratt.

Wanda Osiris sindaco subito!

“Wanda Osiris candidata a sindaco di Roma, ce l’ha fatta per una manciata di voti, nonostante i suoi 89 anni portati con disinvoltura!” annuncia Lilli Gruber nel Tg della sera. “Dopo aver sceso numerose scale, oggi la Wandissima salirà il fatidico gradino che la condurrà in Campidoglio. Ecco siamo in collegamento con lei, buonasera sindaco, come mai è scesa in politica?” – “Buonasera cara Billy” – “No Lilli!” – “Mi sono candidata perché ormai la rivista non è più quella di una volta, ormai il teatro ha spostato la sua sede in Campidoglio. Lo spettacolo è lì, e io ho bisogno di esibirmi ancora cara Trilly” – “No Lilli!” – “Ho accettato di tornare sulle scene per amore del mio Paese. Io sono ancora in gamba sa? Campidoogl tutto parla d’ammor… Oggi vanno di moda certe sgallettate che non distinguono più un marabù da una piuma di struzzo! Per donare un po’ di luce a questa città ho deciso di rinnovare il guardaroba di Roma, riempirò tutte le buche con delle paillettes del Madagascar, la scalinata di Piazza di Spagna dovrà essere assolutamente gestita dai miei boys. Pensi che il signor De Mita si è presentato alle selezioni! Campidoogl tutto parla d’ammor… Vorrebbe fare la rivista, sta cercando un lavoro che gli si addica di più. La domenica tutti insieme per la caccia al piccione per la salvaguardia del patrimonio architettonico di Roma, perché l’uccello e il viola portano male!” – “E per il traffico?” – “Ci vorrà uno sforzo tetanico, cara Milly” – “No, Lilli. E poi non tetanico, il tetano è una malattia. Titanico, che viene da Titano” – “E chi sarebbe questo Titano un nuovo comico? Non mi interessa cara, a me piacciono Macario, Dapporto, Fanfulla, li nominerò assessori. E come vicesindaco Gianni Agus, la più grande spalla del teatro di rivista!”.

(Ha collaborato Massimiliano Giovanetti)

“Cari sovranisti, leggete più libri per restare umani”

Italia, anno di grazia 2019. Vergato, piccolo comune del bolognese, che ha dato i natali a uno dei nostri maggiori artisti contemporanei, Luigi Ontani, è assurto agli onori della cronaca per la forsennata campagna contro una scultura dell’artista, additata come un omaggio a Satana. Prima è piovuto l’anatema del senatore leghista Pillon perché una colata di cemento annichilisca l’opera d’arte; poi l’arrivo di un sedicente diacono appartenente alla Milizia di San Michele Arcangelo per un esorcismo, scongiurato dagli abitanti del paesino che hanno cacciato ‘con i forconi’ il fasullo diacono-esorcista. Placida ma ficcante la reazione di Ontani che ha bollato i due individui come disumani. Perché disumani? Ontani ha forse sbagliato aggettivo? Per niente, con un’assoluta proprietà rivelatrice di una solida cultura classica, Ontani ci ha ricordato una pagina di Gellio che spiega il vero significato di humanitas: “Coloro che hanno creato le parole latine e coloro che le hanno usate correttamente, non hanno voluto che humanitas significasse ciò che significa nell’uso comune e che i Greci definiscono con il termine philanthropía: ossia una disponibilità e una benevolenza rivolta indiscriminatamente verso tutti gli uomini. Piuttosto hanno usato humanitas nel senso in cui i Greci usano paidéia, cioè erudizione ed educazione nelle arti liberali. Infatti, coloro che con sincerità ambiscono e aspirano a esse, sono pure di gran lunga i più umani, perché la ricerca di queste conoscenze e l’educazione che ne deriva, fra tutti gli esseri animati sono state concesse solo agli uomini. Ecco perché è chiamata humanitas” (Notti Attiche 13.17). Disumano, dunque, non vuol dire altro che ignorante!

CasaPound esce allo scoperto: “L’antifascismo è il male d’Italia”

Prendete in mano il libro Alba Nera, di Antonio Carioti, prefazione di Sergio Romano, Edizioni del Corriere della Sera e andate a pag. 312. È Mussolini che parla, siamo a Bologna, il 21 aprile 1921. La potenza del fascismo è ancora piccola, la prepotenza è grande fin dall’inizio. Si nota subito una certa somiglianza con CasaPound, prima ancora di diventare cerchio magico di uomini di governo.

Ma ascoltiamo il discorso di Mussolini: “Da che cosa è nato il fascismo? È nato da un profondo, perenne bisogno di questa nostra stirpe ariana mediterranea, che a un dato momento si è sentita minacciata nelle ragioni essenziali della esistenza (…). Noi siamo disposti a convertire le piazze delle città d’Italia in tante trincee munite di reticolati (filo spinato,ndr) per vincere la nostra battaglia, per dare l’ultimo colpo a questo nemico interno (…). Noi fascisti abbiamo il coraggio di difendere certe azioni che, col misurino della morale corrente non sono difendibili. Noi fascisti abbiamo un programma ben chiaro. Noi dobbiamo procedere innanzi preceduti da una colonna di fuoco perché ci si calunnia e non ci si vuole comprendere”. L’autore di Alba nera, Carioti, si era prefisso il compito – riuscito bene, come afferma in prefazione Sergio Romano – di dare precise notizie storiche del progressivo mutare di un movimento che ha travolto l’Italia, eliminato la libertà, iniziato la persecuzione razziale e portato alla guerra.

Non poteva immaginare di fare cronaca dei giorni che stiamo vivendo. Con un coraggioso colpo di mano, un fascista dichiarato di oggi (Francesco Polacchi, fascista auto-certificato, militante di punta di CasaPound presente, come editore di Salvini, al Salone del Libro di Torino in violazione di ben tre leggi italiane) ha deciso di smettere la finzione (il fascismo è una idea come tutte le altre) e di confermare il razzismo e l’estrema violenza di Mussolini con una affermazione che segna, d’ora in poi, un punto di riferimento per identificare CasaPound e gli autorevoli sostegni di governo di cui gode: “L’antifascismo è il male d’Italia”. L’uomo di CasaPound ha visto giusto. Ha capito che l’antifascismo non è una idea come un’altra, diversa dal fascismo. È la condizione morale, culturale, umana e politica che impedisce (o si batte con tutte le forze per impedire) che CasaPound esista, con il suo tetro impegno di umiliare i deboli (vedi le incursioni barbare nelle periferie romane contro i legittimi assegnatari di case) e mettersi al servizio di chi, per una tragica svista, ha preso in mano il governo italiano e si presenta imbracciando un fucile mitragliatore, accanto al filo spinato che è sempre stato il simbolo del fascismo. Troppo grande il fenomeno dall’antifascismo, che ha coinvolto Partigiani, Armate americane, armate russe, più di metà del mondo, milioni di persone, vittime dell’orrore della Shoah e milioni di liberatori di quell’orrore decisi a dire, allora come adesso: “Mai più”. E a mantenere la parola, contro tutti i negazionisti.

Facce di casta

 

Promossi

CO-RAGGI-O.

Lo si potrà chiamare colpo di coda, data l’esiguità delle performance amministrative di cui ha dato prova finora, eppure la scelta di Virginia Raggi di metterci non solo la faccia ma anche tutto il resto del corpo, andando di persona a Casal Bruciato a prendere le difese della famiglia Rom che nel prendere possesso di una casa popolare legalmente assegnata ha rischiato il linciaggio da parte di alcuni abitanti della zona, resterà scritta in maiuscolo nel libro della sua storia politica.

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CONCORRENZA SLEALE.

Mentre capitolava sul suo fedele sottosegretario Armando Siri, le possibilità di difendere il quale erano ormai evidentemente giunte al capolinea, Matteo Salvini ha optato per il già brevettato sistema della ‘distrazione di massa sparandone una più grossa’: così, a qualche ora dal Cdm della cacciata, ha dato fiato alle trombe per gridare al mondo l’urgenza primaria di debellare la cannabis legale e di chiudere tutti i punti vendita autorizzati. Neanche fossero stati i semi di canapa a far perdere la lucidità all’Armando… Ma quando si tratta di alzare la posta nello spararle grosse, il Capitano non conosce rivali: “Il governo non sarà mai in discussione per qualche poltrona, ma sulla lotta ai venditori di morte non negoziamo”. Un’altra interpretazione niente male di cosa abbia mosso il ministro dell’Interno a dichiarare guerra alla marijuana legale, l’ha fatta la parlamentare democratica Chiara Gribaudo: “Il venditore di fumo #Salvini oggi decide di prendersela con i negozi di Cannabis Light, evidentemente non vuole concorrenza. Tutto pur di non fare il #ministro dell’Interno. #cannabis”. Effettivamente…

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LILLI E IL VAGABONDO.

Mettere degli argini comunicativi all’esondante ministro dell’Interno che con la sua logorrea propagandistica può investire chiunque, perennemente dimentico del ruolo che ricopre, è compito arduo per chiunque. Eppure Lilli Gruber è riuscita nell’impresa. Alla vigilia della sua presenza nello studio di Otto e mezzo, Salvini durante un comizio a Giussano ha ammiccato così ai suoi militanti: “Non ho mica voglia ma domani devo andare dalla Lilli Gruber: simpatia portami via”. La replica della giornalista non si è fatta attendere: “Leggo che il ministro Salvini non ha voglia di venire domani a ‘Otto e mezzo’ e che ne fa una questione di simpatia. Visto che si è proposto lui e visto che chi viene da noi lo fa volentieri, se ha un problema il senatore Salvini può restare a casa o preferibilmente al ministero”. Di fronte all’ipotesi di dover rimanere per qualche ora al ministero senza potersene andare a zonzo per l’Italia, minaccia che per il segretario equivale all’uomo nero per i bambini, Matteo ha preferito presentarsi in trasmissione e farsi tirare le orecchie dalla Gruber, che l’ha accolto così: “Ieri ha detto che le toccava venire qui e non ne aveva voglia e ne ha fatto una questione di simpatia. Mi aspettavo un mazzo di fiori e delle scuse”. Per la gioia dello stesso ministro che ne ha alacremente promosso il ritorno nelle scuole, la prima lezione di educazione civica ha avuto luogo in diretta.

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Attori e spettatori si fondono: il teatro del futuro a Roma

Teatro Immersivo, questo il nome della nuova frontiera dello spettacolo dal vivo. Già popolarissimo a Londra, approda nuovamente Oltre Manica fino al 19 maggio al Teatro Garbatella di Roma con La fleur: Il fiore proibito, per la regia di Riccardo Brunetti, pionere del genere in Italia dal 2015.

In quanto esperienza totalizzante, qualsiasi definizione di Immersive Theatre può risultare riduttiva se non addirittura fuorviante a causa del sovvertimento dei canoni del teatro tradizionale a cui tutti, frequentatori assidui o meno, siamo stati abituati. Ebbene in La Fleur, ad esempio, palcoscenico e platea non esistono, attori e spett-attori condividono lo stesso ambiente muovendosi all’unisono nello spazio privo di confini. Tutto diventa scena, dal bar ai bagni, alla hall, alle scale, al cortile esterno. La distanza tra interpreti e pubblico si annulla e ciascuno è chiamato ad abbandonare ogni forma di resistenza, lasciandosi condurre in una sorta di videogame dal vivo, (o forse sarebbe meglio dire di “vivo-game”).

Lo spettacolo inizia prima ancora che ci se ne renda conto, prima ancora che si varchi la soglia del teatro stesso. Al momento di pagare il biglietto ad ogni partecipante viene consegnata una maschera neutra da tenere sul volto per tutta la durata dell’evento. A nascondersi dietro la maschera, dunque, non sono gli attori bensì gli spettatori stessi. La performance inizia in medias res: una volta entrati si è catapultati in una moltitudine di situazioni in fieri, di episodi in essere. Ogni partecipante può lasciarsi catturare dall’uno o dall’altro interprete ma dopo un paio di minuti in cui si prende parte, emotivamente e fisicamente, alla scena, ecco che un rumore, un urlo, uno sparo o una risata spostano il fulcro dell’attenzione e dell’azione in un altro luogo e lo spettatore si trova a scegliere se seguire il nuovo input o semplicemente farsi condurre in una stanza da uno dei performer per uno straniante tête-à-tête in cui, servendoti del whisky ti invita, più o meno velatamente, ad essere suo complice per un po’. Ad ogni replica di “La Fleur: il fiore proibito”, inoltre, lo spettatore ha la possibilità di accedere come “standard” o “premium” divenendo addirittura parte attiva nello sviluppo della storia.

Sono 30 gli attori/performer (meritano un plauso Adriano Saleri e Geremia Longobardo), che si avvicendano sera dopo sera catapultando il pubblico nelle atmosfere nere di una Roma proibita, a tinte noir, dove si muove la non proprio specchiata famiglia Andolini, leader nel settore del gioco d’azzardo, i cui membri e sodali sono i protagonisti della storia.

Chi pensa che il teatro sia morto o non stia tanto bene sbaglia di grosso: si sta solo rinnovando per offrire allo spettatore una nuova e ancora inesplorata modalità di fruizione del testo drammaturgico. Liberandosi dalle maglie dello spettacolo tradizionale diventa film a episodi, serie televisiva, videogame e vita vissuta insieme.

La Settimana Incom

 

Promossi

Alba dorata.

Un candidato alle europee per indovinate chi (CasaPound) ha usato la foto di Alba Parietti nella sua campagna elettorale (“lei non voterà così”). Alba ovviamente non l’ha presa bene e ha minacciato il tipo di querela: “Se lei non leva la mia faccia dal suo schifosissimo post elettorale la querelo per diffamazione, per falso e mistificazione”. Girl power.

 

Vibrazioni

Marisa Laurito imperiale a Che tempo che fa.”Per farmi passare la erre moscia, un logopedista mi disse di usare il vibratore sotto la lingua. Per cinque ore al giorno”. Fazio prova a lamentarsi per le allusioni, ma lei candidamente protesta: “Non l’ho usato!”. E infatti ha ancora la sua inconfondibile erre moscia.

 

Nc

M come Musica.
Strepitosa gaffe al Teatro san Carlo di Napoli. Durante i lavori del Cotec Europa (organizzazione informale che riunisce Italia, Spagna e Portogallo), l’orchestra ha suonato per errore l’inno franchista davanti a re Felipe VI e all’ex re Juan Carlos. Accanto a loro il presidente Sergio Mattarella e il presidente portoghese Marcelo Rebelo de Sousa. Impassibili i due sovrani, ma la diplomazia spagnola non ha potuto fare a meno di sottolineare l’incidente a quella italiana. E il sovrintendente del san Carlo, presente Mattarella, si è dovuto prontamente scusare. Notevole figura di m.

 

Sindacabile.
Luigi De Magistris su Facebook, dopo la tragica vicenda della piccola Noemi: “Oggi il Sindaco di Napoli, dopo otto anni di lavoro senza un attimo di sosta, dopo i risultati eccellenti che la città tutta sta raggiungendo con il suo popolo, interpretando la richiesta assordante dei suoi concittadini, ha il diritto/dovere di chiedere allo Stato di fare di più in quella che forse è l’unica vera funzione che ancora gli spetta in via esclusiva: prevenire il crimine e reprimerlo. In questo modo ci aiutate anche a distruggere il modello drogato, per alcuni vergognosamente vincente, degli eroi (di merda) di Gomorra“. Ora ma che c’entra Gomorra?

 

Fascio scrittorio.

Caos per la presenza della casa editrice Altaforte, di Francesco Polacchi, al salone di Torino. Nel centenario della nascita di Primo Levi, il “Salone del Libro ha presentato un Programma culturale improntato ai valori di pace, accoglienza e ripudio di ogni fascismo, ogni odio etnico e razziale” come scrivono Chiara Appendino e Sergio Chiamparino nell’esposto in Procura. Altaforte, vicina a idee in odore di fascismo, ha acquistato uno stand che “ha subito scatenato le reazioni sdegnate di scrittori, intellettuali, editori, lettori, e una parte consistente della comunità che ogni anno si raccoglie intorno al Salone”. Vicenda molto scivolosa: vale la libertà di pensiero, ma non l’apologia di fascismo (ipotesi che accerta la procura).