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Gli arresti di Milano lasciano passare un messaggio positivo

Gli arresti di Milano se da un lato sono motivo di sconforto, dall’altro fanno passare un messaggio positivo: disponiamo ancora di una magistratura indipendente, malgrado tutti i tentativi di lorsignori di assoggettarla in qualche modo al potere politico o finanziario. Si pensi per esempio alla legge sulla responsabilità civile dei giudici: se compilata e applicata come avrebbero voluto sarebbe stato necessario un eroismo pari a quello di Falcone e Borsellino per mettere sotto inchiesta un miliardario.

Vincenzo Bruno

 

Il circolo vizioso tra i Comuni e lo Stato

Oltre cinquecento Comuni italiani sono a rischio dissesto finanziario. Aumentano le morosità, peggiorano i servizi e aumentano le tasse locali. E spesso deve intervenire lo Stato con prestiti a lungo termine. É come un cane che si morde la coda.

Gabriele Salini

 

Non rubano più “per il partito” ma per fare carriera

Dopo anni di letture degli articoli e dei libri dei Barbacetto, Dalla Chiesa, Gomez, Travaglio sono giunto alla conclusione che mafia, ‘ndrangheta e camorra a Milano e in Lombardia non esistono. Del resto la cosa era stata anche profetizzata dall’ex ministro dell’Interno ed ex presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, che pretese ed ottenne dalla Rai una trasmissione riparatrice. Per anni giudici e polizia hanno cercato nei luoghi sbagliati.

È vero che negli anni ottanta in questa regione ci furono molti omicidi che vennero attribuiti a malavitosi dalle origini sospette. Noti giornalisti, anticipando i troll russi e usando fake news, cominciarono la loro sciagurata campagna di disinformazione a cui la Lega, Forza Italia e quelli che ora si definiscono Fratelli d’Italia da una parte e Pd dall’altra ben poco poterono per fermarli. Ora alcuni giudici, di cui noi cittadini dovremmo essere orgogliosi, sembra che abbiano individuato i veri colpevoli del sistema corruttivo che molti anni fa fu algidamente chiamato “mani pulite’’. I prosecutori, sostengono i giudici, non rubano più, come certi allocchi credevano, “per il partito’’ ma lo fanno indecentemente per far carriera nei partiti. Come vedete in questo cerchio tragico la malavita con i vari nomi non viene citata.

Franco Novembrini

 

Europee: sovranisti o no, l’astensione sarà vincente

Occupandoci delle prossime Europee, restano i dubbi su chi voterà e chi si asterrà. Ciò perché non è detto né scritto da nessuna parte che vinceranno i cosiddetti sovranisti, mandando in conseguenza all’opposizione le Merkel, gli Juncker & C., e nell’ipotesi positiva se riusciranno a cambiare la politica economica dell’Ue dall’austerity ad oltranza alla crescita. In atto le perplessità di chi dovrebbe votare circa l’utilità dell’attuale Unione sono palesi, ed è debole la speranza che, votando per i sovranisti, cambierebbero le cose. Penso, pertanto, che l’esito del voto sia incerto, ma sono convinto che ci sarà una notevole astensione.

Luigi Ferlazzo Natoli

 

DIRITTO DI REPLICA

In riferimento all’articolo “Next stock… Europa. Le turbe dei milanesi sui trasporti pubblici” pubblicato il 6 maggio, Atm desidera precisare che, contrariamente a quanto ricostruito nell’articolo, gli annunci automatici sui mezzi pubblici di superficie, che indicano la fermata successiva, sono realizzati con un sintetizzatore vocale. La frase in questione registrata è “Next stop” e non “Next stock” come da file audio allegato (che potete pubblicare sul sito per consentire ai vostri lettori di verificare direttamente).

In metropolitana, invece, gli annunci sono realizzati da persone fisiche e sono peraltro molto apprezzati dai passeggeri, come risulta dalle dichiarazioni della clientela stessa. La riconoscibile voce del metrò, in particolare, è quella di una nostra dipendente laureata in lingue. Dispiace quindi leggere una ricostruzione estremamente fantasiosa, ma inesatta, che riguarda il personale Atm che ogni giorno presta il proprio servizio per il buon funzionamento del trasporto pubblico milanese.

Ufficio stampa Atm

 

Infatti nell’articolo non si parla mai, ma proprio mai, della metropolitana, bensì dei mezzi di superficie. Su cui chiunque (altro che fantasia!) può da anni ascoltare la comunicazione: che è “next stock”, chiarissimo. Chissà perché il sintetizzatore inciampa proprio su quella sillaba del messaggio. E chissà perché nessuno ne ha controllato l’effetto ed è intervenuto per modificarlo. Speriamo che qualcuno lo faccia ora…

Nando dalla Chiesa

 

Ringrazio per aver correttamente riportato il mio pensiero in merito alle vicende del Salone del libro. Tuttavia vi chiedo di rettificare il fatto che io abbia voluto rappresentare quello altrui. A stento rappresento il mio…

Carlo Amatetti, editore di Sagoma

Evidentemente, nella conversazione che abbiamo avuto e nella quale sono state citate anche le altre case editrici, c’è stato un equivoco. Ce ne scusiamo con gli interessati e con i lettori.

Si.D’O.

Ilva Taranto. La rabbia dei cittadini e quell’unico risultato raggiungibile

Cari amici,vorrei porvi una domanda sull’Ilva, sempre e giustamente, al centro dell’attenzione collettiva. Premesso che comprendo pienamente le legittime preoccupazioni degli abitanti di Taranto e che la soluzione ideale, se fosse stata praticabile, sarebbe stata la chiusura e la riconversione dell’impianto, il mio quesito riguarda l’accordo concluso da Di Maio. All’epoca, come anche il Fatto aveva sottolineato e come era stato riconosciuto da personaggi non proprio vicini al ministro del Lavoro, quello stipulato da Di Maio era stato considerato il migliore degli accordi possibili (nelle condizioni di partenza e al netto delle promesse fatte in campagna elettorale) riguardo a salvaguardia della salute, dell’ambiente e dell’occupazione. Ora mi sembrano prevalere gli accenti critici nei confronti di quell’intesa. Come stanno veramente le cose?

Antonio

 

Gentile Antonio, la risposta non è semplice. Difficile dire se fosse il migliore possibile, sicuramente l’accordo raggiunto il 6 settembre scorso era e resta, nelle condizioni date, migliore di quello spuntato da Carlo Calenda e bocciato dai sindacati: 700 assunzioni in più e l’impegno di ArcelorMittal, seppure entro il 2025, a riassorbire i lavoratori rimasti in esubero; ulteriori anticipazioni di alcuni interventi ambientali, come la copertura dei parchi minerari, inseriti insieme a impegni un po’ più strigenti in un addendum. L’attuazione del piano, però, è complicata. ArcelorMittal è stata contestata per la scarsa trasparenza dei criteri usati per le assunzioni e, in attesa dell’avvio delle bonifiche affidate all’amministrazione straordinaria, migliaia di ex dipendenti vivono con Cig straordinaria a zero ore. Rispettare gli impegni occupazionali sarà difficile, visto che l’azienda ha annunciato che bloccherà temporaneamente l’aumento della produzione dell’ex Ilva, che contava di portare a 6 milioni di tonnellate nel 2020, per far fronte a difficoltà nel mercato europeo. Oggi al M5S resta soprattutto la gestione di decisioni prese anni fa e del contraccolpo mediatico delle promesse elettorali tradite. Che oscura anche l’unico risultato ottenibile, come la fine del “salvacondotto” penale per chi gestisce l’Ilva, peraltro concordato con l’acquirente. Il maldestro tentativo di presentare alcune migliorie ambientali come già in vigore – come ha fatto Di Maio sui filtri anti-inquinamento di nuova generazione che arriveranno solo dal 2021 – o vantare 1 miliardo per le bonifiche già stanziato da tempo, ha aggravato il senso di frustrazione delle associazioni e dei militanti tarantini, oggi riscoperti dalla grande stampa che per anni li ha ignorati.

Carlo Di Foggia

Inceneritori, la Corte Ue: “Valutazione ambientale è obbligo”

Gli stati membridell’Ue possono definire gli impianti di incenerimento dei rifiuti come prioritari, ma non esentarli dalla valutazione ambientale strategica (Vas) prevista dalle norme: è quanto ha stabilito la Corte europea di giustizia, intervenendo sul ricorso presentato da alcune organizzazioni ambientaliste contro il decreto ‘Sblocca Italia’ del 2014 e delle sue norme esecutive del 2016. Il diritto Ue, ricorda la Corte, non impedisce di qualificare gli impianti in questione come ‘insediamenti strategici di preminente interesse nazionale’, ma devono essere soggetti a una procedura di valutazione ambientale. La sentenza “boccia lo sblocca Italia” e “ci dà ragione”, esulta Marco Affronte, eurodeputato e candidato con Europa Verde nel NordEst che quattro anni fa aveva presentato un’interrogazione alla Commissione europea sul tema. “Ma soprattutto – conclude – dà ragione al Movimento Rifiuti Zero, che ringraziamo per aver presentato il ricorso alla Corte”. Una vittoria anche per il Forum H2O che ricorda come, nel 2016, aveva segnalato il problema insieme ad altri movimenti e attivisti.

Tav, tutto quello che report non ha detto

A Report hanno cambiato idea: da No a Sì Tav. Due gli elementi che sembrano aver portato alla “autocritica”: 1) il progetto è stato modificato e i lavori sono in corso; 2) le condizioni di sicurezza del traforo esistente non sono accettabili.

Non vi è dubbio che il progetto sia stato modificato né che una parte dei lavori sia già stata effettuata. È dunque del tutto corretto ricalcolare costi e benefici. Ed è quanto è stato fatto con la recente Analisi costi-benefici (Acb) che considera i soli costi ancora da sostenere e che porta a un risultato molto negativo: un impoverimento per italiani ed europei per oltre 7 miliardi che si riduce al più a 5,5 miliardi qualora si tenga conto dei lavori per la messa in sicurezza del tunnel esistente. Interventi che, peraltro, dovrebbero comunque essere realizzati anche in caso di via libera all’opera: se si considera inaccettabile l’attuale livello di rischio non si può certo aspettare il completamento della nuova linea.

In trasmissione è poi stata ripetuta la critica all’inclusione tra i costi delle minori entrate per lo Stato. Eppure, è innegabile che il cambio modale comporti un costo per l’erario. Meno auto e camion vuol dire meno soldi per servizi o più tasse per chi continuerà ad andare in fabbrica con la sua utilitaria costretto a sussidiare chi vuole andare più comodamente a Disneyland o a vedere una mostra a Lione. Tu chiamala, se vuoi, la nuova giustizia sociale.

E non sarà certo portando tremila persone sul treno che cambieranno le condizioni di lavoro delle compagnie aeree low cost o si ridurrà, se non in misura marginale, l’impatto ambientale della mobilità. Occorre ribadirlo: non è sufficiente che ci siano benefici. Occorre dimostrare che questi sono inferiori ai costi. Se così non fosse dovremmo dire sì al Tav anche se completarlo costasse 20 o 50 miliardi.

“Omertà e interessi su Xylella”. Il giudice stronca gli scienziati

L’inchiesta della Procura di Lecce sul caso Xylella degli ulivi salentini si chiude con l’archiviazione. Non è stato provato un nesso causale tra le condotte degli indagati e la diffusione del batterio. Ma le 44 pagine del decreto con cui il Gip Alcide Maritati accoglie la richiesta della procura gettano un’ombra pesante su come le ricerche sono state condotte da chi, dal 2013, tiene le redini degli studi sulla malattia dell’ulivo (CoDiRo) per conto di Ue e governo “in regime di monopolio”.

Eppure sulla base dei risultati dei ricercatori sono stati presi provvedimenti controversi per evitare la diffusione di Xylella. Due fatti chiave emergono per la prima volta: Xyella era stata trovata in Salento già nel 2004 e non nel 2013 come ritenuto finora. Gli indagati ne erano al corrente, ma daranno l’allarme 10 anni dopo. Per permettere, è l’ipotesi della procura, alla rete dei laboratori pubblici pugliesi Selge, unici autorizzati alle analisi, di munirsi dell’accreditamento per la manipolazione del batterio. Emerge anche che alcuni ricercatori in privato, nel 2014, sembrino consapevoli che Xylella è in realtà “non patogenica”, non può cioè causare malattie all’ulivo, contrariamente a quanto sempre dichiarato pubblicamente.

Il quadro che dipinge la Procura è un decalogo di come la ricerca scientifica non dovrebbe mai essere condotta: “Incredibile sciatteria da mettere in seri dubbi anche gli accertamenti in campo su cui poi si sono basate le conclusioni degli enti coinvolti”; omertà, reticenze, assenza di documentazione per l’importazione di ceppi di Xylella e di analisi del rischio nelle sperimentazioni sugli ulivi con fitofarmaci mai usati prima su quel tipo di piante; impossibilità da parte delle Als e della Regione di fornire documenti sufficienti sulle ragioni di tali esperimenti; mancata collaborazione dell’Istituto di ricerca Agronomico Mediterraneo (Iam) di Bari, coinvolto nelle ricerche, che prima concede ai pm di fare accertamenti, poi strappa l’autorizzazione invocando l’extraterritorialità; raccolta di campioni di ulivi sintomatici per effettuare analisi fuori dai protocolli sperimentali, a mani nude e con sacchi dell’immondizia. La Procura rileva “un’imbarazzante attenzione ai riflessi della notorietà sul piano scientifico e alle prospettive economiche della gestione del fenomeno, avvenuta in regime di sostanziale monopolio.”

Tra gli indagati, Giuseppe Silletti, generale della Forestale e allora commissario per l’emergenza, Antonio Guario e Silvio Schito, rispettivamente ex e attuale dirigente dell’Osservatorio fitosanitario regionale; Vito Savino, direttore del centro di ricerca Basile Caramia di Locorotondo (Bari); Franco Nigro, docente di Patologia vegetale dell’Università di Bari, oltre a Donato Boscia, responsabile della sede di Bari dell’Istituto per la protezione sostenibile delle piante (Ipsp) del Cnr che ha gestito 2 bandi di ricerca europei da 30 milioni per le ricerche su Xylella; Maria Saponari, ricercatrice del’Ipsp-Cnr.

Dalle carte emerge che nel 2004, durante un corso di aggiornamento alla presenza di Savino, Guario dichiarò che “il problema della Xylella si stava cominciando a espandere in Salento”. “Avanzò l’ipotesi che fosse arrivato dal Costarica tramite piante ornamentali, sulla base di analisi che avevano già fatto”. Il ritardo nel dare l’allarme si è tradotto nella contestazione del reato di falso, rinviato alla procura di Bari, che ha aperto una seconda inchiesta. Emergono anche comunicazioni inquietanti tra gli scienziati. In una mail del 2014, Donato Boscia scrive a Maria Saponari: “Non banalizziamo la prova, se usiamo la Coratina [una varietà di ulivo] la infettiamo con la [Xylella, ndr] fastidiosa, la osserviamo asintomatica per uno, due, tre … quindici anni. Poi quando Martelli sarà morto, Savino forse, io non so, la professoressa avrà avuto una crisi isterica perché non ci ha guadagnato nulla in tutti i sensi, tu avrai la mia età e pubblicherai che [Xylella, ndr] non è patogenica (ma questo lo sappiamo già): embé?”. Stanno mettendo a punto il primo esperimento per verificare se la Xylella, inoculata nell’ulivo, causi i sintomi di disseccamento (CoDiRo). Sembrerebbe che non siano propensi a inserire la Coratina nella sperimentazione. “Non ti preoccupare, le prove si faranno sulle varietà che decideremo noi. Non li conosci abbastanza? Secondo te c’è qualcuno che si degnerà di prendere la Coratina dal vivaio e di studiarsi come inocularle? […] non perdiamo di vista la visione generale, non dimentichiamo che il target è il CoDiRO, non facciamo cazzate con la Coratina”, scrive in una mail Saponari a Boscia.

L’esperimento è stato finanziato dall’Agenzia per la sicurezza alimentare e animale (Efsa) dell’Ue, che ha reso noti i risultati nel 2016. Sono stati cruciali per tutto ciò che è accaduto dopo: Efsa, il governo di allora, la stampa e il gotha della ricerca, a partire dall’Accademia dei Lincei, li usarono per dire che il nesso Xylella- malattia era accertato oltre ogni ragionevole dubbio, sebbene non fossero ancora passati al vaglio della comunità scientifica. Già ad agosto 2016, il Fatto aveva rilevato molte anomalie nel report. A 14 mesi dall’iniezione di Xylella su 35 ulivi, solo il 38% aveva i sintomi. Solo la Coratina non li aveva sviluppati. I ricercatori, però, non commentano il dato nelle conclusioni. Dichiarano Leccino varietà che appare resistente a Xylella, sebbene sviluppi sintomi, contrariamente alla Coratina. Perché? Non hanno mai risposto alle nostre domande. Sulla base dei pareri dell’Ipsp di Bari, il governo ha stanziato 100 milioni per espianti e reimpianti di due varietà di ulivo giudicate resistenti dai ricercatori di Bari, come la Favolosa. Non ci sono studi che lo dimostrino. Ma il Cnr è proprietario del brevetto della Favolosa.

Bando navigator, 79 mila domande per 3 mila posti

Si sono candidati in 78.788, un po’ sotto i 100 mila attesi dal governo, per guidare i beneficiari del reddito di cittadinanza alla ricerca di un lavoro. Soltanto 3 mila di questi diventeranno navigator, la figura individuata dal governo gialloverde – dopo un braccio di ferro con le Regioni – per dare supporto ai Centri per l’impiego nella parte del sussidio che riguarda le politiche attive. “Mi auguro che entro la fine di giugno i navigator potranno essere operativi e avviati alla formazione”, ha detto Mimmo Parisi, presidente dell’Agenzia nazionale per le politiche attive per il lavoro. A guidare la classifica regionale delle candidature è la Campania (13.001 candidati), subito davanti Sicilia (11.886), Lazio (9.304) e Puglia (9.191). La città con più candidati è Roma con 7.092. La prossima tappa sarà la selezione attraverso i test per 60mila candidati, che saranno ammessi in base alle graduatorie realizzate in base alla votazione di laurea. Sulla misura contro la povertà, il vicepremier Di Maio ha ribadito che “dal reddito avanzerà 1 miliardo che vogliamo utilizzare a favore delle famiglie che hanno figli o che fanno figli”.

Dal salario ai rider: la rincorsa di Zingaretti a M5S

Tra il Pd e il M5S è in atto una competizione costante sulle questioni del lavoro. In realtà, si tratta del tentativo dei Democratici di recuperare uno scarto consumato nel tempo e, da parte dei pentastellati, di risolvere la perdita di consensi nei confronti della Lega con un recupero a sinistra.

La conferma viene dalle parole che pronuncia il segretario dem, Nicola Zingaretti, nel suo libro Piazza Grande (in libreria da oggi): “Nel passaggio dal Pci al Pds e poi Ds – domanda Gad Lerner –, fu messa una sordina alle critiche del capitalismo?”. Zingaretti, nel suo modo prudente, ammette che in questi venti anni “ha prevalso l’assillo del governo” per poi riconoscere “il nostro progressivo distacco dalle classi subalterne” e l’incapacità per la sinistra a mantenere “l’elaborazione di un pensiero critico”.

Il ritardo accumulato potrebbe rendere vane le ammissioni a posteriori. Soprattutto se il cammino si fa incerto. Prendiamo la questione del salario minimo. Su questo punto, il tavolo di pochi giorni fa tra il governo e Cgil, Cisl e Uil ha registrato l’apprezzamento di quest’ultimi per l’indicazione, nel progetto di legge, dei minimi retributivi fissati nei contratti collettivi come limite invalicabile. Diverso il caso per coloro che un contratto non ce l’hanno, circa il 21% della forza occupata, e per cui la legge in discussione prevede un minimo di 9 euro lordi l’ora, (con esclusione, per ora, delle colf e badanti). Il Pd aveva presentato in prima battuta, con il senatore Mauro Laus, un disegno di legge che prevedeva 9 euro netti l’ora e già in questa indicazione così ottimistica si intravedeva l’inconsistenza della proposta. A marzo c’è stato un nuovo disegno di legge, il 1132, del senatore Nannicini, ma senza ritirare il precedente, che fa tesoro delle critiche e interviene sulla definizione di salario minimo, sulla rappresentanza e sulla rappresentatività, raccogliendo le richieste della Cgil. In questo caso, quindi, il Pd ha rincorso il M5S il quale ha il vantaggio di trattare con i sindacati dalla postazione del governo. Si vedrà quale sarà il punto di caduta: Cgil, Cisl e Uil non vorrebbero fissare alcun minimo salariale sostenendo che una definizione legislativa consentirebbe, anche in sede giudiziale, l’aggiramento dei minimi contrattuali. Il M5S accoglie la centralità del contratto collettivo – lo faceva già in sede di prima presentazione del disegno di legge della sua senatrice già esperta, Nunzia Catalfo – ma vuole coprire anche la quota di lavoratori che da quei contratti non sono coperti.

Altro terreno di competizione è quello dei rider. Di Maio aveva iniziato il suo mandato al ministero del Lavoro convocando i “fattorini”, ma poi non è riuscito a produrre nessun intervento legislativo, vuoi per fattori tecnici, vuoi per scarsa convinzione.

Zingaretti ha cercato la mossa a sorpresa approvando una legge regionale per la tutela dei lavoratori digitali. Qui, il punto dirimente è stabilire se si tratti di lavoratori dipendenti, con le relative garanzie, o, invece, come stabilito finora da due sentenze del Tribunale, di lavoratori autonomi.

La Regione Lazio allarga le tutele (contribuzione, maternità), ma non si spinge fino a dove si è spinto Luigi Di Maio estendendo la disciplina del rapporto di lavoro subordinato a quei lavori che “si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, anche attraverso il ricorso a piattaforme digitali”. Si tratta di una scelta particolarmente invisa alle imprese che fa leva sul concetto di eterorganizzazione del rapporto di lavoro come criterio per individuare la dipendenza del rapporto. Non è chiaro cosa se ne farà sia perché i 5Stelle sono vincolati a un’alleanza di governo con un partito di cui si dimentica spesso la natura liberista, sia perché le pressioni le subiscono anche loro.

Ma se si possono avere legittime riserve sulle reali intenzioni del M5S rispetto alle questioni del lavoro, va considerato che, nonostante i ripensamenti di Zingaretti, il Pd gioca ancora solo di rimessa.

Tanti oneri, poche risorse. L’allarme dell’Ispettorato

“Mille nuovi ispettori del lavoro sono in arrivo anche per le verifiche sul reddito di cittadinanza”. Rispondendo a un’interrogazione alla Camera, ieri il vicepremier Luigi Di Maio ha ricordato il piano per potenziare l’Ispettorato nazionale del Lavoro (Inl). La manovra ha sbloccato 300 assunzioni per il 2019 e 630 tra il 2020 e il 2021; il “decretone” ne ha aggiunti altri 100. I concorsi, però, richiedono tempo, mentre in questi mesi l’ente – già in affanno – si sta svuotando per i pensionamenti di Quota 100.

Pure quest’anno, insomma, resterà con le armi spuntate e gli imprenditori con dipendenti in nero avranno meno possibilità di essere beccati. Nel 2018 c’è stato l’ennesimo calo dei controlli; per il 2019 ci sono i presupposti per fare peggio. I sopralluoghi dell’Ispettorato nazionale, che ora coordina gli ispettori di ministero del Lavoro, Inps e Inail avevano coinvolto nel 2017 160 mila imprese. Nel 2018 si sono fermati a 144 mila e gli addetti irregolari scoperti sono passati da 252 mila a 162 mila. Non solo per carenza di organico, ma anche perché bisogna concentrarsi sul caporalato, che richiede più sforzi e rallenta la macchina.

Parziale consolazione: malgrado le minori “visite”, il recupero attraverso le multe è cresciuto. Nel 2017, con 180 mila verifiche, la vigilanza ha tirato fuori 1,1 miliardi. Nel 2018 ne sono bastate 166 mila per incassare 1,36 miliardi. Controlli diventati più efficaci: lo Stato riesce sempre meglio a selezionare a monte le aziende da mettere sotto la lente. La percentuale di società, tra quelle controllate, risultate non in regola è passata dal 65% al 70%. I proventi aumentano, secondo l’Ispettorato, anche per la “capacità di intercettare aziende in cui sono state commesse violazioni punite in maniera più grave”. Meno imprese raggiunte, ma quelle colpite sono le più irregolari. Restano però lontani i risultati degli anni migliori come il 2012, quando i 243 mila accertamenti hanno fatto emergere 295 mila lavoratori irregolari e recuperato oltre 1,6 miliardi.

La singola ispezione è ora più redditizia, ma in passato si riuscivano a smascherare molte più violazioni. Vista l’ottima resa, oggi i controlli sono un investimento fruttuoso per lo Stato. Perché allora non aumentarli anziché diminuirli? Per il 2019 è stato programmato di mettere al vaglio solo 147 mila imprese. Sempre che sia un obiettivo alla portata, dato che nel corso di quest’anno l’Ispettorato si svuoterà per i tanti che lasceranno il posto grazie a Quota 100. La sostituzione sarà lenta, perché mentre i pensionamenti arriveranno subito, “la previsione di nuove assunzioni – spiegano dall’Inl – non avrà riflessi immediati, viste le procedure concorsuali piuttosto lunghe”.

A complicare le attività saranno anche le energie consumate dalla lotta al caporalato. È una priorità e anche per questo alla guida dell’Inl è stato scelto il generale Leonardo Alestra. Per combattere l’intermediazione illecita, fanno notare dall’Inl, “occorre procedere alla acquisizione di elementi di prova del reato con lunghi appostamenti e attività di polizia giudiziaria”.

Azioni che richiedono molto tempo e che nel 2018 hanno permesso di aumentare del 200% gli illeciti accertati. Ma sottraggono risorse e, nel breve periodo, un ente decimato farà più fatica ad affiancarle ai controlli nei cantieri, al contrasto delle false cooperative, degli appalti illeciti e dei furbetti del reddito.

15enne stuprata in centro, caccia a due aggressori: “Li prenderemo”

È ancora in ospedale la ragazza di 15 anni aggredita e stuprata lunedì, in pieno pomeriggio a Bolzano. Stava tornando a casa da scuola seguendo lo stesso tragitto che ogni giorno fanno tante sue coetanee. Era in sella alla bicicletta, sulla pista ciclabile che sale lungo il fiume, sul vecchio tracciato della ferrovia. Attraversava il parco della città, dove il Talvera si getta nell’Isarco, a pochi metri dallo stadio: è lì che due uomini di colore sono sbucati all’improvviso, incrociando la sua strada. Per il resto la cronaca è ancora incerta, almeno nei dettagli: uno dei due – coi capelli rasta – pare l’abbia colpita con un pugno sul viso per poi scappare lontano. L’altro l’ha trascinata dietro ai cespugli per violentarla, mentre intorno – nel parco dove ogni giorno le persone corrono o portano il cane a passeggio – nessuno si accorgeva di nulla. Erano le tre di pomeriggio quando due passanti hanno ritrovato la ragazza in stato confusionale e con i vestiti strappati. In ospedale, gli esami clinici hanno confermato la violenza subita, mentre le forze dell’ordine davano il via alla caccia ai colpevoli. Ieri due persone sono state fermate, ma subito rilasciate perché non ci sono stati riscontri in merito al loro coinvolgimento. Intanto però tutta Bolzano veniva passata al setaccio da controlli straordinari, con l’intervento di venti unità di rinforzo. Qualche elemento utile all’indagine potrà arrivare dalle tracce biologiche sui vestiti, ora analizzati dalla polizia scientifica a Padova. Gli inquirenti chiedono cautela e riserbo, anche per il rispetto della vittima. Non mancano però i commenti trasversali dei politici: Giorgia Meloni chiede “tolleranza zero” e “castrazione chimica” per i colpevoli. Michaela Biancofiore (Forza Italia) dice che “per la sicurezza servono interventi forti, non selfie”.

Ucciso un incensurato parente del boss: l’ombra di Cosa Nostra sull’omicidio del commercialista

C’è l’ombra di Cosa Nostra nel delitto di ieri a Belmonte Mezzagno, centro montano a pochi chilometri da Palermo. Sotto i colpi di un killer mentre usciva dalla sua villa per dirigersi verso la sua auto, una Bmw, è caduto Antonino Di Liberto, 49 anni, commercialista incensurato, fratello dell’ex sindaco del paese e cugino di un boss della zona, Filippo Bisconti, arrestato nel dicembre scorso e oggi pentito: agli investigatori ha rivelato il suo dissenso sul nuovo organigramma della Cupola 2.0, soprattutto nel programma criminale di eliminare i boss dissenzienti della provincia.

Parentele tuttora al vaglio dai carabinieri del Nucleo operativo coordinati dalla Dda di Palermo che oltre alla dinamica (la vittima avrebbe cercato di fuggire con la sua auto, ma è stato raggiunto da almeno quattro colpi esplosi con una 7,65) stanno cercando di ricostruire il contesto in cui è maturato l’omicidio. E se è ancora presto per ascriverlo alla vendetta contro il parente di un collaboratore di giustizia, che riaprirebbe una stagione sanguinosa ormai archiviata, gli investigatori stanno passando al setaccio i rapporti della vittima, molto conosciuta nel comprensorio, visto che era anche fratello dell’ex sindaco Pietro Diliberto, in carica fino a due anni fa.

Proprio la parentela con Bisconti causò nel 2014 la revoca di tre incarichi da parte dell’Enel all’azienda, la Siem, in cui l’ex sindaco, di professione ingegnere, stava lavorando. Paradossalmente, però, quella stessa parentela non aveva influenzato il suo incarico di sindaco, che mantenne dal maggio 2012 al giugno 2017 dopo essere stato eletto con il sostegno della lista del Pd: “Mi contestano la parentela di ottavo grado con il figlio del fratello di mia nonna che non vedo da anni”, disse Diliberto due anni dopo l’elezione.