Dentro il tempio: “I profani lontano da qui”

“Questa adesso è solo una stanza, quando ci siamo noi dentro diventa un tempio”: Vittore Morigi, gran segretario generale e memoria storica, uno che nel suo percorso ha partecipato anche a una funzione col grande Hugo Pratt, ha visto passare i confratelli più famosi, apre le porte del tempio della Gran Loggia d’Italia. Un luogo avvolto nel mistero eppure nel pieno centro di Roma, a due passi da Largo Argentina.

Al numero 3 di via san Nicola de’ Cesarini c’è persino la targhetta sul citofono. Pare quasi un portone come tanti. Non proprio come tutti: due piani, oltre cinquecento metri quadri in una palazzina antica nel cuore della Capitale. Sopra il battente, il sigillo dorato del leone. Dentro ci sono templi, uffici, biblioteche, una casa editrice, rituali, cimeli: i segreti della loggia del gran maestro Binni, che assicura di non avere nulla da nascondere.

Fondata nel 1910, la Gran Loggia d’Italia degli Alam (Antichi Liberi Accettati Muratori), con oltre 9mila affiliati, è una delle principali obbedienze massoniche del Paese, seconda per numero d’iscritti solo al Goi. Nei corridoi di Palazzo Vitelleschi si scoprono le facce dei confratelli che hanno fatto la storia della loggia. Nelle bacheche è tutto un susseguirsi di spille, stemmi, medaglioni e medagliette, piatti, diplomi, statue, targhe. Sembrano cianfrusaglie, è la loro memoria. La fascia di Antonio de Curtis, in arte Totò, forse il più famoso dei membri della Gran Loggia. I disegni di Hugo Pratt, il fumettista che oltre ad aver inventato il personaggio Corto Maltese fu anche confratello: nella tavola “Favola di Venezia” racconta la sua iniziazione massonica, qui c’è il volume che lui ha donato alla Loggia. Le targhe di Ernesto Nathan, sindaco di Roma a inizio Novecento, e Valerio Zanone, ex parlamentare e presidente del Partito Liberale, solo alcuni dei nomi di un’associazione che in passato ha dato quattro presidenti del Consiglio al Paese e ora invece si guarda bene dal venir associata anche lontanamente alla politica.

Chi siano oggi i confratelli non è chiaro, cosa facciano ancor meno. Di sicuro si riuniscono qui dentro: due volte al mese per le singole logge, poi i grandi raduni nazionali.

Oltre all’ufficio privato del gran maestro, Palazzo Vitelleschi ospita ben quattro templi. Il più antico, costruito all’inizio degli anni Sessanta, è un piccolo gioiello dai colori pastello e allusioni esoteriche: sopra lo scranno più alto, l’occhio della provvidenza, forse l’immagine più famosa dell’iconografia massonica, scruta il visitatore incerto. L’architetto dell’universo sono loro.

Il più grande, invece, arriva a ospitare fino a 280 persone. Qui si tengono i raduni nazionali. Qui lo scorso marzo sono state ricevute le più importanti logge dell’Europa mediterranea, compreso il gran maestro di Francia, che mancava in Italia da 100 anni. Tutto è simbolo: la Bibbia cristiana e la menorah ebraica, il pavimento egizio a quadri bianchi e neri, separati come il bene dal male, le colonne dei templi pagani. “Abbiamo preso dalle grandi religioni simboli e parole e li abbiamo riuniti, perché soltanto noi siamo universali”.

Le sedie con lo schienale a punta, le spade in ferro battuto per le cerimonie, il deserto della vita, il cielo stellato e “la città ideale”: la massoneria perpetua il suo rito. “Libertà, uguaglianza, fratellanza”: gli altri possono guardare ma non toccare, intuire ma non afferrarne il senso. All’uscita, ci si lascia alle spalle una scritta: Estote procul hinc profani. Quattro parole latine, un motto virgiliano dall’Eneide: “I profani stiano lontani da qui”.

“Abbasso la democrazia diretta: stimo Tajani, incontrerò Salvini”

Il gran maestro Antonio Binni, accento bolognese, espressione bonaria, avvocato classe ’37, irrigidisce la mascella e socchiude gli occhi: “Non mi piace il termine paura: a noi massoni non ci fa paura niente. La politica non ci spaventa”. Binni è il capo della Gran Loggia d’Italia degli Alam, antichi, liberi, accettati, muratori. È un’obbedienza di rito scozzese: sede a palazzo Vitelleschi a Roma, 23 immobili di proprietà, 600 logge, 9.000 iscritti.

I massoni governano ancora l’Italia?

Un tempo, l’abbiamo plasmata e guidata con una splendida classe dirigente, adesso la studiamo, ci sentiamo scienziati, ci limitiamo ai suggerimenti. Il nostro ruolo in politica è indiretto, la influenziamo con le idee.

E varcate i confini, suggerite pure in Europa oppure è un’illusione?

Per la nostra obbedienza è un momento felice. Abbiamo ricevuto in marzo l’Unione massonica del Mediterraneo e abbiamo proposto soluzioni di un certo tipo che passeranno al Parlamento europeo: la rappresentanza va rafforzata e va combattuta la democrazia cosiddetta diretta perché si dà voce a una folla di persone che, per definizione, non hanno competenze specifiche per trattare materie delicate.

E che soluzioni ha Binni per le materie delicate dell’Europa?

Più poteri al Parlamento europeo, politica estera comunitaria, così come l’esercito e la difesa. E per tornare in Italia, noi siamo contrari a una riduzione degli eletti con la scusa dei soldi risparmiati.

Chi sono i vostri riferimenti in politica?

Non abbiamo preferenze, escluso chi ci attacca.

I Cinque Stelle e Claudio Fava chiedono trasparenza e la dichiarazione di appartenenza a una loggia per gli eletti.

Noi ci difendiamo ovunque, a partire dai tribunali amministrativi, perché ci opponiamo a leggi liberticide. E vinciamo, tranquilli.

Però la segretezza massonica ha prodotto l’eversione piduista, accolto la criminalità organizzata, generato scandali, malaffare, misteri.

I nostri elenchi sono a disposizione dei magistrati per le circostanze giudiziarie, ma noi siamo un corpo intermedio – come i sindacati – e la politica vuole colpirci. Io l’ho detto a Rosy Bindi, ex presidente della Commissione Antimafia: la massoneria è un concetto astratto, le obbedienze sono tre: noi, la Femminile e il Grande Oriente d’Italia, gli altri sono spuri. Va pensata una legge per norme chiare, per evitare abusi. Se quattro mascalzoni fanno un’associazione e si definiscono massoni, noi che c’entriamo? Non va confuso un fratello con un delinquente.

Chi vi ascolta in politica?

Non ci sono contatti con i Cinque Stelle per i succitati motivi, ma da sempre c’è sintonia con i liberali, come Forza Italia, il Partito democratico, la Lega di Salvini. Pochi giorni fa ho chiesto un incontro al ministro dell’Interno e mi aspetto una risposta positiva.

Un politico che stima?

Mi piace Antonio Tajani, un uomo capace e perbene che è riuscito ad assumere il prestigioso incarico di presidente del Parlamento europeo.

Chi sono i vostri fratelli?

Noi siamo anime inquiete e curiose, seguiamo i nostri riti e decifriamo il mondo, così anche i giovani sono attratti. Abbiamo tanti studenti universitari, oltre a medici, docenti, avvocati, funzionari pubblici, imprenditori privati con grossi fatturati, gente che per un’iniziativa di solidarietà offre 10.000 euro, mica monetine.

Relazioni e potere, e poi perché si diventa massoni?

Semplice: per stare assieme. Il nostro motto è libertà, uguaglianza, fratellanza. Le prime due regole possono essere imposte con la legge, l’ultima no. È il nostro compito principale: divulgare e praticare la fratellanza, aiutarsi e aiutare.

Giorgetti: “Quando la Lega è forte succede sempre qualcosa”

Giancarlo Giorgetti è ombroso. Il numero due della Lega in un incontro in provincia di Monza ha rilasciato alcune dichiarazioni che tradiscono il periodo fosco per il Carroccio: “Quando il nostro partito sale nei consensi – ha detto il sottosegretario – succede sempre qualcosa per cui bisogna interrompere quel percorso. È sempre avvenuto nella nostra storia”. Giorgetti riconosce quindi la flessione nella popolarità di Salvini e della Lega e la spiega con piglio complottistico. “Non mi riferisco solo alle inchieste giudiziarie – ha aggiunto, riferendosi ai guai del Carroccio con le procure, dall’indagine sui famosi 49 milioni a quella sull’ex sottosegretario Armando Siri – ma anche alle polemiche su fascismo e antifascismo”. I retroscena politici intanto continuano a raccontare i suoi “mal di pancia”: la presunta diversità di vedute rispetto alla linea di Salvini (Giorgetti sarebbe ormai convinto della necessità di rompere l’alleanza con i Cinque Stelle) e la volontà di proseguire il suo percorso a Bruxelles, lontano dal governo nazionale. Circostanza smentita ieri: “Ho letto sui giornali che vorrei andare a fare il commissario europeo e altre cose che non ho mai pensato”, ha detto ieri il sottosegretario.

Lucano va alla Sapienza: Forza Nuova lo minaccia

Il manifesto è brutto, minaccioso. In puro stile fascista annuncia battaglia e ritorsioni contro un uomo solo: Mimmo Lucano, padre del “modello Riace”. La sua faccia campeggia sopra la scritta che annuncia per lunedì alle ore 14.30 il comizio di Roberto Fiore all’Università Sapienza di Roma. La scritta è chiara: “Lucano nemico d’Italia”.

A quella stessa ora, l’ex sindaco di Riace parlerà agli studenti in un seminario dal titolo “Convivenze, il senso dei luoghi e il senso degli altri”. Accanto a lui Vito Teti, uno dei maggiori antropologi italiani. Mentre Lucano racconterà l’esperienza del comune calabrese, fuori, Forza Nuova urlerà i suoi slogan: “No a Lucano, no alla sostituzione etnica, no al business dell’immigrazione. Bloccheremo la conferenza”. E sale la tensione a Roma, dopo le scorribande di CasaPound nelle periferie, la città è sempre più ostaggio di squadre dichiaratamente fasciste. L’allarme è stato raccolto da Anpi e Arci, Cgil, Cisl e Uil, che hanno lanciato un appello alle istituzioni: ”Non autorizzate il presidio di Fn, Roma non può essere offesa da pratiche e propaganda fasciste. Chiediamo il rispetto della Costituzione e delle leggi Scelba e Mancino”.

Dalle autorità, Prefettura e Questura, fino a ieri sera nessuna risposta. Nel pomeriggio i vertici della Questura hanno invitato gli esponenti di Fn a spiegare di persona termini e scopi della manifestazione, ma il partito di Fiore ha risposto con una pec, e fino alle 19.30 di ieri sera non risulta nessun incontro e nessuna autorizzazione concessa. Ma la posizione di Fiore è chiara: “Se lo Stato ci negherà un diritto se ne assumerà la responsabilità”. Fin qui gli aspetti “burocratici” e la concessione o meno a manifestare, che apriranno un altro fronte, dopo le polemiche per il gazebo montato da CasaPound a Casal Bruciato e le manifestazioni contro una famiglia rom, legittima assegnataria di una casa popolare, e la sindaca Raggi.

C’è poi la politica. Il variegato arcipelago di sigle e movimenti fascisti ha ritrovato i suoi spazi, ma ad occupare la scena è CasaPound. Il movimento gode dei buoni rapporti col ministro dell’Interno Matteo Salvini, e si fa forte di una (presunta e reale) immunità, vedi la storia del palazzo occupato nel centro di Roma e non ancora sgomberato. Fiore e Fn si sentono ai margini e cercano di conquistare il loro pezzo di palcoscenico. Fiore ha presentato il simbolo per le Europee, ma la folla non è per lui. Due giorni fa era a Reggio Calabria per un comizio, ma in piazza ha raccolto poche decine di simpatizzanti. E allora ecco l’iniziativa ad personam contro Lucano. Serve ad alzare la tensione a ritornare sulla scena. Mentre il leader fascista diffonde odio, Lucano è sereno. “Non ho paura e per me è un onore parlare a giovani studenti e professori. I fascisti sono tristi e miserabili, il loro odio non serve all’Italia. Che speranza può avere un Paese che alza muri? Nessuna. Io non ho pregiudizi, non sono nessuno per giudicare un uomo che viene dal mare e che ha la pelle di un altro colore”. In ogni caso il ministro Salvini ha assicurato: “Non condivido le idee di Lucano ma mi impegnerò perché possa esprimerle”.

“De Girolamo andrà a Linea Verde estate” La protesta M5S

Nunzia De Girolamopotrebbe condurre il programma “Linea verde estate”? A giudicare dalle polemiche sollevate nella giornata di ieri, sono in molti a sperare di no. “Si può capire tutto, ma che una ex deputata di Forza Italia e poi Ncd, ovvero Berlusconi e Alfano (non so se rendo l’idea), sia stata messa a condurre, no, non lo posso capire. Che c’entra una ex parlamentare con la televisione pubblica? Ma vi sembra normale?” sbotta il vicepremier Luigi di Maio, che conclude dicendo “spero sia una balla”. Ma la smentita da Viale Mazzini non è arrivata, e il malumore del ministro ha contagiato anche gli altri esponenti del partito pentastellato: “Col MoVimento niente compromessi: la Rai sta in mano ai cittadini che meritano”, dichiara Maria Laura Paxia, componente della commissione di Vigilanza Rai. E a lei si aggiunge l’omologa Mirella Liuzzi, che è anche parlamentare col M5s: “Sembra una banalità ma evidentemente è un concetto che deve essere riaffermato: no ai trombati della politica nella televisione pubblica”. La risposta, piccata, della De Girolamo, non si è fatta attendere: “Voglio dare un consiglio ai miei ex colleghi e amici politici: governate il Paese mentre io ballo“.

Depistaggi, l’Arma chiede di costituirsi parte civile

Ilaria Cucchi dalle pagine del Fatto aveva espresso il desiderio che l’Arma dei carabinieri si costituisse parte civile all’eventuale processo agli otto carabinieri accusati a vario titolo di aver depistato le indagini sulla morte di suo fratello Stefano, nel 2009. E l’Arma l’ha ascoltata. Il comando generale dell’Arma – come anticipato ieri dal Corriere della Sera – ha chiesto al ministero della Difesa l’autorizzazione a costituirsi parte civile nei confronti dei militari accusati a vario titolo dei depistaggi del 2009 e del 2015 sulla vicenda Cucchi. Nella richiesta della settimana scorsa si spiega che “la risonanza mediatica della vicenda, connessa con la gravità dei fatti contestati, è suscettibile di creare gravissimo discredito all’immagine istituzionale”.

Se la Presidenza del Consiglio autorizzerà la costituzione di parte civile all’eventuale processo, l’Arma sarà rappresentata dall’avvocatura dello Stato. L’udienza preliminare in cui si deciderà se i carabinieri dovranno essere processati comincerà il 21 maggio. Tra gli imputati, il generale Alessandro Casarsa (fino a gennaio capo dei corazzieri del Quirinale) e i tenenti colonnello Francesco Cavallo, già capoufficio del comando del Gruppo Roma e Luciano Soligo, ex comandante della Compagnia Montesacro. Sono accusati di falso. A Firenze, invece, le cose sono andate diversamente: l’Arma non si è costituita parte civile al processo con rito abbreviato per Marco Camuffo, ex appuntato dei carabinieri, condannato a ottobre a 4 anni e 8 mesi per lo stupro di un’americana e destituito dal Comando. Nessuna richiesta neppure contro l’ex carabiniere scelto Pietro Costa (destituito) accusato anche lui di violenza sessuale di un’altra ragazza americana. Costa sarà processato con rito ordinario dal 2 ottobre. Quindi, se l’Arma volesse, è ancora in tempo – fino alla prima udienza – a chiedere la costituzione di parte civile.

La sfiga dell’adunata garantista

Ha sfiga, Annalisa Chirico. S’impegna come una matta per replicare a Milano, il 7 maggio, l’adunata di “garantisti” già celebrata a Roma, e proprio la mattina della rimpatriata scattano le manette della nuova Tangentopoli, oltre novanta indagati, più di quaranta arrestati, gare truccate, un fiume di mazzette, politici che si vendono a imprenditori spregiudicati e in affari con la ’ndrangheta. Segue serata surreale. Per almeno tre motivi.

Il primo è che celebrare la festa del “garantismo” nel giorno della grande retata è come fare le nozze il giorno in cui muore la madre della sposa. Infatti sotto il tendone di Villa Necchi Campiglio l’imbarazzo si taglia con il coltello e tutti stanno ben attenti a non parlare degli arresti e dell’inchiesta denominata “Mensa dei poveri” (perché così, nelle intercettazioni, era chiamato il ristorante “Da Berti”, a un passo dalla sede della Regione, dove s’attovagliavano corrotti e corruttori e, tra un risotto giallo e un ossobuco, tessevano la tela della nuova corruzione). Nessuno osa far cenno all’assenza del presidente della Lombardia, Attilio Fontana, di cui era programmato il saluto istituzionale: è tra gli indagati della giornata, per abuso d’ufficio.

Il secondo motivo è che l’ospite d’onore della serata è Matteo Salvini, il capitano della Lega. Aveva appena dovuto ingoiare il boccone amaro della cacciata dal governo del suo sottosegretario Armando Siri, indagato a Roma e Milano, ma poteva rifarsi la bocca guardandosi attorno, osservando i volti dei potenti seduti ai tavoli da 10 mila euro della “mensa dei ricchi” di Villa Necchi, constatando di essere stato accolto e abbracciato dalla Milano del potere, quella che prima era craxiana, poi berlusconiana, poi ancora renziana, infine moderatamente saliana (nel senso di Giuseppe Sala) e oggi disposta a diventare salviniana, purché Salvini riservi alla scena pubblica e ai social i toni cruenti (“la pacchia è finita”, “marcire in galera”), mostrandosi invece accomodante e ragionevole, come sa essere nella sostanza dei rapporti di potere, e mollando finalmente quei rompicoglioni di Cinquestelle.

Il terzo motivo è il più esilarante. Salvini ospite d’onore della superloggia dei “garantisti” di Annalisa Chirico è come Dracula testimonial dell’Avis. Sarà anche solo scena per la plebe e i social, ma Salvini è pur sempre quello del cappio e delle manette esibite in Parlamento, della pacchia finita, della difesa sempre legittima, della caccia alla cannabis, della castrazione chimica, del marcire in galera. Ma ai “garantisti”, evidentemente, di Salvini interessa altro.

“Creò un sistema illecito”. Montante prende 14 anni

L’apostolo dell’antimafia Antonello Montante è stato condannato in abbreviato a 14 anni di carcere. Dopo due ore di camera di consiglio, il giudice Graziella Luparello ha convalidato la richiesta della Procura di Caltanissetta, che aveva chiesto dieci anni e dieci mesi, giudicando l’ex presidente di Confindustria Sicilia colpevole di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione.

Cade uno degli uomini più potenti del panorama industriale dell’isola, capace di indirizzare nomine e cariche politiche, influenzando con la sua aurea anche i governi regionali.

Il processo, originato dall’inchiesta “Double face”, istruito dal procuratore capo Amedeo Bertone, dal procuratore aggiunto Gabriele Paci, e dai sostituti Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso, ha messo in luce un vero e proprio “sistema” guidato da Montante allo scopo di monitorare, controllare, spiare e redigere dossier sui possibili amici e soprattutto sui nemici, per ottenere informazioni utili da poter usare in qualsiasi momento. Un “cerchio magico” formato dall’ex ispettore di polizia e responsabile della security di Confindustria Diego Di Simone, considerato uno dei fedelissimi di Montante, condannato a 6 anni quattro mesi, per essere stato l’anello di congiunzione tra l’ex presidente di Sicindustria e gli apparati alla polizia di Stato, violando in diverse occasioni la banca dati della pubblica sicurezza per favorire l’attività di dossieraggio.

Condannati a quattro anni Marco De Angelis, già funzionario della questura di Palermo, e Andrea Grassi, ex funzionario del Servizio centrale operativo della polizia, oggi questore di Vibo Valentia, a 1 anno e quattro mesi.

Tre anni per l’ex colonnello della Guardia di Finanza di Caltanissetta, Gianfranco Ardizzone, mentre assolto Alessandro Ferrara, ex dirigente generale delle Attività produttive.

Nel corso della requisitoria, i pm hanno spiegato dei 9 accessi abusivi ogni tre mesi per un arco di 7 anni effettuati dagli uomini di Montante per ottenere informazioni anche sui chi stava collaborando con la giustizia, come l’ex presidente dell’Irsap Alfonso Cicero, parte offesa e parte civile, e il magistrato ed ex assessore regionale Nicolò Marino. Una sentenza che sa di vittoria per i magistrati della Procura di Caltanissetta e per la dirigente della squadra mobile nissena Marzia Giustolisi, spiati da Montante per lunga parte della loro indagine, e poi bersagliati durante le udienze dal suo difensore, Carlo Taormina, che ha provato a ridimensionare il processo.

Molti pezzi dello Stato sono stati a “disposizione” dell’industriale, ma restano però ancora molte incognite, come le numerose e misteriose talpe istituzionali, che ruotavano attorno al cerchio magico del paladino dell’antimafia, e di cui non si sanno ancora i nomi.

Montante resta comunque indagato in un altro filone d’inchiesta, per concorso esterno in associazione mafiosa, originata dalle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia, che hanno raccontato delle “amicizie” in Cosa nostra dell’ex paladino dell’antimafia. Tra queste ci sono i rapporti con Paolino Arnone e il figlio Vincenzo, imprenditori di Serradifalco del settore dei trasporti e testimoni di nozze di Montante. Arnone padre morì nel novembre del 1992, gettandosi dalla finestra dell’infermeria del carcere di Malaspina di Caltanissetta, dopo essere stato arresto a seguito dell’operazione “Leopardo”. Era accusato di mafia dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Leonardo Messina. Il figlio Vincenzo era stato ritratto insieme a Montante nel giorno della sua elezione come presidente dei giovani industriali di Caltanissetta.

Continuerà infine con il rito ordinario, il processo a carico dell’ex capo dei servizi segreti Arturo Esposito, l’ex presidente del Senato Renato Schifani, il tributarista palermitano Angelo Cuva e l’ex capocentro della Dia di Palermo, il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata. Sono tutti accusati di aver fatto parte delle “talpe”, che avrebbero rivelato notizie coperte da segreto sull’inchiesta che la Procura di Caltanissetta conduceva sull’industriale.

Il fratello di Peppino Impastato caccia i 5Stelle dal corteo

“Siete al governocon i fascisti”: così Giovanni Impastato si rivolge ai 5stelle, con l’intenzione di impedir loro di partecipare alla manifestazione in onore di Peppino Impastato di giovedì a Cinisi, in provincia di Palermo. Sul posto erano presenti la deputata regionale del movimento Roberta Schillaci e i parlamentari nazionali pentastellati Piera Aiello e Mario Michele Giarrusso. Ma non è stato l’unico a prendere questa posizione: un primo tentativo di allontanamento era provenuto da Umberto Santino, il presidente del centro di documentazione “Peppino Impastato”. Ma Schillaci non ci sta: “Io – controbatte – ho una storia di impegno antimafia che va al di là del Movimento 5 Stelle”. Inoltre sottolinea come trasformare la manifestazione in un evento politico sia sbagliato, poiché in quel contesto Peppino, che era stato membro di Democrazia proletaria, veniva commemorato per il suo impegno contro la criminalità organizzata, non per le sue posizioni politiche. “Sono rimasta basita. Abbiamo raccolto lo sdegno di tanti”, conclude la pentastellata.

Eolico & urne nel paese di Messina Denaro

Dopo due anni di commissariamento si torna al voto a Castelvetrano, la città nota per aver dato i natali al capo di Cosa nostra e da più di 40 anni superlatitante, Matteo Messina Denaro detto Diabolik. Domenica i castelvetranesi potranno scegliere se affidarsi al 5stelle Vincenzo Alfano oppure a Calogero Martire, appoggiato da liste civiche.

Nella terra dell’eolico e delle logge massoniche “infiltrate”, il vicepremier Luigi Di Maio, nella sua visita, ha rilanciato la lotta alla corruzione e citando i recenti scandali nella sanità e nell’eolico, con il caso Arata-Siri. Il cambiamento pentastellato passa per il 60enne ex dirigente di banca Alfano, lontano parente dell’ex ministro Angelino Alfano, con cui “non ha mai avuto rapporti di frequentazione”. Si auspica con la sua elezione che la città non venga più accostata ai “malavitosi e le inchieste”.

Dall’altra parte si è dispiegata una corazzata al fianco del 52enne Martire, che parte da un vantaggio di due punti percentuali al primo turno. “Basta con la città di Messina Denaro”, ha più volte ripetuto nei suoi comizi, etichettando come demagoghi i suoi avversari. Martire è una vecchia conoscenza della politica trapanese, più volte presidente del Consiglio comunale, è uno degli alfieri dell’ex deputato regionale Paolo Ruggirello, arrestato lo scorso marzo con l’accusa di associazione mafiosa perché avrebbe favorito gli interessi del superlatitante. Un binomio quello tra Ruggirello e Martire iniziato quando il deputato era leader provinciale di Articolo 4.

La Procuradi Palermo è contestato a Ruggirello l’inserimento nella sua lista della candidata “Daria Razziano, indicata espressamente da Filippo Sammartino, esponente della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara”. Si sarebbe inoltre rivolto a Carmelo Salerno, considerato capomafia di Paceco, per “ottenere nominativi di fiducia da inserire come candidati nella lista Democratici per Marsala” alle Amministrative del 2015.

E il rais trapanese Antonio D’Alì chi sosterrà? L’ex senatore forzista, più volte indagato per concorso esterno alla mafia – e accusato dalla Procura di Palermo per il suo presunto legame con Diabolik – ha deciso di defilarsi ma la sua influenza potrebbe essere decisiva per gli equilibri finali.

Attraversando campagne, vigneti e parchi eolici, a poco più di 25 chilometri si arriva a Mazara del Vallo, altro comune che domenica si recherà alle urne. Al ballottaggio c’è Salvatore Quinci, in vantaggio di 5 punti percentuali, sostenuto da quattro liste civiche, che attingono in modo trasversale dal centrodestra al centrosinistra. A inseguirlo Giorgio Randazzo, candidato leghista di Matteo Salvini. Il vicepremier, contestato durante l’ultimo comizio di aprile scorso a Mazara, non è tornato per il saluto finale. La cordata a sostegno di Randazzo può contare su Vito Torrente e l’imprenditore Salvatore Calvanico. Il primo ha cambiato più volte casacca passando dal- l’Udc al Movimento per le Autonomie di Raffaele Lombardo, al Pd: oggi è nel centrodestra. È legato a Giuseppe Giammarinaro, storica figura della Dc siciliana, di cui è stato teste nel processo a suo carico per associazione mafiosa (poi assolto). La figlia di Giammarinaro era nel consiglio di amministrazione in una delle aziende di Torrente.

Calvanico è un imprenditore agricolo vicino all’ex governatore Totò Cuffaro. La figlia Silvia, candidata alle Regionali con Forza Italia, era sostenuta dal deputato D’Alì. Ago della bilancia per il rush finale potrebbero i 5Stelle, che al primo turno hanno raccolto oltre 3500 preferenze.