Il triste Natale di Biden: alleati, riforme e consensi sotto zero

In questo Natale, Joe Manchin è uno dei personaggi più popolari negli Stati Uniti: giornali, tv, siti gli dedicano articoli e ritratti. E, probabilmente, è il meno popolare alla Casa Bianca: la portavoce del presidente Biden, Jen Psaki, critica “l’improvviso e inspiegabile cambiamento di posizione” del senatore dem della West Virginia, venuto meno “agli impegni presi con il presidente e con i suoi colleghi deputati e senatori”. L’evidente imbarazzo dell’Amministrazione Biden manda in solluchero la stampa conservatrice. Jarrett Stepman scrive sul Daily Signal: “L’ossessione di spesa dei democratici trova un ostacolo nel senatore Manchin”. E ciò suscita “una reazione scomposta nella sinistra democratica” che – osserva Stepman – “la dice lunga” sulle tensioni nel partito di Biden. Per il presidente, non è un Natale scintillante: il tasso di popolarità è in calo dopo la rotta di Kabul tra agosto e settembre; la pandemia che a metà dicembre ha superato le 800 mila vittime – gli Usa restano il Paese dove il contagio ha fatto più morti al mondo –, ha un sussulto causa Omicron; l’esplosione del- l’inflazione azzera i benefici della crescita per le classi lavoratrici.

I bracci di ferro ingaggiati con la Russia sull’Ucraina e con la Cina su Taiwan non migliorano il giudizio della gente sull’operato di Biden. La Casa Bianca contava d’impressionare gli elettori ottenendo, prima di Natale, il sì del Congresso a un pacchetto d’interventi per 2.000 miliardi di dollari. Ma una settimana fa il presidente ha dovuto riconoscere che ci vorrà più tempo per ammorbidire la posizione del senatore Manchin, il cui voto è indispensabile: democratici e repubblicani sono 50 pari in Senato e i repubblicani, sempre contrari a incrementare la spesa pubblica, sono compatti. Il senatore della West Virginia, il più conservatore fra i democratici, ha spiegato la sua posizione alla conservatrice Fox News: “Non posso votare questo provvedimento… Ci ho provato, ma non ce la faccio… Il mio è un no…”. A frenarlo, è – o sarebbe – l’incremento dell’indebitamento pubblico Usa. Ma il senatore è anche critico sull’impatto delle scelte dell’Amministrazione in materia ambientale sul suo Stato. In West Virginia, le miniere di carbone conservano una grande importanza sull’economia locale. La sortita di Manchin è stata letta dai media Usa come “un colpo forse fatale” al pacchetto Biden, “elemento centrale nell’agenda domestica dell’Amministrazione”, scrivono quasi all’unisono Washington Post e New York Times. Spiegando perché la Casa Bianca s’è sentita “tradita”, i media raccontano i retroscena del negoziato tra il presidente e il senatore e svelano “l’offerta segreta” fatta da Manchin a Biden: ok a tutta una serie di misure, ma un freno alla spesa in generale e uno stop all’estensione di sgravi a favore delle famiglie. Che le cose si stesso mettendo male per l’Amministrazione Biden, lo si era capito quando Manchin aveva bloccato, sul fronte energetico, la messa al bando delle prospezioni petrolifere offshore nell’Artico: un gesto ostile, forse un avvertimento rimasto inascoltato – ma Biden non baratta le sue priorità con le ubbie del senatore –. La stampa ora si chiede, come fa la Casa Bianca: “Che cosa davvero vuole Manchin?”, ex quarterback della West Virginia University ed ex governatore del suo Stato; e per cosa, o per chi, abbia tradito la parola data. Fatto sta che Biden si ritrova a Natale con un pugno di mosche in mano.

Sotto l’albero, può mettere solo una legge approvata a metà dicembre – democratici a favore, repubblicani contro, senza defezioni – che innalza il limite del debito pubblico e allontana lo spettro di uno shutdown dell’Amministrazione fin dopo le elezioni di novembre.

Crisi rifugiati: richieste d’asilo triplicate nell’ultimo anno

Se nel 2020 le domande d’asilo ricevute dalle autorità messicane superavano di poco le 41mila unità, le richieste ricevute dallo Stato sudamericano nel 2021 sono triplicate: hanno fatto domanda d’accoglienza più di 123mila persone, riferiscono i dati della Comar (Commissione messicana per gli aiuti ai rifugiati), supportata dal governo di Città del Messico e Nazioni Unite. Le cifre le ha confermate il ministro degli Esteri messicano Marcelo Ebrard, definendo “enorme” l’aumento delle richieste. Principalmente due sono i motivi della scelta di quanti vogliono raggiungere il Messico: confina con gli Stati Uniti ed è la soglia di passaggio perfetta per quanti tentano di raggiungerli ogni giorno; il processo di richiesta d’asilo in Messico ha maglie larghissime e oltre il 95% delle domande, ogni anno in media, viene approvato.

Molte delle decine di migliaia di persone in fuga tentano di lasciarsi alle spalle violenze del narcotraffico e delle gang. Quasi tutte sono originarie del cosiddetto “triangolo del Nord”, composto da Guatemala, El Salvador, Honduras. Spesso, però, i rifugiati, arrivati in Messico, rimangono prigionieri delle tendopoli al confine. E’ la comunità haitiana che più delle altre ha inoltrato i documenti per ottenere lo status destinato ai rifugiati: il numero di richieste dall’isola è aumentato di almeno sette volte rispetto al passato, passando da 5mila a 47mila. In maniera legale o illegale, con ogni mezzo: nel 2020 solo 4mila haitiani hanno penetrato i confini messicani, contro gli oltre 17mila che hanno varcato la frontiera senza documenti nel 2021. Dei 190mila migranti senza documenti arrestati in Messico, oltre 73mila sono stati rimpatriati.

Il 9 dicembre scorso a Tuxtla Gutierrez, Capitale del Chiapas, 56 guatemaltechi hanno perso la vita in un terribile incidente: erano stipati in un camion che li stava trasportando illegalmente negli Stati Uniti. In Usa, intanto, il presidente Joe Biden non ha ritirato l’ordine di Trump, il “Title 42”, “titolo 42”, che consente alle forze dell’ordine a stelle e strisce di rispedire subito indietro chiunque al confine sudamericano. Una scelta netta e brutale, rafforzata dalla perentoria dichiarazione di Alejandro Majorkas, segretario della Homeland security, sicurezza interna americana: “Il messaggio è chiaro. Non venite qui. Il confine è chiuso. Espelliamo intere famiglie e singoli adulti”.

In cile il pueblo è stato unido. La nuova sinistra di Boric

Per noi che abbiamo subìto il colpo di Stato del 1973 (mi ci metto anche io, che ero solo di passaggio, ma mi feci 21 giorni di campo di concentramento), il sollievo per la vittoria di Boric, e soprattutto per la scampata vittoria di Kast, è stato probabilmente ancora maggiore che per i più giovani. Ma mi è capitato anche, alla vigilia, di cercare di rassicurare il mio giovane collaboratore Thomas, 24enne, che passava dal ‘Me ne andrò. Dove mi consigli di emigrare?’ al ‘Se necessario rischierò la vita in piazza’. Ovviamente Kast non avrebbe né voluto né potuto militarizzare il Cile.

Il timoreche razionalmente ho condiviso anche io era quello che la sua possibile vittoria avrebbe provocato presto, o addirittura subito, una ripresa più violenta degli scontri dell’estallido social, con avvitamento nella proclamazione degli “stati di emergenza”, vittime e martiri. Ora in tutto il mondo ci si complimenta con Boric, ma fino a qualche giorno fa erano in molti in Cile a chiedersi “sarà stato il candidato giusto?”. Un maschio, un politico, così giovane? Personalmente Boric mi era sembrato simpatico, intelligente, abile e moderno, come può esserlo – per capirci –, un verde tedesco. Con una più forte, e necessaria per il Cile, inclinazione sui temi sociali, e con una altrettanto necessaria indipendenza dalle esperienze del “socialismo reale” latino americano. Alle primarie della coalizione elettorale di sinistra, a luglio, Boric si impose a sorpresa e nettamente (60 a 40), sul favorito comunista Danlel Jadue. A quel punto la strada per la presidenza sembrava in discesa.

Nessuno prevedeva, 5 mesi fa, che Kast potesse superare nel primo turno il candidato ufficiale del centrodestra (Sichel) e, anzi, tutti i candidati. C’è stato un cambiamento psicologico nel baricentro, o comunque in settori importanti, dell’elettorato attivo e potenziale. Un riflusso (è stato chiamato un contraestallido), un “non se ne può più” nei confronti dei gruppi militanti che affrontano i carabineros, delle promesse di cambiamento della sinistra, delle controversie sul “politicamente corretto” nei lavori della Convenzione Costituente. Improvvisamente è sembrato a molti che la microcriminalità, il narcotraffico, la guerriglia di alcuni gruppi mapuche e l’immigrazione “irregolare” nel Nord, costituissero una priorità. Tra settembre e novembre l’ascesa di Kast (nei sondaggi, non nelle piazze), è stata vertiginosa e ha spiazzato la sinistra. Tra le grandi qualità di Boric c’è stata quella di reagire, proteggendo immediatamente i punti deboli senza mostrare di mettersi sulla difensiva. Ha individuato e lanciato la popolare giovane presidente dell’Ordine dei medici ed è corso nei Comuni dove il narcotraffico ha fatto più vittime.

Sapientemente ha favorito le dichiarazioni d’appoggio dei partiti tradizionali che negli anni scorsi aveva contestato. Lagos e Bachelet hanno ricordato che Boric è stato uno dei padri dell’accordo del 15 novembre 2019 per dare il via al processo costituente, ciò che molti del suo campo politico non volevano. Al tempo stesso ha incontrato gli “accecati” dai proiettili dell’estallido, mantenendo il dialogo con i movimenti. Il problema non era solo quello di contenere l’oscillazione del pendolo verso la conservazione. Era anche di prendere atto che nello stesso 21 novembre del primo turno presidenziale il voto per le parlamentari aveva portato centrodestra e/o destra alla metà dei seggi nel Senato. Confesso che la sera dei risultati del primo turno stavo per rinunciare al programmato e pregustato viaggio per assistere alla elezione del giovane presidente. Per fortuna ho tenuto duro. All’arrivo ho constatato di persona che i discorsi in Cile erano cambiati rispetto ai tempi dell’estallido. Preoccupazioni sul disordine, sul possibile peso negativo dei comunisti, serpeggiavano

anche tra alcuni miei amici. Ottimista, forse anche per il suo ruolo di membro della Convenzione costituente, Patricio Fernandez mi diceva: “La cosa buona è che le varie componenti di sinistra che nella Convenzione hanno la maggioranza, ora hanno capito che dobbiamo produrre a breve una Costituzione che possa essere approvata nel successivo referendum”. Ho poi visitato la Convenzione e visto coi mie occhi che lavorano senza apparenti giochetti propagandistici. Tornando a Boric, tutti gli ingredienti si sono mescolati bene e gli hanno dato il trionfo. Lo si respirava già nella grande manifestazione di chiusura della campagna a Santiago. Ma non si sa mai, il pueblo raramente è unido.

Morto archeologo Karageorghis. Scoprì i tesori di Salamina

Il professoree archeologo cipriota Vassos Karageorghis, protagonista della storia dell’archeologia mediterranea, è morto a Nicosia a 92 anni. L’annuncio della scomparsa è stato dato dall’Università di Cipro. Fondamentali i suoi scavi di Salamina, l’antica città sulla costa orientale di Cipro, alla foce del fiume Pedio, 6 chilometri a nord della moderna Famagosta: Karageorghis ha scoperto la palestra, il teatro, lo stadio e l’anfiteatro (1952-67), poi la necropoli e le grandi tombe reali (1962-67). Karageorghis ha anche scoperto le necropoli di Akhera e di Pendayia.

Helsinki accende il nuovo reattore nucleare: 12 anni di ritardi, costi triplicati a 8,5 miliardi

Con 12 anni di ritardo e costi lievitati da 3,2 a 8,5 miliardi, nella notte del 21 dicembre la Finlandia ha finalmente avviato il terzo reattore nucleare della centrale di Olkiluoto, la più potente d’Europa. Costruito dal gruppo francese Areva, a gennaio il reattore produrrà energia al 30% della sua capacità massima e arriverà a piena potenza a giugno. A regime, il reattore aumenterà la capacità elettrica finlandese di 1.600 megawatt e produrrà circa il 14% dell’energia del Paese, portando la quota del nucleare al 40% del totale. A causa dei ritardi, Areva dovrà pagare una penalità di un miliardo. La costruzione era stata avviata il 12 agosto 2005 da Areva e dalla tedesca Siemens, che ha abbandonato il progetto nel 2009, quando il reattore avrebbe dovuto entrare in funzione.

La Finlandia ha 5,5 milioni di abitanti, poco meno della Campania, e un consumo pro-capite di elettricità di 15.250 kilowattora (tre volte la media italiana). Per i sostenitori del nucleare, il nuovo reattore con 60 anni di vita utile genererà oltre 700 terawattora di energia, riducendo le emissioni di circa 560 milioni di tonnellate di CO2. Secondo l’ultimo rapporto sull’energia nucleare nel mondo realizzato da un gruppo di esperti internazionali indipendenti, nel 2020 produrre un kilowattora di elettricità con il fotovoltaico costava in media 3,7 dollari, con l’eolico 4, con il gas 5,9, con il carbone 11,2 e con il nucleare 16,3 dollari. In una situazione di mercato normale, le fonti rinnovabili sono così convenienti che in molti casi i loro costi finali sono inferiori a quelli operativi base delle centrali nucleari. Il problema del nucleare è anche la rapidità con la quale vanno abbattute le emissioni, visti i tempi e i ritardi biblici per costruire nuove centrali. C’è poi il tema della sicurezza: la Francia la scorsa settimana ha fermato quattro reattori per problemi. Secondo i sostenitori delle rinnovabili, i progetti di nuove centrali atomiche rispondono solo a ragioni politiche (militari per la Francia, di influenza geopolitica per la Cina) e agli interessi delle aziende del settore.

Intanto il Commissario Ue all’economia, Paolo Gentiloni, ha reso noto che “nessuna decisione” è stata presa dall’Esecutivo di Bruxelles sull’inserimento di gas e nucleare tra le fonti energetiche compatibili con gli obiettivi climatici della “tassonomia” europea. L’adozione della classificazione slitta a metà gennaio per la necessità di tornare a consultare i governi divisi sulla valutazione delle due fonti.

Il valore aggiunto al cambio di oggi

Lenin, com’è noto, non aveva una grande opinione dei socialisti tedeschi: prima di prendere un treno per andare a rovesciare il governo, disse, comprerebbero il biglietto. Più tedeschi che socialisti, in sostanza. Lo ricordiamo oggi che un socialdemocratico siede sulla poltrona di Cancelliere e un altro si appresta a prendere quella di governatore della Bundesbank, la banca centrale tempio dell’ortodossia. È con questi due tizi – e la sottostante coalizione “semaforo” che sostiene il governo a Berlino – che Mario Draghi dovrà esercitare il suo assai decantato “valore aggiunto”: s’intende che il curriculum e la credibilità dell’attuale premier dovrebbero portare in dote all’Italia e all’Europa regole di bilancio un po’ meno penalizzanti di quelle avute finora, specie in vista di un futuro in cui la politica monetaria della Bce sia meno amichevole dell’attuale. Questo è il vero compito che, quale che sia la poltrona che occuperà, la fase storica assegna al premier E qui torniamo ai socialisti tedeschi secondo Lenin. Il Cancelliere Olaf Scholz, in visita a Roma qualche giorno fa, ha stipulato un accordo totale con Draghi, per carità, ma poi ha detto questo: “Il Patto di Stabilità ha dimostrato già in passato la propria flessibilità e, nel quadro di queste regole, decideremo come agire in futuro”. Si tratta dello stesso Patto che Draghi ha descritto invece in Parlamento come “regole pro-cicliche che hanno aggravato i problemi” (e in pochi gli hanno ricordato che lui contribuì a scriverle e farle applicare). Il prossimo governatore della Bundesbank, Joachim Nagel, è un caso ancor più da manuale di socialista tedesco: si è schierato praticamente contro ogni scelta di Draghi alla Bce e ora il ministro delle Finanze Cristian Lindner, un liberale giusto un filo più falco di Wolfgang Schäuble, lo saluta come l’uomo che ricorderà a Christine Lagarde che l’inflazione è troppo alta e la ricreazione è finita. Ora, non per dubitare di San Mario da Città della Pieve, però un dubbio ci angoscia: non è che i socialisti tedeschi acquistano il loro famoso biglietto ferroviario in euro e Draghi c’ha il valore aggiunto in lire?

Mail Box

Bersani potrebbe essere il degno erede di Pertini

Proporrei che il nostro giornale desse corso a una consultazione, per candidare Pier Luigi Bersani a presidente della Repubblica. In mezzo a una banda di ominicchi, ladri e lacchè, lui è un gigante. Sono convinto che potrebbe avere il successo del mai rimpianto Sandro Pertini.

Fausto Beggi

 

La carta dei giornaloni per confezionare i doni

Natale si avvicina e sto ancora aspettando la carta da regalo gratuita. Quasi tutti i giornaloni hanno ospitato due intere pagine di carta colorata, disegnata dall’artista Nicolò Canova, con l’invito a riciclarla per incartare i regali (economia circolare, sigh!). Noi poveri lettori del Fatto Quotidiano come facciamo? Vogliamo carta riciclata, diamine… fa tendenza: transizione ecologica! Fatevene regalare un po’ anche voi. Sembra basti rivolgersi a Eni.

Melquiades

 

Autostrade risponde a un lettore sull’app

In merito alla segnalazione del sig. Antonio Bovenzi, pubblicata il 19 dicembre con titolo “Può una app ripagare il ritardo”, vorremmo ricordare che il servizio lanciato attraverso l’App Free To X si caratterizza come una iniziativa innovativa – condivisa con il ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili – che non ha al momento riscontri in nessuna altra realtà italiana ed europea. L’eventuale estensione del servizio all’intera rete autostradale potrà essere valutata dal Mims fermo restando che Free To X e Aspi restano disponibili a collaborare con le altre Società concessionarie per facilitarne eventualmente l’estensione. La Customer experience dell’attuale sperimentazione è già facilitata per i clienti di telepedaggio che ricevono i rimborsi in automatico senza fare alcuna richiesta, stiamo lavorando per automatizzare il servizio anche per i clienti che pagano il pedaggio con carte di credito o contanti, già nei prossimi mesi, tramite la lettura della targa. Si ricorda inoltre che il ritardo è riconosciuto su tutte le tratte in gestione ad Autostrade per l’Italia quando viene generato dalla riduzione delle corsie disponibili dovute a cantieri programmati di manutenzione o ammodernamento. Restano esclusi i ritardi dovuti a incidenti, traffico intenso o eventi meteo in quanto non attribuibili alla gestione del concessionario. Nella sezione “Cashback” del sito, https://www.freeto-x.it/cashback, sono disponibili tutte le informazioni utili per conoscere gli ulteriori dettagli dell’iniziativa.

Ufficio Stampa Free To X

 

DIRITTO DI REPLICA

Scrivo per l’articolo di Stefano Vergine: “Renzi, in un’inchiesta a Firenze i rapporti con la Soka Gakkai”, apparso sul Fatto martedì. Desidero smentire i contenuti dell’articolo – falsi e tendenziosi – riferiti all’Istituto. Intanto, è falso il contesto: la Soka Gakkai è una comunità buddista composta da circa centomila fedeli in Italia e dodici milioni nel mondo. Essa ha siglato l’Intesa con lo Stato nel 2015 dopo un iter di tredici anni. L’intesa è poi stata ratificata nel 2016 dai due rami del Parlamento con voto unanime. Nel 2020 ha ricevuto per la prima volta i fondi dell’8 x mille e li ha tutti destinati a fronteggiare i problemi legati alla pandemia finanziando 10 progetti di numerose Ong italiane e operatori del settore. Il resto dell’articolo contiene illazioni false e prive di fondamento riferite a rapporti di natura non istituzionale con Matteo Renzi. Smentiamo ogni fantomatico investimento petrolifero o nella Banca Mitsui nonché qualsiasi coinvolgimento con investimenti della stessa in Italia e sugli impianti di Tempa Rossa. È poi grave e ridicola l’affermazione secondo cui l’allora presidente Renzi abbia ricevuto in dono azioni “privilegiate” della Mitsui. La vicenda è stata peraltro già smentita dai presunti autori della rivelazione – Occhiello e Brunori – i quali ieri hanno pubblicato un post dell’Aivs, (https:// www.facebook.com/ 18967 36353944278/posts/ 3105886529695915/) nel quale si dissociano dalla notizia. Infine, l’articolo afferma che il giornalista avrebbe chiesto chiarimenti alla Soka Gakkai senza ricevere risposta: in realtà non è stato chiesto nulla al riguardo, a conferma dell’assenza di una effettiva verifica delle informazioni prima della loro pubblicazione.

Roberto Minganti Relazioni Esterne IBISG

 

Come dimostra l’email inviata all’ufficio stampa lunedì 19 dicembre alle 15.31, e contrariamente a quanto sostenuto, Soka Gakkai aveva la possibilità di spiegare, prima della pubblicazione dell’articolo, la propria posizione sui presunti interessi nel gruppo Mitsui. Prendiamo atto della smentita su qualsiasi investimento in Mitsui. L’articolo riporta le informazioni rivelate alla Procura di Firenze da Francesco Brunori e Antonio Occhiello. Il post dell’Avis non smentisce alcuna informazione riportata nel pezzo.

S. V.

Da un prof. “La nostra scuola fragile, come le foglie d’autunno”

Gentile redazione, “si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie”: mi viene subito in mente la poesia Soldati di Giuseppe Ungaretti pensando al mio lavoro d’insegnante in questo periodo. Ora, per fortuna, non piovono bombe e pallottole. Ma varianti di Covid-19.

Ogni giorno, superando il portone della scuola, mi chiedo: oggi a chi toccherà? E ogni giorno, puntuale, qualche ragazzo scompare dal suo banco e, poi, si materializza sullo schermo del pc per le lezioni in Dad (Didattica a distanza). Oppure, è qualche professore a scomparire: questi, però, non si materializzerà da nessuna parte. In entrambi i casi, comunque, si potrà assistere alla preside, alla vicepreside, alle segretarie, alle bidelle mentre si affannano a rincorrere le file dei contagi, cercando d’arrestare qualcosa d’invisibile. Oso pensare che nelle terapie intensive degli ospedali si possa lavorare con più sicurezza: lì, almeno, si deve aderire a protocolli rigidi, si hanno scafandri di protezione, si sta in spazi adeguati. A scuola, invece, mancano i distanziamenti, non tutti possono permettersi una mascherina Ffp2 al giorno, si fa fatica a rispettare per bene i protocolli, nonostante gli sforzi, perché i ragazzi sono tanti, perché l’abitudine e la stanchezza fanno perdere spesso la concentrazione, perché la scuola è contatto di persone. Cosa si potrebbe fare? Per esempio, abbattere il numero degli alunni in aula, potenziare il tracciamento e la campionatura (a proposito, usiamo l’italiano anziché i tracing e gli screening), fornire materiali sanitari adeguati, inviare di continuo ispettori a controllare e a perfezionare le procedure, ricevere sostegno instancabile dal ministro, areare le aule con macchinari appositi. L’epidemia, ben inteso, aggredisce un corpo scolastico già fiaccato da altre patologie, per usare una terminologia che da mesi rimbomba nelle nostre orecchie.

Sopravvivrà dunque, e come, questa scuola? Ci sarà qualcuno che presto o tardi ascolterà la voce, anzi, le urla di noi insegnanti? I nostri scioperi, tanti, troppi, sgangherati, sono diventati come la grandine, fastidiosi ma tutto sommato brevi. Adesso, mentre sto scrivendo questa lettera, è notte: “A che punto è la notte?”, si chiedeva qualcuno. Domattina, conterò come al solito le foglie cadute, o magari altri conteranno la mia.

Daniele Barni

Un nonno al servizio delle istituzioni. Ma pure il contrario!

A questo giro aspettavamo con particolare ansia la conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio, un po’ perché è raro sentire la sua voce e soprattutto perché sapevamo che per forza o per amore Mario Draghi si sarebbe dovuto sbottonare un po’ anche a proposito dei suoi destini personali. Il premier ha parlato e più chiaro di così, per essere lui, non poteva. Proviamo a tradurre dal draghese i punti fondamentali.

Punto primo, nessuno è insostituibile e lui non è indispensabile a Palazzo Chigi: “Il governo è nato chiamato dal presidente della Repubblica, ha fatto tanto di quello che era chiamato a fare, fondamentale è stato il sostegno delle forze politiche ed è quello che conta. Le forze politiche sono quelle che hanno permesso di agire a questo governo, che non è nelle mani di individui. Sarebbe fare una offesa all’Italia, che è molto di più di un insieme di individui, è determinata da un complesso di forze, di persone e di sostegno politico che permettono di andare nella direzione giusta”. E ancora su questo punto, prima: “Quale che sia il prossimo governo, l’importante è che sia sostenuto da una maggioranza più ampia possibile (dunque non si riferisce a un governo post-elettorale, ndr). Per questo ringrazio la maggioranza perché capisco che non sia facile lavorare insieme con idee diverse e punti di partenza drammaticamente diversi. Questo governo comincia con la chiamata del presidente Mattarella, una chiamata di altissimo ordine che si è tradotta in vicinanza costante all’azione di governo. Ma la responsabilità quotidiana sta nel Parlamento così come la prosecuzione sta nel Parlamento. È il Parlamento a decidere la vita del governo quest’anno e sempre”. Santissime parole in teoria, in pratica un po’ meno perché se il presidente del Consiglio pensa davvero queste cose avrebbe dovuto ricorrere con meno frequenza ai decreti.

Secondo punto, una grattatina tra le orecchie ai partiti (di cui pare si sia rotto, e parecchio, i camilleriani cabbasisi): “Più che rivendicare di aver fatto il possibile, voglio ringraziare tutte le forze politiche: senza il loro ruolo, quello del Parlamento, dei gruppi parlamentari e la loro disponibilità non saremmo riusciti ad approvare in tempo la manovra e lo dico nella maniera più sincera”. Terzo punto, la parte difficile è alle spalle: “Abbiamo conseguito tre grandi risultati: siamo uno dei Paesi più vaccinati, abbiamo consegnato in tempo il Pnrr e abbiamo raggiunto i 51 obiettivi. Il governo ha creato queste condizioni indipendentemente da chi ci sarà”. Quarto punto (pizzino), il bivio del Colle rispetto alla tenuta del governo: “Quello di una maggioranza che si spacchi nell’elezione del presidente della Repubblica certamente è uno scenario da temere. Avendo detto che ci vuole una maggioranza ampia, anche più ampia della attuale, perché l’azione di governo continui, è immaginabile una maggioranza che si spacchi sull’elezione del presidente della Repubblica e si ricomponga nel sostegno al governo? È la domanda che dobbiamo farci”. Ultimo e fondamentale punto: Se proprio insistete… “Il mio destino personale non conta assolutamente niente, non ho particolari aspirazioni, sono un uomo e un nonno al servizio delle istituzioni”. Sappiamo che spesso la verità si nasconde nella pervicacia con cui la si nega e pure che “nonno” vuole dire Quirinale. Dunque il messaggio di fine anno (in attesa di quello dal Colle, nel 2022) è: sono qui, sono prestigioso, sono nonno e sarà meglio per voi se mi fate traslocare. Sennò tutti subito a casa. Un nonno al servizio delle istituzioni e pure le istituzioni al servizio di nonno Mario…

 

Per salvarci, dedichiamo più tempo al benessere comune

Non sappiamo che tempo sta arrivando. Non serve a molto pronunciarsi in previsioni. Meglio stare dentro ogni giornata con lucida attenzione e con qualche slancio. Siamo chiamati a fare la nostra parte e può bastare il rispetto dei consigli che ci vengono dalle autorità sanitarie. Non possiamo pensare di essere buoni cittadini limitandoci ad acquisire il green pass. La situazione è veramente grave e richiede comportamenti eccezionali da parte di ogni cittadino. A cominciare dalla capacità di dedicare parte del nostro tempo agli altri. Serve che una quota della nostra giornata sia destinata a una qualche forma di servizio civile. E non c’è bisogno che arrivi qualcuno a darci le istruzioni sul da farsi. Ognuno sa come potrebbe rendersi utile. Già togliere una carta da terra è un buon segno. E poi dobbiamo capire che le premure per gli altri in qualche modo ci tornano e così pure una dedizione alle nostre passioni. Un poco spiace che i governanti sono piuttosto silenti su questi ragionamenti che potremmo definire caldi. E anche nella società c’è una deriva tecnicista, come se fossimo tutti diventati governanti. Di tecnici possono bastare quelli che sono al governo e altri che lo sono di professione. Per il resto è bene ricordarsi che a noi compete dare vita alla vita, più che opinioni: siamo qui per dipingere il quadro, la cornice spetta ad altri. Forse in questo momento è sbagliato parlare del fatto che dobbiamo uscire da questa situazione. Non siamo caduti in un pozzo da cui uscire. Siamo dentro un mondo che si trasforma ogni giorno e tra le trasformazioni ora abbiamo anche quella di un virus che per si può definire uno specialista nelle trasformazioni. In un certo senso dovremmo andare a scuola dal virus e trasformarci anche noi, ma nel senso della clemenza, della gentilezza, della dedizione alle premure più che ai guadagni. Vorrei che la classe politica ricordasse più spesso queste cose. E invece anche nella più grave delle situazioni sembra invischiata nei suoi giochi di Palazzo: tenere in piedi l’ipotesi che Berlusconi diventi presidente della Repubblica prima che un’offesa a una parte degli italiani è un’offesa proprio a Berlusconi e segnala che la politica emana regole sanitarie, ma poi non si prende cura della sua salute e si dedica anima e corpo alle sue malattie. È importante in questa fase che ognuno dia spazio al suo ottimismo della volontà senza illustrarci il suo pessimismo della ragione. Abbiamo capito che non basta l’immunità di gregge, ci vuole la coesione degli intenti, la fermezza nel cambiare direzione, dare e darsi delle speranze e degli orizzonti nuovi più che limitarsi a descriverli. Questa cosa non poteva essere scritta nel Piano di spesa che è stato fatto dal governo. Queste cose le deve fare ognuno di noi e subito. Nei luoghi non devono solo gocciolare monete, ma desideri. Sappiamo bene quanto può essere pericoloso il denaro senza i sogni.