Virginia Raggi “è stata vittima di un raggiro ordito dai fratelli Marra in suo danno”, era ignara quindi delle manovre in Campidoglio per promuovere il fratello del suo ex capo del Personale. Sono alcune delle motivazioni con le quali il giudice Roberto Ranazzi ha assolto la sindaca di Roma dall’accusa di falso perchè il fatto non costituisce reato.
In 324 pagine il giudice spiega che la prima cittadina non ha favorito la nomina di Renato Marra, fratello del più noto Raffaele, alla direzione del dipartimento Turismo capitolino, come invece riteneva la Procura di Roma, che ne aveva chiesto la condanna a 10 mesi. In primis per il giudice manca il movente del presunto falso: “L’assenza di un fine illecito per il reato contestato alla Raggi, è stato un limite per l’ipotesi accusatoria”. Per Ranazzi, l’accusa “non potendo sostenere che il falso era finalizzato ad agevolare l’abuso d’ufficio di Marra, dato che ne aveva chiesto l’archiviazione per mancanza dell’elemento soggettivo, ha cercato altrove il movente, dapprima nel rapporto di amicizia con quest’ultimo (…) e in un secondo momento, in sede di requisitoria (quasi improvvisando), addirittura nello scopo di evitare di essere indagata come complice del Marra e di essere quindi costretta a dare le dimissioni dal M5S e, in ultima analisi, dalla carica di sindaco”.
In questo caso la tesi della procura era smentita “da un post sul blog dei 5stelle”, nel quale si spiega che non “esisteva alcun automatismo” per le dimissioni, ma si valutava caso per caso. Per quanto riguarda i rapporti tra la sindaca e il suo ex braccio destro, sarebbero stati “tutt’altro che buoni” fin dagli “inizi del mese di dicembre 2016”. Insomma per il giudice, “appare certo che” la Raggi “non avesse alcun interesse a tutelare” Raffaele Marra”, tantomeno “a dichiarare il falso”.
Ma c’è un errore che la sindaca ha commesso, secondo Ranazzi. E sta nella nota inviata all’Anac, in cui “affermava che Marra aveva eseguito le determinazioni impartite ‘senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisionali’”. Per il giudice “la affermazione che il Marra non ha partecipato alla fase istruttoria dell’interpello (…) non corrisponde alla realtà”. Tuttavia la Raggi “l’ha spiegata come una deformazione professionale, perché avrebbe ragionato da avvocato piuttosto che da amministratore”. In altre parole, la sindaca ha sbagliato “sulla nozione di ‘attività istruttoria’, ritenendo tale soltanto quella che venisse accompagnata dall’esercizio di un potere autonomo e discrezionale”.
Per il resto le sue affermazioni sono ritenute credibili dal giudice. Anche quando ha sostenuto di non sapere nulla della riunione del 26 ottobre 2016 tenutasi “informalmente nell’ufficio di Raffaele Marra”, dove sarebbe “maturata la domanda” del fratello.
E l’agire dei “fratelli Marra” alle spalle della sindaca, trova riscontro negli “sms antecedenti e successivi alla nomina”, dove i due “si accordano” per “caldeggiare la nomina di Renato” all’ex “presidente del Consiglio comunale Marcello de Vito” (ora in carcere per corruzione in merito ad altre vicende), in modo da poter aggirare il possibile “diniego del Sindaco Raggi”.
È l’11 luglio 2016 quando Raffaele Marra scrive al fratello: “Stanno mettendo in giro voci che il sindaco vuole nominarti comandante. Ovvio che ti vogliono bruciare! Cerca di prendere contatti con De Vito. Se riesci con lui metà strada è fatta”. Il giorno dopo, Renato Marra incontra davvero De Vito: “ Sto alla buvette. C’è De Vito. Mo’ lo fermo e gli parlo”. E Raffaele consiglia: “(…) Fagli capire che nel terzo tu sai tutto. Parlagli del terzo. A lui interessa solo quello. Digli che puoi dargli una mano perché conosci tutti e sai tutto su tutti”. La sentenza sarà impugnata dai magistrati, che presenteranno ricorso.