Bonafede: “Corpi speciali per indagare sotto copertura”

“Sto scrivendo ai ministri della Difesa, al Mef e al ministro dell’Interno perché siano istituiti nuclei speciali, corpi specializzati, per le indagini sotto copertura” sulla corruzione. “È molto importante per colpire la corruzione”. Lo ha annunciato ieri il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, in conferenza stampa alla Camera, ricordando che l’agente sotto copertura è previsto dalla legge “spazzacorrotti”. “Con la legge ‘spazzacorrotti’ – ha detto ancora il Guardasigilli – chi sbaglia paga e paga sul serio. Oggi la corruzione è comparata a reati come il terrorismo. Il codice penale deve avere una sua serietà agli occhi dei cittadini”. Bonafede non ha voluto entrare nel merito delle inchieste che hanno portato agli arresti di ieri in Lombardia e in Sicilia e ha invitato i partiti a “lasciar lavorare i magistrati”. “Noi – ha sottolineato il ministro – abbiamo introdotto il cosiddetto pentito per la corruzione. Ai cittadini diciamo: denunciate e autodenunciatevi, lo Stato è dalla vostra parte, non solo con le chiacchiere ma con le leggi. Autodenunciatevi, perché lo Stato è dalla vostra parte”.

I due “volti nuovi” di FI mettono nei guai Gelmini

Erano le facce nuove di Forza Italia in Lombardia, i volti su cui puntare per il presente, ma soprattutto per il futuro. E invece sono finiti uno in carcere, Pietro Tatarella, e l’altro ai domiciliari, Fabio Altitonante. Il primo vicecoordinatore regionale, ovvero il numero due di Mariastella Gelmini e candidato forte alle Europee; il secondo coordinatore milanese e consigliere a Palazzo Lombardia. Mentre una richiesta di arresto è arrivata anche per il deputato Diego Sozzani, ingegnere novarese alla prima legislatura, per finanziamento illecito.

Due carriere parallele, quelle di Tatarella e Altitonante, per ora schiantate sull’accusa di corruzione. Ma soprattutto un brutto colpo per Forza Italia, proprio il giorno dopo l’uscita di Silvio Berlusconi dal San Raffaele, dov’è rimasto ricoverato più di una settimana per il delicato intervento post occlusione intestinale. Sembra un film già visto, ma questa volta per FI è davvero una mazzata, con Berlusconi quasi impossibilitato a fare campagna e la nuova classe dirigente lombarda decapitata a 20 giorni dalle Europee.

Ieri, i gruppi in Parlamento e in Regione Lombardia erano frastornati. Nel caos. “Proprio ora che ci stavamo riprendendo nei sondaggi, ora si rischia di non arrivare al 10%. Per fortuna che c’è la vicenda Siri a tenere banco, ma da qui al voto non deve succedere altro”, sostiene un deputato azzurro. E sotto accusa, a Roma come a Milano, finisce l’ex ministra Gelmini, verso cui il malcontento cova da tempo.

Tatarella (nessuna parentela con Pinuccio) è il giovane forzista rampante del Nord da lei molto sponsorizzato e in odore di elezione europea il prossimo 26 maggio, alla luce anche dell’ottimo risultato (5 mila preferenze) ottenuto alle comunali milanesi. Non nasce “gelminiano”, ma nella scia di Stefano Maullu, oggi deputato, e con la coordinatrice lombarda in passato ha avuto pure diversi scontri, specie dopo la mancata nomina a capogruppo a Palazzo Marino, da lui ritenuta un oltraggio. Poi, però, gli animi si sono placati e Gelmini l’ha preso sotto la sua ala protettrice, forse anche per strapparlo a Giovanni Toti, con cui Tatarella flirta volentieri. “È un totiano coperto, e nemmeno poi tanto…”, lo descrivono in Fi.

Lunedì sera per esempio, a poche ore dal suo arresto, a una cena elettorale a Brignano Gera d’Adda, nel bergamasco, con lui c’erano Alessandro Sorte e Stefano Benigni, la quinta colonna totiana a Montecitorio. Mentre sabato Tatarella era a Genova, insieme al governatore. E sabato, nel capoluogo ligure a sostenere il suo amico e collega, c’era anche Altitonante. I due hanno un rapporto che va oltre la politica, tanto da trascorrere le vacanze insieme.

Nato a Teramo, ma milanese d’adozione, Altitonante fa il salto nel 2013, quando diventa consigliere regionale: si occupa di case e infrastrutture, fino a diventare, nel 2018, sottosegretario alla rigenerazione e sviluppo dell’area Expo.

I due, ieri, sono stati sospesi dal partito, mentre Sozzani si è autosospeso. “Deve valere sempre la presunzione d’innocenza e a tutti dev’essere riconosciuto il diritto di difendersi nel corso del processo”, recita la nota serale di Silvio Berlusconi. Mentre nel pomeriggio le uniche a parlare sono state le capogruppo, Gelmini e Bernini. “Se qualcuno ha sbagliato, è giusto che paghi. Ma c’è una questione di timing: ogni elezioni negli ultimi 25 anni viene condizionata dalle inchieste”, ha detto la seconda.

È però su Gelmini che si scatenerà la bufera. Dalla Lombardia si coglie la palla al balzo per chiederne la testa da coordinatrice. “Non è un posto a tempo indeterminato, è ora di cambiare…”, si dice. E pure a Montecitorio il gruppo ribolle. “Non sa gestire l’aula”, si sussurra. E la rivalità con Mara Carfagna non l’aiuta. Nel frattempo, per dire il clima, domani pomeriggio per la prima volta in assoluto un gruppo di forzisti manifesterà davanti alla villa di Arcore per protestare contro il “cerchi magico”, accusato di “aver rovinato il partito e isolato Berlusconi”. Hanno pure denunciato Licia Ronzulli per minacce.

L’incarico al socio di Fontana: ci pensa l’ex signora Salvini

Promossi e bocciati. Della seconda categoria fa parte l’avvocato Luca Marsico che nella tornata elettorale del marzo 2018 vede sfumare la sua riconferma in consiglio regionale. Resta, dunque, senza poltrona. Lui però ha un asso nella manica. Si chiama Attilio Fontana, governatore lombardo nonché suo socio in uno studio legale. E per Fontana il destino di Marsico pare una priorità. Questo emerge dall’ordinanza di ieri. Fontana si darà da fare per sistemare l’amico e in questa vicenda riceverà una proposta indecente e illegale che il presidente della Regione rifiuterà, ma non denuncerà mai spiegando di “non aver percepito atteggiamenti corruttivi”. Un dato che mette oggi in bilico la sua posizione. Fontana attualmente non risulta indagato, anche se, ha spiegato ieri il procuratore Francesco Greco, “è in corso di valutazione la posizione del governatore sull’episodio relativo all’incarico ottenuto in Regione dal suo socio di studio, Luca Marsico”. Allo stato Fontana risulta parte offesa. Indagato per la vicenda con l’accusa di istigazione alla corruzione è “Jurassic park”, ovvero Gioacchino Caianiello che alle Regionali ha portato avanti la candidatura di Angelo Palumbo. E così per aiutare Fontana progetta un piano criminale.

Scrive il giudice: “Caianiello si mette rapidamente in moto per cercare di realizzare una complessa operazione corruttiva, consistente nello scambio tra la nomina dell’attuale Direttore Generale di Afol Metropolitana, Giuseppe Zingale, alla direzione generale Istruzione, Formazione e Lavoro della Regione Lombardia (per effetto dell’intercessione diretta di Fontana) e l’affidamento di incarichi onerosi da parte Afol in favore dell’avvocato Luca Marsico”. Precisa il giudice: “Il presidente Fontana, dopo un’iniziale apertura sul punto, preferirà successivamente percorrere una diversa strada, non accogliendo la proposta corruttiva”. Le intercettazioni fissano il punto. Caianiello illustra quello che ha detto a Fontana: “Guarda allora, per Luca io continuo a dirti ti faccio la proposta, ti propongo di prendere Zingale come direttore generale alla formazione, lui è all’Afol, attraverso l’Afol che è l’azienda di formazione di città metropolitana ti facciamo avere gli incarichi!”. E ancora: “Io ti propongo Giuseppe, lui ha in mano questa società e non ha un cazzo a che vedere con la Regione, lascia fare, quindi da qui partono le consulenze per questo poveretto del tuo socio che non sa come arrivare a fine mese e io ti ho risolto il problema”. In realtà il progetto di Fontana è anche quello di fare sponda con il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti.

Ecco le parole di Fontana riferite da Caianiello: “Nino, io non ti ho ascoltato ma giovedì, quando ho visto Toti, lui mi ha chiesto come mai Luca non è stato eletto e gli ho detto che ha sbagliato campagna elettorale, che ha sbagliato campagna elettorale”. Caianiello boccia subito l’idea: “Io gli dico: Attì non fare queste cose, perché tu sei il presidente della Regione, ti vengono a curare fino all’ultime cose, il tuo punto debole oggi è Luca se tu chiedi a Toti, Toti se ti fa un piacere no! Poi passa all’incasso doppio e vieni sputtanato”. Della partita, secondo quanto detto da Caianiello, c’è anche l’ex craxiano Loris Zaffra (non indagato), ex presidente Aler. Con lui si è consigliato e riferisce il piano a Zingale: “Per essere chiari, il capo esprime una preoccupazione per il suo socio (…). Io ho detto: là tu devi stare fermo, perché tu sei nell’occhio del ciclone, non puoi fare passi falsi, le cose le si fa in un altro modo”. Caianiello continua nel suo progetto e spiega di volerne parlare con la coordinatrice regionale di FI Mariastella Gelmini. Lo riferisce a Fontana, il quale però segue un’altra strada. Dice: “Ho voluto percorrere un’altra strada in modo che abbiamo delle alternative, poi decidiamo quale sia la migliore”. Poi quasi per giustificarsi Fontana dice: “Hai visto che i tuoi consigli li ho seguiti quasi tutti”. I due ne parleranno anche al ristorante “Da Berti”. Alla fine Marsico otterrà un incarico regolare in Regione. E questo, spiega Caianiello, per la mediazione dell’assessore Giulio Gallera e le critiche di Giulia Martinelli (entrambi non indagati), ex moglie di Salvini, stretta collaboratrice di Fontana. La vicenda allo stato resta in questi termini. La posizione di Fontana potrebbe cambiare dopo che sarà interrogato. Ieri il governatore ha precisato: “Sono convinto che ogni persona che ricopra una carica pubblica debba rifiutare offerte o utilità in cambio di consensi o favori. Non ho percepito alcun atteggiamento corruttivo nelle interlocuzioni avute”.

“Jurassic Park”. Mafia & tangenti al Pirellone

Affari, politica corrotta, mafia. Benvenuti nel sistema Lombardia. Dal comune di Milano alla Regione fino all’ufficio del governatore Attilio Fontana, e oltre nella ricca provincia di Varese, dove tutto si ottiene pagando politici, partiti, pubblici funzionari. E dove, come ai tempi di Mani Pulite, le imprese fanno cartello per spartirsi i bandi di gara. La bufera per ora devasta Forza Italia. Sono 43 le persone destinatarie di misure cautelari firmate ieri dal giudice su richiesta della Dda. Ma gli indagati sono 95. Due le associazioni criminali individuate. Entrambe collegate. Infinito il risiko delle corruzioni. Travolta la municipalizzata milanese dei rifiuti. In carcere il consigliere comunale Pietro Tatarella e l’ex coordinatore provinciale di Fi Gioacchino Caianiello. Domiciliari per il consigliere regionale Fabio Altitonante. Attorno gli interessi della ’ndrangheta e dei Molluso, mafia di Platì.

 

Come il film di Spielberg. Il ras vorace di Varese

Un vero sistema. Anzi “un sistema feudale” con “il pagamento della decima in favore del dominus che non ha neppure l’onere di andarla a raccogliere, in quanto i suoi vassalli si premurano di consegnargliela direttamente nel luogo da cui esercita il suo potere direttivo”. Passaggio riferito al modo di operare di Gioacchino Caianiello, ras della politica a Varese, soprannominato “Jurassic Park” per la sua voracità nell’intascare soldi. Per lui anche l’accusa di istigazione alla corruzione nei confronti di Fontana. Scrive ancora il giudice: “Le vicende corruttive di finanziamento illecito e di turbative di gara evidenziano un quadro di grave allarme sociale: le funzioni dei pubblici ufficiali sono insanabilmente asservite agli interessi privati del sodalizio”. Affari e mazzette, in buona parte pianificate nel noto ristorante milanese “Da Berti”, ribattezzato la “mensa dei poveri”. Ad accendere la miccia è Daniele D’Alfonso, giovane ed effervescente imprenditore milanese: “Ho seminato talmente tanto, io a tutti ho dato da mangiare (…) A Milano è una questione di rapporti”. Nel suo libro-paga politici e pubblici funzionari. Per non dire dei contatti diretti con la ’ndrangheta che gli varranno l’aggravante mafiosa. Su tutti Giosefatto Molluso, già condannato nell’indagine “Infinito”, che di sé dice: “È innegabile che io sono un capo mafia di Buccinasco”. Scrive il giudice: “D’Alfonso è un Giano bifronte: appare come il rampante imprenditore locale che, in una sorta di rinata Milano da bere, è convinto che solo pagando, ungendo, procurando pranzi, cene, serate nei night club, viaggi aerei, carte di credito, auto, riuscirà a piazzarsi sul mercato”. Lui organizza eventi di “lobbying” nei locali frequentati dai boss come il “Noir” di Lissone. “Cazzo ho mezza Forza Italia, tutti numeri uno”.

 

“Minchia ma questo preleva come un toro”

C’è l’imprenditore e c’è il politico. Tatarella e la “sua rete”. Dice di sé: “Io su tutti i contatti legati all’istituzionale sono molte forte”. Conoscenze da mettere a disposizione in cambio di soldi e utilità. Tatarella, secondo la Procura, incassa fino a 5 mila euro al mese da D’Alfonso. Ma avrà a disposizione anche auto, voli transoceanici per la moglie e carte di credito prepagate. Tanto che lo stesso D’Alfonso esclama: “Minchia ma questo preleva come un toro!”. L’imprenditore ci passa sopra perché Tatarella “è colui che” deve “avvicinare l’imprenditore agli ambienti politici locali, operando come una sorta di pierre”. Sarà grazie al rapporto con Tatarella che l’imprenditore finanzierà occultamente la campagna elettorale di Altitonante (20 mila euro). Soldi anticipati per conto di un altro imprenditore e contropartita incassata. “Sono operativo?”, dirà D’Alfonso ad Altitonante, il quale, secondo i pm, gli procura un incontro con un manager nel settore delle infrastrutture. E sempre Altitonante si adopera sui funzionari del Comune di Milano per sbloccare la partita urbanistica di una villa. Al consigliere regionale i soldi arrivano tramite Tatarella che li conta in diretta: “Cinque quattro e novanta, così glieli do a quel baccalà”. Altinonate poi eletto diventerà sottosegretario in Regione con al delega per le aree Expo. Tanto che Tatarella dirà: “La dove c’era l’Expo stiamo cercando di entrarci pure noi”.

 

“Donazione” a Fratelli d’Italia di La Russa

D’Alfonso soldi ne ha per tutti. Anche per finanziare l’elezione in Parlamento del forzista Diego Sozzani che gli chiede: “L’eventuale tuo aiuto quanto potrebbe essere?”. Saranno 10 mila euro per l’allora consigliere regionale del Piemonte. Denaro (altri 10 mila euro) arriva anche a Fratelli d’Italia. Il tramite è D’Alfonso, il pagatore è l’imprenditore Andrea Grossi. Dice D’Alfonso: “Mi ha chiesto di fargli una donazione per il partito di La Russa”. In tasca il giovane manager si mette alcuni dirigenti di Amsa. Su tutti il direttore operativo Mauro De Cillis . E poi c’è Caianello, detto “Jurassic Park”. Ne parla lo stesso Sozzani: “Spielberg l’ha girato lì il film (…) Si vedeva la zanna che usciva”. E Caianiello così si descrive: “Se nessuno tradisce (…) abbiamo in mano la provincia (…) io non mi muovo, io faccio il sole e la terra che gira attorno”.

I rieccoli

La retata di Milano (95 indagati, di cui 28 arrestati, per tangenti e altri reati) e, in contemporanea, le indagini per mazzette a Catanzaro (20 inquisiti) e a Palermo (14, di cui 4 arrestati), ci ricordano qual è il vero cancro che si mangia l’Italia e ne blocca la crescita: non gli immigrati, non i cantieri bloccati, non le fake news di Putin e tutte le altre false emergenze di cui sempre si sente cianciare, ma una classe politica e imprenditoriale corrotta dalle radici. Di nuovo, dalle tre indagini fra Nord e Sud, non emerge nulla rispetto a Tangentopoli, a parte la presenza sempre più frequente delle mafie al tavolo degli appalti e gli importi delle mazzette, singolarmente molto più miserabili di quelli di un tempo (proporzionati all’infima statura dei politici d’oggi, che lo sanno e si vendono per poco), anche se poi la somma del latrocinio resta mostruosa: 50-60 miliardi l’anno rubati alla collettività. Per il resto, nihil sub sole novum. Il centrodestra, diviso a Roma, si riunisce a San Vittore: indagati nella giunta regionale a guida leghista, forzisti arrestati, accuse di soldi illeciti a Fratelli d’Italia. Intanto il Pd, a furia di ricandidare inquisiti e non mandare a casa nessuno, si ritrova sotto inchiesta per l’ennesima volta in Calabria il governatore Mario Oliverio e l’ex vicegovernatore Nicola Adamo, amorevolmente affratellati nell’indagine “Lande desolate” al candidato presidente di centrodestra Mario Occhiuto.

Anche a Milano i tangentisti non cambiano mai: stesse prassi (la bustarella durante i pasti), stesse facce (come Gioacchino Caianiello, pregiudicato per concussione dunque coordinatore di FI a Varese), stessi ristoranti. L’inchiesta si chiama “Mensa dei poveri”, come i mazzettari avevano ribattezzato il loro ritrovo preferito per le tangenti: il “Da Berti”, vicino al Pirellone, dove già nel 2011 un imprenditore sganciò 100 mila euro al vicepresidente del Consiglio regionale Nicoli Cristiani. Manca solo Formigoni, momentaneamente impedito dalle sbarre. Al suo posto c’è il governatore leghista Attilio Fontana, per ora non indagato, ma parte lesa di una “istigazione alla corruzione” a sua insaputa. Gli avevano offerto uno scambio corruttivo, ma lui pare non se ne fosse accorto. Il pregiudicato Caianiello, varesino come lui ma forzista, gli propose di piazzare il dg dell’Afol Metropolitana a capo del lucroso Settore Formazione regionale; in cambio, avrebbe dato un posto di membro del collegio sindacale e di superconsulente in Afol al socio di studio legale di Fontana, il forzista Luca Marsico, trombato alle ultime Regionali, che il neogovernatore voleva “risarcire”.

Fontana però rispose di avere altre idee per sistemare Marsico (poi piazzato al Nucleo valutazione investimenti). Purtroppo si dimenticò di denunciare Caianiello per la proposta indecente, che – come un avvocato dovrebbe sapere – è un reato. Forse – dicono i pm – “fu un episodio occasionale e, dati i rapporti di lunga data con Caianiello, Fontana potrebbe non aver percepito l’illiceità del comportamento”. In attesa che il governatore spieghi perché frequentava un pregiudicato, ci auguriamo almeno di non leggere più che: Milano è la “capitale morale”; il centrodestra garantisce il “buon governo al Nord”; e la selezione delle classi dirigenti è un problema del solo M5S. Anche perché l’indagine ha portato alla richiesta di autorizzazione all’arresto del deputato forzista Diego Sozzani, e alla cattura di altri due berluscones: il consigliere comunale e candidato alle Europee Pietro Tatarella e il consigliere regionale Fabio Altitonante, sottosegretario della giunta Fontana all’Area Expo. A proposito di Expo, sono indagati pure due funzionari del Comune di Milano: il capo dell’Urbanistica, Franco Zinni, e il direttore operativo dell’Amsa-rifiuti, Mauro De Cillis. Due collaboratori di quel genio di Beppe Sala che si aggiungono alla lunga lista di suoi uomini arrestati o inquisiti. Nel solito scaricabarile fra partiti (tu sei peggio di me), si trascura la reazione agli scandali. Se chi risulta fin da subito aver tenuto comportamenti indecenti, fosse cacciato su due piedi (come il M5S De Vito), il segnale all’ambiente criminale sarebbe chiaro. Invece quasi sempre la reazione è quella della Lega su Siri: aspettare le sentenze e spesso neanche quelle.

Come nel caso di Caianiello, rimasto ai vertici di FI dopo la condanna definitiva per concussione (3 anni, mai scontati in carcere; risarcimento di 125 mila euro alla vittima, mai pagato). Cioè: i giudici, nel 2017, han condannato Caianiello a risarcire l’imprenditore edile cui nel 2005 aveva estorto 250 mila euro per il cambio di destinazione di un’area a supermercato. Ora però lo stesso imprenditore attendeva un altro cambio di destinazione urbanistica dallo stesso Caianiello, rimasto in FI. Così, in cambio, il concusso s’è accordato col concussore firmando una transazione farlocca in cui ha finto di aver ricevuto i 125 mila euro e gli ha pure rimborsato le spese legali. Una “tangente sulla sentenza per tangenti”, la definisce Luigi Ferrarella sul Corriere. Ora il Daspo ai condannati previsto dalla Spazzacorrotti renderà più difficili certi ritorni in servizio. E le nuove norme anti-corruzione e anti-conflitto d’interessi annunciate ieri da Di Maio e Bonafede, se vedranno la luce, saranno utili. Ma, nell’eterna Tangentopoli fotografata dalle ultime inchieste, rischiano di essere vanificate dal Dl Sblocca-cantieri: appalti senza gara fino a 200 mila euro; varianti fino al 50% del progetto; e licenza di subappalti a chi perde le gare (un’istigazione al massimo ribasso e poi al cartello tra finti concorrenti). Senza una retromarcia su quei tre punti, la Sblocca-cantieri rischia di diventare la Sblocca-mazzette.

Piccoli Fubini crescono

Casomai l’Ordine dei giornalisti e la Fnsi trovassero il tempo, fra un sit in e l’altro per garantire 14 milioni di fondi pubblici a Radio Radicale, gradiremmo un loro illuminato parere sull’ultima impresa di Federico Fubini. L’altro giorno il nostro vicedirettore del Corriere preferito ha confessato di aver taciuto una notizia sulle conseguenze mortali delle politiche europee di austerità per salvare la reputazione (si fa per dire) delle politiche europee di austerità. La notizia è l’aumento vertiginoso della mortalità infantile in Grecia (dal 2,7 al 4,2 per mille, pari a 700 bimbi morti in più all’anno) dopo la cura europea che tagliò le cure ai malati più piccoli e deboli. Lui lo sapeva, ma – ha confessato alla tv vaticana presentando il suo ultimo capolavoro Per amor proprio. Perché l’Italia deve smettere di odiare l’Europa – “mi sono autocensurato”, perché la notizia non fosse “strumentalizzata” dagli odiati “sovranisti” contro la sua amata Ue e il suo adorato Fmi, ma anche contro di lui, vittima di “ostracismo” (quello che lo confina in clandestinità sulla prima pagina del primo quotidiano italiano) e di “attacchi assurdi sui social”. Cioè: Ue e Fmi affamano la Grecia e ne raddoppiano la mortalità infantile e il giornalista che fa? Anziché raccontare le conseguenze di quelle politiche, da lui stesso sempre applaudite come foriere di sviluppo e benessere, le nasconde ai lettori, per paura che aprano gli occhi, e a se stesso, per paura di dover cambiare idea. Immaginiamo l’entusiasmo dei lettori del Corriere nell’apprendere che il loro vicedirettore li tratta come un gregge belante e non pensante: decide lui da quali notizie preservarli per evitare che si facciano strane idee (quelle corrette, basate sui fatti). È lo stesso Fubini che il 1° novembre titolò a tutta prima “Deficit, pronta la procedura Ue”, indicando anche la data del lieto annuncio (“il 21 novembre”), mentre il suo corrispondente da Bruxelles, Ivo Caizzi, scriveva l’opposto. Che poi, incidentalmente, era la verità: nessuna procedura pronta, nessun annuncio né il 21 né mai, anzi accordo Ue-Conte. Lo stesso Fubini che annunciò mezza dozzina di volte le dimissioni del ministro Tria, tuttora felicemente al suo posto. Chissà, forse l’Ordine ha riformato a nostra insaputa la deontologia giornalistica, raccomandando di dare o non dare le notizie a seconda del cui prodest. Infatti Fubini fa scuola. Ad agosto, non riuscendo a spiegarsi perché i social 5Stelle invocassero l’impeachment di Mattarella dopo che Di Maio e Di Battista avevano chiesto l’impeachment di Mattarella, “rivelò” che dietro l’hashtag #Mattarelladimettiti c’erano battaglioni di “troll russi”.

È il suo modo di giustificare eventi per lui ingiustificabili, dalla Brexit a Trump alle elezioni italiane quando non vince chi dice lui: il complotto di Putin. Noi siamo ancora in trepidante attesa delle conclusioni della mega-indagine sui troll made in Mosca dei pm romani Antiterrorismo, ma intanto apprendiamo dai fubini de La Stampa che “ci risiamo. Gli apparati collegati al governo russo hanno ripreso le attività di interferenza in vista del voto del 26 maggio”. Chi lo dice? Fonti? Dichiarazioni? Documenti? Macché. Le solite supercazzole che si autoavverano a furia di ripeterle: “Come hanno dimostrato le denunce fatte (da chi? quali? quando? con quali prove? boh) in occasione del referendum del 2016 e le politiche dell’anno scorso…”. Anche stavolta, è roba grossa: “In Italia sono stati individuati almeno 22 account di Twitter strumenti della propaganda russa”. Una potenza di fuoco in grado di spostare – così, a occhio – almeno 22 milioni di voti. I ghostbuster de La Stampa segnalano gli account che “usano l’arresto di Assange per promuovere posizioni anti Usa e anti Ue” (strano: l’arresto di un attivista è il fiore all’occhiello di ogni democrazia). E poi – tenetevi forte – “la pagina Fb ‘La Verità di Ninco Nanco’ con i suoi post anti Ue e anti Nato”, la cui portata terroristica non sfuggirà ad alcuno. Si attende ad horas un nuovo blitz delle teste di cuoio.
Intanto i giornaloni continuano a combattere le fake news a colpi di fake news. Venerdì, per Repubblica, Salvini aveva tolto la fiducia e “dato lo sfratto” a Conte, mentre per La Stampa gli aveva dato del “carnefice” e il premier aveva minacciato le dimissioni, tant’è che il Messaggero annunciava il “voto a settembre” perché “Matteo ha deciso: stacchiamo la spina il 27 maggio”. Poi purtroppo Matteo ha dichiarato che “il governo va avanti quattro anni”. Ma a quel punto Repubblica ha anticipato Fubini dando per certa una procedura d’infrazione fuori stagione: “Europa, pronta la stangata”. Poi purtroppo, dall’articolo si è scoperto che di pronto non c’è una cippa: “La decisione finale non è ancora stata presa” e se ne riparla “dopo il 26 maggio”. Ma, se non è oggi, è domani. E se non è domani, poi la gente si scorda tutto. L’aggettivo “pronto” si porta su tutte le bufale. Tipo l’ultima del Messaggero: “Fuga dal Reddito, in arrivo ai Caf 130 mila rinunce”, “Reddito, in 130mila pronti a rinunciare” a causa degli “importi bassi” e del “carcere per chi lavora in nero”. Ora, il carcere ai truffatori è previsto da ottobre: improbabile che chi lavora in nero faccia e ritiri la richiesta in un mese. Quanto agli importi, dipendono dai guadagni di partenza: se il reddito di cittadinanza è di 780 euro pro capite (per i single), se guadagni 500 euro te ne spettano 280, se guadagni 400 te ne spettano 380 e così via. Ma anche questo si è sempre saputo. E, non esistendo uno Sportello Rinunce con 130 mila persone in fila, è ridicolo pensare che chi riceve 300 o 400 euro al mese rinunci pure a quelli. Ma questo è il bello dei nostri ghostbuster: non sapremo mai quali fake news imputano a Putin, ma sappiamo benissimo quali fabbricano loro.

La Cassazione: è reato la visita ginecologica senza consenso

Basta con le visite ginecologiche dove tutto è dato per scontato nella particolare situazione di intimità che si crea, e può diventare labile il confine tra atti leciti e abusi. Il consenso a questo tipo di visita – sottolinea la Cassazione con un verdetto molto netto – non può mai essere inteso come “implicito” dal medico che deve visitare una paziente, nemmeno se le “manovre” eseguite sono clinicamente corrette. Il dottore, insomma, per avere l’autorizzazione della donna, deve spiegarle quello che sta per fare. Per questo i giudici di Cassazione hanno annullato l’assoluzione, in appello, di un ginecologo che aveva visitato in modo invasivo tre donne senza chiedere il loro permesso, e ignorando il dissenso. I fatti sono avvenuti tra gennaio e agosto del 2013. In primo grado il dottore, Carlo G. di 68 anni, era stato condannato a 6 anni per violenza sessuale. Prosciolto poi in Appello, dove si era stabilito che “i fatti non costituiscono reato” perché “le attività compiute” erano “comunque obiettivamente consentite”. Per la Cassazione, invece, ogni volta che il ginecologo visita, deve chiedere il consenso “prima di procedere al compimento di atti incidenti sulla sfera di autodeterminazione della libertà sessuale”.

Gli ispettori di Bonafede sul caso

Sul caso Vannini si muove l’ispettorato del ministero della Giustizia. Il ministro Alfonso Bonafede, prima ancora dell’ultima puntata de Le Iene

con lo scoop della testimonianza di Davide Vannicola, ha chiesto ai suoi uffici di attivarsi per studiare il caso. L’ispettorato ha già stilato una relazione su un paio di punti critici che meritano approfondimenti. A via Arenula si dà per probabile a breve una richiesta di chiarimenti agli uffici della Procura di Civitavecchia, diretta dal 2016 da Andrea Vardaro e in precedenza, al momento dell’omicidio Vannini, dal procuratore Gianfranco Amendola.

Ci sono un paio di cose che meritano un approfondimento. Il M5s ha sempre criticato l’eccessivo interventismo dei ministri della Giustizia del passato e certo il ministro Alfonso Bonafede non vuol essere accusato di fare lo stesso errore e quindi eviterà di entrare a gamba tesa compiendo quell’interferenza con il lavoro dei magistrati contestata ai berlusconiani.

Prima di tutto il ministro vuole capire. A via Arenula ci si chiede per esempio perché i magistrati di Civitavecchia e poi anche a Roma in Corte d’Appello non abbiano fatto di più per risolvere il contrasto tra le dichiarazioni del maresciallo Roberto Izzo con quelle di Martina Ciontoli sulla conoscenza da parte della fidanzata di Vannini dell’esistenza di un colpo di pistola conficcato nel costato del suo ragazzo che aveva trapassato cuore e polmone.

Se Martina fosse stata consapevole dell’esistenza del colpo nel corpo di Marco già a casa sua e non solo al Pronto soccorso, dopo l’incontro con il maresciallo Izzo, la sua posizione si sarebbe aggravata.

Martina al processo ha raccontato di avere appreso invece quel particolare decisivo non ‘de visu’ a casa ma dalla voce del maresciallo Izzo. La sensazione, vista la pena mite, è che sia stata creduta. Bisognerebbe capire perché la Procura e le Corti non abbiano contestato a Izzo la dichiarazione difforme.

Poi c’è un altro punto delicato. La difesa della famiglia Vannini, in particolare il consulente di parte, il generale Luciano Garofano, si è sempre lamentata del diniego opposto dalla Procura di Civitavecchia alla possibilità di accedere alla casa dei Ciontoli per fare indagini sul luogo del delitto.

Il diniego era sostanzialmente giustificato con l’inutilità dei rilievi dopo il tanto, troppo, tempo trascorso. Il punto da chiarire è se la Procura abbia fatto prima di quel diniego tutto quel che poteva e doveva essere fatto. Intanto la Procura di Civitavecchia, fino a ieri, non ha ritenuto opportuno sentire a sommarie informazioni Davide Vannicola per appurare se quel che dice l’ex amico di Roberto Izzo sul carabiniere amico di Antonio Ciontoli sia vero o falso.

“Così il carabiniere Izzo mi disse chi aveva ucciso Marco”

Dopo essere diventato famoso con la sua intervista a Le Iene di domenica nella quale punta il dito contro il suo ex amico Roberto Izzo, ex comandante della stazione dei Carabinieri di Ladispoli, Davide Vannicola, commerciante di borse artigianali a Tolfa, patria della cosiddetta “catana”, non ha ricevuto inviti dai pm di Civitavecchia.

Eppure ha accusato in tv un maresciallo dei carabinieri di aver mentito ai giudici sul caso di Marco Vannini, il ventenne ucciso da un colpo di pistola (e dai ritardi dei soccorsi dovuti alle bugie dette al 118) a casa della fidanzata, Martina Ciontoli, nel maggio 2015 dal padre di lei, Antonio Ciontoli. Vannicola svelava confidenze sconvolgenti di Izzo. Il Fatto è salito nel villino di Vannicola, circondato dai cani e dalla bella campagna di Tolfa, vicino a Civitavecchia, per raccogliere il suo racconto, negato a Le Iene da Izzo, che a noi ha risposto: “Non posso rilasciare dichiarazioni”.

Da quando conosce Izzo?

Dal 2005 e siamo stati grandissimi amici. Lui ha portato mia moglie all’altare e aveva messo la residenza a casa mia per un periodo, anni fa, anche se abitava altrove. Lavorava in Procura ed era un collaboratore della dottoressa D’Amore, che poi nel 2015 ha fatto le indagini sul caso Vannini. Avevano un rapporto molto stretto nel periodo che va dal 2010 al 2012. Roberto si vantava di questo rapporto e me l’aveva presentata. Izzo andò via dalla Procura nel 2012 ma diceva che si sentivano sporadicamente.

Quando le parlò la prima volta di Antonio Ciontoli?

Lui era sempre stato fissato con i servizi segreti. Un giorno all’inizio del 2015 mi disse: ‘Ho conosciuto la persona giusta che mi ha promesso di farmi entrare, una volta che vado in pensione’. Poi mi chiamò, dicendomi che mi avrebbe portato questo amico a cui avrei dovuto fare una borsa, in tempi stretti, perché ‘lui ci lavora, ci mette dentro le carte, la pistola’. Poi sono venuti insieme e mi ha presentato Ciontoli.

Quando le fece la confidenza che ha raccontato alle Iene?

Sarà stato settembre del 2015. Mi venne a trovare in negozio e mi chiese di accompagnarlo in auto. Lo vedevo un po’ strano, pensieroso. Mi disse: ‘Amico mio, forse ho fatto un casino, un bel guaio’. Gli ho chiesto cosa fosse successo e lui mi ha risposto: ‘Ti ricordi il Ciontoli? Il caso Vannini? Il Ciontoli, l’amico che ti avevo presentato… la sera dell’omicidio mi ha chiamato chiedendomi aiuto perché la famiglia aveva fatto un guaio, avevano sparato a Marco’. Io ho risposto: ‘Ma perché scusa, non è stato Antonio? Così dicono nei telegiornali…’. Lui mi disse: ‘No, non stanno così le cose’.

E cosa le disse poi Izzo ?

Io chiesi: ‘Ma tu che c’entri?’. E lui: ‘Quando Antonio Ciontoli mi ha chiamato quella sera, mi ha chiesto un consiglio su come doveva comportarsi. Io ho dovuto riflettere, ma ho pensato forse per troppo tempo e ho paura che quella riflessione possa avere avuto un’influenza sulla morte di Marco. Dopodiché lui mi ha richiamato e mi ha chiesto di raggiungerlo al Pit (pronto intervento) dove nel frattempo era stato portato Marco Vannini. L’ho fatto, lì ci ho trovato anche Federico… mancava la moglie, la sorella, la ragazza di Federico… sono arrivati dopo. Stavano a casa’. Io gli dissi: ‘Ma come dopo un colpo di pistola sono stati lasciati liberi d restare a casa?’ E lui mi disse: ‘Che ti devo dire, è andata così. Mi ha fatto capire che se erano rimaste a pulire lui non poteva farci niente. Mi ha raccontato la vicenda, ed era commosso, si è messo a piangere in macchina. Poi siamo andati a mangiare e non ne ha più parlato.

Chi aveva sparato?

Mi ha fatto capire che era stato il figlio, ma gli aveva consigliato di addossare la colpa al padre perché stando nei servizi segreti poteva avere uno sconto di pena. Mi ha detto chiaramente che ha consigliato a Ciontoli di prendersi la colpa, ‘come aveva fatto nel mio caso’.

In che senso?

Una volta i carabinieri vennero a cercare una pistola non denunciata a casa mia. Spontaneamente la consegnai. Chiamai il mio amico Izzo e mi disse: “Ce l’hai un papà? Dai la colpa a lui. Tanto ha 70 anni, non gli fanno nulla, non si farà un giorno di galera”. Si riferiva a questa storia quando nel 2015, parlando di Ciontoli, disse: ‘Ti ricordi cosa ti ho detto quando stavi nei guai? La stessa cosa ho consigliato a Ciontoli. Pari pari. Il figlio è giovane, ha una carriera davanti, mentre lui è protetto perché lavora nei servizi.

Perché non ha parlato ai carabinieri o con la Procura?

Non ho avuto belle esperienze con i carabinieri e con la Procura di Civitavecchia. Mi sono fidato delle Iene.

Ora cosa si aspetta ?

Io spero che comunque la magistratura mi ascolti e che non ci siano ritorsioni.

Maltempo, nessuna traccia del giovane disperso nel Mincio

Ancora non si trova il 23enne romeno, Raul Cristian Lacatusu, disperso da domenica mattina nelle acque del canale diversivo Mincio, tra Mantova e Verona, dove il giovane è finito con l’auto assieme a quattro connazionali. I sommozzatori e l’elicottero dei vigili del fuoco non hanno trovato traccia del ragazzo e nemmeno dell’auto. L’acqua nel punto in cui è avvenuto l’incidente è molto alta e la corrente molto forte e questo ha ostacolato il lavoro dei vigili del fuoco. Ma il maltempo ha continuato a tenere sotto scacco l’Italia intera, da nord a sud, causando anche ingenti danni all’agricoltura, con il rischio piene in Emilia Romagna. Per oggi il Dipartimento della Protezione civile ha emesso un’allerta arancione per rischio idraulico sulle pianure emiliane centrali ed orientali e una gialla su gran parte dell’Emilia Romagna, colpita da un maxi-distacco di utenze dell’energia elettrica a causa della caduta sulle linee elettriche di alberi ad alto fusto. Agricoltori in allarme in Trentino, dove il brusco abbassamento delle temperature e la nevicata dei giorni scorsi, hanno messo a dura prova i terreni con un rischio elevato di gelate. Nelle prossime ore l’allerta scenderà a “moderata”.