Riesumare la salma e svolgere una nuova autopsia sul corpo dell’ex parà Emanuele Scieri a vent’anni dalla sua morte. È quanto ha disposto nei giorni scorsi la Procura di Pisa che nel 2017 aveva riaperto le indagini sulla tragedia dopo che il caso era stato archiviato come suicidio: a giugno 2018 è stato arrestato con l’accusa di omicidio volontario l’ex commilitone, Alessandro Panella, a cui Scieri era stato assegnato. Il procuratore di Pisa, Alessandro Crini, aveva iscritto nel registro degli indagati per lo stesso reato altri due colleghi del parà: Andrea Antico e Luigi Zabara che erano con Scieri quella notte. Tutti e tre sono stati convocati, insieme ai loro avvocati e ai parenti di Emanuele, mercoledì in Procura per mettere d’accordo i consulenti delle parti sulla riesumazione della salma. La nuova autopsia infatti potrebbe rappresentare una svolta nelle indagini: grazie a questa si potrà stabilire se la morte di Scieri è stata immediata o se siano stati i mancati soccorsi a condannarlo a morte. Secondo l’ipotesi accusatoria della Procura, infatti, la tragedia sarebbe stata causata da un episodio di nonnismo finito male: i tre indagati sono accusati dai pm di Pisa di aver picchiato e spogliato Scieri nella notte del 13 agosto 1999 prima di portarlo in cima alla torre di asciugatura della caserma Folgore di Gamerra e fargli pressione con gli scarponi sulle dita. A quel punto il giovane parà sarebbe volato a terra e i tre “compagni” avrebbero addirittura coperto il corpo con un tavolo per non farlo trovare subito ma tre giorni dopo, il 16 agosto. La riapertura delle indagini è stata possibile grazie al lungo lavoro della commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall’ex deputata del Pd, Sofia Amodio, che in 6mila pagine di documenti e 45 audizioni ha ricostruito cos’è successo quella notte ponendo molti dubbi sull’inchiesta precedente svolta: secondo gli accertamenti, Scieri quella notte continuó a respirare per almeno sei ore, se non otto. La nuova autopsia chiarirà tutto.
Vent’anni per il prete spretato che indossava ancora la tonaca nonostante gli abusi sui minori
Una pena esemplare per Giovanni Trotta, il sacerdote ridotto a stato laicale, che per anni ha continuato ad abusare su dei minori in un piccolo comune foggiano appollaiato sui Monti Dauni. La Corte di Appello di Bari ha confermato le responsabilità dell’uomo che era stato condannato in primo grado a 18 anni di reclusione dal Tribunale di Foggia per abusi su nove bambini, rincarando la pena inflitta a 20 anni di reclusione poiché i fatti acclarati sono in continuazione ad una precedente condanna sempre per abusi. Nel piccolo paesino si faceva ancora chiamare don Gianni, nonostante nella sua permanenza a Roma il tribunale ecclesiastico lo aveva ridotto allo stato laicale. Una verità troppo scomoda da far venire a galla, tanto da permettere a don Gianni, una volta ritornato nel suo paese natio e lontano dagli occhi romani, di continuare ad indossare la tonaca e di concelebrare la messa. Si sarebbe occupato anche del conferimento di alcuni sacramenti, che oggi potrebbero esser nulli. A conoscere la verità su don Gianni c’erano la curia e il parroco che, nonostante quel pesante passato, nulla fecero per bloccare l’azione di don Gianni, anzi al contrario permisero al decaduto sacerdote di ricoprire il ruolo di dirigente e allenatore della squadra di calcio frequentata dai bambini. E in questa circostanza si sono consumati una serie di episodi agghiaccianti. Per mesi, nel 2014, ha abusato di dieci bambini che all’epoca avevano tra gli 11 e i 13 anni. Una situazione comprovata anche dalla mole di messaggi e immagini pedopornografiche che il prete scattava durante gli abusi e poi condivideva via chat. Nonostante il paese conti poche migliaia di anime, nessuno ha denunciato il dramma vissuto dai bambini e anche quando la notizia è venuta fuori, i genitori si sono limitati a protestare senza nessuna iniziativa formale. Solo grazie alle indagini sul caso avvenuto a Roma, per il quale fu condannato a 6 anni per abusi su un altro 11enne, gli investigatori della Polizia postale scoprirono quanto accaduto in Puglia.
Parcheggi della Versilia pavimentati con residui nocivi dei marmi di Carrara
Parcheggi pavimentati con marmo di Carrara. Succede a Viareggio, nella Versilia tanto amata da ricchi bagnanti nostrani e russi. Sembrerebbe una sciccheria, ma la novità sta suscitando l’allarme della popolazione e la protesta degli ambientalisti. Già, perché a ben guardare non si tratta di un lusso: “È stata infatti utilizzata la marmettola”, spiega Stefano Deliperi del Gruppo di intervento giuridico (Grig). Di che cosa si tratta? “Parliamo di un residuo dell’estrazione e della lavorazione del marmo”. In pratica, sostiene l’associazione ambientalista, se non viene adeguatamente stabilizzata si tratta di un rifiuto che può produrre una polvere insidiosa per la salute. Una distinzione sottile, quella tra “sottoprodotto” e “rifiuto”. La polizia municipale e Mobilità Versilia spa giurano e spergiurano: “L’intervento è stato eseguito a regola d’arte in esecuzione di un contratto di servizio”. E garantiscono: “Il materiale utilizzato è carbonato di calcio – marmo bianco di Carrara – al 97-99%. Ed è stato stabilizzato”.
Ma i viareggini che vivono tra via del Forcone e via Paladini non sono pronti a scommetterci: “Quando tira vento vediamo alzarsi nuvole di polvere. Che rischiano di finire nei nostri polmoni”.
Una storia che spalanca le porte al discorso ben più ampio dell’impatto ambientale della lavorazione del marmo nella zona di Carrara e, appunto, sullo smaltimento della marmettola. Proprio il Grig da anni segnala l’inquinamento che lo sversamento della polvere bianca provoca nei corsi d’acqua della zona, come il Fiume Frigido. “Soltanto i maggiori costi sopportati dal gestore pubblico del servizio idrico per la potabilizzazione delle acque a causa del pesante inquinamento da marmettola ammontano a 300 mila euro l’anno”, spiega Deliperi. Ma c’è anche l’inquinamento marino.
Vero, qui viene estratto uno dei marmi più pregiati del mondo che tiene su l’economia della zona (ormai, però, molte società sono in mano straniera, anche la famiglia saudita Bin Laden ci ha investito). Ma da anni le cave tra Carrara e le Apuane sono al centro di polemiche per gli incidenti sul lavoro, l’inquinamento e il consumo del territorio. Per rendersene conto basta guardare i crinali aguzzi delle Apuane che nei giorni di sole d’estate scintillano di bianco come fossero coperti di neve. Invece è marmo.
Il braccio di ferro tra chi vorrebbe aprire nuove cave e gli ambientalisti va avanti da anni. Una battaglia forse decisiva potrebbe essere combattuta molto presto: “A giugno – spiega Deliperi – si dovrebbe approvare il nuovo piano estrattivo regionale che prevede il divieto di apertura di nuove cave o di riattivazione di quelle dismesse nella zona di protezione speciale”. Sono previste soltanto due eccezioni. La novità ha creato scontento nell’ambiente delle società estrattrici che tradizionalmente godono di ottime sponde politiche. Perché qui parliamo di 165 cave attive, ma soprattutto di ben 510 potenzialmente riattivabili. Una febbre da scavo che – secondo gli esperti – se non limitata, in pochi decenni potrebbe portare a esaurire il marmo più famoso del mondo. Quello che Michelangelo usava per i suoi capolavori.
La sfida di Sea Watch: “Ripartiamo subito”. Lite Salvini-Di Maio
Resta aperto il fronte migranti. All’indomani del dl sicurezza bis annunciato dal Viminale, la SeaWatch lancia la sfida ed è pronta a ripartire da Marsiglia, mentre sono solo tre al momento i corpi recuperati in mare dalle autorità tunisine delle vittime del naufragio avvenuto a 40 chilometri da Sfax, in Tunisia, con almeno 70 morti. Intanto, non è stato ancora convalidato dai pm di Agrigento il sequestro della Mare Jonio e l’unico indagato, per ora, è il comandante della nave sbarcata a Lampedusa con 30 migranti partiti dalla Libia. Sull’imbarcazione proprio il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio chiarisce come “c’è una informativa della Gdf con relativo sequestro in esame alla Procura. L’iscrizione è atto dovuto, stiamo valutando il merito in relazione alle concrete modalità del salvataggio e alla situazione libica”. A questo proposito, interviene il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e sbotta: “È per questo che serve un decreto sicurezza 2, per chiarire che chi raccoglie e trasporta illegalmente in Italia favorisce l’immigrazione clandestina ed è complice degli scafisti”. Ma Luigi Di Maio attacca l’alleato: “Non vorrei che il decreto sicurezza bis fosse l’ennesima iniziativa per coprire il caso Siri”.
“Io ho le mani in pasta, quindi votatemi”
Caro Babbo Natale,
ti scrivo consapevole che non è Natale, ma qui in Italia è come se lo fosse, perché si vota, e quindi, le promesse sono d’obbligo.
Tra pochi giorni ci saranno le elezioni europee e si vota in tanti Comuni per eleggere i nuovi sindaci e per eleggere le nuove amministrazioni.
Sai meglio di me che il termine “nuovo” nel Bel Paese è un eufemismo.
Ricordi quando da bambini, il giorno di Natale, ti scrivevamo la letterina dei buoni propositi, che poi di nascosto mettevamo sotto il piatto dei nostri papà, aspettando con trepidazione una ricompensa di cinquanta o addirittura di cento lire, da consumare per l’acquisto di leccornie?
Ebbene, anche se non è Natale quasi tutti i politici hanno scritto la lettera delle buone intenzioni ai propri elettori, mentre molti degli stessi nel frattempo non hanno neanche più il piatto.
In questa lettera, molti di questi politici, non tutti, parlano delle cosiddette promesse elettorali.
…Caro elettore ti chiedo scusa se durante questi 30 anni della mia attività politica ho trascurato il territorio, permettendo colate di cemento, ma sai bene che lo sviluppo passa attraverso la malta.
Ho trascurato l’ambiente, non facendo una sana politica di protezione e manutenzione, permettendo lo scempio di posti bellissimi.
Non ho costruito le strade che permettono lo sviluppo del territorio, ma ti prometto che le realizzerò.
Certo, non ho parlato di legalità, però ti posso garantire che durante questi decenni ho tessuto una rete di amicizie con sindaci, onorevoli, senatori, presidenti, che mi permette un controllo capillare di tutto e su tutto. È questa la nuova legalità.
Un’amministrazione sta in difficoltà, vacilla, io accorro e sistemo tutto. In un paesino manca l’acqua, mi attivo per una pronta riparazione. In un ente non vengono pagati stipendi da mesi e mesi, mi attivo con le mie amicizie e risolvo tutto. Qualcuno ha bisogno di credito, so dove inviarlo. Conosco la politica e i suoi meccanismi ad occhi chiusi, il popolo ha capito la mia “forza” e mi vota, anzi mi ama.
Poi sento qualcuno, qualche fesso, che ancora parla di Legalità.
Ancora!
Questi ancora non hanno capito cos’è la Legalità, sono rimasti indietro, sono antichi.
Non hanno capito che la legalità cammina di pari passo con lo sviluppo, con il progresso, con la modernità, questi sono rimasti antiquati, noi dopo tanti anni di esperienza possiamo insegnare la legalità. Noi ne abbiamo una visione diversa.
Io ho le mani in pasta da anni e so come vanno certe cose, so dove metterle e conosco gli ingranaggi della politica che non sono per tutti, non sono per i don Chisciotte di turno, poi sappiamo che fine fanno.
Vengono sparati.
La mia è destrezza, è capacità, ad esempio c’è da approvare una nuova legge, un nuovo emendamento, basta spostare una virgola, un punto e cambia il senso della legge, cambia tutto, ma ci vuole esperienza, ci vuole prontezza e avere buona conoscenza delle cose e degli uomini.
Questi fessi ancora parlano di legalità e ancora dopo tanti anni non hanno capito che la gente vuole la “mia politica” e per questo io sono tra i più votati del territorio.
La gente mi ama perché mi conosce, io sono “vicino” a loro, alle loro esigenze, ai loro bisogni, sanno che le mie mani sono capaci, altrimenti se non lo fossero ahimè, mi troverei con i piedi in una colata di cemento. Lo stesso cemento che ha permesso lo sviluppo della nostra terra.
Votatemi, sono io il cambiamento.
“Chiudiamo il Gran Sasso”. Toto, indagata, minaccia
Una regione tenuta col fiato sospeso dal re delle autostrade del Centro Italia, quella Toto holding Spa proprietaria della società Strada dei Parchi che minaccia di chiudere il Traforo del Gran Sasso dal prossimo 19 maggio.
Non è fantascienza, in Abruzzo succede davvero. Si tratta di una decisione annunciata da Strada dei Parchi per non incorrere nei reati ipotizzati dalla Procura di Teramo in merito all’inchiesta che la vede indagata, insieme alla società del ciclo idrico delle acque Ruzzo spa e all’Istituto di Fisica nucleare del Gran Sasso, sulla questione dell’inquinamento delle acque sotterranee, quelle che poi finiscono nei rubinetti di 700 mila abruzzesi.
L’indagine nasce da alcuni casi di contaminazione delle acque potabili che, seppure gli inquinanti siano rimasti nei limiti di legge, hanno fatto accendere il campanello d’allarme. Uno risale all’agosto del 2016 e riguarda la contaminazione da diclorometano proveniente dall’esperimento Cupid dei Laboratori del Gran Sasso, l’altro è accaduto nel maggio 2017 e riguarda la contaminazione da toluene avvenuta in contemporanea con la verniciatura dei tunnel autostradali. In quest’ultimo caso, viene limitata l’acqua nelle case del Teramano provocando l’assalto ai supermercati. A quel punto la Procura pone sotto sequestro la rete acquedottistica al di sotto dei laboratori e rileva che le sale degli stessi non sono impermeabilizzate, e che le condotte delle acque non sono adeguate perché permeabili e in uno stato di conservazione precario. Partono gli avvisi di garanzia e la perizia finisce sui tavoli di sessanta enti.
La Regione, con un tavolo di lavoro a cui partecipa anche Strada dei Parchi, in una delibera datata 25 gennaio 2019 chiede proposte progettuali per risolvere la situazione. Strada dei Parchi presenta cinque opzioni, in una di queste ipotizza addirittura la realizzazione del terzo traforo, ma ne viene accettata un’altra, che prevede 104 milioni di spesa. Soldi che vengono chiesti allo Stato. Ciò nonostante Strada dei Parchi mette le mani avanti e afferma di “non dover pagare”, poi rilancia con la decisione di chiudere il traforo del Gran Sasso per evitare di “reiterare il reato” che gli viene contestato.
Una motivazione quantomeno controversa come rileva Augusto De Sanctis del Forum H2O: “Con la magistratura che non ha posto sotto sequestro l’autostrada né imposto altre misure cautelari, come si fa a parlare di reiterazione del reato?”, si chiede De Sanctis. “Non si è mai visto”, aggiunge, “che un soggetto posto sotto accusa per fatti relativi alle normali precauzioni che avrebbe dovuto prendere nella gestione del tunnel rispetto alla qualità dell’acqua, utilizzi proprio questo bene pubblico, l’autostrada, gestito a prezzo carissimo per gli utenti, nella propria strategia processuale di autodifesa scaricando tutte le conseguenze sui cittadini e sul paese”.
Intanto il sindaco de L’Aquila, Pierluigi Biondi, annuncia una diffida formale a Strada dei Parchi a non interrompere un pubblico servizio indispensabile per i collegamenti sulla direttrice Tirreno-Adriatica. “Ho avuto una nuova interlocuzione con la concessionaria – spiega – in cui è stata ribadita la volontà di interdire al traffico la tratta tra gli svincoli di Assergi e Colledara – San Gabriele da mezzanotte del 19 maggio. Se si dovesse procedere alla chiusura – continua il sindaco – il ministro Toninelli valuti attentamente la revoca della concessione a Strada dei Parchi, costituendo la condotta della società una giusta causa di risoluzione per inadempimento”.
Mail Box
È il momento giusto per “la nuova sinistra”
Quando è nata la Lega con “Roma ladrona” era un momento politico simile a quando è emerso il M5S: esplosioni di protesta popolare che dovevano contenere le esuberanze di una politica incapace e corrotta. Però il Movimento 5 Stelle nasce per l’inadeguatezza della Lega, di Bossi prima e di Salvini dopo, che si era amalgamata all’andazzo corrente, un sasso nell’acqua stagnante che non ne ha mosso il pelo. Pensare oggi che l’elettorato del movimento latente nel 50% degli assenteisti faccia preferire Salvini al posto di Conte e Di Maio è un controsenso in cui spera tutta l’opposizione, compreso il Pd che è morto dal 4 marzo. “La Nuova Sinistra” deve ancora nascere, stiamo aspettando, e questo è il momento giusto. Quando capiranno che in democrazia è il popolo la forza e l’anima del partito?
Omero Muzzu
Un governo nato per necessità e condizionato dalle europee
Che le liti sarebbero continuate anche dopo la revoca dell’incarico a Siri era scontato. Che sarebbero state più virulente c’era da attenderlo, data la rivincita pretesa da Salvini, ed espressa subito con la pretesa di attuazione del Tav e dell’abbassamento delle tasse, in primis.
Orbene, di questo spettacolo noioso di liti a gogò la responsabilità non è tutta da attribuire al governo gialloverde, stante la palese assenza di una alternativa per mancanza di una diversa e/o qualsiasi maggioranza. Sarà, dunque, l’esito del voto europeo a decretare la fine o la continuità della coalizione di governo tra Lega e 5 Stelle, e si attende anche prima del voto che il Pd di Zingaretti dica con chi vorrebbe governare, anziché sparlare della inefficienza di questo governo.
Basterebbe, infatti, un’apertura al dialogo col M5S da parte del Pd per mettere in movimento la costruzione di una nuova maggioranza grazie al (e nei limiti del) voto europeo.
Altrimenti l’alternativa potrebbe essere quella di un centrodestra a guida Salvini con conseguenze imprevedibili per il nostro Paese.
Luigi Ferlazzo Natoli
Casal Bruciato, perché la polizia ha lasciato fare?
Le tristi immagini di quel che è avvenuto a Casal Bruciato portano necessariamente a delle riflessioni. Innanzitutto è incomprensibile come le forze dell’ordine, pur presenti sul luogo, possano lasciare che un gruppo di fanatici ed esagitati, esponenti di movimenti neofascisti, arrivino a circondare la famiglia rom, a minacciarla e insultarla così da vicino, mentre sta esercitando semplicemente un suo diritto. La stessa polizia che alle manifestazioni usa metodi molto più spicci quando si tratta, ad esempio, di evitare che ci si avvicini ai palazzi del potere. E poiché questi fatti a Roma si verificano da tempo, sorge il dubbio che non si vogliano impedire queste inammissibili intimidazioni per assecondare un clima politico e sociale che tanto ha giovato elettoralmente all’attuale ministro dell’Interno e segretario della Lega. La seconda considerazione è che ancora una volta Papa Francesco, nell’incontrare la famiglia assegnataria dell’alloggio, ha dimostrato quel coraggio che dovrebbero avere certi partiti di opposizione all’attuale governo, quelli che si richiamano a certi valori ma faticano molto a praticarli.
Lorisa Parpinel
Le contraddizioni della lotta alla criminalità organizzata
La mobilitazione della città di Napoli dimostrata nei confronti della piccola Noemi evidenzia che la società civile ha gli anticorpi per reagire a questo cancro (la camorra) ma anche la confusione che pervade alcuni abitanti incapaci di discernere il bene dal male. Infatti in questi stessi giorni gli organi di informazione ci hanno documentato che la petizione “umanitaria” online “Cutolo lasci il carcere” a favore di Raffaele Cutolo ha raccolto circa centomila adesioni, segno che esiste una nutrita schiera di ammiratori. La vita di Raffaele Cutolo è stata un susseguirsi di odi, vendette, omicidi di servitori dello Stato, di innocenti ecc. Non dimentichiamo che per qualche decina di anni in Campania si sono registrati una media di 300/500 morti all’anno. Ma gli omicidi sono soltanto la punta dell’iceberg del danno che hanno provocato alle Regioni meridionali. In quegli anni sono state depositate tonnellate di rifiuti tossici nelle province di Napoli e Caserta con conseguenze permanenti sullo stato di salute delle persone che vivono in quelle zone, che le opere di bonifica potranno solo mitigare.
L’unica possibilità di riscatto umano per Cutolo e per gli altri capimafia è fare un sincero e pubblico bilancio della loro vita finalizzato ad ammettere le proprie colpe al fine di creare i fondamenti per una nuova convivenza civile nel Paese. Altrimenti piangeremo ancora per altri innocenti.
Antonio Bovenzi
I problemi sociali vanno gestiti, non strumentalizzati
Siamo ancora a politici che parlano alla pancia della gente. Sono responsabili della questione della famiglia Rom di Roma. Ma i problemi sociali vanno gestiti, non lasciati alla popolazione più indifesa. Molte sono le cose che potrebbe fare un ministro dell’Interno. Occuparsi di mafia, ad esempio, motivare maggiormente gli agenti di polizia, proporre la cancellazione di leggi assurde, di eccessivo garantismo. Sogni, con gente del genere.
Dario Lodi
Scienza e politica contagiate dalla Xylella: un caso di scuola
Riassunto. Un giudice di Lecce ha emesso una poco letta sentenza (di archiviazione, niente reati) sul caso Xylella, il batterio accusato di uccidere gli ulivi in Puglia o, meglio, di essere la causa del CoDiRo (complesso del disseccamento rapido dell’olivo). Una ricerca finanziata dall’Agenzia Ue per la sicurezza alimentare ha infatti individuato in Xylella l’unico colpevole e da allora i governi (compreso questo) hanno imposto per legge la soluzione: sotto coi fitofarmaci e/o l’eradicazione delle piante malate e di quelle vicine, più un pacco di milioni per l’acquisto di varietà (forse) resistenti al batterio. E che dice la sentenza? Che quella ricerca fu condotta con “incredibile sciatteria”, tale “da mettere in seri dubbi gli accertamenti in campo su cui si sono basate le conclusioni”; cita strane email fra i ricercatori tipo “fra 15 anni … pubblicherai che [Xylella, ndr] non è patogenica (ma questo lo sappiamo già): embè?”. Nel frattempo, primarie istituzioni scientifiche adottavano la verità unica, la politica pure e i media manganellavano le pulsioni “antiscientifiche” della plebe pugliese, riottosa alla cura dolorosa ma necessaria. Ancora il 2 maggio l’Accademia dei Lincei lamentava che, nonostante “la certezza” su Xylella, non tutti stessero obbedendo alla “scienza”. Qui c’è un problema non da poco: una scienza che si costituisca in dogma, oltre a negare se stessa, diventa un problema per la società. A Roma ne abbiamo già visti di roghi elevati dai governi alla dottrina ufficiale col plauso dei media: certe volte, poi, è venuto fuori che eppur si muoveva.
Caro candidato, dimmi chi sei e ti dirò se ti voto
“Non voto (astenuti + bianche + nulle) 42%”.
Dall’ultimo sondaggio Ipsos di Mario Pagnoncelli, Corriere della Sera. 10 maggio
Giusto a un paio di settimane dal voto per le Europee mi permetto di rivolgere una sentita preghiera ai partiti che stanno per pubblicare sui giornali le rispettive liste elettorali. Fornitemi ogni informazione possibile su coloro che candidate, in modo che possa decidere nel modo più consapevole. Poiché sento di appartenere a quello sterminato 42% del non voto, che comprende in massima parte i cosiddetti indecisi, una volta entrato nella cabina elettorale vorrei per l’appunto valutare la mia scelta esclusivamente in base ai profili dei diversi candidati. Ovvero, avendo per una volta la possibilità (grazie Europa) di esprimere le mie preferenze (e non di subirle con le liste bloccate all’italiana) vorrei potere indicare nome e cognome di colui (o di coloro) che mi danno più affidamento. Nel mio caso, saranno dunque le persone a trascinare il simbolo di partito e non viceversa. Chiedo perciò quanto segue.
1. Corretto uso delle lingue. Sarebbe opportuno che chi intende frequentare un consesso europeo, nel quale si dibattono e si votano importanti provvedimenti, avesse una certa padronanza di francese, tedesco e spagnolo (oltre all’italiano con uso del congiuntivo). Scontata, naturalmente, la conoscenza approfondita dell’inglese (livello C1, avanzato). Evitare perdigiorno con pronuncia maccheronica alla Matteo Renzi. Allegare video comprovante.
2. Fedina penale intonsa. In ogni caso, vivamente sconsigliato il modello Siri. Meglio dichiarare subito eventuali patteggiamenti per bancarotta fraudolenta (e reati simili) che farsi beccare col sorcio in bocca quando è troppo tardi. I Cinque Stelle sono pregati di non distrarsi.
3. Farsi eleggere nel parlamento europeo non può essere sempre meglio che lavorare. Un CV europeo con le attività svolte prima di fare passerella con Di Maio, Zingaretti o Salvini sembra il minimo per evitare che il 26 maggio diventi l’ancora di salvezza (e di buoni emolumenti) per il solito elenco di miracolati, di portaborse, di trombati della politica. Ma se uno (o una) lascia, per dire, l’incarico di ad in una primaria banca o di scienziato presso l’Agenzia spaziale per scomparire cinque anni nei corridoi di Strasburgo, o è un eroe o è lecito dubitare del suo equilibrio mentale. A meno che non vi sia dell’altro (vedi modello Siri).
4. Quando chiedo di conoscere il profilo dei candidati, intendo vedere proprio che faccia hanno. Non ho pregiudizi di tipo lombrosiano ma qualche volta la fisiognomica fa meglio comprendere nelle mani di chi ti stai mettendo. Per esempio, il massiccio leghista Durigon mi ispira un’istintiva simpatia. Ma, non so perché, con lui commissario all’emigrazione non mi sentirei affatto tranquillo (e neppure credo la famiglia rom di Casal Bruciato). Fatemi sapere.
Cristo riunisce il popolo disperso: la nostra salvezza è nella sua mano
In quel tempo, Gesù disse: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola” (Giovanni 10,27-30).
Nella quarta domenica di Pasqua, per i tre i cicli liturgici, vengono proclamati brani tratti dal capitolo decimo di Giovanni, incentrati sull’immagine del buon pastore: le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Fin dai tempi più remoti, i profeti applicarono a Dio la figura del pastore. Ora passa al Figlio! È Lui che riunisce il popolo disperso. È Lui il compimento delle parole dei profeti, è sua la vita donata per liberare dal peccato e vincere la morte.
L’umanità intera può confidare nella voce di questo pastore che custodisce la vita e, amante dell’uomo, lo guida alla vita eterna. La sua voce giunge al cuore di tutti prima delle cose che essa comunica. È voce che dà sicurezza, è voce che comprende la debolezza, è voce che avvolge di tenerezza, è voce che assicura che il mondo è preparato per noi, è voce che spalanca l’animo all’indefettibile speranza di un nuovo futuro: Io do loro la vita eterna. Quando la Madre di Gesù fece visita a Elisabetta, alla sua voce gioì il suo ventre: appena il suo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo (Lc 1,4)! Alla Chiesa, nonostante tutte le difficoltà, anche le gravi manchevolezze, le incomprensioni, è affidata la Parola che è dono di vita e rallegra quanti l’ascoltano e continuano a fidarsi di Essa.
Dopo la risurrezione le pecore ritrovano il Pastore anche sotto le sembianze di un Agnello: sarà il loro pastore e le guiderà alle fonti delle acque della vita (Ap 7,17). Il legame stabilito con le pecore è fondato sull’ascolto, la sequela, la fedeltà, la comunione piena di vita e fino alla fine: ascoltano la mia voce … mi seguono … non andranno perdute … do loro la vita … nessuno le strapperà dalla mia mano. Questi sono anche i momenti nei quali si scansionano e sviluppano le vocazioni al servizio della Comunità cristiana.
Nella Scrittura la mano – che figura spesso nelle icone orientali – è metafora della presenza e della potenza protettrice di Dio (Sap 3,1; Dt 32,39). Il Padre ha affidato le pecore in mano al Figlio e, allo stesso tempo, vigila su di esse e le protegge con la forza del suo potere perché Egli è più grande di tutti. Io e il Padre siamo una cosa sola.
Quando Gesù sfugge dalle mani degli avversari è perché è custodito dalla mano forte del Padre! Come il Figlio così anche le pecore sono al sicuro in quella mano, tanto che Gesù andò con tremante fiducia incontro alla morte: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito (Lc 23,46). Gesù è certo, e ce lo conferma la fede, che il nemico dell’uomo, morte e peccato, non può sciogliere il nodo della nostra vita indissolubilmente legato alle potenti e amorose mani di Dio Padre.
*Arcivescovo emerito di Camerino – San Severino Marche