Per Matteo Salvini è la prima vera sconfitta politica dalla nascita del governo. Un boccone amaro difficile da digerire, quando sembrava che il caso stesse già passando in cavalleria. Invece la decisione di Giuseppe Conte di scaricare Armando Siri, il sottosegretario alle Infrastrutture sotto inchiesta per corruzione per la vicenda dell’eolico, annunciando la revoca del mandato nel prossimo consiglio dei ministri, ha colto il Capitano come una fucilata, in una giornata tutta dedicata all’Europa, a Budapest, dove ha stretto un patto con Viktor Orbán sul rapporto col Ppe in vista delle Europee. “Mi fanno questi scherzi proprio quando sono all’estero…”, ha detto il vicepremier parlando al telefono con Roma, dove, all’annuncio della conferenza stampa di Conte per le 18.30 (poi slittata alle 19), tutta la Lega è entrata in fibrillazione.
Di fronte alla forzatura del premier, con la copertura politica dei 5 Stelle, Salvini ha dovuto prenderne atto, ma si è tentato comunque di far uscire il Carroccio a testa alta, o almeno con una sconfitta meno bruciante. Da qui la nota del sottosegretario che, verso le sei del pomeriggio, ha annunciato le sue dimissioni entro quindici giorni se non ci fossero state novità da parte della magistratura. “Sono innocente, confido che una volta sentito dai magistrati la mia posizione sarà archiviata. Qualora non dovesse accadere, rimetterò il mio mandato per rispetto del ruolo che ricopro”, recita la nota di Siri. Un tentativo concordato col leader per anticipare le mosse di Palazzo Chigi.
Ma Conte, innervosito parecchio dal maldestro tentativo, ha rimandato la proposta al mittente. “Le dimissioni non si annunciano, si danno. Un eventuale incontro tra Siri e gli inquirenti da qui a due settimane non risolve il problema politico, che è diverso da quello giudiziario”, ha detto il premier. Una fermezza di fronte cui il leader leghista ha dovuto alzare le braccia. “Qualunque decisione mi va bene, ma Conte deve spiegarla agli italiani. In democrazia si è innocenti fino a prova contraria. Almeno lo si lasci parlare con i magistrati”, ha affermato Salvini quasi in concomitanza con le parole di Conte. “Siri è tranquillissimo, pronto a farsi sentire. È una vicenda locale che non ferma il governo. Io mi occupo di cose vere, lascio a Conte e Siri il resto…”, ha aggiunto. Parole, le sue, che dimostrano irritazione e contrarietà, ma non al punto di far cadere il governo. “Non ci impicchiamo al caso Siri”, aveva detto il leader leghista nei giorni scorsi.
Ieri, però, è stato il giorno dello scontro e delle minacce, e il prossimo consiglio dei ministri (previsto per l’8 o il 9 maggio) si annuncia turbolento. “Sono preoccupato. È una vicenda che blocca il governo”, dice proprio Giancarlo Giorgetti, il più interessato alla vicenda Arata-Siri. Anche perché questo non è l’unico motivo di attrito, come si è visto sul braccio di ferro sulle province. Quella di Giorgetti, però, sembra più una minaccia che altro.
Ieri, infatti, è stato il momento delle spade, ma nei prossimi giorni probabilmente gli animi si calmeranno.
Perché da fonti leghiste trapela che Salvini alla fine non farà le barricate in difesa del sottosegretario, la cui sorte sembrava segnata dopo il faccia a faccia con Conte di lunedì sera. E men che meno metterà in crisi la maggioranza e in pericolo l’esecutivo. Anche se per ora non giungono rassicurazioni di fronte agli appelli al senso di responsabilità della Lega da parte del presidente del consiglio e di Luigi Di Maio. “Far cadere il governo a venti giorni dalle Europee e coi sondaggi che abbiamo sarebbe un suicidio politico”, osserva una fonte leghista.
La forzatura di Conte, tra l’altro, fa tirare un sospiro di sollievo a quella parte del Carroccio che iniziava a vivere con sofferenza il caso Siri. “Questa cosa rischia di farci andare sotto il 30% e per noi sarebbe un tracollo”, “Quando si tratta di corruzione, il nostro atteggiamento dev’essere simile a quello dei 5 Stelle, non a quello di Berlusconi” sono alcune delle voci raccolte tra i peones, a microfoni spenti.
Lo scontro, però, resta. E proseguirà nel Consiglio dei ministri. In un’eventuale conta su Siri i 5 Stelle prevarrebbero. Ma nella maggioranza sono certi che Salvini non andrà alla guerra. E farà buon viso a cattivo gioco, abbandonando il sottosegretario al suo destino.
Del resto si è già visto il suo voltafaccia sul caso Diciotti. E lì furono Di Maio e Conte a “salvare” il ministro dell’Interno. Salvini, da questo punto di vista, semmai è in debito.