È stato uno Shabbat di guerra. Ieri le sirene d’allarme nelle cittadine israeliane circostanti la Striscia di Gaza hanno iniziato a suonare in mattinata e non hanno mai smesso. Più di 200 missili sono stati sparati dalla Striscia verso Israele. Gran parte sono stati intercettati dalle batterie antimissile Iron-Dome, altri sono caduti in campi agricoli, ma alcuni sono riusciti a colpire Ashkelon, Nir Oz, Nirim e altri centri agricoli sul confine. In serata il bilancio in Israele era di due feriti in modo serio, un uomo e una donna colpiti da schegge ad Ashkelon e Kiryat Gat. Oltre un milione di israeliani residenti nel sud hanno passato la giornata – e anche la notte di ieri – nei rifugi, l’Esercito ha chiuso le principali arterie stradali verso sud, chiedendo agli abitanti di evitare qualunque spostamento. In serata le sirene sono suonate anche verso nord, fino a Beit Shemesh che dista solo 20 chilometri da Gerusalemme.
In risposta ha questo sciame di missili Israele ha risposto con decine di raid aerei contro le postazioni di Hamas e del jihad islamico – che ha rivendicato per primo il lancio dei missili – che erano verosimilmente state già evacuate dai miliziani islamisti. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, il capo di Stato maggiore Aviv Kochavi e i generali dell’IDF, si sono ritrovati per una prima valutazione e per calibrare la risposta. Le bombe dei caccia hanno colpito, stando al comunicato ufficiale, oltre 120 obiettivi, a Gaza City dove sono crollati due palazzi, a Khan Younis, a Beit Hanoun nel nord della Striscia. Tre i morti sul lato palestinese per i bombardamenti, una bimba di 14 mesi e sua madre a Beit Lahia, un giovane di 22 anni a Beit Hanoun. Decine i feriti. L’IDF accusa direttamente il Jihad islamico di voler riaprire il fronte a sud, ma è evidente che vista anche la quantità di missili lanciati che Hamas – con cui sarebbe stata creata una “sala operativa” comune – non è rimasta a guardare.
Questa escalation non è solo in risposta alla morte di due terroristi di Hamas sul confine di Gaza venerdì pomeriggio. Piuttosto, riflette la decisione di cercare di ottenere da Israele concessioni significative, soprattutto per quanto riguarda il trasferimento di fondi del Qatar nella Striscia. Hamas è chiaramente disposto a correre il rischio di un conflitto più ampio, scommettendo sul fatto che Israele vuole un “cessate il fuoco” in questo momento. Tra tre giorni in Israele sarà il Memorial Day, il Giorno dell’Indipendenza, Netanyahu non vuole vedere la festività marcata da una escalation militare con Gaza. Tra 10 giorni i palestinesi celebreranno il Nakba Day, l’anniversario di quella che considerano la catastrofe che li ha colpiti con la nascita dello Stato ebraico. Israele poi ospiterà le semifinali dell’Eurovision Song Contest, con milioni di telespettatori che rivolgeranno la propria attenzione a Tel Aviv. Una “relativa tranquillità” con Gaza era andata avanti per tutta la durata della campagna elettorale in Israele – raggiunta grazie alla mediazione dell’Egitto e del Qatar – e si basava sulle promesse di un allentamento del blocco della Striscia, dell’ampliamento della zona di pesca, di minori restrizioni sul trasferimento dei prodotti agricoli. E al passaggio di 15 milioni di dollari al mese donati dal Qatar per pagare i “dipendenti” di Hamas.
Nei mesi scorsi Netanyahu – sollevando forti critiche – ha sempre autorizzato questo passaggio del denaro ed è probabile che anche stavolta i soldi saranno autorizzati a passare, forse poco prima del Giorno dell’Indipendenza.
I tentativi di Hamas derivano anche dal fatto che la popolazione di Gaza si aspetta risultati economici mentre la crisi continua a essere terribile: il tasso di disoccupazione ha superato il 50%.
Hamas vede il peggioramento della situazione economica ma certo non taglia la sua operatività. Continua a imporre una serie di tasse sui residenti della Striscia, che finanziano le sue attività, comprese quelle di Ezzedin Al Qassam, la sua ala militare.