Meloni filo-Mario bracca Salvini: “Vuoi lui o Silvio?”

Devono dare l’impressione di essere uniti perché hanno un vantaggio, quello dei numeri in Parlamento. E per di più hanno un candidato da contrapporre – almeno ufficialmente – a Mario Draghi che non ha alcuna intenzione di mollare dopo il passo in avanti del premier in conferenza stampa. Anzi. Silvio Berlusconi si vede già tra i corazzieri e i giardini del Quirinale: “In effetti hanno bisogno di una cura migliore, come quella di questa casa” ha detto ieri, tra il serio e il faceto, il leader azzurro ai suoi commensali indicando le bellezze naturali di villa Zeffirelli, sull’Appia antica. Il 10 gennaio, quando i leader del centrodestra si rivedranno, dovranno scoprire le carte e decidere: continuare a puntare su Berlusconi o, nel caso capissero che non ci sono le condizioni, intestarsi la candidatura di Draghi. Ma, è la condizione posta da Giorgia Meloni, bisogna decidere insieme. E le differenze non mancano. Tant’è che il comunicato congiunto si ferma al metodo (“saremo uniti ai prossimi appuntamenti istituzionali”) ma non si fanno nomi.

Il fatto da cui partire, però, è che il leader di Forza Italia si sente pienamente in partita. Ieri ha ricevuto a pranzo i leader del centrodestra e, tra un raviolo, un filetto di manzo e un babà, ha fatto capire espressamente che vuole scendere in campo. Lo farà a inizio gennaio, quando i giochi del Colle si faranno concreti. Davanti a Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Giovanni Toti, Maurizio Lupi e Lorenzo Cesa, Berlusconi spiega: “Non è ancora il momento di candidarmi ufficialmente ma sono convinto di potercela fare”. E ancora si è mostrato sicuro rispetto ai 50 voti che mancano per essere eletto al quarto scrutinio: “Voi pensate a garantirmi i voti di tutto il centrodestra – dice Berlusconi – poi agli altri ci penso io. Ho amici da tutti i lati: ho almeno 150 voti di margine, i franchi tiratori non saranno rilevanti”. Ai cronisti assiepati davanti a villa Grande fa sapere che deciderà a “gennaio” e che non può parlare delle “intenzioni di Draghi”, ma durante il vertice tutti i leader del centrodestra si sono detti “irritati” per la “fuga in avanti” del premier. Dalle parti di Arcore apprezzano anche il muro alzato dal M5S. A tavola, tutti si dicono disponibili a sostenere Berlusconi. Almeno a parole. Salvini spiega: “Se c’è Silvio in campo, siamo compatti”. Meloni gli fa eco: “Se c’è il presidente Berlusconi, noi lo voteremo”. Tutti annuiscono, nessuno però dà garanzie. Non si parla di piani B (Berlusconi non è ostile a Giuliano Amato).

Ma poi iniziano i distinguo. La più diretta è Meloni che, dopo aver strizzato l’occhio a Draghi, prende la parola e manda un messaggio a Salvini: “Per noi è facile appoggiare il candidato di centrodestra ma se Draghi vi chiede di votarlo, voi che fate?”. E ancora: “Qualunque ipotesi dovremo deciderla insieme”. Per questo Meloni ha chiesto una regia permanente che si aggiorni su tutte le novità in vista del Colle anche perché, ha concluso la leader di FdI, se andiamo divisi a questa partita “il centrodestra non ha futuro”. A partire dal “no” al Mattarella bis che è stata ipotizzata a tavola da Gianni Letta: “Visto il peggioramento della situazione covid non si può escludere che a gennaio vengano congelate le caselle di Chigi e del Colle” ha detto il gran visir di Arcore. Tutti i leader si sono opposti a questa soluzione.

Salvini invece risponde a Meloni con una formula che tiene aperte tutte le porte. Compresa quella di un sostegno a Draghi che il leader leghista ha incontrato ieri mattina a Palazzo Chigi “in piena sintonia” su bollette e Pnrr. “Serve un’elezione rapida e il più possibile condivisa, fermo restando che si dovrà fare i conti con una proposta di centrodestra”. Tattica pura, in attesa del nuovo anno.

Ora Draghi sfida i partiti per far “bruciare” Amato

L’occasione era solenne e anche definitiva, si trattava di una delle ultime apparizioni pubbliche (se non addirittura l’ultima) prima del consueto discorso di fine anno di Sergio Mattarella: lunedì al Quirinale, il presidente, davanti alle alte cariche dello Stato, in sostanza ha ribadito il suo no al bis, tracciando il bilancio di quest’ultimo anno. In prima fila c’erano i ministri, David Sassoli, in quanto presidente in carica (anche se in uscita) del Parlamento europeo e l’ex craxiano Giuliano Amato. Una scelta singolare, visto che il dottor Sottile al momento non può vantare altro ruolo che quello di giudice costituzionale. E dunque, la sua presenza in posizione così rilevante, è stata notata.

Non è secondario il fatto che lo stesso Mattarella, quando venne eletto, era anch’egli un giudice costituzionale. E anche se i due nel 2015 erano candidati contrapposti, avevano allora (e hanno tuttora) un buon rapporto, come rappresentanti di una generazione antica, che condivide la cura delle istituzioni.

Amato lunedì era esattamente di fronte a Mario Draghi: una coincidenza che molti hanno colto come una sorta di simbolo, se non di vero e proprio segnale del fatto che l’ex premier di centrosinistra appare oggi l’unico vero competitor del Migliore nella corsa per il Colle. Tanto è vero che l’ex Bce l’avrebbe salutato con un distacco che non è sfuggito agli osservatori. E che va inquadrato all’interno della corrida quirinalizia aperta dallo stesso Draghi nella conferenza stampa di mercoledì scorso. Il premier ha infatti chiarito che se la maggioranza si spacca e il presidente viene eletto da una “compagine” diversa da quella che sostiene l’attuale governo, l’esecutivo non può rimanere in vita. E dunque, lui se ne va.

È una forzatura politica che da ieri si traduce in una sfida ai partiti e si può sintetizzare così: “Trovate una personalità condivisa da tutti e così io resto premier”. Al momento, di nomi con questo identikit, ne circolano due: Marta Cartabia e lo stesso Amato. La prima difficilmente avrebbe i voti dei 5Stelle e della Lega. Senza contare che in questi mesi si è caratterizzata per la sua tendenza a sbattere in faccia al Parlamento il fatto di essere stata “chiamata” a risolvere problemi per imporre le sue decisioni. Amato pure non è del tutto semplice come soluzione, per gli stessi motivi, indigesto sia per i 5Stelle sia per molti leghisti. Ma in chiave anti-Draghi e contro il rischio di elezioni anticipate potrebbe venir fuori. Magari con la scelta finale di spostarsi su di lui anche di Matteo Renzi che nel 2015 gli preferì Mattarella, rompendo così il patto del Nazareno. Una rottura che gli pregiudicò il sì berlusconiano al referendum istituzionale e fu il viatico alla fine del suo governo. Draghi ha ben presente l’insofferenza dei partiti nei suoi confronti. Le reazioni infastidite alla sua autocandidatura non gli sono sfuggite. Tanto è vero che ieri a Palazzo Chigi già erano pronti ad alzare il tiro della sfida. Se il Parlamento è davvero così bravo, appunto, da eleggere un altro con una scelta unitaria, condivisa da tutta la maggioranza, il premier rimarrà al suo posto. Ma a quel punto, inchiodato alla sedia dai leader politici, pregato a gran voce di rimanere dov’è praticamente da tutti, è pronto a sfruttare la situazione governando con piglio più deciso e autoritario di quanto abbia fatto finora.

Non ci sarà spazio per grosse discussioni all’interno del governo, il “nonno al servizio delle istituzioni” si sentirà legittimato ad agire come meglio crede, senza troppi vincoli. Va decifrato in questo senso il pezzo scritto a quattro mani con Emmanuel Macron uscito ieri sull’edizione online del Financial Times. I due insieme annunciano la riforma del Patto di Stabilità. Cambiare le regole per poter sostenere anche con il debito gli investimenti pubblici e la crescita senza aumentare le tasse e tagliare la spesa sociale. Ma portando avanti riforme strutturali che consentano di ridurre la spesa, il percorso in sintesi. Le riforme strutturali sono quelle che Draghi potrebbe portare avanti da premier. È il piano B che si materializza: prendere in mano l’Italia e l’Europa insieme.

Se qualcuno, infine, pensa ancora di essere salvato dal ritorno sulla scena di Amato e dalle ire di Draghi da un bis di Mattarella è destinato a rimanere deluso. Al Quirinale ormai non fanno mistero del “percorso” del presidente in quest’ultimo scorcio del suo settennato. Cioè “inabissarsi” e lasciare giocare agli altri la partita del suo successore. L’ultimo suo atto pubblico sarà il tradizionale messaggio di fine anno, la sera di San Silvestro. Poi nulla più. Solo l’attesa. Il presidente è sempre più “deciso” ad andarsene. Quanto al suo rapporto con Draghi, dopo l’autocandidatura del premier nulla è cambiato, nonostante da ambienti pentastellati continuino a circolare “rumors” che riferiscono di un Mattarella infastidito. Anzi. È stato proprio il capo dello Stato, lunedì, a parlare di “scelta unitaria” per il suo successore. E, pur riferendosi a se stesso, Draghi ha seguito questo canovaccio. Adesso la palla è nella metà campo dei partiti. Il premier aspetta in panchina. E Mattarella non fa l’arbitro. Il suo tempo è quasi scaduto.

Kompatscher indagato ‘Mascherine irregolari’

Il presidente della Provincia di Bolzano, Arno Kompatscher, è indagato nella causa dell’acquisto di mascherine cinesi tramite il gruppo Oberalp, risultate non conforme alle normative. L’inchiesta è partita un anno e mezzo fa e di recente sono stati unificati i vari filoni. L’ipotesi di reato è di turbativa d’asta e gli indagati sarebbero una trentina. Ieri il Nas di Trento ha effettuato diverse perquisizioni e si è presentato anche nell’ufficio di Kompatscher a palazzo Widmann, senza acquisire né documenti né supporti informatici. “Il presidente ha sempre agito in modo corretto e trasparente” e “non aveva alcuna competenza” nell’acquisto dei supporti Dpi da parte dell’Azienda sanitaria, ha detto il difensore Karl Zeller.

“Tarantini cercava freneticamente prostitute per B.”

Era “lesiva della dignità umana” la “frenetica attività posta in essere” da Gianpaolo Tarantini, di “reclutamento di prostitute”, che l’agente barese era accusato di portare avanti, fra il 2008 e il 2009, in favore di diversi soggetti, tra cui l’ex premier Silvio Berlusconi. Lo stabilisce una sentenza della Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna per l’imprenditore pugliese a 2 anni e 10 mesi. La Suprema Corte ha confermato la sentenza d’Appello, ritenendo “lesive della dignità umana” le frasi rivolte alle ragazze che Tarantini voleva portare a Palazzo Grazioli. “Amore vestiti proprio a mignotta… mettiti vestito nero corto altezza fica… si deve vedere il pelo appena appena”, raccomandava, intercettato, alle ragazze. “A delineare la concretezza dell’offensività della condotta – si legge nel dispositivo – è il generale contesto nel quale la stessa si è sviluppata, per come emerso dagli innumerevoli dialoghi intercettati (…) tra l’imputato Tarantini e Silvio Berlusconi”, contesto “in cui la scelta di prostituirsi appare essersi manifestata in un ambito nel quale la donna può essere “scambiata”, ovvero “data in prestito” da un fruitore della prestazione sessuale ad altro”. Come, si legge, “icasticamente rappresentato dall’espressione ‘la patonza deve girare’”, che Berlusconi avrebbe detto a Tarantini. La Corte ricorda che “l’ingaggio prostitutivo si perfeziona con il consenso della persona designata ad offrire i propri favori sessuali (…) non rilevando che l’attività prostitutiva e la sua retribuzione siano avvenute”.

Depistaggio Cucchi. La Procura: “7 anni al Gen. Casarsa”

“Un intero Paese preso in giro per 6 anni”. Durissime le parole con cui il pm di Roma, Giovanni Musarò, ha chiuso la requisitoria nel processo per i presunti depistaggi sulla morte, il 22 ottobre 2009, di Stefano Cucchi, secondo sentenza-bis della Corte d’Appello di Roma pestato da due carabinieri, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, condannati a 13 anni. La tesi della Procura è che vi siano state false annotazioni e omissioni da parte di alcuni ufficiali dei carabinieri. Il pm Musarò ha chiesto una pena di 7 anni per il generale Alessandro Casarsa, all’epoca comandante del Gruppo Roma, fino al 2019 capo dei corazzieri del Quirinale. Casarsa è accusato di aver chiesto ai suoi sottoposti che “fosse modificata” l’annotazione sulle ore successive l’arresto di Cucchi “nella parte relativa alle condizioni di salute”. A rischio condanna altri 7 carabinieri: fra loro l’allora tenente colonnello Francesco Cavallo (il pm ha chiesto 5 anni e mezzo), il comandante di Tor Sapienza, Luciano Soligo (5 anni) e Luca De Cianni (5 anni).

Lombardia, Barachetti condannato a 5 anni: “ritornò” soldi pubblici agli uomini di Salvini

I commercialisti della Lega e l’imprenditore “amico”. Assieme “per drenare” 800mila euro dalle casse della fondazione regionale Lombardia Film Commission (Lfc). Denari messi per l’acquisto di un capannone a Cormano. Il 14 dicembre in requisitoria il pm Stefano Civardi (titolare del fascicolo con l’aggiunto Eugenio Fusco) lo aveva definito “un rodato sodalizio criminale”. Composto, secondo l’accusa, dai contabili del partito Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba (già presidente di Lfc) e dall’imprenditore Francesco Barachetti il quale, ha spiegato il pm, è stato “un imprenditore che si è messo a disposizione per assicurare il ritorno dei soldi a Manzoni e Di Rubba”. Barachetti, per l’accusa, “non è il palo durante la rapina dei soldi pubblici, ma il suo contributo è fondamentale per la riuscita dell’operazione”. Una posizione, quella della Procura di Milano, accolta dal tribunale che ieri ha condannato Barachetti a 5 anni, come chiesto dai pm, per concorso in peculato e reati fiscali. Per la difesa invece, non vi “fu distrazione” di soldi e i lavori a Cormano furono fatti a dovere. La sentenza di ieri è in linea con quella di giugno con Manzoni e Di Rubba condannati in primo grado a 4 anni e 4 mesi e 5 anni. Per l’accusa il ruolo di Barachetti, anche attraverso la Eco srl, è stato di concorrere nel peculato per “ritornare i soldi” usciti dalle casse pubbliche di Lfc ai professionisti della Lega. Secondo l’accusa, il processo non era “sulla valutazione del bene immobile” ma su “un peculato cristallizzato nel preliminare di vendita del 2017 (…). Abbiamo tutti i classici indici delle frodi: le società sono rappresentate da prestanome, sono società a perdere, le operazioni sono simulate, ci sono fatture false”. Di seguito il pm: “Abbiamo degli accordi all’interno di un (…) sodalizio criminale, abbiamo un preliminare tra Lfc e Andromeda società riconducibile a Scillieri che vendette l’immobile, ma sappiamo che quel preliminare disegna il definitivo passaggio dei soldi dalla mano pubblica a quella degli imputati”. Poi, ci sono “contratti farlocchi, fatture a cascata, soldi che vanno da Barachetti a Manzoni e Di Rubba”. Lo stesso Barachetti vicino al “mondo Lega”, è la posizione dell’accusa al momento condivisa nel verdetto di ieri, tra il 2015 e il 2019 ha visto aumentare i suoi guadagni “tanto che le sue società hanno corrisposto circa 1 milione a quelle di Di Rubba e Manzoni, perché lo schema dei ritorni dei soldi è una costante”.

“Noi medici, da eroi nazionali a dimenticati dal governo”

Trecento milioni di euro. A tanto ammonta il valore delle oltre dieci milioni di ore di lavoro straordinarie fatte dai medici ospedalieri lo scorso anno. Ore che non potranno mai essere recuperate (e non pagate), vista non solo la carenza degli organici – mancano nei vari reparti più di 17 mila camici bianchi – ma anche il perdurare dell’emergenza sanitaria dovuta all’epidemia di Covid-19. E che si sommano ai 5 milioni di giornate di ferie arretrate accumulate. La stima arriva dall’Anaao, il sindacato dei medici dirigenti ospedalieri, che ricorda questi numeri bocciando senza appello la manovra finanziaria del governo. “Non ci è stata nemmeno riconosciuta l’indennità di rischio biologico”, dice Carlo Palermo, segretario nazionale del sindacato. “Ci saremmo aspettati maggiore considerazione – prosegue Palermo –, per chi continua a lavorare in prima linea in condizioni di forte stress. Invece siamo stati dimenticati”. La categoria aspetta ancora l’apertura della trattativa con Aran per il contratto di lavoro del triennio 2019-2021, mentre quello precedente, relativo al 2016-2018, secondo Anaao non è mai stato pienamente applicato. “Questo mentre ci si chiede – osserva Palermo –, di rinunciare ai limiti fissati per quanto riguarda l’orario di lavoro a causa del carico cresciuto notevolmente”. Il fronte più esposto è quello dei Pronto soccorso, dove mancano oltre 4.200 medici. Una condizione di grave carenza che riguarda praticamente tutte le regioni. Solo l’Umbria ha un surplus.

Omicron, più contagiosa ma meno violenta di Delta

“Omicron potrebbe essere intorno al 28%, ma con forti variabilità regionali”, lo ha reso noto l’Istituto Superiore di Sanità. La variante dilaga, ma dall’estero arrivano notizie forse confortanti. Secondo uno studio dell’Istituto per le malattie trasmissibili del Sudafrica, chi contrae oggi Omicron ha l’80% in meno di probabilità di essere ricoverato in ospedale rispetto alla Delta.

Per il noto virologo Guido Silvestri la riduzione dei ricoveri osservata in Sudafrica “significa che se il rischio di finire in ospedale per Delta fosse stato del 5%, per Omicron sarebbe dell’1”. L’Università di Hong Kong sostiene: “Omicron può infettare più velocemente e meglio di Delta i bronchi umani, ma con un’infezione meno grave nei polmoni”. Michael Chan Chi-wai, specialista di Salute Pubblica e John Nicholls del Dipartimento di Patologia hanno scoperto che Omicron infetta e si moltiplica 70 volte più velocemente di Delta nei bronchi umani, ma si replica in modo più lento (oltre 10 volte meno) nel tessuto polmonare: “Questo spiegherebbe la minore severità clinica osservata in Sudafrica – puntualizza Silvestri –, in quanto la polmonite interstiziale con danno alveolare diffuso e conseguenti complicanze sistemiche è l’elemento centrale nella patogenesi del Covid severo”. A questi studi si aggiunge l’analisi sulla letalità di Omicron (rapporto tra decessi e casi osservati), che è molto più bassa di quella delle varianti precedenti. Il dato dal Sudafrica su quasi 400.000 casi parla di una letalità allo 0.26%, paragonata al 2.5%-4.0% del recente passato, è una differenza netta. Certo, il Paese sudafricano ha una popolazione diversa dalla nostra, per età (più giovani) e stato vaccinale. Il Covid nelle fasce giovani e sane non crea grandi criticità. Una comparazione più vicina all’Italia si potrebbe fare con nazioni simili, ma i dati sembrano convergere anche in altre nazioni: l’ultimo studio in Scozia su Omicron fotografa la riduzione di due terzi (67%) del rischio di ospedalizzazione. Simile conclusione per lo studio dell’Imperial College di Londra: c’è una riduzione del 40-45% del rischio di ospedalizzazione (per più di un giorno). Questa ridotta aggressività va soppesata con la capacità di Omicron di diffondersi e dilagare anche nei gruppi vaccinati, che vedono la protezione da contagio scesa al 33%, secondo il British Medical Journal, dopo due dosi di vaccino. Il Regno Unito ha riportato una media di 88.000 casi di Covid al giorno nell’ultima settimana, con picchi sopra i 100mila. Omicron, ufficialmente rappresenta il 18% dei contagi totali, ma i conti potrebbero essere molto più alti per il Guardian: dipende dal fatto che solo una parte dei campioni viene sequenziato. Oltre il 70% dei positivi per Omicron, variante dominante nel Regno Unito: i decessi totali dovuti alla nuova variante, al 22 dicembre, sono 14 con 856 ricoverati in intensiva (contro i 1.454 del 23 dicembre 2020).

Milano, record di casi. Tamponi e Ats in tilt. Fontana: no chiusure

La Lombardia rimarrà in zona bianca per un’altra settimana, ma in regione sembra di essere tornati indietro di tre anni. Se non fosse per i vaccini che stanno limitando terapie intensive e decessi, sarebbe difficile distinguere la quarta ondata dalla prima. Boom di contagi; tracciamento saltato; tamponi introvabili; Pronto soccorso sotto pressione; ospedali che bloccano le attività ordinarie per recuperare posti letto Covid; medici di famiglia in rivolta. Una realtà opposta a quella che continuano a raccontare Attilio Fontana e la sua assessora Letizia Moratti, più impegnati in complicati calcoli matematici per evitare ogni possibile restrizione per “salvare il Natale” che a fronteggiare l’emergenza. “Il virus corre, però se questo non fa crescere in modo esponenziale i ricoveri e conserviamo ancora diversi gradi di libertà, lo dobbiamo all’ottimo andamento della campagna”, twittava ieri una soddisfatta Moratti. Che a ogni obiezione snocciola i dati delle somministrazioni. Ma tace su tutto il resto. Non spiega come si sia arrivati ai dati di ieri, che recitano: 12.955 positivi, record assoluto da inizio pandemia (mercoledì erano stati 10.569; 51.456 negli ultimi 7 giorni); 45 decessi; un tasso di positività al 6.2% (5,7%); un’incidenza di 513/100mila abitanti; 1.408 (+56) ricoverati nei reparti ordinari (per una percentuale di occupazione del 13,8%); 162 (-2) quelli in terapia intensiva (occupazione del 10,6%). Il tutto con la variante Omicron che rappresenta il 40% dei casi (337).

Non una parola sulle scuole (una fortuna che abbiano chiuso per le vacanze), che al 19 dicembre avevano 988 classi in isolamento (con 12.508 alunni coinvolti e 660 operatori scolastici), 350 in più rispetto alla settimana precedente. Zitta anche sul tracing che non contatta i quarantenati e non ne traccia i contatti. E silenzio sul caos tamponi: con l’impennata dei casi e l’avvento del Green pass era più che prevedibile che i lombardi si sarebbero riversati a cercarli. Chi per liberare i figli dalla quarantena, chi per poter tornare al lavoro; chi per viaggiare. Ma il Pirellone si è trovato del tutto impreparato (non ha neanche impedito l’incetta dei tamponi fai da te, divenuti introvabili, i cui risultati peraltro non vengono comunicati ad Ats). Fino a mercoledì, in ospedale, poteva avere il tampone solo chi aveva un appuntamento fissato dal medico di base, una chimera, tanto che da ieri basta una email con l’impegnativa del dottore. Da giorni, infatti, il sistema (creatura di Aria) è in tilt e i medici non riescono a prenotare (la prima data utile ieri era al 29 dicembre). Così il paziente deve andare in ospedale senza appuntamento e può solo attendere in code interminabili. Al San Carlo ieri l’attesa è stata di quattro ore (idem al San Paolo e Niguarda). Attesa inutile, visto che in mattina erano terminati i tamponi. Stesso caos davanti alle farmacie, dove le file sono una costante da giorni. Ma queste sono territorio soprattutto dei no-vax, che hanno bloccato tutti gli slot (a prezzo calmierato di 15 euro). Così l’alternativa restano i privati, che traggono immensi guadagni. Un molecolare in una farmacia del centro costa 110 euro; nei laboratori si va dai 120 ai 180 euro. Disponibile anche il “tampone a domicilio”: 200 euro. Non va meglio negli ospedali dove, per rimanere nei parametri della zona bianca, i letti vengono continuamente riconvertiti e l’operatività si blocca. Come al Fatebenefratelli-Sacco, dove l’attività chirurgica è dimezzata dal 13 dicembre. Ieri la Regione ha ordinato a sette grandi ospedali che nei pronto soccorso “le attività di ricovero programmato differibile” siano ridotte “fino al 15 gennaio”.

Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine di Milano, ha parlato ieri di “una situazione ingestibile” e di disfunzioni tecniche di Ats che “aumentano il contenzioso medico-paziente, già reso artatamente incandescente da alcune dichiarazioni sconsiderate dell’assessore Moratti”. E non ha rasserenato gli animi l’invito rivolto ieri da Ats a medici di famiglia e pediatri di tamponare i positivi nei loro studi: “Una vera follia, così facciamo infettare tutti in sala d’aspetto”.

Draghi spegne solo il Capodanno. Il Green pass dura ancora meno

È il record assoluto dei contagi rilevati dall’inizio della pandemia in Italia con 44.595 nuovi casi, superati i 40.902 del 13 novembre 2020, ma col record di tamponi: quasi un milione. E i numeri dei morti continuano a salire: ieri 168. La variante Omicron è già al 28%, un caso su tre con raddoppio in due giorni, ma con dati che arrivano dall’estero molto rassicuranti su malattia grave, ospedalizzazioni e decessi. Inoltre, lo scorso anno, senza vaccini, dal 1° novembre al 22 dicembre l’Italia di zone rosse e coprifuoco aveva registrato 30.176 morti, nello stesso periodo nel 2021 ce ne sono stati 3.957 con una riduzione dell’87%.

Questi dati hanno monopolizzato la giornata politica di ieri tra cabina di regia e Consiglio dei ministri. E in serata, come nei giorni più brutti della pandemia, si sono presentati in diretta televisiva, seppur non il premier Mario Draghi, il ministro della Salute, Roberto Speranza, il presidente del Consiglio superiore di sanità, Silvio Brusaferro, e il coordinatore del Comitato tecnico-scientifico, Franco Locatelli. Il “decreto festività” introduce l’estensione della necessità di Super green pass (quello che si ottiene solo con almeno due dosi di vaccino o guarigione) anche per accedere a musei, parchi tematici e di divertimento, centri sociali e ricreativi, sale bingo e ristorazione al chiuso anche al banco. Insomma anche per un caffè al banco non basterà più il tampone negativo, instaurando una sorta di quasi-lockdown per non vaccinati.

L’ulteriore novità è quella delle mascherine che, come già anticipato ad esempio nel Lazio, saranno obbligatorie anche all’aperto e saranno obbligatorie le ffp2 nel trasporto locale e a lunga percorrenza, nei cinema, nei teatri e negli stadi. Nei luoghi al chiuso, come cinema e teatri, non sarà possibile mangiare o sorseggiare bevande durante lo spettacolo.

È ulteriormente ridotta, dal 1° febbraio, la validità temporale del Green pass da nove a sei mesi e, ha spiegato il ministro Speranza, “le autorità sanitarie, l’Aifa, sono al lavoro per ridurre il tempo in cui è possibile farsi somministrare il booster dopo le due dosi da cinque a quattro mesi”.

Nelle Rsa si potranno andare a trovare gli anziani solo con booster già somministrato o con tampone positivo oltre alle due dosi. Promesse: saranno aumentati i controlli nelle aree di frontiera e soprattutto negli aeroporti e sarà rafforzato lo screening nelle scuole per evitare focolai e garantire lo svolgimento delle lezioni in presenza. Fino al 31 gennaio sarà in vigore un divieto nazionale di feste ed eventi in piazza, “misura concordata con le Regioni, ci sembrava giusto uniformare a livello nazionale decisioni prese in autonomia da diversi governatori”, ha spiegato Speranza. Eppure al di là di un’apparente concordia dietro all’unanimità sul decreto nel Consiglio dei ministri c’è stata “una accesissima discussione”, rivelano più fonti, sulla completa chiusura di discoteche e sale da ballo fino al 31 gennaio, misura osteggiata dalla Lega ma fortemente voluta da Speranza. Il ministro ha dovuto cedere però sull’obbligo vaccinale per i lavoratori della pubblica amministrazione: niente da fare, almeno per ora, nonostante il ministro Renato Brunetta fosse schierato col titolare della Salute. Una frattura con la Lega anche su questo sarebbe stata troppo e, quindi, si è deciso di rimandare ogni decisione in merito all’anno nuovo sulla base dell’ulteriore evolversi della pandemia.

Tra le vittime del Covid di ieri c’è anche il senatore Bartolomeo Pepe, 59 anni, di Napoli, eletto con i 5stelle e poi passato al gruppo Grandi autonomie e libertà: ricoverato da alcuni giorni in terapia intensiva al Cotugno, era un convinto no-vax. Non a caso il professor Locatelli ha insistito: “I vaccini rappresentano lo strumento più efficiente per prevenire lo sviluppo di malattia grave. Anche il ragionamento su Omicron, che sarebbe connotata da minore capacità di indurre patologia grave, è a mio parere attribuibile a quella protezione conferita dai vaccini”.