È tutto pronto. La Sogin, la società del Tesoro incaricata di smantellare le centrali nucleari italiane, ha trasmesso la nuova versione della mappa delle aree idonee ad ospitare il deposito nazionale delle scorie radioattive. Mappa pronta fin dal 2015 e che è stata sottoposta ad aggiornamento due volte negli ultimi 15 mesi. L’ultimo ordinato su input del sottosegretario del ministero dello Sviluppo economico Davide Crippa che ha chiesto di eliminare le aree a rischio sismico, quelle dove sono possibili forti terremoti. A febbraio, infatti, il Mise aveva fatto presente di “non ritenere opportuno l’inserimento tra le aree idonee anche quelle classificate a rischio 2, al fine di evitare di creare negatività ingiustificate quando si andrà a dialogare con la popolazione”.
Un criterio cautelativo per rassicurare “gli abitanti delle località scelte ed evitare possibili contestazioni, anche se prettamente non motivato da rischi comprovati dal punto di vista scientifico, ma comunque necessario per presentarsi alle consultazioni pubbliche con le carte in regola”. Ma considerazioni di altra natura potrebbero incidere sull’ordine di idoneità delle aree o comunque condizionare il nulla osta del governo. “Costruire il deposito in Sardegna? Sarebbe antieconomico”, ha detto il ministro del Mise Luigi Di Maio sabato scorso nel corso del suo tour pre-elettorale.
Limature future a parte, è invece certo che nella mappa ora al vaglio dell’Ispettorato sulla sicurezza nucleare sono incluse alcune decine di siti con dimensioni che vanno dai 150 ai 1.500 ettari, tutti lontani da corsi d’acqua e dai centri abitati. L’area che verrà scelta ospiterà una struttura (un deposito con annesso parco tecnologico) progettata per custodire 100 mila metri cubi di scorie e con requisiti tali da garantire la massima condizione di sicurezza, anche a fronte di attentati della più varia natura, persino attacchi aerei.
Entro la prima decade di giugno, ossia qualche giorno dopo le elezioni europee, il dossier sarà sul tavolo dei ministri Di Maio e Sergio Costa (Ambiente) per il via libera alla pubblicazione della lista delle aree. Ma il condizionale è d’obbligo dato il clima di perenne campagna elettorale. Che è fattore che pesa, eccome: ne sa qualcosa l’ex ministro del Mise Carlo Calenda che, a sorpresa, si disse pronto a rivelarne i contenuti prima delle politiche del 4 marzo 2018. Ma non se ne fece più nulla. Fibrillazioni politiche a parte, c’è pure il rinnovo dei vertici di Sogin che a breve concluderanno il mandato con l’approvazione del bilancio. Altro snodo significativo per sondare le reali intenzioni del governo sul deposito.
Lo smantellamento degli impianti nucleari italiani ha risentito negli anni delle mancate decisioni sulla destinazione finale delle scorie, mentre inesorabilmente sono continuate a correre le spese per questa attività finanziata dai contribuenti con le bollette elettriche: dal 2001 un conto di circa 4 miliardi di cui 1,7 per il trasferimento nel Regno Unito e in Francia dei materiali a più alta attività che una volta sottoposti a trattamento faranno poi ritorno in Italia. Quando? Tra il 2020 e il 2025, secondo quanto previsto dal contratto del 2007 con la francese Areva. Che, temendo che alla fine possano restargli sul groppone oltre i termini concordati, ha già interrotto l’importazione dell’ultimo stock di materiali pronti a varcare le Alpi. Il nuovo Eldorado, si fa per dire, delle scorie italiane pare essere la Slovacchia. Dove saranno portati 5.500 fusti di resine utilizzate in passato per la filtrazione dell’acqua del reattore di Caorso che altrimenti non potrà essere smantellato. E 350 fusti di fanghi che a breve, sempre da quel sito, dovrebbero partire con destinazione Bohunice dopo che nel 2015 la società slovacca Javys si è aggiudicata in associazione con Ansaldo un contratto multimilionario.
E poco importa se per poterli incenerire è stato necessario realizzare ex novo un impianto di macinazione preliminarmente dei materiali. Dopo l’estate, se i test andranno a buon fine, inizieranno i trasporti dall’Italia su scala industriale verso la Slovacchia. Che è ritenuta una metà appetibile, se è vero che sempre nello stesso impianto finiranno altri 1.000 fusti di rifiuti liquidi radioattivi provenienti dal deposito di Cemerad di Statte (Taranto).
Se in Slovacchia verranno bruciati (le ceneri torneranno a Caorso), i metalli delle ex centrali di Garigliano, Latina e Trino finiranno, invece, in Svezia per essere fusi forse già entro l’anno: anche in questo caso una volta completate le operazioni i materiali torneranno nei siti italiani da dove sono partiti. E sempre in attesa di poterli poi portare al deposito nazionale. Forse.