Roma, per il dopo Pignatone ora avanza il nome di Viola

È Magistratura indipendente, la corrente conservatrice dei magistrati, quella con il leader storico Cosimo Ferri, ora deputato renziano del Pd, a condurre la partita per la successione di Giuseppe Pignatone a capo della Procura di Roma. Sono due i candidati realmente in corsa per questo incarico sempre politicamente sensibile e sono entrambi di Mi: Franco Lo Voi, procuratore di Palermo e Marcello Viola, procuratore generale di Firenze, anch’egli, come Pignatone, per moltissimi anni a Palermo e poi a Trapani come procuratore. Sembra tramontata, invece, la possibilità di nomina per Giuseppe Creazzo, procuratore di Firenze, di Unicost, la corrente centrista, anche per una denuncia a suo carico (ma non è a oggi indagato) che pende a Genova.

Sono settimane che Mi discute su chi appoggiare, se Lo Voi o Viola. La scelta non è ancora definitiva ma, secondo quanto risulta al Fatto, si sta orientando decisamente per Viola. Lo Voi, si dice, ha cominciato a perdere terreno per la sua partecipazione alla cena con Matteo Salvini, organizzata da “Fino a prova contraria” di Annalisa Chirico. I giochi, però, sono ancora aperti e Lo Voi è il candidato più vicino a Pignatone, a cui è legato da amicizia e da anni di lavoro insieme a Palermo. E a Palermo era pm anche il reggente della procura, Michele Prestipino, capo dell’antimafia, pure lui tra i candidati, ma meno anziano degli altri. Con il pensionamento di Pignatone, ufficialmente da mercoledì, al Consiglio superiore della magistratura avanzano le manovre. In questa consiliatura, quasi sempre, se non sempre, Mi e Unicost hanno votato insieme. E anche per la nomina del procuratore a Roma non ci saranno eccezioni.

Complessivamente vantano 10 consiglieri, 5 per ognuno dei due gruppi, a cui bisogna aggiungere i capi di Corte, il presidente Giovanni Mammone e il pg Riccardo Fuzio, rispettivamente di Mi e di Unicost, sempre in linea con le loro correnti. Se si considera che la maggioranza è di 13, è chiaro perché l’accordo fra le due correnti sia determinante. Certo, la nomina del procuratore della Capitale non può passare con una maggioranza risicata, sarebbe un pessimo segnale, ed ecco che entrano in gioco i laici, che su una nomina del genere hanno sempre pesato. Né i tre consiglieri in quota M5S né i due in quota Lega si sono ancora espressi.Neppure i due forzisti.

Viola potrebbe essere votato anche dai togati di Autonomia e Indipendenza, Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita, a cui potrebbe piacere per la distanza dalla politica che ha sempre caratterizzato il magistrato. Completerebbero la maggioranza necessaria e per Viola sarebbe fatta. Si dice che Unicost lo voterebbe, ma in cambio vorrebbe indicare i due procuratori aggiunti, sempre di Roma, ancora da nominare. Uno dei favoriti è il pm Sergio Colaiocco, che indaga sull’uccisione in Egitto di Giulio Regeni. Luca Palamara, tra i pm romani che concorrono alla nomina di aggiunto, leader indiscusso nella scorsa consiliatura di Unicost, rispetto a tanti altri concorrenti non avrebbe, invece, i titoli, per età e anzianità di servizio.

Tornando al voto sul procuratore, non si può ignorare che in questo Consiglio ci sia un magistrato come Giuseppe Cascini, che è stato fino a settembre procuratore aggiunto a Roma, tra i pm di Mafia Capitale. Capogruppo di Area, la corrente di sinistra, quando il plenum ha deliberato il pensionamento di Pignatone, Cascini lo ha omaggiato: “La credibilità della Procura di Roma è stata ampiamente recuperata grazie al suo lavoro. È uno dei magistrati più seri e preparati con cui abbia mai lavorato”. Proprio Pignatone vedrebbe bene al proprio posto Lo Voi, e Cascini è d’accordo con lui. Lo ritiene – e non è il solo – il pm che garantirebbe continuità alla Procura. Ma i consiglieri di Area sono quattro e questa partita non la possono condurre né possono risultare determinanti. Neppure, per dire, se Unicost dovesse spaccarsi.

La notte barricati in via Satta 20, fuori c’era l’ultrà di Adolf Hitler

A Casal Bruciato da una parte c’è chi sta con Pippo Macrì, 86 anni, da una vita nel quartiere, che ha portato sul balcone gli altoparlanti per far riecheggiare Bella ciao e l’Internazionale. C’è chi sta con un fiore di bambina, tre anni (che le cronache di ieri non hanno tutelato minimamente spiattellando il nome un po’ ovunque, tanto è una rom), e coi suoi dodici fratelli, di cui dieci minorenni. Con la mamma Senada e col papà Imer, detto Nico, entrambi 40enni, insieme da quando s’incontrarono un giorno in piazza Navona, dopo esser stati portati a Roma ancora bambini dalle loro famiglie in fuga dalla Bosnia in guerra nel 1992. “Sono arrivato con mamma e papà in macchina – racconta Nico –, non ricordo di aver avuto paura delle bombe. Ero piccolo. Qui adesso invece ho paura, non so se potremo restare”.

Ieri la visita da papa Francesco. Riavvolgendo il nastro: è tarda sera quando don Ben della Caritas al telefono ribadisce l’invito del pontefice, Nico e Senada sospirano guardando dalla finestra i capannelli dei vicini in cortile. Finalmente la bambina si è addormentata dopo ore di tensione tra la visita della sindaca Virginia Raggi, il corteo “amico” e le urla di Casapound. Dorme la piccola, gli altri fratellini sono ritornati al container del campo di Tor de’ Cenci, lei è crollata sul materasso a terra nell’appartamento vuoto, prima ha mangiato una pizza e i pasticcini tanto desiderati.

Dall’altra parte dello schieramento c’è chi ieri pomeriggio sui balconi ha esposto il tricolore in segno di ostilità contro i nuovi vicini, mentre loro, la famiglia Omerovic lascia Casal Bruciato per recarsi da papa Francesco. E c’è chi nella tarda serata precedente, a manifestazioni già disperse, apostrofa il vignettista del Fatto Mario Natangelo, reo di portare la guentiera di pasticcini alla bambina. “Bravo, portaglie anche lo sciampagne”, dice sprezzante una signora. Altre signore con figli e mariti tatuati, sono quei pochi che hanno condiviso la piazza degli insulti con Casapound. Sono sempre le stesse venti, trenta facce quelle dei neo fascisti che da mesi girano da una periferia all’altra di Roma sempre pronti a gettare benzina sul fuoco della miseria. Ci sono i leader Mauro Antonini e Carlotta Chiaraluce, che prende il megafono dopo l’intervento precedente concluso così: “Do la parola a una donna, perché noi le rispettiamo”. Non c’è più quel Daniele che ha gridato “ti stupro” a mamma Senada.

C’è Luca Marsella, l’amico degli Spada (clan sinti) a Ostia. Presente anche “Er Brasiliano” Massimiliano Minnocci, pregiudicato, ultrà della Roma, fenomeno social per muscoli e tatuaggi: sfoggia il testone di Mussolini sul petto, svastiche e celtiche e anche Hitler sulla coscia. È finito nella galleria degli orrori di Enrico Lucci (Realiti sciò, novembre 2018): “Vendere la cocaina per strada è sbagliato, lo facevo per campà. Andavo a menà ai barboni, ai negri, ste cose qua, no ai poveracci, a quelli che rompono i coijoni. Dove ci stanno i macelli ce sto io”.

Sul web si trova anche un video dell’ottobre 2018 mentre viene arrestato al termine di una delle tante manifestazioni cosiddette anti-degrado di Casapound nella periferia romana, a Pietralata: “Io te pijo a mozzichi a senzapalle, t’ammazzo io oh senzapalle”, sbraita contro un poliziotto. E anche due giorni fa ha provocato un agente in assetto antisommossa: “Mi guardi? Che guardi? Te sembro una bambola?”. Radio24 gli ha dato diritto di tribuna a gennaio: “Cosa farei ai rom? Quelli che rubano, prendi ’na mannaia, je stacchi tutte e due le mani, e via”. E ancora: “Troppa polizia. Salvini mi piace, ma sta militarizzando Roma, mettessero gente delle borgate che davero ce li magnamo i rumeni e i talebani che vanno a rompe’ er cazzo. Adesso non voto niente. Però se dovessi votare, voto ’a Lega Nord, tutta ’a vita”.

Contrordine compagni: è brava

Contrordine compagni, Virginia Raggi è brava e coraggiosa. In un amen la sinistra italiana ha scoperto le virtù della sindaca di Roma, abbastanza testarda e temeraria da presentarsi nella bolgia di Casal Bruciato, beccandosi insulti di ogni sorta. Ed ecco un piovere di reazioni, invogliate anche dall’autogol di Luigi Di Maio (“Prima i romani dei rom”). Per esempio ecco il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, mercoledì a Porta a Porta: “Raggi ha avuto coraggio e voglio esprimerle la mia solidarietà”. Solerte il governatore del Lazio, che ha pure promesso: “Dobbiamo affrontare il tema di masse sterminate di persone che si sentono sole. Aiuteremo la sindaca”. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. E meno male anche che le senatrici dem abbiano pensato di dare un segnale: “Come donne del Pd giudichiamo violenta e inqualificabile l’aggressione alla Raggi”. Ma c’è pure il sostegno a metà, quello di un altro dem, Ettore Rosato, che ha espresso “solidarietà” alla sindaca, ma poi l’ha subito rimbrottata, perché non si facesse strane idee: “Doveva lavorare per l’integrazione, doveva arginare facinorosi e fascisti, doveva chiedere ai suoi amici al governo di non soffiare sulla rabbia”. Infine, ieri, il segretario della Cgil, Maurizio Landini: “Raggi ha fatto il suo dovere di sindaco andando a Casal Bruciato”. E magari non è poco.

Fermata Repubblica: “Lavori fatti male”. Slitta la riapertura

Slitta la riapertura della stazione metro Repubblica di Roma, inizialmente prevista a metà maggio. Serviranno ancora due mesi per i lavori e poi altro tempo per i collaudi. Chiusa dall’ottobre del 2018 quando un incidente sulle scale mobili coinvolse diversi tifosi russi del Cska, la “stazione off limits” della linea A ha superato ormai i sei mesi di vita e si prepara a compierne otto o nove. Resta interdetta anche la vicina Barberini, sequestrata dall’autorità giudiziaria dopo un altro problema su una scala: anche in questo caso i tempi per la riattivazione sembrano lunghi. Mentre ha riaperto due giorni fa, dopo un mese e mezzo di chiusura, la metro Spagna. “Siamo molto dispiaciuti per i disagi e anche molto arrabbiati perché abbiamo visto che i lavori di manutenzione fatti della ditta incaricata da Atac – ce lo ha confermato il Tribunale – erano fatti male: riparazioni con fascette del ferramenta, ponti elettrici fatti male… Questo ha determinato che Otis ha dovuto rifare tutto. A Repubblica ha finito le ispezioni e anche in questo caso ha rilevato che ci sarà da rifare completamente l’impianto. La sicurezza prima di tutto”, ha commentato la sindaca Virginia Raggi.

Il sospetto: talpa in Comune pure stavolta dietro i militanti “neri”

La Procura di Roma nelle prossime ore aprirà un’inchiesta sugli episodi razzisti di Casal Bruciato, dove una famiglia rom destinataria di una casa popolare è stata vittima di minacce e aggressioni verbali. Il pm Francesco Caporale attende un’informativa della Digos che ha identificato alcuni manifestanti, denunciandoli. Tra questi c’è Daniele, il simpatizzante di CasaPound che ha gridato “ti stupro”. Dopo aver ricevuto l’informativa, la Procura valuterà se procedere per violenza privata con l’aggravante della discriminazione razziale. Ma la Digos sospetta anche che, come avvenuto in altre occasioni, pure i militanti d’estrema destra presenti a Casal Bruciato siano stati avvisati da una talpa interna al Campidoglio. Sospetta è la tempistica della protesta. La famiglia Omerovic ha ottenuto l’assegnazione nella mattinata di lunedì 6 maggio, ma le chiavi sono state consegnate il giorno successivo, il martedì, quando al capofamiglia viene indicato il numero civico e l’interno dell’alloggio. Le proteste di CasaPound, però, erano iniziate già nel tardo pomeriggio di lunedì. Quella mattina l’amministratrice del condominio di via Satta aveva scritto una lettera alla Raggi chiedendo di revocare l’assegnazione. Chi ha avvertito i condomini? In Procura è già aperto un fascicolo su una presunta “talpa” in Campidoglio, affidato al pm Eugenio Albamonte, che ha ricevuto una denuncia dal segretario romano di Rifondazione Comunista, Vito Meloni. Si indaga per rivelazione d’atti d’ufficio, contro ignoti. La tesi è che negli uffici del Dipartimento capitolino Politiche Abitative vi sia qualcuno che passa notizie sensibili ai movimenti di estrema destra, che così possono organizzarsi in anticipo. Il sospetto è che sia accaduto anche due giorni fa a Casal Bruciato.

“La sindaca ha difeso lo Stato di diritto, colpevole isolarla”

Al telefono, Marco Minniti appare seriamente preoccupato per quanto accaduto a Casal Bruciato, a Roma. E nel rilanciare la sua idea di sicurezza e legalità, non risparmia apprezzamenti per il gesto di Virginia Raggi, andata a sostenere personalmente i diritti della famiglia bosniaca aggredita da CasaPound senza risparmiare la critica al governo: “Averla lasciata sola è una colpa grave”.

Voi di sinistra, da che parte state a Casal Bruciato?

Dalla parte del risanamento e della legalità. In tutte le questioni che sono emerse in queste settimane viene fuori in maniera evidente un limite delle politiche di sicurezza di questo governo e della destra in generale. Perché un territorio sia sicuro c’è bisogno che quel territorio sia controllato, che abbia un presidio delle forze di polizia e che quel luogo sia risanato. Se non si tiene insieme controllo e risanamento si rischia la rottura sociale e la guerra dentro il popolo.

Che idea di sicurezza propone allora?

Casal Bruciato rappresenta plasticamente cosa dovrebbe essere un’idea moderna della sicurezza: tenere insieme il principio della sicurezza e quello della crescita economica e sociale. La destra non ce la fa politicamente e culturalmente, il suo concetto di sicurezza è soltanto ordine pubblico, la sua attitudine è di fare la “faccia feroce” che però non risolve il problema. Al contrario, occorre avere la consapevolezza che il territorio è al centro di politiche di risanamento sociale, di sviluppo urbanistico e di arredo urbano. La prima contraddizione che invece questo governo ha espresso è stata quella di intervenire sulla sicurezza mettendo in discussione i fondi per lo sviluppo delle periferie.

I rom sembrano essere un nodo che nessuno riesce a gestire. Come pensa vada affrontato il tema?

Se diciamo, e io sono d’accordo, che occorre superare i campi rom bisogna chiedersi come farlo. Siamo una democrazia, non esiste “la soluzione finale”, occorre pensare a grandi progetti di ricollocazione. Consentire attraverso meccanismi legali e trasparenti di assegnare un alloggio a chi proviene dai campi rom, e da parte loro garantire il rispetto di regole, come l’obbligo scolastico. Ma se neghi a una famiglia un alloggio assegnato legalmente e in base a una graduatoria trasparente, la possibilità di esercitare quel diritto, di fatto la condanni a una situazione di permanente illegalità.

Nel caso in questione sembra quasi che la legalità non debba applicarsi ai poveri: persone tranquille impedite nel loro diritto da una pattuglia di esaltati.

In una democrazia questo è inaccettabile. Solo che a sinistra in questi anni abbiamo sottovalutato due sentimenti: la rabbia e la paura. La sinistra non può non misurarsi con il popolo. Anche se è arrabbiato o impaurito. Il punto è che la sinistra ha come obiettivo storico la liberazione dell’individuo e quindi deve stare accanto al popolo e liberarlo dalla rabbia e dalla paura.

Ma che differenza c’è con quanto propone la destra?

La destra fa finta di stare accanto alle persone impaurite per tenerle incatenate alle loro paure. I presìdi delle destre visti in questi giorni tendono a estremizzare rabbia e paura fino al limite della rottura democratica. Noi dobbiamo liberarle da quelle paure.

Che giudizio dà del gesto della sindaca Raggi?

Ho considerato molto importante che ci abbia messo la faccia. La sindaca ha rappresentato lo Stato di diritto, ma mi ha colpito l’isolamento del governo nei suoi confronti. I sindaci in quanto istituzione, come a Roma o a Napoli, e parlo di sindaci non vicini al mio partito, hanno un ruolo nevralgico. L’isolamento della Raggi è testimonianza di una rottura profonda tra questo governo e un sentimento delle istituzioni nel nostro Paese. E ci sono momenti in cui un sindaco di fronte a principi di realtà e di convivenza non può essere lasciato solo. Non può esserci nessun tornaconto elettorale. Se si governa un Paese così impegnativo come l’Italia guardando ai decimali dei sondaggi elettorali si guadagnerà un decimale in più ma si perderà il Paese.

Con la sua insistenza sulla legalità senza però aver garantito la giustizia sociale, il centrosinistra non ha aperto la strada al clima che si respira oggi?

No, noi abbiamo sempre cercato di tenere insieme sicurezza, libertà e umanità. Questi tre ingredienti si reggono l’uno con l’altro. Metterli, invece, l’uno contro l’altro è questo che apre la strada a una rottura. A un progressivo slittamento della nostra democrazia.

Il Papa è la vera opposizione a Matteo Salvini

Non soltanto l’avversione di pochi verso i più deboli, per Jorge Mario Bergoglio il pericolo è l’abitudine di molti all’indifferenza che prolifera con la cattiva politica: “Casal Bruciato, via Sebastiano Satta, i rom attesi da papa Francesco escono scortati dalla polizia”, scrive un’agenzia di stampa per illustrare la fotografia di una mamma spaventata che trascina con sé una bimba con una felpina rosa e i capelli biondi, legittimi assegnatari di una casa popolare in un quartiere di Roma e da giorni insultati e assediati da gruppi di estrema destra.
Il Vaticano di Francesco ha osservato sempre con diplomatico distacco le vicende politiche di Roma con una delega precisa, e mai revocata, ai vescovi italiani, ai vertici della Conferenza episcopale. Stavolta, però, Francesco schiera sé stesso: con un intervento accorato, anzi un appello agli italiani e perciò ai politici, non citati, non sfiorati eppure destinatari del discorso al Palazzo Apostolico davanti a 500 rom e sinti. “Una cosa che a me fa arrabbiare – ha detto Francesco – è che ci siamo abituati a parlare della gente con gli aggettivi. Non diciamo: ‘Questa è una persona, questa è una mamma, questo è un giovane prete’, ma questo è così, questo è così…’. Mettiamo l’aggettivo. E questo distrugge, perché non lascia che emerga la persona. Questa è una persona, questa è un’altra persona, questa è un’altra persona. I bambini sono persone. Tutti. Non possiamo dire: sono così, sono brutti, sono buoni, sono cattivi. L’aggettivo è una delle cose che crea distanze tra la mente e il cuore, come ha detto il cardinale Bassetti. È questo il problema di oggi. Se voi mi dite che è un problema politico, un problema sociale, che è un problema culturale, un problema di lingua: sono cose secondarie. Il problema è un problema di distanza tra la mente e il cuore”. E ancora: porte aperte, dopo i porti aperti. E Matteo Salvini, il ministro dell’Interno che rivendica la “chiusura” dei porti, imperturbabile, commenta il colloquio tra Papa Francesco e la famiglia di Casal Bruciato durante una funzione in San Giovanni in Laterano per i cittadini romani, e dunque pure per gli Omerovic, bosniaci che sono di religione musulmana: “Oggi ho letto che il Santo Padre incontrerà i rom: è libero di farlo, ognuno incontra chi vuole, ma il mio obiettivo resta la chiusura di tutti i campi rom. Anche per salvare i bambini da un futuro di delinquenza, perché troppi sono educati al furto sin dai due anni”.
Anche Francesco ha letto, però ha notato altro: “Quando leggo sul giornale qualcosa di brutto, vi dico la verità, soffro. Oggi ho letto qualcosa di brutto (i fatti di Casal Bruciato, ndr) e soffro, perché questa non è civiltà, non è civiltà. L’amore è la civiltà, perciò avanti con l’amore”. In serata chiarisce il concetto: “C’è xenofobia, attenti ai populismi che crescono seminando paura”. Francesco non parla a Salvini, parla all’Italia e viene ispirato dalle testimonianze che ha ascoltato in Vaticano e da una cronaca ormai quotidiana che lo inquieta, ma è pessimo, e rappresenta un fenomeno assai raro, il rapporto tra la Chiesa e la Lega di Salvini, o meglio tra la Chiesa di Francesco e il partito del ministro dell’Interno. Non c’è dialogo. Non esistono punti di contatto. Non c’è modo per rimediare. La Cei del cardinale Gualtiero Bassetti, tra i più stretti collaboratori di Bergoglio, è l’opposizione sociale ai leghisti su più temi, oltre all’immigrazione. I vescovi riprendono a maneggiare la politica, firmano manifesti, organizzano convegni, affrontano in pubblico il ministro. E Salvini, in Vaticano, è straniero.
Ha tentato invano di ottenere un’udienza da Papa Francesco, più volte, le ultime con un pranzo riservato con il cardinale Angelo Becciu, già sostituto agli Affari generali, e con diversi segnali al cardinale Pietro Parolin, il Segretario di Stato. I leghisti hanno riferimenti più di destra, americani, conservatori, come il cardinale Raymond Leo Burke. Forse guardano al futuro, ben saldi nel passato.

Raggi fa qualcosa di sinistra e Di Maio non ne approfitta

Fossimo stati in Luigi Di Maio avremmo salutato con legittimo orgoglio il viaggio coraggioso della sindaca di Roma in quel di Casal Bruciato. Lo avremmo fatto per ragioni politiche, umanitarie e anche elettorali. Perché nell’affrontare la teppaglia ululante, la donna Virginia Raggi ha mostrato di essere più uomo di quel ministro forzuto e barbuto: uno tutto chiacchiere e distintivo a cui come rischio peggiore può capitare un selfie con la persona sbagliata. Perché la prima cittadina della Capitale si è recata in quella periferia presidiata militarmente dai fascisti di CasaPound per affermare la presenza dello Stato altrimenti latitante (vero prefetto Gerarda Pantalone?). Nonché il rispetto della legge che attribuisce a una famiglia di nomadi bosniaci (con 12 figli, di cui 10 minorenni) il diritto di prendere possesso di un alloggio popolare legalmente ottenuto. Perché la solidarietà della Raggi nei confronti di quelle persone minacciate, ha suscitato l’apprezzamento della grande stampa, dal Corriere della Sera a Repubblica, altrimenti implacabile nella critica costante all’operato della giunta pentastellata. E invece, l’altro giorno, mentre la Raggi si apprestava a rientrare in Campidoglio, il capo politico grillino faceva trapelare sulle agenzie la sua irritazione, così tradotta: “Non doveva andare, in questo modo oscura la nostra vittoria su Siri”.

Insomma, una questione di tempistica mediatica, mentre preferiamo non credere che l’ombroso vicepremier abbia cercato di allinearsi con il vicepremier barbuto e forzuto adottandone lo stile: “Prima i romani dei rom”. Sia come sia, se fossimo stati in Di Maio (ma per sua fortuna non lo siamo) avremmo accolto l’iniziativa della Raggi come manna elettorale.

Facciamo un passo indietro. Non c’è sondaggio che non registri una massiccia quota di indecisi. Un vasto serbatoio dal quale il M5S spera di attingere, all’ultimo momento, molti di quei consensi che attualmente mancano all’appello, come del resto avvenuto in passato. Questo voto “incerto” sembra appartenere solo in parte al centrodestra, nel quale Matteo Salvini avrebbe già fatto il pieno, salvo mangiarsi un altro pezzo dei resti di Forza Italia. Resterebbero quindi da scandagliare le agitate acque del centrosinistra dove, in vista delle Europee convivono tre, incerte, correnti di pensiero. La prima: il Pd di Zingaretti non mi fa impazzire ma tutto sommato restano i meno peggio. La seconda: basta, ne ho le scatole piene di questo teatrino e domenica 26 maggio me ne vado al mare. La terza: potrei anche dare il voto ai Cinque Stelle se ogni tanto facessero qualcosa di sinistra.

Dunque, per puro calcolo elettorale, Di Maio avrebbe potuto felicitarsi per la buona sorte. E riflettere seriamente sull’opportunity Virginia: ma tu guarda, sembrava lei il nostro problema con tutti i casini che ci sono a Roma e invece eccola lì sul palco del 25 Aprile che celebra la Liberazione accanto ai partigiani mentre adesso riceve anche il plauso della Caritas, del vescovo e di quell’opinione pubblica a cui il criptorazzismo del socio Salvini fa venire l’orticaria. Parole in liberta? Infatti ci sembra di sentirli quelli che dicono: la sindaca pensi piuttosto alla spazzatura che marcisce nei cassonetti e ai bus che prendono fuoco. Ok, ma per una volta vorremmo stringerle la mano e dirle grazie.

Eutanasia, Swg: il 93% è a favore, a settembre interverrà la Consulta

Il dato non sorprende: il 56% degli italiani è assolutamente a favore della legalizzazione dell’eutanasia; un altro 37% è favorevole purché sussistano determinate condizioni fisiche e di salute. È quanto emerge da una ricerca della Swg su un campione di 1000 persone commissionata dall’Associazione Luca Coscioni. Dal sondaggio, però, emerge un altro dato: quasi la metà degli italiani non ha avuto alcuna notizia dell’ordinanza emessa dalla Corte Costituzionale a ottobre, che ha rilevato l’assenza di una adeguata tutela nell’assetto normativo che riguarda il fine vita. La Consulta, con la sua ordinanza che riguardava il caso di dj Fabo, “ha sospeso il giudizio – ha spiegato la vicepresidente della Corte Marta Cartabia – ma lo ha rinviato a una data certa. Dunque la Corte il 24 settembre 2019 deciderà: se il legislatore dirà la sua, la Corte ne terrà conto, viceversa dovrà concludere il giudizio”. Difficile si faccia in tempo. Basti citare le divisioni del Pd. Ieri Nicola Zingaretti ha detto: “Spero che si faccia una legge sul fine vita, che preveda l’eutanasia”. Lo hanno subito criticato alcuni deputati dem cattolici: “Un’ottima legge sul fine-vita c’è già e sull’eutanasia anche nel Pd ci sono posizioni differenti”.

Cannabis, così Salvini usa il caos normativo per la propaganda

Ritornano le piazze dell’eroina, da Rogoredo a Prato a Scampia. Ci sono almeno 500 nuove droghe sintetiche e il piano nazionale di prevenzione latita. Però il ministro dell’Interno Matteo Salvini sente la necessità di chiudere i negozi di cannabis legale perché, da un punto di vista mediatico, ha più impatto sulle famiglie sovrapporre il consumo della cannabis light, venduta nei negozi specializzati comparsi in tutte le città, all’immagine del tossicodipendente”. Riccardo Del Fante è il presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza, una delle realtà che il ministro leghista ha incontrato nei giorni scorsi insieme al ministro della famiglia, Lorenzo Fontana, per discutere della lotta alla droga su cui spinge in queste settimane. “Questa convocazione a dieci giorni dalle elezioni ci è sembrato uno spot elettorale – spiega Del Fante al Fatto – Le ultime dichiarazioni del ministro dimostrano che si continua a guardare il dito e non la Luna”. Utile anche per prendere posizione in vista di una sentenza della Cassazione che potrebbe finalmente mettere ordine nel caos normativo. Ma andiamo con ordine.

La cronaca. Ieri Salvini, in tour elettorale nelle Marche, ha lodato la chiusura di tre cannabis shop nel maceratese e sostenuto che si debbano “usare tutti i metodi democratici per chiudere questi luoghi di rieducazione di massa”. Ha auspicato la legalizzazione della prostituzione (“far l’amore fa bene sempre”), chiesto al senatore M5s Matteo Mantero di ritirare la proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis e parlato dell’emanazione di una “direttiva” per replicare “il modello Macerata”.

Le repliche. “La lotta alla droga è come la pace nel mondo: la vogliamo tutti – ha detto Luigi Di Maio -. Salvini vuole chiudere i negozi irregolari? Bene. Se sono irregolari non possono restare aperti. Lo pregherei però anche di chiudere le piazze di spaccio della Camorra e della mafia”. E mentre il premier Giuseppe Conte sottolineava come il tema non fosse all’ordine del giorno, il Pd ha fatto notare che la stessa Lega aveva votato a favore della legge sulla cannabis light.

La materia. Per cannabis light si intende quella che contiene una percentuale di sostanza psicotropa (Thc) inferiore allo 0,2% (quella spacciata e illegale ne ha in media il 12%). Viene definita anche “canapa industriale” e la coltivazione in Italia è prevista dalla legge 242 del 2016 per i prodotti più vari. La legge però non include la produzione delle infiorescenze, da cui si ricava la cannabis light, né la loro libera vendita. Così, il 22 maggio del 2018 è stata emanata una circolare interpretativa del ministero dell’Agricoltura: stabilisce che “pur non essendo citate espressamente dalla legge né tra le finalità della coltura né tra i suoi possibili usi, le infiorescenze rientrano tra le coltivazioni destinate al florovivaismo, purché derivino da una delle varietà ammesse”.

La vendita. Su questa base è quindi possibile commerciarle.I negozi vendono infatti la cannabis light “per uso tecnico” e negli ultimi anni sono nati al ritmo di uno a settimana. Ad oggi, si parla di un giro d’affari da circa 40 milioni l’anno in Italia, con oltre 10mila negozi, tabaccai compresi, che vendono legalmente le infiorescenze. Sono definiti “grow shop” e si stima siano tra gli 800 e i 1.500.

Il vulnus. Il fatto che però la legge non sia chiara sulle infiorescenze ha generato un caos normativo. A mettere in crisi il sistema di vendita, a luglio del 2018, è un’altra circolare del ministero dell’Interno (quindi di Salvini) che prova a fare la guerra alle percentuali. La circolare specifica che, anche se la legge prevede una tolleranza di sforamento del Thc fino allo 0,6%, questa vale solo per il coltivatore e non per il venditore i cui prodotti devono essere sotto lo 0,2%. In sintesi: il coltivatore può produrre cannabis che arrivi fino a 0,6% a patto che abbia piantato semi da 0,2%, ma il venditore poi non può venderla. Ma è una interpretazione tanto che, finora, la Cassazione ha affrontato diverse cause per sequestri basati su di essa e sul diverso modo dei giudici di interpretare le norme. Questa eccezione, dunque, è estendibile ai commercianti?

Sezioni unite. Il 30 maggio la Cassazione a sezioni unite dovrebbe dare una lettura definitiva delle applicazioni delle norme o obbligare il legislatore a chiarire la situazione, a stabilire se la cannabis light sia un prodotto da fumo (quindi soggetto ad accise) oppure no, a dare delle regole sulla vendita e sui limiti. Una scadenza che, assieme alle elezioni Europee e alla necessità della Lega di distrarre l’attenzione dai casi Siri e Fontana, potrebbero aver spinto Salvini a dichiarare guerra alla cannabis light.

Macerata. E il “modello Macerata”? Il questore della città, Antonio Pignataro, ha spiegato che i titolari sono stati sorpresi a vendere infiorescenze oltre lo 0,6% di Thc. Ha però precisato che violavano comunque la legge del 2016: “È possibile commerciare shampoo, saponi o altri prodotti, non le infiorescenze”, ha detto ignorando la circolare del ministero dell’Agricoltura. Ma allora, circolare per circolare, si potrebbe ignorare anche quella del Viminale.