Niente piazza per Roberto Fiore: il questore di Roma ha vietato la manifestazione di Forza Nuova all’università La Sapienza, che era in programma per lunedì in concomitanza con l’intervento dell’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano. La decisione sarebbe stata presa per motivi di “ordine e sicurezza pubblica”: decisione che l’organizzazione di estrema destra ha contestato, rivendicando il “diritto sacrosanto” di tenere l’appuntamento previsto dalla campagna elettorale. Anche Lucano, ieri, ha confermato la sua presenza: “Lunedì ci sarò. E ci andrò senza scorta, perché non ho mai fatto male a nessuno e perché non temo il clima di odio, che mi sembra assurdo. Sarò lì per raccontare l’esperienza di accoglienza che abbiamo vissuto a Riace, fatta di bene e di umanità per tutti”. Anche da parte dell’Università è arrivata la risposta alle provocazioni di Forza Nuova: “Condanniamo qualsiasi facinorosa strumentalizzazione da parte di soggetti non democratici che pretendono di impedire o condizionare le libera attività della più grande università d’Italia”.
Propaganda: come si sgonfia il leghista
Chi sceglie la beffa via selfie e chi grida al fascismo; chi appende striscioni dai balconi e chi lancia l’allarme democratico. Ieri Travaglio ha detto la sua su “come si affronta il pallone gonfiato del momento”, il Salvini che “teme più la cronaca e la satira che le invettive con bava alla bocca e ditino alzato”. E Grillo ha accusato Lilli Gruber di aver fatto il suo gioco. Abbiamo chiesto alle nostre firme di continuare a riflettere sul tema.
Antonio Padellaro
Il metodo Crozza e lo spillo per bucare il palloncino
Matteo Salvini si sgonfia con il metodo Crozza: non insultandolo o chiamandolo fascista, che lui ci gode un mondo, non censurando un libro, che lui ci sguazza. Ma raffigurandolo per quello che è, con la perfidia della satira. Salvini sul balcone che si pavoneggia. Salvini che chi di selfie colpisce di selfie perisce. Salvini che manda “bacioni” con la faccia di chi vorrebbe mordere. Il metodo Crozza è la tv che colonizza la Rete raccontando un Capitano da ridere. Ma il metodo Crozza non fa sconti. Colpisce Giuseppe Conte, fatuo e vanesio, che si crede il presidente del Consiglio. Massacra Giggino Di Maio, che dal balcone festeggia la sconfitta della povertà agitando una penosa coppetta. È la satira, bellezza, la stessa che trasformò Il grande dittatore di Charlie Chaplin in una macchietta che si baloccava con un pallone, che era il mondo. Forse, per il palloncino Salvini basterà uno spillo.
Peter Gomez
Un promemoria (da ridere) sulle tante cose non fatte
Chi vuole battere Matteo Salvini deve ricordare che fin qui il ministro dell’Interno ha avuto due grandi alleati involontari e un solo pericoloso nemico: se stesso. Per mesi e mesi a rinforzare Salvini e a farlo crescere nei sondaggi ci hanno pensato molti suoi avversari e quella parte di stampa a lui dichiaratamente ostile.
Per loro è stato controproducente trattare il vicepremier come una sorta di novello Mussolini, pericoloso per la democrazia, invece che limitarsi a criticarlo, sbeffeggiarlo e attaccarlo per le singole iniziative sbagliate o contraddittorie prese, o per le tante cose che ha promesso di fare, ma non ha finora fatto. Per Salvini è, per esempio, devastante ricordare come finora abbia chiuso un unico nuovo accordo per il rimpatrio degli immigrati irregolari. O come oggi sostenga che in Italia ve ne siano solo 90mila, quando nel contratto di governo scriveva che sono almeno mezzo milione.
Attaccarlo per i suoi continui ammiccamenti con esponenti della destra neofascista è senz’altro giusto perché un ministro dell’Interno giura fedeltà alla Costituzione. Ma se invece lo si definisce fascista, cadendo in un vecchio vizio della sinistra, si ottiene solo i risultato di coprirsi di ridicolo agli occhi dei suoi tanti elettori. Perché Salvini non ha intenzione di abolire la libertà di stampa, di parola e di voto.
Per battere il leader della Lega è insomma più intelligente e furbo usare l’arma dei fatti e dell’ironia. Non per nulla sono risultati straordinariamente efficaci i video selfie girati con lui da ragazzi e ragazze che gli chiedevano notizie dei 49 milioni di euro scomparsi, gli ricordavano le passate frasi sui “terroni” o si lanciavano in effusioni lesbiche. Perché come tutti i politici Salvini è solo pro-tempore al potere e come tutti i politici prima poi sarà sepolto da una grassa risata.
Daniela Ranieri
Peggio di un Tanko in garage: sembrava Goebbels, era Pierino
Presto si scoprirà che la gloriosa e temibile comunicazione di Salvini capace di oscurare quelle di avversari e contraenti di governo (invero non troppo acute) è l’esatto corrispettivo propagandistico dei Tanko, i carri armati che in realtà erano trattori con cui i secessionisti veneti volevano occupare piazza San Marco. Tutta la strategia salviniana si basa su una manciata di semplici trovate ripetute all’infinito: pierinismo istituzionale (sfregiare ciò che è sacro per la Repubblica, essere politicamente scorretto, assentarsi dalle sedi in cui sarebbe opportuna la sua presenza); riedizione sovranista del celodurismo (travestirsi da guardia, minacciare ruspe, fare la voce grossa con qualche decina di persone inermi a mollo su una barca); tentativo di creazione di un culto della sua personalità mediante occupazione dei social, dove rende pubblici pure i suoi pasti; ostentazione di un lato sentimentale per creare un cortocircuito emotivo.
Personaggi del genere hanno calcato spesso la scena politica nel corso dei secoli. Il modo più efficace di neutralizzarli è l’ironia (non fa già ridere uno che si è dato quattro cariche istituzionali e non ne sa gestire bene neanche una?). Le accuse di fascismo o criptofascismo non solo non lo scalfiscono, ma rafforzano il suo schema e i suoi illusionismi. Infatti quelle le cavalca, sbeffeggiandole (e citando vieppiù Mussolini a caso), mentre davanti a dei ragazzini geniali che gli sabotano i selfie ritorcendogli contro le sue stesse tecniche è costretto a chiamare la Digos e a chiedere, inutilmente, di cancellare i video in cui appare deriso, smontato come un Tanko nel suo povero garage. Un giorno scopriremo non solo che l’immigrazione, il suo ubi consistam elettorale, non era un’emergenza, ma anche che quello che credevamo Goebbels è invece Alvaro Vitali.
“Verdi, due candidati di destra”. E Civati sospende la campagna
L’ex parlamentare e fondatore di Possibile Pippo Civati ha annunciato ieri di aver interrotto la sua campagna elettorale per le elezioni europee, dopo le polemiche scoppiate per la presenza di candidati sostenuti dall’estrema destra tra quelli della sua lista, il movimento ambientalista Europa Verde, che riunisce Possibile e i Verdi. Nei giorni scorsi Il Foglio ha scritto di una presunta alleanza tra Europa Verde e il movimento ambientalista di estrema destra “Fronte verde”, fondato da Vincenzo Galizia, ex leader della sezione giovanile del Movimento sociale. Europa Verde ha smentito con una nota che ci fosse un’alleanza ma ammesso di aver scoperto che due candidate, Giuliana Farinaro (circoscrizione Sud) ed Elvira Maria Vernengo (insulare) sono sostenute da Fronte verde. La nota spiega anche che le due candidate erano da considerarsi “fuori dalla lista” ed è stato chiesto loro di “dimettersi”, anche se le liste non possono più essere modificate. Civati ha spiegato di aver preso questa decisione per protesta dopo aver ricevuto “risposte non chiare” sul rapporto con Fronte Verde da parte dei Verdi. Che però negano di essere stati contattati da lui, augurandosi, in ogni caso, un suo ripensamento.
Dai tycoon ai giornalisti: i limiti ai candidati
Le bozze di legge sul conflitto d’interessi firmate dal Movimento Cinque Stelle in circolazione sono tre. All’interno ci sono diverse norme che potrebbero stravolgere radicalmente l’attuale disciplina.
Anti-tycoon. L’intervento più forte – sul quale sono prevedibili critiche feroci anche riguardo il profilo costituzionale – è scritto all’articolo 5 comma 1 della proposta di legge che porta la prima firma della deputata M5S Anna Macina. È stata già chiamata la norma “anti tycoon”, ma forse è più corretto definirla “anti ricchi”: prevede che possa dar luogo a conflitto d’interessi anche la semplice proprietà di “ingenti patrimoni”. In particolare – si legge – le cariche di governo (nazionale e locale) e la presidenza delle Authority diventano incompatibili “con la proprietà, il possesso o la disponibilità, anche all’estero” (e anche attraverso parenti, conviventi, prestanome o societa fiduciarie) “di un patrimonio immobiliare o mobiliare di valore superiore a 10 milioni di euro”, con la sola eccezione dei titoli di Stato.
I due mandati. Nella seconda bozza dei Cinque Stelle sul conflitto d’interessi (la prima firma è della deputata Fabiana Dadone) viene introdotto uno dei principi storici del Movimento: quello del limite dei due mandati elettivi. Si legge all’articolo 3, comma l: sono ineleggibili “coloro che hanno esercitato per due mandati, anche non consecutivi, la carica di membro del Parlamento”. Difficile sia fattibile con legge ordinaria.
Incompatibilità. La pdl Dadone stila anche un lungo elenco di incompatibilità per il ruolo di parlamentare (italiano ed europeo) con qualunque forma di incarico (“ufficio, carica o funzione”) in enti pubblici o aziende a qualunque titolo controllate o vigilate dallo Stato fino a rendere incompatibile persino lo svolgimento a titolo gratuito di consulenze per quelle società o enti. Previsione che pare davvero troppo vasta.
I magistrati. Nel pacchetto dei Cinque Stelle c’è anche una norma che regola i rapporti tra magistratura e politica. La legge attualmente in vigore prevede che i togati non siano eleggibili se non hanno lasciato il loro incarico almeno sei mesi prima della candidatura, ma questo solo nelle circoscrizioni elettorali che coincidono con gli uffici dove hanno lavorato (per fare un esempio: il pm di Palermo non potrebbe candidarsi nei sei mesi successivi alla fine del suo incarico, ma solo in Sicilia). Nel testo grillino l’aspetto territoriale non è più considerato: “I magistrati – esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori – anche in caso di scioglimento anticipato della Camera dei deputati e di elezioni suppletive, non sono eleggibili se hanno svolto le loro funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti alla data di accettazione della candidatura”. Inoltre i magistrati che si sono candidati senza essere eletti dovrebbero rinunciare al ritorno in carica (o allo stipendio) per due anni, ovvero “non possono esercitare le loro funzioni per un periodo di ventiquattro mesi, né percepire alcuna retribuzione ad esse relativa”.
I giornalisti. Nel testo firmato Dadone c’è anche una norma “anti direttori”. Che equipara, di fatto, i giornalisti ai magistrati. “I direttori e i vicedirettori di testate giornalistiche nazionali, anche in caso di scioglimento anticipato della Camera dei deputati e di elezioni suppletive, non sono eleggibili se hanno esercitato l’incarico nei sei mesi antecedenti alla data di accettazione della candidatura”. Anche questa norma lascia più di un dubbio sotto il profilo costituzionale.
Di Maio sfida la Lega e il Pd: “Votate il conflitto d’interessi”
Luigi Di Maio accelera e prova a portare un altro colpo. Dopo il caso Siri e il calo nei sondaggi, Matteo Salvini sembra un pugile che per la prima volta arretra di qualche metro il centro del ring. I Cinque Stelle vogliono approfittarne, segnando un altro punto prima delle Europee: il gancio è la legge sul conflitto d’interessi. Una delle bandiere storiche del Movimento e ora pure un’occasione per sfidare di nuovo l’alleato-antagonista: “Possiamo fare quello che il Pd e la politica non sono mai riusciti a fare in 30 anni di governi”.
Di Maio l’ha annunciato personalmente: “La presentiamo domattina (oggi, ndr). Silvio Berlusconi è quello che ha più paura di tutti”… L’obiettivo è inserirla già da martedì nel calendario della commissione Affari costituzionali della Camera. In realtà i testi dei Cinque Stelle in materia di conflitto di interessi sono già tre. Dentro c’è un po’ di tutto: in una delle bozze (prima firma: Fabiana Dadone) è prevista anche l’introduzione del limite dei due mandati per tutti i parlamentari (che però stravolgerebbe un principio costituzionale). Un altro testo invece è interamente dedicato alla regolamentazione dell’attività dei lobbisti, con l’introduzione di un registro pubblico e di un Comitato di sorveglianza che vigili sulla “trasparenza dei processi decisionali”. Ma la norma più forte contenuta nelle tre bozze del Movimento Cinque Stelle grillini è il cosiddetto articolo “anti-tycoon”: i titolari (anche attraverso prestanome) di patrimoni immobiliari o mobiliari di oltre 10 milioni di euro – fatta eccezione per i titoli di Stato – non potranno assumere incarichi di governo (nemmeno locale) o nelle Authority. Il testo fa riferimento anche alle partecipazioni superiori al 2% in imprese titolari di diritti esclusivi, monopoli, radio tv, editoria, internet o imprese di interesse nazionale. Chissà come fischiano le orecchie a Silvio Berlusconi.
E a Salvini? La sfida lanciata dai Cinque Stelle è piuttosto chiara. Suona così: approvate con noi una legge di cui si parla da decenni oppure vi preoccupate di fare uno sgarbo al vecchio amico di Arcore?
Il ministro dell’Interno, interrogato ieri mattina durante la visita alla Cittadella degli alpini di Milano, ha evitato di rispondere: “Oggi sono qui a parlare di alpini, di valori e di patria”. In serata è tornato sull’argomento durante un comizio: “Conflitto d’interessi? Va bene tutto, ma a me la gente chiede meno tasse”.
La linea ufficiale della Lega è la seguente: “Se una legge è nel contratto di governo si fa, ma allora si deve accelerare anche su flat tax e autonomie regionali” (parola del sottosegretario Claudio Durigon). Ufficiosamente però trapela tutto il fastidio verso gli alleati: da qui alle Europee ogni iniziativa dei grillini è percepita come una provocazione. I tempi per fare il conflitto d’interessi prima del 26 maggio – ragionano nella Lega – non ci sono: per il Carroccio è solo un’altra scaramuccia elettorale. Che si somma a quelle verbali. Ieri Di Maio ha attaccato Salvini per il rapporto con Berlusconi: “Leggo di telefonate dove si parla di far cadere il governo. Mi auguro siano smentite”. Il leghista gli ha risposto così: “L’ho sentito per fargli gli auguri di buona salute, è una polemica da Asilo Mariuccia”.
E poi c’è il Pd. La sfida del M5S è rivolta anche a Nicola Zingaretti e i suoi: votate una legge con cui il centrosinistra ha fallito l’appuntamento negli anni dell’egemonia berlusconiana? La risposta dal Nazareno è gelida: “La prossima settimana presenteremo il nostro disegno di legge sul conflitto di interessi. I Cinque Stelle appoggi la nostra proposta”. E i parlamentari dem battono sempre sullo stesso punto: serve una norma che regoli i rapporti tra il Movimento, Rousseau e la Casaleggio Associati.
Altitonante (FI) chiede la liberazione. I pm dicono no
Fabio Altitonante, consigliere lombardo di Forza Italia ai domiciliari nell’inchiesta della Dda di Milano sul sistema di corruzione, appalti pilotati e finanziamenti illeciti a politici che martedì scorso ha portato alla notifica di 43 provvedimenti cautelari, dopo l’interrogatorio di garanzia ha chiesto al gip Raffaella Mascarino la revoca dell’ordinanza o la sostituzione della misura con una meno afflittiva. Parere negativo dei pm per lui come per Davide Borsani, ex dg di Alfa, società a totale partecipazione pubblica di Varese al centro del meccanismo “architettato” da Gioacchino Caianiello, l’ex coordinatore azzurro varesino e tra i 12 indagati finiti in cella. Lunedì il giudice decide. Altitonante ha chiesto la revoca della misura in virtù del fatto che si è dimesso dalle sue cariche. Avrebbe sostenuto di non aver mai saputo nulla di finanziamenti illeciti e che i 25 mila euro versati dall’imprenditore della Ecol-Service Daniele D’Alfonso, tramite due suoi uomini (lui non figura) “è in realtà un finanziamento regolare e dichiarato, ma non per me, per la campagna elettorale di Pietro Tatarella”, il vice coordinatore lombardo di Forza Italia e candidato alle Europee, anch’egli ai domiciliari.
Altri due imprenditori collaborano. Domani Fontana in Procura
Salgono a cinque gli imprenditori che hanno deciso di collaborare con la Procura di Milano nell’indagine che martedì scorso, con una raffica di arresti di politici, manager nominati in enti pubblici e imprenditori, ha squarciato il velo su un sistema di corruzione, spartizione di poltrone e incarichi, appalti pilotati e finanziamenti illeciti ai partiti. E c’è attesa per l’interrogatorio di domani del governatore della Lombardia Attilio Fontana, indagato per abuso di ufficio in un rivolo dell’inchiesta. Ieri i pm della Dda Luigi Furno, Adriano Scudieri, che coordinano le indagini con la collega Silvia Bonardi e il procuratore aggiunto Alessandra Dolci, hanno sentito come testimone Graziano Maffioli, un tempo esponente dell’Udc di Varese, e altri due esponenti del mondo imprenditoriale di Varese, che si aggiungono ai tre dei giorni scorsi e che hanno deciso di dare informazioni sul quel quadro, per dirla con le parole del gip Raffaella Mascarino, di “corruzione sistemica” di cui il protagonista indiscusso sarebbe stato il forzista varesino Gioacchino Caianiello. Informazioni, quelle raccolte in questi giorni, che potrebbero consentire all’inchiesta non solo di estendersi, ma di arrivare a un “secondo livello”.
Dagli sprechi di Promuovitalia e Italia.it al ritorno al Dipartimento del Turismo
Al ministero guidato dal leghista Gian Marco Centinaio i più maliziosi dicono che con la scelta di Caterina Cittadino come capo del Dipartimento del Turismo è stata messa la volpe a guardia del pollaio. Sconosciuta ai più, Cittadino è socia del think tank Astrid di Franco Bassanini e si è fatta un nome nell’ambiente del turismo nazionale dove cominciò a mettersi in mostra fin dai tempi in cui, Berlusconi imperante, era il braccio operativo di Michela Vittoria Brambilla, la signora che si dichiarava ministra pur non essendolo. Con la Brambilla la Cittadino segnò un’epoca del turismo italiano contrassegnata più che dai successi dai clamorosi infortuni.
Uno di questi, quello di Promuovitalia, ha lasciato una ferita così profonda che a distanza di tanti anni non è ancora rimarginata. Dopo aver succhiato una decina di milioni dalle casse pubbliche per iniziative e progetti spesso restati sulla carta, in qualche caso pittoreschi e in altri del tutto inutili, Promuovitalia finì gambe all’aria. E ora per districare il suo complicato lascito è al lavoro un curatore fallimentare, il commercialista Francesco Rocchi, che cerca di recuperare il recuperabile con le due amministrazioni interessate, il ministero dello Sviluppo economico e il Dipartimento del Turismo. Qui proprio la Cittadino, in qualità di capo, ha sulla scrivania i fascicoli del caso e dovrebbe valutare se stessa, giudicando ciò che a Promuovitalia fu fatto a suo tempo, che in larga parte portava anche la sua impronta e su cui avrebbe già allora avuto il compito di vigilare come autorità amministrativa.
Nei confronti di Promuovitalia la Cittadino ha sempre avuto una stima incondizionata, tanto da assegnarle compiti e soldi a profusione, ritenendola pure l’azienda adatta per il figlio Luigi. Che infatti, nello stesso periodo in cui la madre faceva parte del consiglio di amministrazione, fu assunto dal direttore generale, Francesco Montera, un manager successivamente accusato di una serie di reati per cui è finito a giudizio. La prossima udienza del processo penale che lo vede imputato per violazione di sistemi informatici e distruzione di comunicazioni di un’azienda pubblica è fissata per ottobre. Il legale della procedura fallimentare sta intanto valutando se oltre ai profili di natura penale ce ne sono anche di natura civile. Sta valutando cioè se avviare azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali di Promuovitalia, compresi i consiglieri come la Cittadino.
Gli anni della Brambilla al Dipartimento del turismo, della Cittadino iperattiva e di Montera direttore di Promuovitalia hanno lasciato impronte indelebili. Come il Codice del turismo, massacrato da una sentenza della Corte Cosituzionale. O il lancio del Portale Italia.it, iniziativa faraonica, costata 4 milioni e 550 mila euro, affidata ad Aci Informatica su cui la Brambilla aveva competenza e alla guida della quale aveva collocato un suo amico. Rimasto a digiuno di informazioni, Portale Italia nonostante tutti gli sforzi non ha mai svolto a dovere il compito di ausilio al turismo per cui era stato ideato e pagato.
Nello stesso periodo dagli uffici della Brambilla partì l’ordine per la costosa creazione di una grande scritta dorata “Ministero del turismo” da collocare sotto le finestre della pseudo ministra in via Ferratella in Laterano. Scritta montata e poi smontata, le lettere consegnate da Cittadino a un artista, Howtan Re, perché con 30 mila euro le fondesse trasformandole in una nuova opera. Che fu fatta, ma non ritirata e ora giace in un magazzino.
L’assalto alla Regione e ai fondi milionari. “Così cacciai Zingale”
Mettere le mani sulla Regione, più precisamente sulla Direzione generale per la Formazione e il lavoro, aumentando così la sfera d’azione e d’influenza che Giuseppe Zingale già esercitava da presidente in Afol, l’agenzia per il lavoro divenuta strumento per le partite affaristico-politiche orchestrate insieme al ras di Forza Italia Nino Caianiello e all’ex direttore di Aler Loris Zaffra. Un “piano” che – stando alle carte dell’inchiesta che ha disposto l’arresto di 43 persone – trovava sponde nei consiglieri regionali poi arrestati e pure a Roma, ma passava necessariamente per la poltrona di Gianni Bocchieri, in quota Forza Italia al secondo piano di Palazzo Lombardia, merce di scambio degli accordi corruttivi a margine dei quali è indagato anche il presidente Attilio Fontana. Fontana opterà poi per un’altra soluzione, confermando Bocchieri, che agli occhi dei magistrati non cancella il proposito illecito. La domanda è: perché quella poltrona?
Raggiunto dal Fatto, Bocchieri spiega che la direzione, vista da fuori, può sembrare estremamente appetibile per via dei 300 milioni di euro che distribuisce sul territorio tra “dote unica lavoro” e “dote formazione”. “Ma chi pensa si possano fare favoritismi non conosce il nostro sistema amministrativo. In Regione Lombardia i servizi per il lavoro e la formazione non sono gestiti con i bandi, a cui seguono le valutazioni delle commissioni, le graduatorie e le aggiudicazioni ma ‘a dote’, ovvero a voucher individuale: è la persona che sceglie l’operatore accreditato da cui farsi erogare i diversi servizi. Non sono i dirigenti regionali a decidere quali corsi finanziare e quali enti ammettere al finanziamento”.
Difficile, dunque, esportare in Regione l’andazzo di via Soderini 24, sede dell’Afol diretta da Zingale, dove Caianiello avrebbe garantito consulenze a Marsico e – stando alle ultime rivelazioni sull’inchiesta – alla parlamentare azzurra Laura Comi (non indagata), dietro la promessa di retrocessione di una quota parte dei 38 mila euro agli stessi Caianiello e Zingale. A meno che il nuovo dg non cambiasse l’attuale sistema regionale. E forse qui c’è la chiave che spiega il meccanismo di caselle che gli arrestati volevano mettere in moto, aiutati da consiglieri regionali e parlamentari.
Al Pirellone, nel palazzo del Consiglio ci sono ancora diverse tracce di tentativi sostenuti proprio dal consigliere Fabio Altitonante (arrestato) di impegnare la Giunta ad entrare in Afol. “Ricordo questi tentativi – conferma Bocchieri – ma sono sempre stati respinti perché si è ritenuto che il sistema pubblico-privato presuppone che l’ente che finanzia le politiche non debba essere socio e far parte degli enti che erogano quelle politiche. Entrare in Afol avrebbe creato non pochi problemi di carattere gestionale perché è anche ente accreditato di Regione Lombardia per erogare formazione e servizi per il lavoro. La scelta è stata quella di evitare di assegnarle un vantaggio competitivo rispetto agli altri operatori per effetto del fatto di avere al suo interno anche il Centro per l’impiego.”
Le pressioni si fanno insistenti quando il Jobs Act trasferisce la competenza dalle Province alle Regioni. Tuttavia, spiega Bocchieri “la scelta è stata quella di mantenere le competenze in capo alle Province e di realizzare dei partenariati misti tra tutti i Centri per l’impiego delle Province e tutti gli enti accreditati per fare ciò che Afol fa al suo interno”. Non è però un mistero che in quel periodo l’Afol si fosse trovata in difficoltà sui fondi perché Città Metropolitana aveva rivisto il contratto di servizio e ridotto il finanziamento stabile. Col senno di poi, lette le carte, può dire di aver ricevuto pressioni da Zingale? Cosa pensa che volesse? “Conosco Giuseppe Zingale da diversi anni, abbiamo sempre avuto un rapporto schietto e diretto”. Diverse persone parlano di scintille tra voi: “È successo solo una volta, ho dovuto alzare la voce e chiedergli di uscire fisicamente dal mio ufficio. Ma questo a che serve scriverlo?”.
Tutti i leghisti nella rete di Nino “Jurassic Park”
Non solo Forza Italia, la grande rete di Nino “Jurassic Park” Caianiello, già coordinatore provinciale azzurro a Varese, comprende diversi personaggi di primo piano della Lega di Matteo Salvini. Parlamentari, politici regionali e anche avvocati-consiglieri del vicepremier. Molti, Nino li incontra nel suo “ambulatorio” per discutere di politica, di nomine e anche degli affari delle società partecipate. Di tutto, insomma. Anche del nodo Marsico, l’ex socio di studio del presidente Attilio Fontana che nelle intercettazioni sempre più emerge come il problema della Regione, un ostacolo sul quale lo stesso governatore rischia di saltare. Fontana è indagato dalla Procura di Milano per abuso d’ufficio per la vicenda Marsico.
L’ex socio di Fontana e le manovre della Lega
E così Caianiello, oltre che con la parlamentare azzurraMariastella Gelmini, ne parla con il deputato leghista Matteo Bianchi e con l’avvocato Andrea Mascetti, “già supervisore della segreteria federale della Lega”. Entrambi non indagati. Annota la Finanza: “Nino chiede a Matteo Bianchi, con la complicità anche di Andrea Mascetti di intervenire con Attilio Fontana affinché accetti la sua proposta”, ovvero nominare in Regione il presidente di Afol Beppe Zingale e in cambio ottenere per lo studio Marsico consulenze per 90 mila euro l’anno. Dice Caianiello al deputato leghista: “Su Attilio, io quello che devo fare l’ho fatto, ti dico questo perché anche tu con Andrea, quando ci troviamo (…) bisogna fare in modo che ascolti perché lui Andrea l’ascolta, lui lo subisce (…) Andrea è intelligente, perché lui non compare mai, è come (Giancarlo) Giorgetti”, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Fontana però non ascolta l’amico e a fine ottobre 2018 la giunta affida l’incarico a Luca Marsico. Poche settimane dopo Caianiello commenta i fatti: “Io avevo detto ad Attilio: guarda non farlo tu perché lo faccio fare io fuori, gli diamo l’incarico, lui porta a casa quello che deve portare, tu non ti devi esporre. Ha detto: no ci penso io. Sono cazzi suoi, adesso va nei casini, quando verrà fuori che Attilio Fontana ha dato l’incarico al suo ex socio”. E ancora: “Metti il socio di studio di tua figlia per 11.500 euro all’anno?! Io non navigo nell’oro per l’amore del cielo, ma sei io dovessi andare in giro a rompere i c… per 11.500 euro e mettere a rischio me”. Andrea Mascetti che ben conosce la situazione esclama: “Attilio è matto!”. Insomma, la scelta di Fontana sorprende tutti. Anche perché, intercettazioni alla mano, si capisce bene che su altri fronti, ad esempio le nomine degli assessori regionali, il governatore ha sempre seguito i consigli di “Jurassic Park”. Dice Fontana: “Ho seguito i tuoi consigli (…) hai visto, la giunta non è male”. Risponde Nino: “Non te ne pentirai”.
La Lega e l’ambulatorio di Jurassic Park
Con il parlamentare del Carroccio Matteo Bianchi, già segretario provinciale della Lega a Varese, il rapporto va anche oltre la politica. Il deputato almeno una volta va nel bar-ambulatorio di Caianiello. “Jurassic Park” ne parla a proposito dell’operazione, annota la Finanza, “collegata alla realizzazione dell’impianto di smaltimento che verrà realizzato dalla Prealpi Servizi”. Nino sta discutendo con il deputato azzurro Diego Sozzani e l’amico Mauro Tolbar, entrambi indagati. Dice: “Ho sentito che c’era in ballo ’sta cosa (…). Domani alle nove e mezza vedo tutto l’establishment, compreso la Lega e compagnia bella, c’è anche Matteo Bianchi e parliamo dell’idrico, sono lì in ambulatorio”. E poi c’è l’amicizia con l’imprenditore Claudio Milanese (non indagato). Spiega Caianiello: “Milanese non puoi non tenerlo buono, perché è l’unico che sul territorio (di Varese) ha un’incidenza politica, sociale ed economica (…) mettetevela bene in testa sta cosa, eh!”. Uno dei motivi è l’amicizia con il sottosegretario della Lega Giancarlo Giorgetti, “al quale Nino gli consiglia di rivolgersi per risolvere diverse questioni”. Caianiello invita Milanese a “contattare Giorgetti per intervenire sulla nomina di Ugo Dibernardo in Anas”. Ma Jurassic Park è un generoso. Aiuta tutti. Dice a Zingale: “E chiamala!”, si riferisce alla deputata di Fi Valentina Aprea, ex assessore in Regione, la cui cugina è stata assunta in Afol così come detto dallo stesso Zingale.
L’ex segretario di Gallera con Buscemi
E se da un lato Caianiello prova a forzare la mano sulle elezioni di Lonate Pozzolo facendo confluire i voti delle “famiglie calabresi”, dall’altro, emerge nelle annotazioni della Finanza, favorisce una “vicenda corruttiva” (allo stato senza indagati) che vede protagonista l’ex assessore Regionale Massimo Buscemi, oltre che il calabrese di Stilo Mimmo Pacicca, fino a pochi mesi fa a capo della segreteria dell’assessore al Welfare Giulio Gallera. Buscemi si spende per far ottenere alla Omniatel lavori per la riscossione delle entrate dei comuni. E se Pacicca, per la Finanza, è il gancio per arrivare al sindaco di Monza, la consigliere regionale Silvia Sardone, per i pm, può favorire l’ingresso a Sesto San Giovanni. Dice Buscemi: “Ho fatto un vestito per una società”. Cainiello: “Dimmi che dobbiamo fa’! Qua bisogna dare dei segnali, senza segnali eh!”, perchè “l’acqua è poca e la papera non galleggia”.