Tre anni, 3 mesi e venti giorni di reclusione: la Corte d’appello di Cagliari ha condannato ieri per peculato Francesca Barracciu, ex sottosegretaria alla Cultura del governo Renzi. Meno dei quattro anni stabiliti in primo grado, ma decisamente più di quanto lei è disposta ad accettare: “Andremo serenamente al terzo tempo davanti alla Cassazione”, dichiara al fianco del suo legale Franco Luigi Satta. L’accusa contro la Barracciu è di appropriazioni indebite di fondi destinati ai gruppi del Consiglio regionale sardo che, complessivamente, si aggirano intorno agli 80mila euro: cifre giustificate dalla suddetta come “spese carburante” e “rimborsi chilometrici”. Giustificazione smentita dalle indagini del pm Marco Cocco e dal giudizio di due tribunali. L’ex sottosegretaria non si perde d’animo: “Per ora, mi conforta che sia caduta una delle accuse su cui in tanti avevano speculato”. Il riferimento è alla decisione della Corte di lasciar cadere la seconda contestazione per 3.600 euro riguardante un assegno a carico del gruppo consiliare destinato al una società che, nel 2009, avrebbe organizzato eventi per il Pd. Sono state inoltre risultate prescritte le “spese pazze” effettuate dal dicembre 2005 all’aprile 2006.
Contropiede umbro: il Pd non fa dimettere Marini
Catiuscia Marini non lascia. Non ancora. Ieri doveva essere l’ultimo giorno da presidente della Regione Umbria per la governatrice del Pd, che si era dimessa il 17 aprile dopo lo scoppio dell’inchiesta sui concorsi truccati nella sanità locale. E invece con un colpo di teatro il consiglio regionale ha preso altro tempo. Al posto delle dimissioni della Marini è stata votata una mozione presentata dal Partito democratico che propone di “approfondire il dibattito”.
Sembra una clamorosa smentita della linea di Nicola Zingaretti, che aveva faticosamente persuaso la Marini al passo indietro, ma si tratta più che altro di un espediente per allungare il brodo. L’assemblea legislativa si riunirà di nuovo entro il 18 maggio. Quel giorno però il voto del consiglio sarà su un’altra mozione, ancora del Pd, per ribadire la fiducia nei confronti della governatrice.
Ma la Marini non dovrebbe restare a lungo in sella. Tra i dem umbri (e anche in altri partiti) c’è chi vorrebbe dimenticare lo scandalo e tirare avanti con la consiliatura, allontanando le elezioni regionali e la probabile vittoria della Lega (oltre al rischio concreto di non essere rieletti). Ma il Pd sa anche di non poter fare finta di nulla: ignorare le conseguenze dell’inchiesta sulla sanità avrebbe un effetto devastante. Così il gruppo dem è spaccato: l’ex segretario regionale Giacomo Leonelli e l’assessore Fabio Paparelli hanno posto il veto su qualsiasi ipotesi di prosecuzione della presidenza Marini. L’accordo raggiunto nel gruppo è grosso modo il seguente: il partito voterà una mozione di fiducia a favore della presidentessa dimissionaria come sorta di risarcimento politico. Con la garanzia però che stavolta sarà davvero l’ultimo atto della consiliatura: ottenuto “l’onore delle armi” Catiuscia Marini dovrebbe presentare di nuovo le dimissioni, stavolta senza ulteriori sorprese.
Intanto però la figura poco nobile per il Nazareno è servita. E infatti la decisione della maggioranza dem in consiglio regionale ha guadagnato alla Marini e ai suoi le ironie e le censure dell’opposizione. La Lega, che ha gioco facile, dichiara con il suo consigliere Valerio Mancini che “la Regione non può più aspettare”, per la 5 Stelle Maria Grazia Carbonari “la maggioranza cambia idea di ora in ora su cosa fare”.
Per Zingaretti e il commissario locale Walter Verini non è una bella notizia. Ieri dal partito romano non è arrivato nessun commento, ma non è passato inosservato che nel lungo discorso della governatrice non sia stata pronunciata una sola parola sul merito delle questioni (morali più che giudiziarie) alla base delle sue dimissioni.
Gli appalti sporchi della Calabria: indagato Oliverio
Appalti truccati e corruzione. Ma anche nomine telecomandate alla Regione Calabria. Amministratori pubblici, politici e imprenditori. Tutti nel registro degli indagati compresi i due candidati in pectore alle prossime Regionali: il governatore uscente Mario Oliverio (Pd) e il sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto (Forza Italia). Un terremoto giudiziario nato da un’inchiesta della Procura di Catanzaro sugli appalti pubblici nella città di Cosenza. I carabinieri per Tutela ambientale di Roma hanno notificato l’avviso di conclusione indagini a 20 persone. Tra questi ci sono pure l’ex deputato del Pd Nicola Adamo e il consigliere regionale Luigi Incarnato.
Traffico di influenze illecite è l’accusa nei confronti di quest’ultimo che, nel febbraio 2016, sfruttando le sue relazioni politiche con molti consiglieri comunali di Cosenza li ha convinti a dimettersi per fare cadere il sindaco Occhiuto. In cambio si è fatto promettere “incarichi pubblici e istituzionali da Nicola Adamo e Mario Oliverio”. Detto, fatto: la sua “mediazione illecita” è stata ripagata con la nomina a commissario liquidatore della Sorical spa (Società Risorse Idriche Calabresi).
Il cuore dell’inchiesta “Passepartout”, coordinata dal procuratore Nicola Gratteri e dal sostituto Vito Valerio, riguarda i bandi di gara per la costruzione del nuovo ospedale, della metropolitana di superfice e del Museo di Alarico, ma anche il ripristino della tratta ferroviaria turistica della Sila. Dietro tutto, secondo la Procura, c’è un’associazione a delinquere di cui farebbero parte il presidente Oliverio come promotore, il suo fedelissimo Nicola Adamo, il dirigente della Regione Luigi Giuseppe Zinno, il direttore di Ferrovie Calabria Giuseppe Lo Feuro e gli imprenditori Pietro Ventura e Rocco Borgia. Per i pm tutti avevano “lo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti contro la Pubblica amministrazione”. Il “punto di riferimento” sarebbe stato Nicola Adamo ritenuto “l’elemento di raccordo tra esponenti politici, amministratori pubblici e imprenditori privati”. L’obiettivo era quello di mantenere il controllo sulle procedure di aggiudicazione delle principali opere pubbliche e di favorire la realizzazione delle stesse, attraverso il coinvolgimento di imprese amiche e sponsorizzate dagli indagati. Il tutto attraverso “collusioni, accordi, promesse e mezzi fraudolenti”.
Nicola Adamo suggeriva e Oliverio si dava da fare. Per la costruzione del nuovo ospedale, la politica e la burocrazia regionale hanno prima concertato la strategia di partecipazione alla gara d’appalto, “orientando raggruppamenti di imprese interessate in modo da pre-individuare la ‘cordata’ vincitrice’”, e poi hanno turbato la procedura aggiudicando lo studio di fattibilità del nosocomio alla società Steam srl.
Nell’affare del sistema di collegamento metropolitano tra Cosenza, Rende e l’Unical è rimasto impigliato anche il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto che, secondo gli inquirenti, in cambio della firma sull’accordo di programma per la realizzazione di un sistema di mobilità sostenibile, avrebbe accettato “la promessa avanzata da Oliverio per il tramite del dirigente Luigi Zinno, di ottenere da parte della Regione Calabria i finanziamenti e la copertura amministrativa per la realizzazione del Museo di Alarico, oggetto di gara d’appalto (illegittima) indetta dal Comune di Cosenza”. Per Occhiuto quella gara “non può affatto essere definita illegittima, avendo già superato il controllo del competente giudice amministrativo”.
Dopo il suo coinvolgimento nel dicembre scorso nell’inchiesta “Lande desolate”, ricevuto l’avviso di garanzia il governatore Oliverio parla di “gogna” a cui è sottoposto: “Devo constatare – dice – che mi sono state contestate, come ipotesi di reato, fattispecie che, a mio avviso, attengono alla normale vita politico-amministrativa dell’ente”.
Daspo per mazzette: a Palermo si applica la “Spazzacorrotti”
Tangenti per sbloccare gli appalti per opere pubbliche. Sono 14 gli arrestati nell’inchiesta “Cuci e Scuci” della Procura di Palermo, che coinvolgono imprenditori e quattro funzionari del Provveditorato Opere Pubbliche di Palermo. Sono accusati di corruzione, falso in atti pubblici e truffa aggravata ai danni dello Stato. Secondo gli inquirenti, gli imprenditori avrebbero pagato delle mazzette, pari al 2-3% del valore del finanziamento, per ottenere i lavori. In seguito, i funzionari avrebbero introdotto nel capitolato delle spese fittizie che avrebbero permesso agli imprenditori di poter recuperare la tangente elargita. Sono otto gli appalti, tra Sicilia e Calabria, finiti nel mirino dei magistrati. Il sistema è stato scoperto grazie alla denuncia di un imprenditore che si è rifiutato di pagare la “bustarella” ai dirigenti per la ristrutturazione edile di una scuola elementare nella provincia di Palermo. Per gli otto imprenditori sarebbe già entrata in vigore la legge “Spazzacorrotti”, il provvedimento cautelare che prevede il divieto di poter contrattare con la Pubblica amministrazione per almeno un anno.
L’ex forzista Arata interrogato per tre ore. Verbale secretato
L’imprenditore Paolo Arata di fronte ai pm romani in un interrogatorio durato quasi tre ore, il cui verbale è stato secretato. E il sottosegretario Armando Siri che si appresta a fare lo stesso nelle prossime ore. Prosegue l’inchiesta dei pm romani in cui sono indagati per corruzione l’ex parlamentare genovese e il sottosegretario della Lega, sul quale si indaga per una “promessa o dazione” di 30 mila euro in cambio dell’inserimento di emendamenti per incentivi per il cosiddetto mini-eolico. Ieri i pm hanno chiesto ad Arata chiarimenti sull’intercettazione ambientale, durante la quale l’imprenditore parla con il figlio del denaro destinato a Siri. Ma agli atti d’indagine ci sono anche altre informative della Dia in cui si parla dei rapporti di Arata con il mondo della politica e l’incontro con Siri. “Abbiamo reso dichiarazioni sulla vicenda che chiama in causa il mio assistito: ha fornito la sua versione dei fatti”, ha spiegato Gaetano Scalise, legale di Arata. Adesso quindi la palla passa al sottosegretario, che renderà spontanee dichiarazioni. “Il mio assistito non si sottrarrà al confronto con i pm – ha detto il difensore Fabio Pinelli – risponderà a eventuali richieste di chiarimenti”.
Finanziamento illecito, i pm indagano sui soldi di Esselunga alla onlus leghista
Un finanziamento della Esselunga alla onlus di area leghista Più Voci. È questo l’oggetto della nuova indagine della Procura di Milano che – come rivelato ieri dal Fatto Quotidiano – ha aperto un fascicolo sull’associazione presieduta dal tesoriere della Lega, Giulio Centemero. L’inchiesta riguarda 40 mila euro versati da Bernardo Caprotti, il patron della Esselunga, poi scomparso nel settembre 2016. I pm milanesi hanno aperto un fascicolo “a modello 44”, cioè con l’indicazione del reato – finanziamento illecito – ma per ora senza alcun nome di persona indagata. Esselunga ha regolarmente iscritto a bilancio l’erogazione come finanziamento a Più Voci. Ma i magistrati ipotizzano che si tratti di un modo obliquo per far arrivare soldi alla Lega. Ritengono dunque che si tratti di un finanziamento illecito, che scatta, come dice il comma 2 dell’articolo 7 della legge che regola i contributi alle formazioni politiche, quando un privato versa denaro “a partiti o loro articolazioni politico-organizzative”, senza che il partito lo dichiari. Più Voci, secondo l’ipotesi della Procura di Milano, è una “articolazione politico-organizzativa” della Lega, messa in campo in una fase in cui, a causa delle condanne ricevute, tutti i soldi affluiti su conti riconoscibili della Lega sarebbero finiti sotto sequestro. Del versamento di Esselunga si era già occupato L’Espresso. Secondo quanto riportato dal settimanale, la causale del bonifico di 40 mila euro “versato a giugno 2016 recita ‘contributo volontario 2016’”. All’Espresso la catena di supermercati aveva spiegato che quella somma di denaro “è stata destinata a Radio Padania nell’ambito della pianificazione legata agli investimenti pubblicitari su oltre 70 radio”.
Sul versamento partito da Esselunga, ma anche su altro denaro affluito all’associazione Più Voci, ora cerca di fare luce la Procura di Milano. Perché se è vero che la onlus non ha obbligo di presentare bilanci, aveva però un conto corrente bancario su cui non è difficile controllare le entrate. L’ipotesi che i magistrati guidati dal procuratore Francesco Greco stanno verificando è che Centemero fosse alle prese, nel 2015, con la crisi di Radio Padania, l’emittente radiofonica della Lega, che per sopravvivere aveva urgente bisogno di fondi. Il rischio era però che fosse considerata dai pm un organo del partito, con il rischio che i soldi arrivati sui suoi conti potessero essere sequestrati. Ecco allora – secondo le ipotesi investigative – l’utilizzo, per la raccolta di fondi per la Lega e le sue attività, di una associazione, Più Voci, che meno facilmente poteva essere individuata come strumento del partito, benché avesse come presidente il tesoriere della Lega.
Anche la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta sulla Più Voci e (a differenza di Milano) ha iscritto Centemero nel registro degli indagati per finanziamento illecito. In questo caso i pm capitolini indagano su 250 mila euro ricevuti nel 2015 da una società del gruppo di Luca Parnasi, l’imprenditore poi indagato con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro la Pubblica amministrazione.
Spread e tassi d’interesse: la faciloneria del terrore
All’inizio sembrava una cosa scontata. Tra l’ex ministro economista e la tizia con la triennale chi può conoscere meglio l’effetto dello spread sui titoli di Stato sui mutui bancari? E così il “questo lo dice lei” con cui Laura Castelli, in tv, tentò di negare che l’effetto fosse diretto e automatico (cioè aumenta il primo, aumenta il peso del secondo) passò quasi in proverbio. Solo che poi, nei mesi, l’automatismo vantato da Pier Carlo Padoan (più spread, mutui più costosi) faticava a manifestarsi nei dati.
Ora, però, Banca d’Italia dà qualche appiglio ai fans dell’ex ministro: “Il rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato si sta trasmettendo gradualmente al costo dei nuovi finanziamenti. Rispetto a settembre i margini applicati dalle banche sui mutui a tasso fisso sono cresciuti di quasi 50 punti base, mentre quelli sui mutui a tasso variabile si sono mantenuti stabili”.
E già qui c’è un problema: lo spread al momento avrebbe infettato il tasso fisso (cioè i nuovi mutui saranno più cari), ma non quello variabile, né – dice sempre Bankitalia – i prestiti alle imprese. Un meccanismo di trasmissione molto lento e bizzarro, il cui funzionamento forse necessita di qualche cautela e che però, su Repubblica, danno per certo e ne calcolano il costo sul tasso fisso con “un ulteriore aumento di 50 punti base” in “3,5-4 miliardi” (cifra che non si sa da dove venga, ma tant’è). Riassunto: “Il mutuo sarà più caro”.
Andrebbe detto però che i tassi sui mutui rimangono – citiamo il report mensile di aprile dell’Associazione bancaria italiana (Abi) – “molto bassi”: i tassi medi dei prestiti alle società non finanziarie a marzo erano al loro minimo, quelli per i mutui sulle case in calo (ma leggermente più alti rispetto all’estate); entrambi, però, risultato in calo rispetto a un anno prima, marzo 2018. E qui c’è un problema sull’effetto spread di Padoan: tra marzo 2018 e marzo 2019 ci sono 120 punti di differenziale Btp-Bund in più, come possono i tassi medi essere più bassi se l’effetto è automatico?
“Né patrimonio, né reddito adeguato. Mutuo da non dare”
Ci sono tante, troppe anomalie in quel mutuo da 585 mila euro erogato al sottosegretario leghista alle Infrastrutture Armando Siri dalla Banca Agricola Commerciale di San Marino. A partire, come ha documentato Report nella puntata di lunedi, dall’assenza di garanzie reali per la banca. Quel mutuo, spiega al Fatto Quotidiano una fonte interna alla banca sanmarinese che vuole mantenere l’anonimato, non poteva né doveva essere erogato: viola qualsiasi procedura corretta di analisi del rischio e anche il normale buon senso.
Gli uomini che normalmente dispongono dell’analisi della solvibilità del credito nelle banche sanno benissimo che, oltre alle ipoteche di rito, conta nell’assegnazione di un prestito immobiliare anche la capacità di onorare le rate. La capacità di rimborso, insomma. E questo dipende non solo dalla solidità patrimoniale del soggetto (che già nel caso di Siri manca) ma anche dal suo reddito. L’ultima dichiarazione dei redditi del 2017 assegna a Siri un imponibile di 25mila euro e poco più. Tolte le tasse quel reddito non basta neanche a coprire le mensilità di rate per un intero anno. Un mutuo di quell’entità pur nelle migliori condizioni di tasso e durata supera i 2mila euro di rata mensile. Totale 24mila euro di rimborso annuo. Siri, pagate le tasse, avrebbe un reddito netto di meno di 20mila euro. Neanche sufficiente a coprire un anno di pagamenti.
Si obietterà che Siri, eletto senatore nella primavera del 2018, ha svoltato sul piano economico. L’indennità da parlamentare gli garantisce piena copertura della rata rispetto al reddito. Ma anche qui, spiega un banchiere, c’è un punto dolente. Quello stipendio non è garantito per sempre. Se si andasse a nuove elezioni e Siri non venisse rieletto, ecco che quella capacità di avere flussi di cassa idonei a restituire il prestito verrebbe meno all’istante.
E ancora. Come sa bene qualsiasi italiano che ha un mutuo, le banche finanziano al massimo l’80 per cento del valore dell’immobile. L’avvocato di Siri ha detto che “la banca ha erogato un regolare finanziamento, per altro per un importo pari al prezzo dell’acquisto del bene”. Un mutuo al 100% quindi, cosa che a un normale italiano verrebbe negata all’istante. Evidentemente a San Marino, e in particolare alla Banca Agricola Commerciale, le procedure nell’assegnazione dei prestiti non sembrano essere improntate al rigore e alla sana e prudente gestione del credito. Basti del resto l’importo. A Siri, senza ipoteche e contando solo sull’indennità parlamentare, hanno dato sull’unghia oltre mezzo milione di euro. Ebbene, tutta la banca, guidata dal nuovo direttore generale Marco Perotti insediatosi a luglio del 2018, aveva nel 2017 (ultimo bilancio disponibile) un totale prestiti di 542 milioni. Significa che Siri da solo costituisce un millesimo di tutto lo stock dei prestiti della Banca. Una cifra imponente con un rischio così alto su una sola persona fisica: è come se Unicredit prestasse (senza garanzie) 400 milioni di euro a un unico cliente.
Per di più la banca è piena di sofferenze. I crediti malati sono ben 119 milioni oltre il 20% degli impieghi con coperture solo al 24%. Ma ad altri e non a Siri le garanzie sono state chieste eccome: su 542 milioni, ben 411 milioni sono prestiti con garanzie e ipoteche reali per la banca. Quel prestito confida ancora la nostra gola profonda non aveva nessun requisito per essere concesso.
Matteo Salvini dice di essere “assolutamente tranquillo, possono aprire tutte le inchieste che vogliono: se a Siri viene contestato di avere un mutuo, è un reato che stanno compiendo alcuni milioni di italiani che pagano la rata ogni mese”. Ma quello del suo sottosegretario non è certo il mutuo di un normale cittadino italiano.
È l’ultimo giorno di Siri. Conte forza: “Niente voto”
Oggi si farà male solo lui, Armando Siri, perché in qualche modo verrà spinto fuori dal governo. Probabilmente senza l’ordalia, senza un voto nel Consiglio dei ministri di questa mattina. Ma da qui a breve o a brevissimo chissà, bravo chi sa prevedere come e quanto si sopporteranno ancora i gialloverdi, che nel giorno in cui fioccano arresti e avvisi di garanzia da Nord a Sud ormai ammettono quello che tutti vedono, confermano che “c’è spaccatura e non solo su Siri, anche su Tav e autonomie” come dice Matteo Salvini a Matrix. E a distanza l’altro vicepremier Luigi Di Maio glielo rinfaccia, come si fa tra ragazzi che bisticciano: “Chiedete alla Lega se vuole aprire una crisi sul sottosegretario”. Ma anche se lui e Salvini non si parlano più da settimane il capo dei 5Stelle sa che non succederà oggi, e non così. E infatti le solite “fonti M5S” puntano il dito contro la Lega “che cerca pretesti per rompere”, ma indicano un’altra arma e un altro luogo per far saltare il banco, la conversione in legge del decreto Sblocca cantieri, ora in Senato. Invece oggi alle 9.30 tutti i ministri di Lega e Movimento saranno in Consiglio dei ministri, e lo schema di gioco non è ancora certo.
Anche se ieri sera pareva in calo l’ipotesi peggiore, quella urlata ieri per tutto il giorno da Salvini, ossia “che i 5Stelle si prendano la responsabilità di votare per le dimissioni di un sottosegretario senza alcuna prova” (sempre il ministro dell’Interno, a Zapping). E sarebbe la conta, quella dei pareri favorevoli e contrari (ma comunque non vincolanti) al decreto di revoca già deciso dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e che dovrà essere firmato dal Quirinale. Per questo Di Maio fino all’ultimo ha invocato le dimissioni dell’ultimo minuto del sottosegretario indagato per corruzione. Ma le fonti, questa volta del Carroccio, giuravano che “non se ne parla”. Però in questa gara a chi fa la faccia più feroce c’è anche tanto sangue finto. Così va notato il periodo ipotetico adoperato da Salvini, “se si voterà”. E pesa il Giancarlo Giorgetti che lo ha detto dritto: “Il Cdm? L’interesse è che il governo vada avanti”. Così potrebbe prevalere la linea del premier, di Giuseppe Conte, che oggi in Consiglio dirà che il decreto di revoca, deciso da lui d’intesa con il ministro competente (quello alle Infrastrutture, il 5Stelle Danilo Toninelli) non va votato. “Il presidente andrà dritto, starà alla Lega decidere se si deve per forza andare alla conta” dicono da Palazzo Chigi.
E potrebbe finire così, con leghisti e 5Stelle in silenzio sul caso del sottosegretario, senza farsi male. “Diciamo che andremo in Cdm e vedremo fin dove possiamo arrivare” riassume una fonte di governo del Carroccio, convinta che “sarebbe inutile e controproducente votare”. Però Salvini potrebbe farsi sentire, fare fuoco dimostrativo.
E nella ridda di ipotesi e calcoli scorrono le scene di una vigilia comunque da stracci incrociati, con il ministro dell’Interno e Di Maio che si rincorrono nelle tv e nelle dichiarazioni. E ad aggiungere benzina provvede la pioggia di arresti in Lombardia, che flagella Forza Italia, certo, “ma quella è pur sempre la casa della Lega” dicono fuori taccuino i 5Stelle. Ergo, l’inchiesta lombarda alimenta “la questione morale, quella su cui faremo tutta la campagna da qui alle europee del 26 maggio” confermano dal Movimento. E non è un caso che fonti di governo raccontino volentieri una scena di ieri mattina. Con Giorgetti che a margine di una riunione avvicina il ministro alla Famiglia, il veneto Lorenzo Fontana, e gli chiede: “Ma che diamine stanno combinando in Lombardia?”. Però la certezza è che i 5Stelle puntano il dito. Magari anche perché “devono parlare all’elettorato di sinistra, perché il loro vero terrore è arrivare dietro il Pd il 26 maggio” come punge il leghista Igor Iezzi.
Così nel pomeriggio Di Maio e il ministro alla Giustizia Alfonso Bonafede tengono una conferenza stampa alla Camera, decisa e convocata in poche ore, in cui il Guardasigilli elenca effetti e pregi della legge Spazzacorrotti. “Grazie a noi chi sbaglia paga” rivendica. E visto che c’è precisa: “Non commento le indagini, ma la politica lasci in pace i magistrati e si assuma le proprie responsabilità”. Invece Di Maio è quasi messianico, e ripesca quel termine del 1992 che ha segnato un’epoca: “Ci aspettiamo una reazione delle forze politiche, contro una Tangentopoli mai finita”. Poi ovviamente infierisce su Siri e sul nuovo caso rivelato da Report: “È ora di spiegare quel mutuo per un palazzo, fatto con una banca di San Marino”.
Ma soprattutto promette leggi draconiane, ad occhio indigeste per il Carroccio: da quella contro la grande evasione (le manette agli evasori) alla legge sul conflitto d’interesse, fino a un testo sui rapporti “tra istituzioni e lobby” e a un altro sulla riduzione dei tempi della giustizia. Però non cita praticamente mai Salvini, perché l’urgenza è superare la nottata, tenersi a galla almeno fino al 26 maggio.
E in serata alla Camera arriva anche Davide Casaleggio, per capire che aria tira. “D’altronde Salvini va capito, non può cedere su Siri perché deve rassicurare gli altri dei suoi, quelli indagati o rinviati a giudizio” riflette un big del M5S.
Tanto oggi non si potrà più traccheggiare. Almeno su Siri, il problema che è solo un sintomo, dei malanni gialloverdi.
Due anni al finanziere. “Chiese soldi al marito della consigliera Pd”
Il Tribunale di Bari ha condannato a due anni di reclusione (pena sospesa) il militare della Guardia di Finanza Gerardo Leone, accusato di aver chiesto denaro, 40mila euro, ad Alessandro Cataldo, marito della consigliera regionale pugliese del Pd Anita Maurodinoia, per “addomesticare” e “insabbiare” un’indagine penale su corruzione e truffa all’ex Provincia di Bari in cui entrambi sono tuttora indagati. I giudici hanno riqualificato il reato contestato da tentata concussione a tentata induzione indebita a dare o promettere utilità e lo hanno assolto “perché il fatto non sussiste” dall’accusa di rivelazione di segreti d’ufficio. Il finanziere, arrestato per questa vicenda nel luglio 2015 e attualmente sospeso dal servizio, dovrà inoltre risarcire Cataldo, assistito dall’avvocato Gianni Signorile, con una provvisionale di 2.500 euro. Il difensore dell’imputato, avvocato Antonio La scala, si dice soddisfatto e punta sull’appello. Stando all’accusa il militare, nel corso di vari colloqui registrati dalla presunta vittima, lo aveva informato circa il procedimento in corso (attualmente in fase di udienza preliminare) “e aveva rappresentato la minaccia del danno conseguente all’esecuzione di una misura cautelare”.