La Sicilia domani ai ballottaggi prova lo “scambio” gialloverde

Nessun apparentamento, nessun endorsement, neppure un comunicato ufficiale. Ma neanche dichiarazioni di guerra: tutt’altro. La vigilia dei ballottaggi in Sicilia è fatta soprattutto di mezze frasi. Anche domenica, che a votare andranno solo cinque città, l’isola riuscirà a diventare laboratorio politico per sperimentare nuove intese e vecchie guerre intestine. In vista delle Europee, i riflettori sono ovviamente puntati sulla Lega e sul Movimento 5 stelle. Sarà una sorta di derby di governo incrociato: dove al ballottaggio sono andati i candidati di Luigi Di Maio, non ci sono quelli di Matteo Salvini. E viceversa.

La domanda è scontata: non è che grillini e salviniani si scambieranno i voti? Nessuno smentisce apertamente, anzi. Soprattutto a Caltanissetta, la città del caso Montante, l’ex paladino dell’Antimafia appena condannato per associazione a delinquere. Nell’unico capoluogo al voto, al primo turno la Lega ha preso il 12% correndo da sola. Tutti voti che ora tornerebbero utili all’aspirante primo cittadino dei 5 stelle, Roberto Gambino. “I nostri voti ai grillini? È inevitabile che ciò accada anche se non c’è nessun accordo o apparentamento”, dice Alessandro Pagano. Il deputato e uomo forte del Carroccio in provincia non vuole sentire parlare del candidato della destra, Michele Giarratana. “Noi ci siamo presentati da soli e abbiamo detto agli elettori che 100 motivi ci separavano da Giarratana. Dopo la campagna elettorale quei motivi sono diventati 110. Come si fa a farlo votare?”, dice sdegnato il leghista. Che era addirittura pronto a fare un comunicato ufficiale per invitare i suoi a votare per i grillini: “Ma erano i giorni del caso Siri. Ho preferito evitare”. Già berlusconiano di lungo corso, poi migrato con Angelino Alfano, Pagano è quindi saltato sul carro di Salvini. Un parabola che fa storcere il naso ai 5 stelle: in tanti lo considerano un cambiacasacca dal quale stare lontani. “Non si permettano – si arrabbia lui – Io ho lasciato Alfano quando era ministro e la Lega in Sicilia era allo 0,6%. E poi ho un ottimo rapporto con Cancelleri”.

Caltanissetta, infatti, è la capitale di Giancarlo Cancelleri, pupillo di Di Maio e storico leader del M5s sull’isola. Che nella sua città ha allestito un laboratorio nel laboratorio: i 5 stelle, infatti, erano pronti a ufficializzare l’alleanza con una lista civica, il movimento Più città. “Il post sul blog di Di Maio dopo le elezioni di Abruzzo apre chiaramente alle civiche. Noi eravamo pronti a fare tre liste, poi però quel procedimento si è bloccato”, dice il leader dei 5 stelle siculi. Nessuna apertura esplicita ai leghisti: “Io dico solo che in città c’è grande voglia di rinnovamento e quel rinnovamento è Gambino”. Ma che fine faranno i voti dei grillini nella città dove non sono andati al ballottaggio? “Noi abbiamo lasciato liberi i nostri elettori, votino per chi vogliono ma studino i programmi”.

È quello che dovranno fare a Gela, dove la Lega è arrivata al secondo turno con Giuseppe Spata, un passato da attivista di Libera. Che ci fa uno che viene dall’antimafia sociale di don Luigi Ciotti con Salvini? “Io sono cattolico, non potevo certo andare con chi ha fatto le unioni civili”, ha ripetuto più volte il diretto interessato. Dovrà vedersela con Lucio Greco, candidato del Pd e di un pezzo di Forza Italia: praticamente un Nazareno con vista sul Petrolchimico. La Lega spera di incassare i voti dei 5 stelle anche a Mazara, la città più araba d’Italia, dove Giorgio Randazzo sfida il civico di Salvatore Quinci. A Castelvetrano, invece, sono i 5 stelle che potrebbero conquistare il municipio con Enzo Aiello. Quello in provincia di Trapani, è l’unico comune dove il Pd ha presentato il simbolo, con tanto di comizio di Nicola Zingaretti. Risultato: fuori al primo turno il candidato Pasquale Calamia. Adesso molti dem sembrano preferire il candidato grillino a quello della destra Calogero Martire. Per i 5stelle sarebbe una vittoria ad alto valore simbolico: Castelvetrano è pur sempre la città di Matteo Messina Denaro.

“Li accogliamo noi” Le famiglie scrivono al presidente Conte

Una lettera aperta al presidente del Consiglio, per dimostrare che l’accoglienza di 30 migranti non può essere considerata un problema di ordine pubblico. Così, l’associazione Famiglie Accoglienti, nata nei mesi scorsi a Bologna, “si candida” a fare quello che lo Stato si rifiuta di fare: “Abbiamo esperienza di collaborazione con il Comune di Bologna in questo campo, poiché abbiamo ospitato e ospitiamo dei ragazzi arrivati come minori non accompagnati, ragazzi che studiano e lavorano, una risorsa per il nostro Paese – si legge nella lettera – . Poiché sembra che la preoccupazione di alcuni ministri sia che in Italia i migranti siano non solo “troppi” ma anche “pericolosi” vogliamo sottolineare che le 30 persone della Mare Jonio possono difficilmente alterare la situazione dell’ordine pubblico di un Paese che ospita oltre 5 milioni di migranti, per oltre il 98% regolari (secondo le ultime dichiarazioni del ministro degli Interni i “clandestini” sarebbero 90.000 in tutto)”. “Proponiamo al governo di affidare a noi queste persone, garantendo loro ospitalità e cura per tutto il tempo necessario alla definizione della loro richiesta d’asilo”, un diritto – ricordano al governo – costituzionalmente riconosciuto.

Dàgli al rom: 450 cacciati dalla “fossa” di Giugliano

In fuga dall’inferno, ma senza nessun altro posto dove andare. Quattrocentocinquanta rom bosniaci, la metà dei quali minorenni, stanno vagando in queste ore tra i Comuni vicini a Giugliano, profonda provincia napoletana, da dove sono stati cacciati ieri alle prime luci dell’alba con un blitz di municipale, polizia, carabinieri e addirittura esercito.

L’inferno si chiama “la fossa”, secondo Amnesty International “luogo dalle condizioni di vita inumane”, per Carlo Stasolla dell’Associazione 21 luglio “il peggior campo rom d’Italia”. Dovrebbe essere una buona notizia la fuga dall’inferno, ma non lo è affatto in questi giorni dove la “caccia al rom” è sdoganata dai fatti di Roma, con le intemerate di CasaPound tra Torre Maura e Casal Bruciato. Il sindaco di Giugliano è Antonio Poziello, un tempo del Pd, poi giudicato “impresentabile” dal suo partito per vicende giudiziarie di anni prima, che decise di correre lo stesso per il municipio, ottenendo la vittoria con le liste del Psi di Riccardo Nencini e di Ncd di Angelino Alfano. “All’inizio di aprile – racconta Stasolla – con un’ordinanza il sindaco ha intimato ai 450 rom, di cui chi non è addirittura nato a Giugliano è residente in paese da trent’anni, di lasciare il territorio comunale ma che sarebbero stati seguiti dai servizi sociali per una soluzione alternativa”. Nell’ordinanza c’è addirittura il riferimento a un impegno economico: duecento mila euro per progetti di inclusione, la promessa di stanziamenti una tantum di alcune migliaia di euro per aiutare le famiglie a cercare case in affitto. Poi la scorsa settimana, mentre a Roma l’onda nera montava, il sindaco ha convocato sette capi famiglia dalla polizia: “Dovete andare via”. Così ieri mattina insieme al dispiegamento di forze armate gli emissari del Comune hanno minacciato di portarsi con loro i bambini e di emettere fogli di via.

I 450 erano nella “fossa”, sul terreno dell’ex fabbrica di fuochi d’artificio Schiattarella, dal 2015, buttati là dentro dopo lo sgombero dell’insediamento precedente, alla Masseria del pozzo, sopra una discarica, dove furono sistemati su un rettangolo di fango con 400 mila euro stanziati dallo Stato. Là sotto c’erano ogni tipo di rifiuti, la falda acquifera era inquinata. Ma al peggio non c’è mai fine, appunto, così la civile Italia spostò questi bambini, donne e uomini, dalla discarica alla “fossa”: una sorta di buca circondata da pareti fangose di cinque metri, basta un poco di pioggia qui perché finisca tutto sott’acqua. Ora nessuna soluzione alternativa è stata proposta dalle istituzioni ma ieri è andata in scena la prova di forza del sindaco. Le persone, tutte regolarmente residenti a Giugliano, sono state letteralmente rincorse per ore dalle forze dell’ordine, impegnate a spingerle fuori dai confini comunali. Furgoni e roulotte, molti mezzi senza neppure l’assicurazione, hanno poi lasciato lentamente il campo per via San Francesco a Patria tra Giugliano e Qualiano. Quando arriva la sera la comunità rom è già dispersa, tra l’ostilità che prospera in territori dove domina la miseria oltre alla camorra.

Un altro sindaco, Marcello De Rosa di Casapesenna (il paese noto per esser stato sede del bunker di Michele Zagaria fino alla cattura nel 2011), tesserato Pd, con una nota ha invitato la cittadinanza a “segnalare anomalie” alle autorità per il possibile passaggio delle famiglie rom. Italia, 2019.

Migranti, 70 morti e porti aperti: nuovo scontro Lega-M5S

Zuara, ovest della Tripolitania, alle spalle dell’ennesima carretta del mare. A bordo un centinaio di fuggitivi dall’Africa subsahariana, dal Marocco e anche dal Bangladesh, arrivati in Libia con la speranza di raggiungere prima o poi l’Europa dopo indicibili sofferenze. Sono più o meno 40 miglia al largo di Sfax, Tunisia, quando il Mediterraneo non risparmia il noto copione di morte: il barcone cede, s’inclina da un lato, si rovescia.

Tutti in acqua, c’è chi non si arrende, chi cerca di aggrapparsi a qualcosa, ad altri corpi, ma l’acqua ha il sopravvento, il dolore vince, la vita finisce. Almeno in settanta, anche ieri, sono morti così. All’arrivo dei soccorsi, dopo l’allarme lanciato dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, per la maggior parte dei naufraghi non c’è più nulla da fare, non resta che recuperarne i cadaveri.

Nella stessa giornata Alarm phone avverte: “C’è un altro barcone con cento persone a rischio, 24 donne e cento bambini”. Dalla Libia in guerra e nel caos in queste ore i trafficanti di uomini sono in azione spasmodica. Intanto in Sicilia, 66 persone sono sbarcate ad Augusta e altre 70 a Lampedusa. Nell’isoletta in mezzo alla morte è stata fatta attraccare la Mare Jonio della ong Mediterranea. Sequestrata e l’equipaggio indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Atto dovuto, precisa la procura di Agrigento.

Ma intanto il ministro dell’Interno Matteo Salvini esulta ed evoca un nuovo decreto sicurezza con – fra gli altri annunci – lo scopo di portare in capo al Viminale poteri del ministero dei Trasporti, attualmente retto del cinquestelle Danilo Toninelli. Scrive al premier Giuseppe Conte e al ministro degli Esteri, Enzo Moavero, per chiedere “un salto di qualità” sulla questione migranti. Il partito socio di governo, il M5S, replica: “Non faccia lo gnorri e si prenda le responsabilità invece di coprire i suoi fallimenti: i rimpatri sono di sua competenza”. I numeri dei rimpatri, come tutti sanno, sono agli stessi livelli di un anno fa.

Mentre le persone muoiono in mare e la campagna elettorale per le Europee continua, con Salvini che invoca ancora i “porti chiusi”, il premier Conte dopo aver ottenuto lo sbarco dei migranti sulla Mare Jonio (“ci siamo sentiti con Salvini”), evitando un nuovo caso Diciotti, in un’intervista a El Pais tiene il punto: “Che guidi Salvini il governo è un’illusione ottica”. E al quotidiano spagnolo, che lo incalza sulla Libia dove il capo della Lega insiste a voler rispedire i migranti, risponde anche: “Come potrei pensare che si tratti di un porto sicuro. Siamo nel pieno di un’escalation militare, volete che io faccia polemiche con Salvini? Cadete nello stesso errore degli altri giornalisti per i quali litighiamo tutto il giorno. È un meccanismo perverso, pensateci. Volete soddisfare solo la vostra curiosità su un mio possibile scontro con Salvini. Ma come può essere per me la Libia un porto sicuro?”.

Istigazione all’odio razziale a Torre Maura e a Casal Bruciato

Sono 41 le persone denunciate per i disordini che si verificarono nel quartiere di Torre Maura, alla periferia di Roma, durante le proteste anti-nomadi delle scorse settimane. Sono accusate tra l’altro di istigazione all’odio razziale e apologia di fascismo. Chi sottrasse e calpestò il pane destinato ai nomadi è accusato di rapina. E si procede per istigazione all’odio razziale, per il momento contro ignoti, anche per i più recenti fatti di Casal Bruciato, zona Tiburtina, dove numerosi residenti insieme ai neofascisti di CasaPound hanno cercato di impedire per l’ennesima volta l’assegnazione di una casa popolare a una famiglia di rom bosniaci con 12 figli, regolarmente in graduatoria anche perché i coniugi vivono a Roma da 30 anni e tutti i figli sono nati in Italia. Quanto a Torre Maura, i reati contestati vanno dalla manifestazione non preavvisata all’incendio doloso, al danneggiamento, istigazione all’odio razziale, all’apologia del fascismo e all’interruzione di pubblico servizio, fino alla rapina per chi sottrasse il pane e lo calpestò. I denunciati sono 41 tra residenti ed esponenti dell’estrema destra, ritenuti autori dei disordini.

La gatta Lilli e il pallone gonfiato

Caro direttore, due soggetti che vivono e parlano in terza persona sono difficili da seguire, lo scambio di “parole” Gruber-Salvini ha riassunto l’essenza di un eterno passato che persiste nel presente, nauseante, e fantasma in mezzo a fantasmi.

Logico che Salvini fosse prevenuto, altrettanto logico che la dea del centrotavola non avesse nessuna intenzione di smettere il suo permanente carillon antigovernativo, ci sono voluti ben due giorni per avere un riscontro dal centro studi del blog.

Le tastiere sono sporche di sangue e sudore, il burnout si percepisce nell’aria dei laboratori, gli studiosi del Blog ci confidano di avere fermato all’ultimo momento BEPPE9000 intento a bloccare tutti i media mondiali. Ma ce l’abbiamo fatta, siamo riusciti ad analizzare lo scambio Salvini-Gruber.

Da un punto di vista strettamente televisivo, non sfugge l’occasione perduta di ambientare lo scambio in una latteria/bar della Brianza, in mezzo ad altri avventori ululanti. Gruber in meno di un minuto è riuscita a strappare un intro-berlusconiano al ministro degli Interni a sua insaputa, la solita confusione fra colpa penale e impresentabilità/incompatibilità istituzionale.

Lo spettacolo è imbarazzante: Gruber la gatta e il volpino De Angelis punzecchiano un pallone gonfiato, un gioco da ragazzi. Il ministro degli Interni dice di “essere stufo di avere due minacce di morte al giorno”, purtroppo un’ulteriore conferma del fatto che la sua carica istituzionale è a sua insaputa, a meno che il pallone non creda di essere il ministro degli Interni a Disneyland.

Lui sogna di essere trasferito nei vigili urbani di Mousville, pare che abbiano dei giacconi spettacolari. Due minacce di morte al giorno sono ampiamente al di sotto di quelle che riceve uno qualunque degli operatori di giustizia in un Paese dove, neppure con il capo del Viminale, si riesce a parlare di mafia nel talk show politico più in voga nella patria – appunto – della mafia. Non lo volevano entrambi, Von Ribbentrop e Molotov erano solo dei ragazzi. Il problema è Fabio Fazio: roba da assessori alla nettezza urbana, al limite. La maestrina e il pallone proseguono la rissa interrotti dal volpino (che ripete il jingle che il governo non fa nulla tranne litigare).

Il punzecchiamento dei due maestri d’armi del Bilderberg mantiene il suo assoluto fuori tema: come parlare con il comandante nazionale dei Vigili del fuoco di pesca subacquea. Ma continua il fuori tema, adesso siamo al 25 aprile, quando Salvini ribadisce che il ruolo di un ministro degli Interni verso la mafia è inaugurare commissariati, al massimo.

Una specie di velina taglianastri per consegnare beni sequestrati da inquirenti che ci lavorano da quando Salvini pare fumasse le canne e si professava comunista. A proposito, il gran finale di questo talk show demenziale è dedicato alle droghe leggere… certo neppure quelle “pesanti”… troppo impegnative probabilmente. Neppure “il Punto” di Pagliaro propone il vero problema di questo paese: la mafia che si è impadronita anche della corruzione.

W la Lega! E si finisce parlando di Iran, un caleidoscopio che vede tutto tranne gli argomenti che competono agli occupanti del Viminale. Ci vorrebbe una fiala di Diprivan per poter dormire dopo 8 e ½… come Michael Jackson.

Ordinanze e zone rosse: Gabrielli corregge Salvini

Il capo della polizia, Franco Gabrielli, ha scritto ai questori per limitare le criticità nell’attuazione di una delle ultime circolari del ministro dell’Interno, Matteo Salvini. È quella del 19 aprile che ha suscitato le vibranti proteste di numerosi sindaci e le più riservate perplessità di alcuni procuratori. Salvini, infatti, ha invitato i prefetti a definire con apposite ordinanze “zone rosse” nelle città, piazze di spaccio e non solo, per disporre “l’allontanamento” di “persone dedite ad attività illegali”, cioè denunciate per reati di droga o d’altro tipo.

Martedì scorso Gabrielli ha indirizzato un’altra direttiva ai questori “al fine di evitare possibili incertezze applicative”. Primo, il capo della polizia distingue i provvedimenti in questione dalle “misure di prevenzione tipiche e atipiche” che competono al questore “per il contenimento della pericolosità sociale personale” e devono essere motivate in base a fatti precisi, compreso il Dacur (Divieto di accesso alle aree urbane, impropriamente detto “daspo urbano”, ndr) previsto dal decreto Minniti (n° 14 del 2017 convertito in legge 48 del 2017) che assegna però ai sindaci e ai consigli comunali il potere di definire le zone problematiche. Secondo, Gabrielli ricorda che per allontanare qualcuno bisognerà fare “un semplice verbale, recante l’identificazione del soggetto e l’indicazione del luogo ove il predetto è stato sorpreso a stazionare, procedendo, solo in caso di rifiuto di allontanarsi o di ritorno del contravventore, alla stesura di un’apposita informativa di reato per violazione dell’articolo 650 del codice penale”, cioè inosservanza dei provvedimenti dell’autorità. Terzo, gli agenti e i militari non dovranno “palesare al soggetto le risultanze acquisite dalla banca dati Sdi” delle forze dell’ordine, che per legge “possono essere utilizzati soltanto attraverso l’acquisizione delle fonti originarie”, cioè la denuncia vera e propria, sempre che l’interessato ne sia già informato perché altrimenti sarebbe rivelazione di segreto investigativo.

Si possono immaginare le difficoltà operative. Denunciato vuol dire poco: si potrà forse allontanare qualcuno, che magari va a fare la spesa o porta a spasso il figlioletto in una “zona rossa”, perché era stato denunciato dieci anni prima e nel frattempo è stato tutto archiviato? Bisognerà portarlo in commissariato o alla stazione dei carabinieri per tirar fuori la vecchia denuncia e motivare il provvedimento? E tutto questo per denunciarlo di nuovo, eventualmente, per il reato di cui all’articolo 650, che prevede al massimo tre mesi di arresto e quindi ingolfa inutilmente le Procure? Non è meglio concentrare le forze sul controllo del territorio e sulle indagini?

La circolare di Salvini l’ha scritta Matteo Piantedosi, il suo capo di gabinetto, che nel 2017 da prefetto di Bologna affrontò così il problema dello spaccio nel parco della Montagnola, con qualche risultato. Più di recente, il 10 aprile, un’ordinanza simile è stata adottata a Firenze dalla prefetta Laura Lega: riguarda l’area della Fortezza da Basso, il Parco delle Cascine e un totale di 17 strade di un’ampia porzione del centro, e coloro che sono stati denunciati a Firenze per droga, lesioni, danneggiamento, rissa e altro. Il procuratore Giuseppe Creazzo, il 18 aprile, ha scritto al questore e ai comandanti di Carabinieri, Finanza e municipale per raccomandare di fare “opera di dissuasione” e “contenere il più possibile i casi di denuncia in sede penale”, onde “evitare di aggravare eccessivamente il carico di lavoro di questa Procura e degli uffici giudicanti”, nonché per suggerire le modalità operative poi fatte proprie da Gabrielli.

A Firenze c’è anche un ricorso al Tar dagli avvocati Cino Benelli, Adriano Saldarelli e Fabio Clauser, sostenuti dall’Aduc: il 23 maggio il tribunale decide sulla richiesta di sospensiva. Si contesta la legittimità dell’ordinanza, la violazione dei diritti costituzionali dei “denunciati” e l’improprio ricorso all’articolo 2 Tulps (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), cui fanno riferimento la prefetta Lega e la circolare di Salvini. È la norma sui provvedimenti urgenti, generali e transitori dei prefetti, utilizzata ad esempio per chiudere le strade o requisire locali e roulotte in caso di terremoti e calamità: c’entra poco la repressione delle attività illegali, che peraltro tenderanno a spostarsi in altre aree, magari finché l’intera città non sarà dichiarata zona “rossa” e “degradata”.

Dopo la circolare i prefetti si muovono, in particolare, in città dove non governa la Lega. Così a Milano, a Napoli, a Torino e a Salerno. I sindaci non sono entusiasti, tanto più che dichiarare che una zona è “degradata” comporta varie controindicazioni. Sembra quasi che Salvini spinga i prefetti a sfidare le amministrazioni che non gli piacciono. Vedremo come andrà a Roma

Luca Morisi, che ti succede?

Che fosse un’allucinazione collettiva? Per mesi tutti hanno incensato la stratosferica comunicazione salviniana, gli algoritmi della “Bestia”, il genio del social manager Luca Morisi. E poi all’improvviso sui profili del ministro dell’Interno viene pubblicato un video raggelante. Sembra uno scherzo, un’autoparodia. È tutto vero. Salvini lancia il “Vinci Salvini”, un concorso che premia i più assidui adoratori del Capitano. Più like metti, più hai possibilità di interagire con lui. Fin qui niente di particolare: anche Renzi si era inventato un giochino del genere poco prima del tracollo. A far davvero accapponare la pelle è il video di presentazione. Grafica celeste pastello, jingle da tv commerciale anni 90, pingue faccione di Matteo schiacciato in primo piano, quattro controfigure rigide e vagamente sorridenti alle sue spalle. E poi il testo cantilenato dal vicepremier: “Ebbene sì, finalmente, è tornato anche lui… Tornato chi? Vinci chi? Indovina chi??? Stiam parlando del ‘Vinci Salvini’!”. La recitazione da villaggio turistico tradisce un certo imbarazzo. “E per i più fortunati… addirittura una chiacchierata al telefono con me… pensa te che premio incredibile!”. Non si sperimentavano simili vette di disagio dai tempi del Pd di Bersani e dalla danza sulla terrazza del Nazareno (“Lo smacchiamo! Lo smacchiamo!”). Possibile che ci siamo sbagliati tutti?

Il commissario: “Roma rischia una crisi di liquidità”

Tutto rimandato a dopo le Europee: la disputa sul salva-Roma che ha rischiato di mandare in crisi il governo nelle scorse settimane non è all’ordine del giorno, ma è destinata a riaprirsi. Lo confermano le parole pronunciate ieri in audizione dal commissario straordinario del debito, Alessandro Beltrami: “La crisi di liquidità che adesso ha la gestione commissariale, domani sarà tutta di Roma capitale”.

A fine aprile, il consiglio dei ministri ha licenziato una norma frutto del compromesso tra Lega e Cinque Stelle per chiudere il commissariamento del debito storico di Roma nel 2021. Ma la norma contenuta nel dl Crescita, dice Beltrami, “risolve alcuni problemi alla gestione commissariale, ma non garantisce il piano di rientro, scarica su Roma Capitale tutte le criticità evidenziate dal 2012 in tutti i documenti ufficiali”. Il testo andrà all’esame della commissione Bilancio dopo il voto per le Europee. E i Cinque Stelle sperano di “far capire” alla Lega “la bontà dell’operazione”. In alternativa, comunque, sono pronti i voti del Partito democratico per “chiudere la gestione commissariale e ricontrattare il debito opportunamente ricalcolato”.

Di Maio si è smarcato dall’alleato e così si è ripreso un po’ di voti

Premesso che il mio istituto rileva un calo della Lega inferiore rispetto a quanto segnalato da altri, questa flessione può essere dovuta al fatto che alcuni elettori del Movimento 5 Stelle che si erano spostati verso Salvini adesso stanno tornando con Di Maio. Questo perché intanto c’è stata un’efficace campagna elettorale del vicepremier grillino, ultimamente ben presente anche in tv, e poi perché ha influito l’interpretazione di alcuni fatti negativi che hanno riguardato in vario modo la Lega, come le inchieste su Siri e sulla corruzione lombarda.

Normalmente però questi fatti giudiziari non incidono in maniera sesquipedale sulle percentuali, a meno che non coinvolgano i leader.

È più probabile che Di Maio abbia tratto il maggior vantaggio dall’essersi differenziato da Salvini, quando ha capito che stava perdendo terreno rischiando il sorpasso del Pd. Si è smarcato dall’alleato, andando anche allo scontro quando era giusto farlo.

Da qui alle elezioni immagino che la Lega cercherà di spostare l’attenzione rispetto all’attualità, tornando ai temi di riferimento che le avevano consentito di arrivare a percentuali altissime, come sicurezza e immigrazione, su cui però il Movimento avrà ancora gioco a smarcarsi per tentare di ricucire il più possibile lo scarto con gli alleati e allo stesso tempo tenere a distanza il Pd.