La Lega abbassa i toni

Matteo Salvini sembra rallentare sul caso Siri. “Ho fiducia in Giuseppe Conte, e non sto pensando alla conta sul sottosegretario in Consiglio dei ministri” dichiara il ministro dell’Interno. E dire che in mattinata su Facebook il capo del M5S Luigi Di Maio era andato all’attacco: “Oggi non su uno, ma su quasi ogni giornale c’è scritto che la Lega vuole staccare la spina al governo e ha pianificato di far saltare tutto dopo il voto. E tutto questo per cosa? Per una poltrona? Per non mollare un loro indagato per corruzione? Lupi, l’ex ministro di Ncd, si dimise per molto meno”.
Ma Salvini passa la giornata a negare la crisi: “Per i giornalisti che si occupano di fantasia dico che il governo va avanti, non è una poltrona in più o in meno che ci fa la differenza, ma in un Paese civile si è innocenti fino a prova contraria e i processi si fanno in tribunale non in piazza o in televisione”. Ma la certezza che non andrà allo scontro nel Cdm previsto per mercoledì prossimo non c’è. Anche se il premier Conte semina ottimismo: “Non ci sarà alcuna conta su Siri in Consiglio, non credo proprio”. Ma in serata scoppia il duro scontro tra Viminale e ministro della Difesa, la 5Stelle Trenta (di cui parliamo nel box in alto). E la tensione torna a salire

Di Matteo applaude Conte: “Decidere subito, giusta scelta”

Nino Di Matteo non pronuncia il nome di Armando Siri, ma il problema lo affronta: “Ho apprezzato la decisione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte di dare una valutazione politica di comportamenti di membri del governo, a prescindere dalle valutazioni giudiziarie. La magistratura fa le sue inchieste, con i suoi tempi, ma intanto la politica deve subito prendere le sue autonome decisioni”. Il magistrato che ha condotto l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia parla al convegno “Giustizia è libertà”, organizzato a Fabriano dalla rivista MicroMega e dalla associazione di avvocati Carlo Galli, che si è aperto venerdì a Fabriano con il confronto tra il direttore di MicroMega, Paolo Flores d’Arcais, e il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.

Gian Carlo Caselli, ex procuratore di Palermo e di Torino, in uno degli incontri della tre giorni su corruzione e legalità ha quantificato in almeno 330 miliardi l’anno il costo di corruzione, mafia ed evasione fiscale che pesa sui cittadini. Un macigno sulla democrazia italiana. Il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo ha rilevato le differenze tra la corruzione oggi rispetto a quella di ieri, ai tempi di Mani pulite: “Oggi è più forte il soggetto privato rispetto al pubblico, l’imprenditore rispetto al politico. Corrompere ora costa meno, le tangenti sono più piccole, ti comprano con un posto di lavoro o promesse di carriera”. Ielo stila un giudizio sostanzialmente positivo della nuova legge contro la corruzione, la cosiddetta “spazzacorrotti”. Indica alcuni punti che considera però dei limiti: “La prescrizione andrebbe interrotta non dopo la sentenza di primo grado, ma già con l’inizio dell’azione penale. E il Daspo (l’esclusione per sempre dei condannati per corruzione dalle gare per gli appalti pubblici) non serve, perché può essere aggirato utilizzando dei prestanome. Sarebbe poi utile”, conclude Ielo, “sospendere la pena per chi collabora con i magistrati permettendo di scoprire nuovi reati: incentiverebbe la collaborazione che invece la ‘spazza-corrotti’ così com’è blocca, perché non rende conveniente andare dal giudice, con la certezza di finire comunque in carcere”.

Anche per Caselli la “spazza-corrotti” è “una buona legge. Non è perfetta, ma è una buona legge. Per esempio quando impone di perseguire i reati commessi all’estero senza intervento del ministero. E quando introduce l’agente sotto copertura. Sul Daspo ho qualche perplessità, ma sono sostanzialmente favorevole, perché avevamo una normativa criminogena che permetteva ai condannati per corruzione di restare seduti a tavola a banchettare anche dopo la condanna”. Caselli critica invece la cosiddetta “Sblocca-cantieri”: boccia “il ricorso al massimo ribasso e la liberalizzazione del subappalto. L’innalzamento a 5 milioni della soglia per assegnare appalti senza gara era una proposta folle, che ora è stata abbassata a 350 mila euro, ma con norme che mi fanno pensare la ‘sblocca-cantieri’, o almeno la sua bozza ora in circolazione, sia stata pensata per spazzare via la ‘spazza-corrotti’”.

Henry Woodcock, procuratore aggiunto a Napoli, a confronto con il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio, ricorda che “rubare in un supermercato fino a qualche tempo fa era ritenuto più grave che vendere la propria funzione pubblica lasciandosi corrompere. Poi ha cominciato la legge Severino ad aggravare, per fortuna, le pene per la corruzione. E ora la ‘spazza-corrotti’ procede in questa direzione”. Travaglio ricorda il caso di Roberto Formigoni, finito in carcere proprio per effetto della “spazza-corrotti”, che ha reso reali le condanne che, finora, per i colletti bianchi non valevano.

La prescrizione? “È una droga”, dice Travaglio. “Non riescono a farne senza, di colpo. Ne vogliono ancora, da assumere come il metadone”.

“Il caso Siri non ci farà cadere. Ora meno annunci e balconi”

Matteo Salvini frena. Giura che il governo “andrà avanti” e che non farà la guerra per Armando Siri: “Non penso a una conta in Consiglio dei ministri”. E Stefano Buffagni, sottosegretario agli Affari regionali per il M5S, apprezza: “Sono contento, evidentemente ha capito che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha preso la scelta giusta (decidendo la revoca del sottosegretario, ndr). Stare con noi gli serve anche a comprendere quando imbocca strade sbagliate…”.

Ma perché questa difesa a oltranza di Siri? Per tenere il punto, o c’è altro?

Mi auguro che sia solo una valutazione politica. Un ministro dell’Interno, quando ci si trova fronte a vicende in cui c’entra la mafia, deve sempre prendere le distanze.

In questo caso non è avvenuto.

Credo che sia fondamentale garantire i diritti degli indagati, però la politica deve dare segnali e valutare i singoli casi. Quando pare che tu abbia portato avanti provvedimenti negli interessi di pochi, e quei pochi hanno anche legami con la mafia, è un problema.

Siri era insistente sui suoi emendamenti e su quelli che gli interessavano?

Con me no, visto il mio ruolo. So che su certi temi è molto attivo, ma se lo sei per fini positivi va bene. Chi è al governo incontra tante persone. Io sto molto attento, annoto tutto e ho sempre con me un collaboratore in ufficio, ma il rischio resta altissimo.

Anche lei avrà spinto alcuni emendamenti.

Ho spinto per rifinanziare il fondo per contrastare la povertà educativa infantile. Ho fatto pressioni perché era giusto farlo, e abbiamo stanziato risorse per 150 milioni in tre anni destinati ai bambini.

Salvini sostiene di aver incontrato solo una volta Paolo Arata, l’imprenditore indagato per corruzione assieme a Siri. Però proprio Arata ha scritto il programma energetico della Lega. Come fate a credergli voi 5Stelle?

Io non giudico le amicizie di Salvini. Certo, Arata era un ex parlamentare (di Forza Italia, ndr), e aveva un curriculum conosciuto. Può capitare a tutti di conoscere la persona sbagliata: ciò che conta è la reazione di fronte ai fatti.

Se siete così lontani come dite sulla legalità, come fate a governare con il Carroccio?

Ci sono sensibilità diverse sugli aspetti giudiziari. Noi avevamo già digerito vicende relative ad altri esponenti della Lega, senza essere giustizialisti. Ma quando c’è di mezzo la parola mafia non esistono mezze misure.

Sicuro che su Siri non si andrà alla conta in Cdm?

Spero che non ci si arrivi.

Alessandro Di Battista ha detto che, anche qualora dimostrasse la propria innocenza, il sottosegretario dovrebbe restare fuori del governo “perché ha usato il suo potere per favorire un soggetto privato”: condivide?

Decideranno Conte, Di Maio e Salvini. Ma il futuro di Siri non può essere una priorità della maggioranza. Abbiamo tante cose di cui occuparci.

Magari anche della sicurezza. Il ministro dell’Interno è sempre in giro, però a Napoli si spara e a Viterbo hanno ucciso un commerciante. Grave, per lui e per voi, no?

Quanto successo nelle ultime ore impone una riflessione. Invece di fare annunci e litigare bisogna ragionare su come garantire più sicurezza.

Il Viminale è stato durissimo verso il ministro della Difesa Trenta. E il M5S ha parlato di “istituzione usata per un attacco a fini elettorali”. Come potete andare avanti così?

Credo che ognuno debba svolgere il proprio ruolo, cosa che la Trenta sta facendo benissimo.

Litigate su tutto, anche sulle autonomie.

Non voglio pensare che Salvini metta in crisi il governo per una poltrona. Quanto alle autonomie, tengo molto a questo punto del contratto di governo, ma ci sono oggettive criticità, per esempio sull’istruzione. Non si possono creare sistemi scolastici di serie A e serie B. Noi garantiamo l’unità nazionale, e certe posizioni sono state troppo esasperate. Le autonomie vanno fatte, ma bene.

A forza di litigare siete calati nei sondaggi, sia voi che la Lega.

Talvolta litigare è necessario, in altri casi sono liti elettorali. Dobbiamo lavorare e occuparci meno di tweet e balconi.

Assieme a Di Battista? Vuole ricandidarsi…

È una bellissima notizia per il M5S.

Ultimissime sull’Apocalisse

Digiuno come sono di economia, attendo da 10 mesi che si avverino le previsioni degli esperti sui licenziamenti di massa e il crollo dell’occupazione per il decreto Dignità. Breve riepilogo per smemorati.

“Le imprese: ‘Non faremo più assunzioni. E a rimetterci saranno sempre i lavoratori’. Santo Versace: ‘Motta e Alemagna fallirono perché il giudice diede a tutti contratti stabili’” (La Stampa, 29.6). “Decreto imbecillità: Di Maio fa la guerra ai precari per facilitare la disoccupazione” (Libero, 3.7). “Rischi in agguato. Colpo al mercato del lavoro, senza le contromisure. Una fuga all’indietro verso l’ideologia del passato, quella che per anni e anni abbiamo faticato a metterci alle spalle” (Oscar Giannino, Messaggero, 3.7). “Tante regole e poca dignità” (Roberto Mania, Repubblica, 3.7). “Senza Dignità. Mazzata all’economia. Passa il decreto dignità di Di Maio: a rischio migliaia di posti di lavoro” (il Giornale, 3.7). “Salvini fermi i nuovi comunisti” (Alessandro Sallusti, ibidem). “Di Maio fa saltare 100mila posti di lavoro. Rivolta degli artigiani”, “Subito in fumo 100mila posti. Ira delle imprese sul governo. L’Unione artigiani di Milano: ‘Non rinnoveremo più i contratti a termine’. Ecco il danno per il sistema Italia”, “Il decreto dettato dalla Cgil: ‘I 5Stelle sono il nuovo Pci’”, “Anche Confindustria attacca: ‘Tutto sbagliato, il piano finirà per creare più disoccupati senza risolvere il nodo della precarietà’” (il Giornale, 4.7). “Molte aziende falliranno per colpa di queste regole” (Matteo Zoppas, presidente Confindustria Veneto, La Stampa, 4.7).

“Imprese e calcio contro il decreto sui contratti. ‘Meno occupati’” (Corriere, 4.7). “Salvare le imprese dalla gogna populista. Mobilitarsi. Molta Cgil, poca dignità. Il decreto Di Maio è un colpo non al precariato ma all’occupazione. La Gigi Economy è la cultura del sospetto applicata al mondo dell’economia. Contro un nuovo orrendo pauperismo di massa” (rag. Claudio Cerasa, il Foglio, 4.7). “La svolta ‘comunista’ di Di Maio spaventa le imprese” (Il Dubbio, 4.7). “Di Maio piace ai compagni perché è un comunistello. Supera a sinistra Landini. Sindacati e vecchi arnesi entusiasti del decreto dignità di Giggino, che invece terrorizza gli imprenditori” (Libero, 4.7). “Lite sul decreto: contratti a rischio” (Messaggero, 4.7). “Il decreto dignità è un disastro. Un mix di incompetenza e populismo. Aumenteranno i disoccupati” (Carlo Calenda, Pd, La Stampa, 6.7).

“Berlusconi smonta il dl Dignità: ‘A rischio un milione di posti. Penalizza le aziende e favorisce il nero’” (il Giornale, 9.7). “Sul fronte del lavoro, nei freddi numeri della Ragioneria dello Stato non si vedono all’orizzonte benefici occupazionali, ma addirittura il rischio che restino a casa 8mila persone l’anno, con la stretta sui rinnovi dei contratti determinati” (Repubblica, 12.7). “80mila posti di lavoro in meno in 10 anni. Sono quelli che prevede la relazione del decreto dignità. Ma non doveva essere la Waterloo del precariato? Il problema del lavoro non si risolve distruggendolo” (Maurizio Martina, segretario reggente Pd, 13.9). “Di Maio perde sempre più contatto con la crosta terrestre, si mette in orbite lontane dal nostro pianeta… Siamo ai limiti del negazionismo economico… Il decreto Dignità comporta un innalzamento del costo del lavoro… l’evidenza empirica e la teoria economica prevedono unanimemente un impatto negativo sulla domanda di lavoro. In un’economia con disoccupazione elevata, questo significa riduzione dell’occupazione. È difficile stabilire l’entità di questo impatto, ma il suo segno negativo è fuori discussione” (Tito Boeri, presidente Inps, 14.7). “Di Maio brucia 80.000 posti. E lo scrive pure. Il decreto Dignità farà calare il numero di occupati” (Libero, 14.7). “Berlusconi a Salvini: i grillini sfasciano l’Italia. Massacrano chi produce”, “Il ‘miracolo’ gialloverde. Bruciati in pochi giorni 500mila posti di lavoro”, “Il paradosso: meno assunti con le nuove norme sui contratti a termine” (il Giornale, 15.7), “Siamo passati dalla promessa di un milione di posti di lavoro, all’assicurazione di bruciarne almeno mezzo milione” (Nicola Porro, ibidem).

“La stima di 8 mila posti persi è ottimistica” (Boeri, 19.7). “Quello non è il decreto dignità, è il decreto disoccupazione. Di Maio non è il ministro del lavoro, è il ministro della disoccupazione” (Matteo Renzi, senatore Pd, 24.7). “L’ira degli industriali veneti: la Lega accetta il decreto per un barcone in meno” (Corriere, 25.7). “Decreto Dignità. Una mamma è la prima vittima: ‘Perdo il lavoro’” (Repubblica, 27.7). “Imprenditori e operai si ribellano a Di Maio: aumenta la precarietà. Il vicepremier toglie dignità ai lavoratori. Industriali, artigiani, commercianti: scatta il ‘vaffa’ contro le nuove regole sui contratti” (Libero, 28.7). “Questo è un decreto disoccupazione. Ci sono migliaia di cittadini che rischiano il licenziamento e la fine del contratto a tempo determinato. La propaganda M5S si scontra con la realtà. Di Maio risponda a chi rischia il posto per effetto del decreto” (Martina, Pd, Corriere, 25.7). “Governo al bivio, cresce il grido di allarme. Il disagio degli imprenditori” (Luciano Fontana, Corriere, 29.7). “Ignoranza al potere. 5Stelle allo sbando. Decreto Di Maio, a rischio 7mila prof” (il Giornale, 29.7). “Ridare dignità a chi crea lavoro. Girotondo di imprenditori in subbuglio per un governo da panico. Ecco perché da Udine a Varese, da Milano a Foggia, per le imprese ora l’incertezza rischia di diventare legge ora che Di Maio il lavoro potrebbe toglierlo per decreto” (Il Foglio, 2.8). “Foodora vede i grillini e fugge. Fuori una: ora è rischio esodo. La battaglia sui precari della gig economy è già finita, ma intanto l’azienda più virtuosa pedala oltre confine” (il Giornale, 4.8). “Il Dl Dignità è legge. La Lega si vergogna di Di Maio. Ok alle norme suicide di M5S”, “Di Maio, il ministro del lavoro (nero)” (il Giornale, 8.8). “Allarme Federmeccanica: il 30% delle imprese non rinnoverà i contratti per il decreto Dignità. Assolavoro: almeno 53 mila persone non potranno essere riavviate al lavoro per il limite massimo dei 24 mesi (La Stampa, 6.12). “Tute blu, effetto ‘Dignità’: a rischio un posto su tre” (il Giornale, 6.12). “Allarme decreto Dignità: a gennaio salta il rinnovo di oltre 53 mila contratti” (Messaggero, 6.12). “Miracoli e catastrofi del decreto dignità” (Il Foglio, 17.12). “Il decreto dignità di Di Maio fa danni enormi: solo a gennaio in 53mila perderanno il lavoro” (Luca Lotti, deputato Pd, Corriere, 17.12). “Già persi 600mila posti di lavoro” (il Giornale, 22.12). “Crotone. Cacciati in 400 per il decreto dignità. La denuncia della Slc Cgil: ‘Solo in Calabria 1500 contratti a rischio’” (Repubblica, 16.1). “Centinaia di migliaia di occupati in meno, circa 250mila solo nel mercato gestito dalle agenzie per il lavoro. Sono le prime conseguenze del decreto dignità” (il Foglio, 24.1). “Il grande ‘successo’ del decreto Dignità. Salgono del 5% le domande di disoccupazione” (Libero, 25.1). “Il lavoro al tempo dei gialloverdi. Incertezza e burocrazia. Gli industriali giudicano il dl Dignità firmato Di Maio, 7 mesi dopo. Che ha prodotto un incremento minimo. E precario” (Espresso, 17.3).

Ora l’Istat comunica che a marzo 2019 gli occupati sono aumentati di 60mila unità rispetto a febbraio e di 114 mila rispetto marzo 2018, soprattutto con contratti stabili (+44mila); e la disoccupazione è scesa al 10,2%, specie fra i giovani e le donne. Da gennaio a marzo 2019, dopo l’assestamento del Dl Dignità in vigore da novembre, l’occupazione cresce sui tre mesi precedenti (+0,2%, pari a +46 mila), calano i dipendenti a termine (-1,0%, -31 mila), aumentano gli indipendenti (+0,3%, +14 mila) e soprattutto i dipendenti permanenti (+0,4%, +64 mila). Ma i profeti di sventura non disperino: andrà certamente peggio nel prossimo trimestre. Infatti Repubblica già titola tutta bagnata: “Il caso Italia. Europa, pronta la stangata”. Anch’io non vedo l’ora, dunque mi rivolgo, da profano, ai suddetti esperti: quando partono i licenziamenti di massa? Quando arrivano le cavallette? Si sa niente dell’Apocalisse?

“Sono uscito dai guai grazie alle Tarantelle”

“Ricordi quando tornavo a casa spaccato? Non ero Clemente, sono inciampato”, rappa Clementino in Tarantelle, il suo album più intimo e sincero. Per la prima volta il rapper napoletano si mette a nudo parlando prima a se stesso e poi ai fan. Racconta di come, uscito dalla dipendenza dalla droga, si sia riappropriato del futuro.

Tarantelle è il disco della rinascita e della maturità. “Canzoni come A un palmo dal cielo e Diario di bordo – spiega l’artista – parlano di un Clementino più serio. Era il momento di tirarlo fuori”. Tra gli ospiti spiccano Caparezza in Babylon e l’amico Fabri Fibra in Chi vuole essere milionario, poi Gemitaiz e il giovane talento, Nayt.

Quattordici canzoni in cui il rapper fonde i ricordi ai “sogni che disegna nello stereo”. Tenera l’apertura della titletrack, in cui si sente una musicassetta riavvolgersi e la voce della madre che parla a lui bambino. Poi ci sono ballad come Freddo e Mare di notte, in cui Clementino accenna melodie, mescolando come sempre la lingua italiana al napoletano, senza mai perdere il suo flow supersonico. E per la prima volta si dedica una canzone: Versi di me. “Nasce dalla stima – spiega il rapper – che ho per Clemente, quello lucido. Ora mi sto godendo davvero la vita.”

Un disco in cui guarda molto indietro.

Mi sono ritrovato, con la giusta lucidità, a guardare la mia vita e mi sono detto: “Mado’ Cleme’, quante cose hai fatto”. Dal papa a Pino Daniele sino ad arrivare a Jovanotti. Più di 50 videoclip e una miriade di collaborazioni con artisti famosi e sconosciuti. “Cleme’ ora che sei lucido, fermati.” Così è nato Tarantelle.

Perché “Tarantelle”?

Tarantelle – in gergo napoletano: casini e guai – perché nella mia vita ne ho fatte tantissime, per questo mi sembrava il titolo più adatto. Poi una volta lessi che con i balli della taranta curavano le persone morse dalla tarantola e siccome in questi anni di morsi ne ho avuti tanti, le “tarantelle”, alla fine, mi hanno guarito.

Cosa pensa dei rapper che vanno ai talent a fare i coach?

Non sono contro nulla, ma bisogna tenere presente che si tratta d’intrattenimento. Alla fine gli autori di un programma come The Voice sanno bene chi vale e chi no. Credo che la scelta di Elettra Lamborghini sia giustificata più dal fatto che porta view che da un discorso musicale, altrimenti chiamavano Alex Britti.

Lei usa sempre il napoletano nelle sue canzoni.

Perché voglio fare quello che mi piace; poche volte ho fatto quello che volevano gli altri. E ho scoperto che quello che amo è anche quello che vuole la mia gente. Ma poi ci capiscono tutti, Gomorra la guardano in tutt’Italia, basta scandire bene le parole. C’è anche chi rappa in italiano e non si capisce (sorride).

A breve partirà per un tour europeo.

Partiamo da Amsterdam per finire a Valencia. Saranno le prove generali del tour italiano, dove per la prima volta avrò una band al completo.

Ha dei rituali scaramantici prima di salire sul palco?

È una cosa strana, mi guardo allo specchio e mando l’energia dalle pupille di Clementino a quello riflesso, tipo il ciclope di X-Men (ride).

Istruzioni per bravi immigrati: vestitevi male e non ingrassate

È uscito “Consigli per essere un bravo immigrato” di Elvira Mujcic: qui l’autrice italo-bosniaca ci spiega, con ironia, il senso del libro.

Se un giorno ci trovassimo davanti a una giuria e la nostra sorte dipendesse da come sappiamo raccontare la nostra vita? Se il diritto a ottenere documenti validi per un’esistenza legale fosse determinato da quanto la storia che raccontiamo risulta convincente?

D’accordo, sembra un gioco orwelliano o peggio un episodio di una serie tv distopica, invece accade esattamente questo a chi riesce, dopo un tortuoso e lungo percorso, ad arrivare in Italia e fare domanda di asilo o protezione internazionale. La Commissione territoriale è uno degli ultimi ostacoli nell’Odissea di un migrante e la richiesta che gli pone è quanto di più vicino alla letteratura ci sia oggigiorno. Tuttavia non è subito chiaro l’intento letterario, poiché l’iter è ingarbugliato in una lingua, il burocratese, che svilisce, disumanizza e soprattutto distorce.

In questa lingua fantascientifica, la vita dell’essere umano prende il nome di modulo C3; la narrazione di sé è sinonimo di audizione con sfumature tendenti a un interrogatorio; e l’esito finale di questo gioco può essere di riconoscimento o di diniego. Che bella parola “riconoscimento”, alcuni antropologi la propongono in sostituzione alla più spinosa “identità”, e che conquista rara ottenere che il proprio vissuto venga ascoltato, visto, protetto. Decisamente meno entusiasmante ricevere l’etichetta di “diniegato” oppure “negativo”.

Ma se le vite dei migranti sono un genere letterario, quali sono i criteri, le aspettative e gli stereotipi da rispettare affinché la storia possa funzionare? Sì, funzionare, perché non è con la verità che si ottengono i documenti, bensì con alcuni ingredienti ed espedienti narrativi imprescindibili, poiché unicamente alcuni tipi di vicende possono ottenere la protezione, però si chiede a tutti di presentarsi all’audizione e dunque cosa fare se non si ha avuto la fortuna di avere una vita abbastanza devastante da meritarsi l’Europa? Nessuna paura, basterà spostare un pochino la realtà per farla aderire a un’idea e tenere a mente una serie di indicazioni per partecipare alla gara e, se si è nati sotto la buona stella, vincere una bella protezione internazionale.

– Il clima che domina l’audizione è all’insegna del sospetto, tutti bugiardi fino a prova contraria. Si ascolta con l’intento di frugare, sconquassare, verificare e smontare.

– La credibilità si basa su una serie di apparenze e idee su come dovrebbe essere un immigrato (non mettere su peso: non si sono mai visti profughi paffutelli; non vestirsi bene, non mostrarsi troppo resilienti).

– Si pretende che il migrante sia contemporaneamente il testimone e lo storico della propria esperienza; non basta che abbia vissuto, deve anche essere un osservatore attento che guarda agli eventi in modo distaccato e li riporti alla Commissione con la neutralità di un cronista di Rai Storia, riducendo biografie fatte di mappe caotiche e deviazioni a un racconto logico e lineare.

– La sua vita deve essere drammatica, costellata di morti e torture.

– La guerra è il tema migliore, vanno bene anche le persecuzioni per motivi politici e di orientamento sessuale.

– Tutto deve essere verificabile, se i rapporti delle organizzazioni internazionali certificano che c’è una persecuzione omosessuale in Nigeria, allora c’è, altrimenti no.

– La povertà no, non è un tema vincente, il diritto alla mobilità e al viaggio invece è senza ombra di dubbio un tema perdente.

– Sarebbe bene fornire un prova inconfutabile: il certificato medico, quasi certo il successo se attesta le ferite fisiche, mentre quelle interiori sono ingannevoli e difficilmente verificabili.

– Il tono e lo stile devono essere adeguati, evitare ogni accenno di ironia e di leggerezza, non sono le risate ciò che ci si aspetta da chi è scampato alla morte.

Infine non c’è che da restare in attesa, ci vuole pazienza, la rabbia no, non è civile.

Resistere, in apnea, senza mai perdere di vista l’obiettivo e la convinzione che il riconoscimento dei documenti permetterà di smettere i panni di un modulo C3 e tornare alle sembianze umane.

Pure l’editoria scarica Woody “il tossico”: gli resta il jazz

La parola è “tossico”. E nessuno l’avrebbe associata a Woody Allen prima di quest’epoca a dir poco maligna, certamente ingrata, nei suoi confronti. A usarla sono i manager degli editori americani chiamati in causa sull’ultima follia che fa notizia attorno al regista di Manhattan.

A quanto riporta il New York Times, infatti, nessuno è disposto a pubblicare il mémoire di Allen al quale l’artista ha lavorato per decenni e che ora sarebbe pronto in forma di manoscritto. Qualcosa che solo alcuni anni fa avrebbe scatenato una novella corsa all’oro, e oggi, invece fa retrocedere i (non più) interessati con ritrosia e non poca vergogna perché essi sanno, in cuor loro, quello che fanno e che vanno perdendo.

Ma Woody oggi è tossico, anzi, per dirla bene, tossico è lavorare con/su di lui, prenderne in considerazione la figura artistica “inscindibilmente” legata a quella umana e proporla a un mercato internazionale pavido, così rischioso che più facile è un “No, grazie, non ci interessa”.

Il movimento del #MeToo – specie nelle frange profonde delle sue origini anglosassoni – ha fornito la definizione a questa “tossicità”, al di là di sentenze d’innocenza conclamata: è preferibile bandire (allontanare, cancellare…) chiunque sia stato accusato di molestie sessuali, per di più dalla propria figliastra che all’epoca aveva 7 anni. Punto e a capo. Per effetto domino, produttori, distributori e molte delle star con cui l’83enne cineasta ha lavorato si sono “ufficialmente pentiti” di averlo fatto, altri hanno addirittura devoluto i compensi ottenuti in beneficenza (“denaro sporco”, la mafia ha un nuovo rivale!) con l’ovvia conseguenza del “mai più con lui”: con l’estrema unzione sentenziata da Amazon Studios, che giammai distribuirà l’ormai finito A Rainy Day in New York, Woody Allen appartiene al cinema del passato, in Italia però lo vedremo in ottobre grazie a Lucky Red.

Ma il mondo dell’editoria, finora, non si era pronunciato né schierato. E pensare che – sempre a quanto riporta il Nyt – nel 2003 il grande autore stava chiudendo con Penguin una sua autobiografia per la “modica” cifra di 3 milioni di dollari e non lo fece perché “per quello voglio più soldi”.

“È molto triste apprendere che, oltre al cinema, anche l’editoria statunitense abbia fatto muro contro Woody Allen: non me l’aspettavo, anche perché in buona parte è costituita da persone molto liberal”, dichiara Gian Arturo Ferrari, ex vicedirettore di Mondadori di cui ora è consulente. “Tutti sappiamo quanto il mondo anglosassone sia puritano e poco conciliante con questo genere di peccati, ma bandire totalmente dalla pubblicazione un personaggio del peso di Allen mi pare una sciocchezza. Ammesso il sacro diritto alla libertà di stampa per cui un editore può o meno pubblicare come ritiene qualunque autore o libro, trovo che questo comportamento manifesti sostanzialmente la paura di diventare suoi complici; a questo punto dovrebbero nuovamente censurare Lolita e tanti capolavori e autori letterari. Fosse per me non aspetterei un secondo a pubblicare il manoscritto di Woody Allen che considero un grande artista”.

Con decine di libri a sua firma – Allen è anche scrittore, saggista, squisito umorista e fumettista e così ha iniziato la sua carriera – e dozzine di saggi/biografie a lui dedicati, il “caso del mémoire rifiutato” rivela un possibile paradosso. Poniamo infatti l’ipotesi che il manoscritto contenga alcuni elementi scottanti sui fatti di cui il regista è stato incriminato e, va detto, sempre assolto, con la figliastra-accusatrice Dylan Farrow addirittura in retroguardia rispetto agli strali di cui si è fatta portavoce fino a mesi fa. Se così fosse, il punto di vista del cineasta andrebbe in pasto ai lettori planetari, divenendo una “patata bollente” a cui i draghi dell’editoria non rinuncerebbero così facilmente. Ma nessuno lo sa – diversi editori si sono persino rifiutati di leggere i contenuti del libro – e chi lo sa non vuole parlare. Il fatto resta che davanti alla proposta di pubblicare il memoriale del plurimo premio Oscar nessun editore abbia fatto offerte.

Anche Stefano Mauri, presidente e ad di GeMS (Gruppo editoriale Mauri-Spagnol), pubblicherebbe senza esitazioni il mémoire di Woody Allen con una sola eccezione “se fosse un’unica excusatio non petita strumentale riguardo alle accuse dalle quali fu peraltro scagionato”. “In pratica – aggiunge Mauri – se il libro vertesse solo su quel tema e ritenessi che, pur essendo suo interesse scriverlo, non è interesse del suo pubblico leggerlo”.

Insomma, se dalle parti di Hollywood la carriera di Woody è definitivamente chiusa (“Non vedo alcun futuro nel suo lavoro”, dice Tim Gray, senior Vp di Variety, la bibbia dello showbiz) e da quelle dei publisher le porte si stanno puritanamente serrando (“Un ebook la cui cover mostra una donna rinascimentale a seno nudo non si venderebbe mai su Apple”, chiosa Mauri) ad Allen, per ora, sembra restare solo il clarinetto: i suoi concerti jazz vanno ancora a ruba.

Maltrattamenti a scuola, arrestata maestra elementare

Una maestra elementare è stata messa agli arresti domiciliari, a Torino, per maltrattamenti sui bambini. A eseguire il provvedimento è stata la polizia municipale. La donna, di 45 anni, prestava servizio alla “Leone Sinigaglia” di corso Sebastopoli. Secondo le indagini intimava ai piccoli alunni di non riferire nulla a casa prospettando loro “gravi conseguenze”.

L’indagine ha preso le mosse lo scorso autunno. I genitori hanno raccontato i maltrattamenti patiti dai bambini e le conseguenze sul loro stato d’animo: avevano incubi, pativano episodi di incontinenza notturna e si rifiutavano, piangendo, di andare a scuola nelle giornate in cui sapevano che avrebbero incontrato la maestra. È capitato, secondo le testimonianze raccolte dalla polizia municipale, che durante le lezioni, a causa del divieto di andare ai servizi igienici, dovessero restare in classe bagnati. In un’occasione sarebbero stati costretti, tra le lacrime, a pulire sommariamente il pavimento con la carta igienica. La donna era già stata indagata – e archiviata – per maltrattamenti e abusi di mezzi di correzione nel 2011 e nel 2016.

Impediscono alla figlia sospesa di entrare a scuola, la madre aggredisce a calci e pugni la prof

Appena ha saputo che sua figlia era stata sospesa per 15 giorni, è andata a scuola e ha aggredito la dirigente che l’aveva ricevuta perché la figlia 17enne pluriripetente era stata sospesa “per l’ennesima volta”, come racconta il preside dell’istituto Francesco Terracina. Ieri mattina a scuola si era presentata anche la figlia 17enne, 10 minuti prima della madre. Quando il personale parascolastico non le ha aperto ricordandole che era stata sospesa e che sarebbe stata poi contattata dall’ufficio di presidenza, la giovane è tornata a casa. Dieci minuti dopo la “spedizione punitiva” della madre. La donna è stata ricevuta dalla professoressa Vittoria Bellini, 63 anni, che ha provato a calmarla, ma è invece stata colpita con pugni e anche oggetti. Portata al pronto soccorso, è stata poi dimessa con una prognosi di pochi giorni. La donna è stata denunciata dalla professoressa Bellini che non era né un’insegnante né la preside della ragazza, ma solo la coordinatrice che la accoglieva quando la giovane veniva mandata fuori dalla classe “per episodi – come spiega il dirigente scolastico Francesco Terracina – che spaziavano da minacce a pestaggi di coetanei”. “Cosa c’entravo io?”, ha continuato a ripetere la docente dopo l’aggressione.

La madre della ragazza, come testimoniato anche dalle bidelle, le ha prima tirato i capelli, poi le ha dato un pugno in testa e le ha scagliato contro biro, matite e qualsiasi altro pezzo di cancelleria le capitasse a tiro. Solo quando ha visto l’auto della polizia si è bloccata ed è riuscita a dileguarsi. “I ragazzi devono capire che qui stanno in un ambiente che devono rispettare. Ma se, poi, i genitori, si comportano così, allora è un disastro”, ha detto il preside.

Non poteva mancare il tweet del ministro dell’Interno Matteo Salvini: “Arresto immediato per questa ‘madre’ violenta, massima solidarietà agli insegnanti che devono subire l’imbecillità di qualche alunno e, purtroppo, anche di qualche genitore”.

Commerciante del centro ucciso a sprangate in negozio. Probabile rapina finita male

Si chiamava Norberto Fedeli, aveva 74 anni ed era titolare di della jeanseria “Fedeli Vogue” in pieno centro a Viterbo. L’uomo, un commerciante molto noto in città, è stato ammazzato a colpi di spranga vicino alla cassa del suo negozio in via San Luca. Il commerciante è stato trovato senza vita e in un lago di sangue dalla parrucchiera accanto che alle 13.30, vedendo la saracinesca ancora semiaperta, è entrata per accertarsi che fosse tutto a posto. Le urla della donna hanno richiamato l’attenzione della moglie della vittima, nella sua abitazione a pochi metri. Corsa sul posto, e visto il marito ormai morto, ha accusato un malore ed è stata soccorsa dai sanitari del 118 sul posto. Sul caso indagano gli agenti della Squadra Mobile, ora a caccia di filmati delle telecamere di videosorveglianza che possano aver ripreso l’omicidio. L’ipotesi più accreditata è la rapina finita male. Fedeli è stato trovato con il cranio fracassato, forse da uno sgabello o da una spranga, e secondo i primi rilievi sul capo ci sarebbe l’impronta di una scarpa. Nel negozio dell’uomo è stata rinvenuta una scia di sangue fino all’entrata: forse la vittima ha tentato di trascinarsi fino a fuori per chiedere aiuto. A coordinare le indagini, affidate alla Squadra mobile di Viterbo, la pm Eliana Dolce.