Caro diario, cercavo lavoro ma è finito

1991. Caro Diario, comincio il liceo. Papà e mamma non hanno completato gli studi perché sono andati in fabbrica. Dicono che io, invece, posso ambire a un impiego pubblico che è il più sicuro: “Ci sono tante aziende pubbliche: Iri, Eni, Enel, Italsider…”.

1992. Caro Diario, sono stata promossa. Papà e mamma dicono di sbrigarmi per l’impiego pubblico perché Amato sta svendendo ai privati Iri, Eni, Enel, Italsider, Telecom, Banca di Roma. Dice papà che, se non corro, privatizzano pure la sanità, la scuola, le ferrovie o la rete idrica! A papà piace scherzare. La sanità privatizzata? Con i medici che ti impiantano protesi per far soldi invece che per curarti, come un concessionario che ti vende l’auto nuova pure se quella vecchia cammina ancora? Mamma dice che il Pds non lo permetterà mai.

1997. Caro Diario, mi sono diplomata e sono all’università. Papà dice di sbrigarmi con quel posto fisso perché è diventato interinale. Lui non ha capito bene cosa vuol dire, ma io che ho fatto il classico sì. “Ad interim” significa frattanto. Il ministro Treu dice che così i disoccupati possono lavorare nel mentre che trovano il lavoro. Mamma ha scritto una lettera a Occhetto per domandargli spiegazioni: “Segretario, il posto fisso non c’è più?!”.

1998. Caro Diario, il Pds non c’è più. Il segretario dei Ds Massimo D’Alema conferma che l’era del posto fisso è finita.

2000. Caro Diario, mi sono laureata e ho trovato lavoro. Un co-co-co. Guadagno poco e non ho le ferie, ma l’azienda dice che è una fase e devo fare la gavetta.

2003. Caro Diario, l’azienda aveva ragione, il co-co-co era una fase. Ora mi hanno fatto un co-co-pro, introdotto dalla Legge Biagi: me lo fa l’agenzia interinale. Non ho ancora le ferie pagate e la banca non mi dà il mutuo. Fino a quando avrò un contratto a progetto non potrò fare progetti, ma tengo duro per finire la gavetta.

2005. Caro Diario, l’azienda è molto soddisfatta di me: vuole che continui a svolgere il mio lavoro. Mi ha chiesto di aprire la partita Iva. Ho fatto carriera, sono diventata imprenditrice.

2006. Caro Diario, ho chiuso la Partita Iva. Papà mi ha prestato i soldi per la gestione separata dell’Inps. L’azienda deve ancora pagarmi le fatture del 2005.

2007. Caro Diario, mi hanno assunta con un part-time a tempo determinato. In realtà lavoro a tempo pieno, ma solo fino a quando non finisco la gavetta.

2008. Caro Diario, mi hanno rinnovato il contratto!

2009. Caro Diario, mi hanno rinnovato il contratto! L’azienda è molto soddisfatta di me. Allo scadere del contratto, mi fanno l’indeterminato e chiedo il mutuo.

2011. Caro Diario, aspetto un bambino. Mamma ha detto che mi dà una mano lei l’anno prossimo quando va in pensione.

2012. Caro Diario, l’azienda non mi ha rinnovato il contratto. Meglio così perché mamma non va più in pensione, le hanno aumentato l’età pensionabile.

2014. Caro Diario, ho ripreso a lavorare saltuariamente per l’azienda con i voucher. Sono contratti che si comprano dal tabaccaio. Mamma ha scritto a Renzi per chiedere spiegazioni.

2015. Caro Diario, grazie agli incentivi del governo, l’azienda mi ha assunta a tempo indeterminato! Con il contratto a tutele crescenti. Aspetto un secondo figlio!

2016. Caro Diario, “tutele crescenti” si intendeva che potevano licenziarmi. Mamma ha scritto a Renzi per mandarlo a quel paese.

2019. Caro Diario, ho fatto domanda per il reddito di cittadinanza. Qualche centinaio di euro in cambio di 8 ore di lavoro a settimana, che è all’incirca la paga oraria del co-co-co del 2000. Nel frattempo, forse, mi trovano un lavoro. Dovrò accettarlo anche se fosse a 800 chilometri da casa. In quel caso vado all’estero, che è più vicino e mi pagano di più. Quando mi saldano le fatture del 2005 compro il biglietto.

Il golpe in Venezuela è una fake news

Il “golpe” di Guaidó in Venezuela è una dimostrazione in vitro di come un fuoco concentrato di balle, in termini moderni fake news, può far apparire reale l’irreale e il falso. Tutti i giornali e i media internazionali ci avevano rotto i timpani facendoci intendere che in Venezuela era in atto un colpo di Stato, che Caracas era nel caos, che erano in corso combattimenti, che il presidente “usurpatore” Maduro stava per fuggire dal Paese e gettarsi nelle braccia di Putin.

Ebbene Pino Arlacchi, che non è proprio l’ultimo venuto, essendo stato fra le tante altre cose sottosegretario delle Nazioni Unite, che in quei giorni era a Caracas, quindi sul posto, ha raccontato a Salvatore Cannavò del Fatto, forse l’unico giornale che insieme al nostro governo, in questo caso a trazione Cinque Stelle, non si è fatto abbagliare, una realtà molto diversa. Ha attraversato la città e l’ha trovata tranquilla tranne che in piazza Altamira, luogo tradizionale in cui si radunano i sostenitori della destra estrema, “i guarimbas, le squadre dei bulli dei quartieri alti che assaltano i cortei popolari picchiando, bruciando e sparando”.

Sono stato in Venezuela, per motivi personali e non professionali, a metà degli anni 90 prima che Chavez prendesse il potere. Mille ricchissime famiglie di Caracas possedevano, in pratica, quasi tutta la ricchezza nazionale, il resto era desolazione, miseria, analfabetismo. Come avevo scritto in un altro pezzo (“Altro che Isis, i terroristi più pericolosi sono gli Stati Uniti”, Il Fatto, 5 marzo 2019), basato su dati forniti dal Fmi e dalla Banca Mondiale, il “chavismo” aveva lavorato ottimamente in Venezuela: le spese sociali avevano raggiunto il 70 per cento del bilancio dello Stato, il Pil pro capite era triplicato in poco più di 10 anni, la povertà era passata dal 40 al 7 per cento, la mortalità infantile dimezzata, la malnutrizione era diminuita dal 21 al 5 per cento, il coefficiente Gini di disuguaglianza sociale era sceso al livello più basso dell’America Latina, l’analfabetismo praticamente azzerato.

Alla morte di Chavez gli Stati Uniti hanno colto la palla al balzo per abbattere questo scandalo: un Paese socialista che si permetteva di migliorare invece che peggiorare. Hanno sottoposto il Venezuela a sanzioni economiche e sociali sempre più pressanti. È chiaro che in questo modo si mette facilmente in ginocchio un Paese, qualsiasi Paese. Racconta ancora Arlacchi (menomale che qualcuno d’una sinistra non comunista esiste ancora, peraltro qualcosa in questo senso si vede adesso in Spagna dove il governo socialista di Pedro Sanchez ha finalmente un programma socialista): “Le sanzioni economiche americane tagliano le medicine, il rapporto Sachs spiega molto bene che negli ultimi due anni a seguito delle sanzioni sono morte 40 mila persone in più soprattutto per la mancanza di medicine come l’insulina o i farmaci anti-Hiv, il governo ha i soldi per comprare ma le banche internazionali si rifiutano di eseguire le transazioni”.

Capite allora chi è che domina la danza? Capite che quando qualcuno parla di “poteri forti” (non è il mio caso, mi sembra un’espressione troppo vaga) non sta vaneggiando? Adesso gli americani, visto che il fantoccio Guaidó non regge più, minacciano un intervento armato in Venezuela se dobbiamo dar retta alle parole del segretario di Stato Mike Pompeo (basta guardarlo in faccia, costui, per capire di che pasta è fatto). Io non posso credere che gli americani vogliano ripetere in Venezuela gli errori, e gli orrori, che anche con la complicità di alcuni Paesi europei, Francia in testa, hanno compiuto in Serbia nel 1999, in Iraq nel 2003, in Libia nel 2011.

Domenica 12 maggio parteciperò a un convegno a Brescia in cui parlerò del “diritto dei popoli di filarsi da sé la propria storia”. Cioè del diritto all’autodeterminazione sancito peraltro solennemente a Helsinki nel 1975 da quasi tutti gli Stati del mondo. Questo diritto è stato stracciato non solo nei Paesi che abbiamo nominato, ma anche nell’ex Africa Nera da cui ci giungono le migrazioni che tanto ci preoccupano o fingono di preoccuparci. L’Onu non conta più nulla, quel poco di diritto internazionale che ancora esisteva nemmeno. Alla forza del diritto abbiamo sostituito definitivamente il diritto della forza. Una concezione che sarebbe piaciuta ad Adolf Hitler.

Mail box

 

Il Pd non ha nulla a che vedere con la “vera” sinistra

Scontri al corteo del 1° maggio a Torino tra i manifestanti No Tav e la delegazione del Pd. Ma che c’azzecca il Pd con il 1° maggio? Quando governava ha fatto scempio dello Statuto dei lavoratori, lasciato sul terreno 5 milioni di poveri assoluti, e altri milioni di lavoratori precari usa e getta. I dem ormai rappresentano i ceti medio alti che con la crisi hanno incrementato il proprio reddito in sintonia con i processi della globalizzazione che hanno determinato la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e proletarizzato i ceti medi. Alle politiche il Pd stravinse ai Parioli di Roma, nel centro di Milano e a Bologna fece eleggere Casini. La deriva destrorsa era già evidente ai tempi dei governi Prodi, quando iniziarono le liberalizzazioni selvagge. I post comunisti volevano accreditarsi a tutti i costi come gli interlocutori più affidabili del neo capitalismo rampante, e così si sono lasciati sedurre dalle sirene del neo liberismo diventando più lealisti e realisti del re. Ma hanno fatto i conti senza l’oste: credevano che fosse sufficiente ripetere la parola sinistra per continuare ad abbindolarci. Associare il Pd alla festa del lavoro crea un ossimoro.

Maurizio Burattini

 

Se vogliono avere successo dem e M5S devono cambiare

Ora la signora Boschi vuole insegnare come risolvere i problemi e governare il Paese. Ora il signor Delrio vuole cooptare i 5 stelle ai suoi desiderata di sistemare i ceti più abbienti e fare, finalmente, qualcosa di “sinistra”. Ora il signor Calenda pretenderebbe di essere preso sul serio, quando parla di “cose” di sinistra. Ora Renzi si fa, finalmente, solo i fatti suoi. E Di Maio? Ha affilato i denti, siamo in campagna elettorale! Umile consiglio sia al Pd che al Movimento: ci vuole coraggio. Bisogna, da parte dei 5 stelle, avere il coraggio di denunciare il malaffare che ancora alberga in vari strati della politica. Bisogna che non si facciano infinocchiare dalle frasi e slogan come: “I processi si fanno in Tribunale”, “Uno è innocente fino al 3° grado di giudizio”, e cose del genere. Un personaggio condannato per bancarotta fraudolenta e per aver sottratto soldi nostri (al fisco) portandoli in paradisi fiscali non può governarci. Diversamente, fra non molto potremmo vedere Berlusconi ministro della Famiglia. Il Pd deve fare una sincera autocritica e rottamare (non mi ricordo chi ha usato, per primo, questo verbo) quanto di inutile, dannoso e marcio c’è al suo interno.

Paolo Benassi

 

La (dis)informazione di massa della televisione pubblica

Il tg di Rainews24, nell’edizione delle 12:30: “Tensione a Torino tra NoTav anarchici e la polizia”. Nient’altro. Disinformazione pura, pagata con le nostre tasse. Basta seguire il canale per capire che è una riserva indiana del Pd.

Vincenzo Magi

Abbiamo un capo del governo E non è Matteo Salvini

La più bella notizia di questi primi giorni di maggio è che l’Italia si è “normalizzata”.

Abbiamo non solo un governo ma un capo del governo, che non si chiama Matteo Salvini come avevano finito per farci credere, ma Giuseppe Conte.

In quanto al sovranista Salvini che, come chiaramente affermato dal Prof. Sabino Cassese, nel non festeggiare il 25 Aprile si è messo fuori dalla legittimità costituzionale, ingoierà il rospo Siri e non farà certo cadere il governo come lasciava intendere: ha imparato a sue spese che i bluff, prima o poi qualcuno li va a vedere e questo lascia ben sperare per il futuro del nostro Paese.

Vincenzo Bruno

 

La drammatica condizione dei trasporti in Sicilia

Chiunque sappia il minimo indispensabile sulla Sicilia sa che questa regione è storicamente divisa in due dall’assenza secolare di possibilità di normale comunicazione fra la parte occidentale e quella orientale, che hanno finito per costituire due diverse entità geografiche e antropologiche. Due aree metropolitane di oltre un milione di abitanti ciascuna che sulla carta distano fra loro poco più di duecento chilometri costituiscono di fatto due universi isolati culturalmente ed economicamente l’uno dall’altra. Chiunque abbia fatto qualche viaggio in giro per l’isola, dovrebbe conoscere lo stato di semi impraticabilità dell’autostrada Catania – Palermo e lo stato di disfacimento della rete stradale provinciale che rende isolati, per esempio, tutti i centri delle Madonie. Dovrebbe sapere che la superstrada Palermo – Agrigento sembra un relitto postbellico. Dovrebbe sapere che tutta la rete ferroviaria locale è stata soppressa anzichè essere trasformata in metropolitana regionale, e quel che ne rimane è qualche troncone inutilizzabile. Dovrebbe sapere che i tempi di percorrenza attuali dei treni monobinario fra Catania e Palermo sono biblici e che fino a prima del crollo del viadotto autostradale sul fiume Imera, vi erano solo due corse giornaliere, una al mattino ed una la sera in ambo le direzioni. Scoprirebbe un tempo di percorrenza di undici ore. Se pensiamo che le infrastrutture di base debbano seguire lo sviluppo civile anzichè esserne la premessa, siamo completamente fuori strada. Non è mai troppo tardi. Le infrastrutture ferroviarie sono di pertinenza statale, pertanto è inutile tentare di prendersela al solito con il malgoverno locale. E il Tav non c’entra niente.

Alberto Fazio

Tutti promossi, ma uno su tre non comprende il testo

Gentile redazione, sarà per colpa della mia non più giovane età, ma sono seriamente preoccupata per lo stato di salute della scuola italiana: un giorno aboliscono le note, un altro promuovono tutti, anche senza le minime competenze linguistiche. Manca solo l’insegnamento obbligatorio del terrapiattismo… Aiutatemi, per favore, a trovare una notizia positiva sulla cultura e l’educazione in questo sciagurato Paese. Grazie.

Nora Acerbi

Cara Acerbi, quando ieri abbiamo letto il rapporto pubblicato dall’Istat secondo cui il 34% degli studenti promossi dopo la terza media non è in grado di comprendere un testo appena complesso, confessiamo che ne siamo stati rincuorati. Pensavamo fossero molti di più, a giudicare da come scrivono e parlano i loro genitori, parenti, educatori, medici di base, insomma dal rapporto che gli italiani adulti hanno con la loro lingua. Per un terzo di questi ragazzini smartphone-dipendenti che non capisce il senso di un brano che non sia composto solo di emoticon, ci sono due terzi di loro, ben 75 su 100, che potrebbero agevolmente spiegare alla mamma e al papà il significato di un articolo di giornale, di un post su Facebook, di un’intervista o di un referto medico. Spesso di fronte a queste fotografie statistiche ci si indigna dando la colpa ai tempi e ai giovani, dimenticando che gli insegnanti che quei giovani formano e preparano alla vita sociale, lavorativa e civile sono adulti, a loro volta usciti da università evidentemente sempre meno improntate alla qualità, in un Paese che proclama di promuovere “il merito” in senso competitivo e dimentica di occuparsi delle cause che hanno prodotto e producono schiere di analfabeti funzionali (secondo Tullio De Mauro, più del 50% degli italiani). Anche i test Invalsi su cui è basato lo studio sono fatti da adulti, e su questo – sulla loro validità scientifica – ci piacerebbe sentire il parere dei docenti. Dopo decenni di sventramento della scuola e della ricerca il dato non dovrebbe stupire e anzi, ripetiamo, è incoraggiante. Quanto all’abolizione delle note disciplinari, da scuolesenti ci rallegriamo per i poveri discoli a venire, visto che col vecchio metodo non si è impedito a intere generazioni di bulli di crescere e in alcuni casi persino di andare al governo.

Daniela Ranieri

Bollette a 28 giorni, Agcom multa Sky per 1 milione di euro

Dopo quella erogata dall’Antitrust per pubblicità ingannevole e pratica aggressiva, arriva una nuova multa per Sky. L’Agcom ha inferto una sanzione di un milione di euro all’emittente satellitare nell’ambito delle verifiche svolte sul ripristino della periodicità della fatturazione e dei costi dell’abbonamento ai servizi su base mensile. A partire dal mese di marzo 2018 – si legge nella delibera – l’autorità ha ricevuto diverse segnalazioni da parte di utenti che hanno lamentato la mancata trasparenza delle informative rese da Sky, nonché il mancato riconoscimento del corrispondente diritto di recesso, con conseguente addebito di penali e costi di disattivazione, incluso il recupero degli eventuali sconti fruiti. Sky ha annunciato di ricorrere al Tar contro la sanzione e ha ricordato “di essersi limitata, ormai un anno fa, a riparametrare il corrispettivo dell’abbonamento annuale, rimasto invariato, in 12 ratei mensili anziché in 13 ratei quadri-settimanali, come imposto dalla legge 172/2017, a decorrere dal 5 aprile 2018”. La società satellitare ha anche spiegato “di aver agito conformemente alla normativa” e che confida che la correttezza del proprio operato emergerà da un esame più approfondito in sede di ricorso.

Assegni familiari. Le domande si fanno online ma manca il servizio

Ci sono centinaia di lavoratori che questo mese non riceveranno gli assegni familiari, perché la nuova procedura di richiesta entrata in vigore il primo aprile non è stata ancora attivata sul sito dell’Inps. Secondo il presidente della Fondazione Consulenti per il lavoro Vincenzo Silvestri “si tratta dell’ennesimo disagio a danno dei lavoratori”. A rimanere senza assegni familiari sono tutti i lavoratori dipendenti del settore privato che hanno presentato la domanda nelle scorso settimane, da quando è diventato obbligatorio per i lavoratori presentare le richieste di assegno direttamente all’Inps, esonerando quindi le aziende che fino ad oggi si sono occupate di verificare i requisiti e di avviare le procedure di erogazione. Ma per attivare il nuovo meccanismo, l’Inps avrebbe dovuto mettere a disposizione già da aprile una specifica sezione nel cassetto previdenziale aziendale. Servizio che, secondo la denuncia dei Consulenti del lavoro, non è invece stato attivato impedendo a tutti i lavoratori che hanno fatto domanda per gli assegni (perché magari hanno avuto un figlio, si sono sposati o hanno avuto un nuovo contratto) di ottenerli nella busta di maggio, dal momento che le aziende le hanno già elaborato e messe in liquidazione.

Storie da reddito: “Ora posso permettermi la carne rossa”

Una famiglia ha ripreso a mandare il figlio dal dentista e ha iniziato a variare l’alimentazione inserendo carne e pesce nel carrello della spesa. Un single ha smesso di contare gli spiccioli prima di entrare nel supermercato. Un padre, per la prima volta in nove anni, ha organizzato una festicciola per il compleanno della sua bambina. I primi 500 mila beneficiari del reddito di cittadinanza hanno da pochi giorni in mano la carta PostePay; alcuni hanno raccontato al Fatto dell’effetto che questo ha avuto nella loro vita, di come ora possono permettersi cose alle quali hanno sempre rinunciato. Si tratta quasi sempre di beni di prima necessità, cibo e medicinali, ma non mancano i simboli che consentono loro di sentirsi meno discriminati.

“Dopo aver stretto la cinghia per anni – spiega Daniele – posso andare a mangiare una pizza, non ricordavo più che sapore avesse. E posso entrare nei negozi senza dover controllare i centesimi che mi erano rimasti”. La sua storia è quella di un uomo che ha lavorato per anni al mercato ortofrutticolo di Sassari, poi nel 2016 ha dovuto smettere a causa di un problema di salute. Tutto quello che gli era rimasto è la pensione di invalidità da 280 euro. Il 16 aprile l’Inps gli ha comunicato tramite sms che la sua domanda di reddito di cittadinanza è stata accettata e che la cifra mensile riconosciuta è 500 euro. Una decina di giorni fa gli hanno consegnato la card carica: “Ho pagato l’affitto, la luce e ho preso dei capi di abbigliamento”, ha spiegato. Vive da solo e, dopo la malattia ha avuto un crollo psicologico: “Devo tutto al supporto di una mia amica. So io quanti pianti mi sono fatto in casa in questi anni. E adesso quando rientro non mi chiudo nella malinconia che avevo quando non sapevo cosa mangiare”.

Sembra quindi che, se da un lato c’è qualcuno che è rimasto molto deluso perché ha ricevuto cifre che ritiene insufficienti – come i 35 mila che prendono meno di 50 euro al mese – c’è chi invece sta percependo un sostegno tale da permettergli di cambiare vita e adottare abitudini più sane a partire da quelle a tavola.

È il caso di Lilly, che ha 43 anni e vive dalle parti di Civitavecchia (Roma). Alcuni giorni fa è andata a ritirare la tessera accompagnata dalle telecamere di DiMartedì (La7). In famiglia sono in quattro e fino al mese scorso prendevano 380 euro di reddito di inclusione (Rei). Adesso invece possono contare su poco più di 800 euro di reddito di cittadinanza.

“Prima si acquistava un po’ di carne rossa e pesce in meno – ha detto al Fatto – perché sono alimenti più costosi. Ora sono riuscita a comprarne di più, e non siamo più costretti a mangiare sempre pasta. La nostra dieta è diventata più equilibrata, ho due bambini che sono in fase di crescita ed è importante soprattutto per loro equilibrare l’alimentazione”. Può sembrare una banalità, ma non è così: la possibilità di garantirsi pasti sufficientemente proteici è considerato uno dei fattori che indicano un tenore di vita dignitoso; l’assenza di carne e pesce dalla dispensa, invece, contribuisce a definire uno stato di grave deprivazione materiale. Alla base, insomma, c’è un discorso legato alla salute. “Mio figlio di 14 anni – aggiunge Lilly – stava anche facendo una cura presso un dentista privato, ma poi l’abbiamo interrotta perché non riuscivamo più a sostenerla. Adesso credo che siamo nelle condizioni di riprenderla”.

Le famiglie con figli minorenni sono quelle che, in genere, hanno più spese. Quella ordinaria e il corredo scolastico sono priorità. Ma accanto a queste ci sono gesti simbolici.

Mario vive nella periferia di Roma e anche lui con l’arrivo del reddito di cittadinanza ha raddoppiato la dote: da 460 a 900 euro. Ha due bambine con lievi disabilità, e quella cifra è ancora un po’ bassa rispetto alle sue necessità, ma di certo ora lui e sua moglie sono più sereni rispetto a prima. “Ieri sono andato a prenotare la prima festa di compleanno di mia figlia con la scuola, è la prima volta che lo stiamo facendo in nove anni”. Per il resto, Mario ha usato la carta per i classici acquisti: “Ho pagato l’affitto, abbiamo fatto la spesa e ho preso dei medicinali dalla farmacia. Adesso aspetto di sapere se sarà possibile anche comprare vestiti o scarpe”.

Non dovrebbero esserci problemi, perché il presidente dell’Inps Pasquale Tridico ha detto che sarà precluso solo il gioco d’azzardo, ma oltre a questo non ci saranno acquisti considerati “immorali”. A prescindere dalle quantità, per Mario la soddisfazione sta anche nel dover chiedere meno aiuti ai suoi genitori: “Fino allo scorso mese abbiamo fatto molto affidamento su mio padre e mia madre, ora posso dare loro un po’ più di respiro”. Il welfare statale, insomma, si è sostituito a quello famigliare.

L’altroieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha condiviso una notizia su Facebook: un signore con problemi alla vista che ha acquistato con il reddito di cittadinanza un paio di occhiali che prima non riusciva a permettersi. Il post, come sempre succede, ha generato reazioni differenti. Qualcuno ha riso della vicenda, altri hanno espresso perplessità. Altri ancora hanno aggiunto la propria testimonianza. “Io ho finalmente pagato serenamente le bollette – ha scritto Luciano – Non sono più solo e abbandonato dallo Stato”.

Nella discussione sono intervenuti anche commercianti, come un salumiere che ha raccontato di clienti in difficoltà economiche che ora hanno smesso di lesinare. Resta il timore che, accanto ai tanti che davvero erano in emergenza, vi siano i furbi. La speranza del governo è che le pene fino a sei anni di carcere per chi dichiara il falso al fine di ottenere il reddito funzioni da deterrente.

Silli lascia Forza Italia: “Ormai è come il Pd” B. lo chiama: “Resta”

Chi era costui?Potrebbe chiederselo più di un lettore. Eppure Giorgio Silli, imprenditore pratese del tessile, assessore per anni nel suo Comune, è responsabile immigrazione di Forza Italia e, non bastasse, deputato. Ieri il nostro ha annunciato “la scelta più sofferta della sua vita”: lascia il gruppo di FI e s’accomoda nel Misto. Scrive Silli: “Non accetto più di sentirmi dire dagli amici e sostenitori di una vita che su molti temi siamo diventati come il Pd”; “amici cari, con tutto il rispetto, metà di noi oggi incarnano una linea che assomiglia più a quella di Matteo Renzi che non a quella che impostammo insieme oltre un decennio fa, quando eravamo noi a trainare il centrodestra e non a esser trainati”, mentre “l’altra metà di noi, ogni giorno, si domanda perché restare”. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, pare, la scelta di FI di votare contro una mozione sul genocidio armeno. La decisione di Silli sembra, insomma, proiettarlo verso Salvini e il pensiero deve aver colto anche Silvio Berlusconi, che l’ha chiamato dall’ospedale in cui si sta riprendendo dall’intervento per una occlusione intestinale: l’ex Cavaliere, che vede franare il partito intorno a sé a tre settimane dalle Europee, gli ha chiesto di ripensarci.

La Papessa sbarca in Rai grazie a Maglie e De Santis

La papessa sbarca in Rai. Nella tv di Stato gialloverde c’è posto per tutti e così pure per Francesca Immacolata Chaouqui, la rampante lobbista calabrese, con padre francese di origini marocchine, diventata famosa dal nulla nel 2013 quando papa Bergoglio la chiama a far parte della Cosea, la commissione di studio e indirizzo sull’organizzazione delle strutture economiche e amministrative della Santa Sede, guidata dal cardinale spagnolo Vallejo Balda. E, insieme al monsignore spagnolo, Chaouqui è stata portata alla sbarra dagli inquirenti vaticani a seguito dell’inchiesta sul trafugamento di documenti e fuga di notizie dalle mura leonine, il caso Vatileaks 2 (che vide indagati anche i giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi), per cui Chaouqui (difesa da Giulia Bongiorno) il 7 luglio 2016 è stata condannata a dieci mesi di reclusione, con pena sospesa. Una carriera bruciante giocata su rapporti e relazioni tessute Oltretevere – con l’incarico a soli 33 anni alla Cosea, la vicenda processuale di cui sopra e le polemiche per certi suoi tweet e prese di posizione sulle alte sfere vaticane – che le è valsa appunto il soprannome di “papessa”. Che lei sembra gradire, perché così ama definirsi spesso sui social.

Dopo quella vicenda Chaouqui ha cambiato vita, continuando però a fare ciò che le riesce meglio, il lobbismo, materia su cui ha imparato anche dal faccendiere pregiudicato Luigi Bisignani. E così fonda View Point Strategy, “a lateral thinking company”, società di “comunicazione, lobby e produzione”. “Idee, parole, immagini, potere”, si legge sul sito. Lei è ceo, mentre tra i collaboratori spicca il nome del giornalista Tommaso Farina, figlio della firma di Libero, Renato Farina.

Cosa c’entra tutto ciò con la Rai? Martedì scorso al Teatro Brancaccio di Roma è andata in scena la prima edizione del Premio Renato Rascel, evento organizzato dalla VPS di Chaouqui. Serata di gran successo e zeppa di vip, come ha documentato pure un servizio su Dagospia: Gigi Proietti, Renzo Arbore, Giancarlo Magalli, Lorella Cuccarini, Ezio Greggio, Nancy Brilli, Serena Autieri, ecc.. Direzione artistica di Cesare Rascel, figlio del grande Renato, e a presentare il giornalista del Tg1 Alessio Zucchini e Ingrid Muccitelli (compagna dell’ex dg Rai Mario Masi, amico di Bisignani).

La serata, però, non resterà confinata al Brancaccio, ma avrà una ribalta nazionale: verrà trasmessa sabato 6 luglio su Raiuno. Un bel colpo per un premio al suo esordio, ma che si può in parte spiegare col rapporto di amicizia tra Chaouqui e la direttrice di Raiuno, Teresa De Santis. A far da collante al legame tra le due è Maria Giovanna Maglie, di cui Chaouqui è amica, agente e produttrice: la trasmissione web A Maglie strette, trasmessa sui social e su Youtube, è prodotta dall’ex dipendente del Vaticano. Le due, Maglie e Chaouqui, sono spessissimo insieme, come si evince dai loro profili Fb e Twitter. Per esempio, al convegno sulla famiglia a Verona. Ma Chaouqui è stata avvistata anche a Sanremo, in compagnia della De Santis. Probabile che, se fosse andato in porto il progetto della striscia serale post Tg1 della Maglie, Chaouqui avrebbe avuto un suo ruolo. Ora, però, il Premio Rascel arriva su Raiuno.

A questo proposito in Viale Mazzini circola una storiella gustosa. In prima battuta Chaouqui avrebbe voluto come conduttore Francesco Giorgino, volto noto del Tg1. E sarebbe stata lei stessa ad alzare il telefono e proporre la cosa al giornalista, che però ha declinato. A quel punto sarebbe intervenuta De Santis che si sarebbe rivolta a un altro conduttore del Tg1, Alessio Zucchini appunto. “Mi sono limitata a fare da ufficio stampa alla serata. Non so nulla sul fatto che la Rai trasmetterà il premio e tanto meno riguarda le mie amicizie”, sostiene Chaouqui contattata dal Fatto.

Ma il rapporto con Maglie e De Santis, secondo fonti bene informate sulle vicende della tv pubblica, potrebbe fruttarle altre collaborazioni con mamma Rai. Un sodalizio anche politico, visto che De Santis è direttore di Raiuno in quota Lega, mentre Maglie e Chaouqui sembrano essere sulla stella linea sovranista, ammiratrici entrambe di Matteo Salvini. In uno dei suoi ultimi tweet, per dire, Chaouqui difende Armando Siri e si rivolge al premier Conte: “Perché il sottosegretario deve dimettersi mentre per i suoi colleghi grillini Virginia Raggi era giusto restasse dov’era? Un po’ di coerenza!”.

Il Procuratore capo di Firenze Creazzo denunciato a Genova

C’è anche il procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo, tra le persone denunciate a Genova – al momento non è indagato – per aver condotto in modo irregolare le indagini sui baroni della medicina. Concussione, omissione d’atti di ufficio, falso e omessa denuncia: questi i reati ipotizzati – a vario titolo e per più persone – dalla Procura genovese. Qualcuno, tra i magistrati fiorentini, avrebbe omesso di investigare adeguatamente – o avrebbe influenzato negativamente una parte dell’indagine – nel corso dell’inchiesta sui medici e i concorsi da primario nell’ospedale Careggi. Gli indagati sono due. L’inchiesta condotta dalla procura di Genova riguarda anche l’attività del procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco: i magistrati genovesi – che non l’hanno iscritto nel registro degli indagati – stanno verificando anche il suo operato. Tutto nasce da un esposto, presentato nella procura ligure, che chiede di valutare la conduzione delle indagini, alcune svolte anche negli anni passati, che ruotano intorno al concorso per primario di chirurgia maxillofacciale all’ospedale di Careggi, vinto nel 2015 dal dottor Giuseppe Spinelli. La procura di Genova s’è mossa dopo aver ricevuto un esposto denuncia sulle condotte di Creazzo e Turco. Le indagini riguardano anche il ruolo di un ufficiale della Gdf e di Tommaso Coletta, il pm titolare dell’inchiesta che pochi mesi fa ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di 16 medici – per otto è stata chiesta l’interdizione – con l’accusa di aver turbato le procedure concorsuali. In quest’ultima inchiesta Spinelli non risulta indagato. Il suo nome emerge però in diverse intercettazioni, nelle quali si fa anche cenno agli esposti, presentati tra il 2015 e il 2016, secondo i quali Spinelli aveva guadagnato punteggio accreditandosi svariati interventi, circa 1800, che non avrebbe mai effettuato. Esposti che la procura di Firenze ha archiviato. Per verificare se davvero Spinelli abbia realizzato quegli interventi, e valutare la regolarità del suo concorso, la procura di Genova ha delegato nei giorni scorsi la Gdf a sequestrare documenti all’ospedale di Careggi.