Le statistiche dei femminicidi in Italia sono da allarme rosso: dal 1° gennaio al 21 novembre 2021 c’è stata in Italia una vittima ogni tre giorni, 109 sono state le vittime sul totale di 263 omicidi volontari: il 68% è avvenuto per mano del marito, fidanzato, amante o ex, il 27% di genitori/figli, il 5% di altri (Fonte Corsera).
È una guerra all’insegna del “dominio del maschio” contro creature inermi, vittime della subcultura delle caverne che alimenta i gesti subumani di individui i quali non si rassegnano alla separazione, per la donna unica via di salvezza dopo anni di sofferenze morali, di angherie, di prepotenze e di maltrattamenti sopportati senza reagire specie in presenza di figli (non di rado anch’essi vittime della violenza domestica).
In questo quadro è doveroso interrogarsi sulle responsabilità delle istituzioni della Repubblica che non proteggono adeguatamente, con leggi appropriate ed efficaci misure di sicurezza, le donne esposte a gravi minacce e a sistematiche violenze, spesso prodromi di morte (alle misure che “devono proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza” e “devono concentrarsi sulla sicurezza delle vittime” si richiama l’art. 18 della Convenzione di Istanbul del 2012 firmata anche dall’Italia: proteggere significa salvare, presidiare, difendere, custodire, preservare, assicurare.
Sul piano normativo, per la salvaguardia della donna è stato adottato la misura dell’allontanamento obbligato dell’uomo violento dalla donna, con il connesso divieto di avvicinarsi al domicilio della vittima e al suo luogo di lavoro, ma si tratta di una scelta sbagliata. Infatti – come dimostra l’esperienza – nella totalità dei casi di violenza estrema, l’ex partner, accecato dalla gelosia, dall’odio e dalla follia, non si cura affatto dei divieti né degli ammonimenti del Questore e va dritto per la sua strada alla ricerca della donna per ucciderla, talvolta usando un tranello (“Incontriamoci per l’ultima volta”).
Se questo è vero ne deriva che l’attuale strategia va capovolta nel senso che è la donna che subisce gravissime minacce, ovvero sia stata già vittima di azioni violente, a dover essere allontanata dall’uomo e posta immediatamente sotto protezione in un luogo sicuro, distante dalla casa familiare, se del caso, in un’altra città, anche sotto falso nome.
Per mettere in salvo le donne sotto attacco vanno pertanto dispiegati strumenti coercitivi preventivi, necessari per neutralizzare l’aguzzino (non si dimentichi che si tratta di un soggetto dalla elevatissima capacità criminale, forse tra i più pericolosi in assoluto) e cioè:
1) perseguibilità d’ufficio, in mancanza della denunzia della vittima, qualsiasi sia la fonte della notitia criminis che va raccolta anche attraverso uno speciale “numero verde” della Polizia;
2) raddoppio delle pene previste per gli atti persecutori di cui all’art. 613 bis C.P.;
3) fermo o arresto dell’indiziato su autorizzazione del Pm;
4) arresto obbligatorio dell’indiziato in flagranza o in flagranza protratta;
5) custodia cautelare obbligatoria in carcere;
6) processo direttissimo in Tribunale con esclusione del patteggiamento e del giudizio abbreviato;
7) pena dell’ergastolo in Corte d’Assise per l’omicidio commesso da una delle persone indicate dall’art. 613 bis C.P. (coniuge anche separato o divorziato, persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa).
In uno degli ultimi Consigli dei ministri è stato varato un disegno di legge che prevede nuovi interventi per prevenire le aggressioni degli stalker tra cui l’adozione del braccialetto elettronico. Al riguardo si può osservare che, a parte le note difficoltà di applicazione di tale misura, con l’arresto, la custodia obbligatoria in carcere e la condanna immediata dei colpevoli, il problema della salvaguardia delle donne sarebbe in gran parte risolto.
Ma occorre far presto, prima che le statistiche delle morti femminili subiscano nuove intollerabili impennate.