“Nei giorni in cui scrivevo ‘Complimenti ignoranti’ ho pubblicato un tweet su Mattarella, mentre si stava formando il governo. Sono stato subissato di commenti della serie: ‘Continua a cantà, nun fare altro’. Me ne sono pentito – la sintesi non è il mio forte – ma mi è servito per descrivere, in modo ironico, un mondo cui ci siamo abituati, in cui vale tutto e il contrario di tutto”. Eccolo qua, Daniele Silvestri, uno che sa mescolare l’autosputtanamento alla profondità del pensiero con cui pesa le parole. A pochi mesi dai suoi 51 anni (“Ho qualche difficoltà a non mettere su la pancetta e non gioco più a calcetto per la paura di farmi male”), esce oggi La terra sotto i piedi, 14 brani tra l’elettronica e le ballate romantiche.
Silvestri, nel suo precedente Acrobati era sospeso per aria. Ora torna giù, eppure – canta – le manca proprio la terra sotto i piedi.
Con Acrobati ho voluto guardare le cose da una prospettiva ampia, più poetica, ma il bisogno di stare con i piedi per terra lo sento, proprio perché non la trovo facilmente. È una condizione che ci accomuna: siamo tutti liberi e connessi, ovunque e in ogni momento. Siamo naviganti senza rete, in un mondo di comunicazioni rapide che rendono tutto possibile, vero e falso. Ci manca l’opposto, qualcosa di solido.
In “Concime” ricorda quando le dichiarazioni di amore e di guerra non ammettevano errori. È nostalgico?
Nel nostro universo sospeso, gli errori non contano, pur producendo disastri. Ogni cosa può essere smentita con lo stesso valore e la stessa violenza. Non è nostalgia, è mancanza di un senso profondo cui aggrapparsi. Non ho la ricetta, però so che l’essere umano ha bisogno di qualcosa di solido in cui riconoscersi, uno scheletro che ci faccia sentire sicuri.
In “Tempi modesti” canta: “Ti diverti insultando chi è meglio di te / ché se va bene a un ministro figurati a me”. Con chi ce l’ha?
L’ignoranza è figlia del ragionamento che facevo. Siamo istituzionalmente invasi da ignoranza e incompetenza. Per anni ci hanno insegnato che la furbizia valeva più dell’onestà, adesso ci dicono che bisogna preferire una democrazia allargata alla competenza. Quando sono le figure istituzionali a dare il cattivo esempio, non certo per bigottismo ma per amor proprio, il danno è maggiore perché legittimano comportamenti simili. Le espressioni più alte della società, invece, quelle in cui il cittadino si riconosce, dovrebbero darsi regole al di sopra di tutto.
Torniamo al disco. Perché ha invertito l’ordine del mercato, svelando in anticipo tre 45 giri tematici?
Lavorare a un album ormai è anacronistico e pubblicarlo significa non tanto celebrarne la nascita quanto la morte. Poiché si ha la sensazione che sia un contenitore obsoleto, tanto vale farlo annusare prima. La mia operazione è stata mettere insieme gli opposti: il vinile come supporto fisico e il digitale come presenza.
Un atto d’amore per la musica, sentimento di cui l’album è pieno. È ancora quello che muove il mondo?
È una parola che comprende tanto, dalla relazione tra due persone – il motore più potente e fuori controllo nelle vite di tutti – alla passione, agli ideali, al voler bene a se stessi, alla voglia di sentirsi degni di avere una terra sotto i piedi.
Concetti romantici e apparentemente retrò. Che rapporto ha con la tecnologia?
La uso e la benedico, per certi aspetti. Non mi scaglio contro la modernità, ma negli ultimi 50 anni l’Occidente è progredito senza avere dietro un’idea di uomo o di società. Ci è stato consegnato un mondo affascinante, privo di istruzioni per l’uso. Questo produce danni notevoli; nel disco li affronto, senza demonizzare gli oggetti ma sostenendo che servono paletti fatti di rispetto, di dignità da difendere, di argine alla sopraffazione.
È preoccupato per l’Italia?
Per il mondo che ha perso la memoria. Ci siamo già passati, è pericoloso.
Per la prima volta farà un tour da solo nei palazzetti. Ci vuole coraggio?
Nessuno ci garantisce che ce la faremo da un punto di vista numerico, però lo spero, visto che sono datore di lavoro di tante persone… (ride) Credo sia il disco stesso a richiedere altre forme di linguaggio.
A Sanremo “Argento vivo” ha vinto il premio della Critica Mia Martini, quello della sala stampa e quello Sergio Bardotti per il miglior testo. Cos’altro le ha lasciato il Festival?
Un sacco di parole e di storie che sono arrivate dopo, come se avessi aperto un vaso di Pandora: mail, messaggi, discorsi sul ruolo dei genitori, sulla scuola, sulle patologie. Sto cercando di mettere tutto in relazione e di coinvolgere gli stessi adolescenti, perché è inutile che ce le raccontiamo tra noi adulti.
Dica la verità, Silvestri: si sente un po’ anziano?
A parte la pancetta e il calcetto, sono fin troppo simile a quando ho cominciato. È ancora un gioco, pur nella consapevolezza che ho tre figli e molte persone che dipendono da me. Mi diverto ancora a scrivere, però non le nascondo che negli ultimi 10 anni ho dato per scontato che sarebbe arrivato il momento di smettere. Il momento in cui la forma canzone sarà esaurita.
Ci sta dando una notizia?
Per adesso no, il flusso creativo è ancora prepotente. Ma prima o poi finirà, e lo dico con dolore: continuerò a scrivere e a comporre, ma le canzoni… boh. Troverò altre forme di scrittura. Però non oggi.