Giustizia e questione morale, il sole intorno al quale ruota la rivista Micromega che dal 3 al 5 maggio organizza al teatro Gentile di Fabriano, insieme all’associazione giuridica fabrianese Carlo Galli, il convegno “Giustizia è Liberta”. Tre giorni di confronti a 360 gradi tra politici, magistrati e giornalisti, aperti dal dialogo tra il Guardasigilli Alfonso Bonafede e il fondatore della rivista Paolo Flores d’Arcais. Tra gli appuntamenti in calendario, il 4 maggio alle ore 18 il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio e il pm della sezione pubblica amministrazione della Procura di Napoli, Henry John Woodcock, discuteranno di establishment e impunità, moderati da Giacomo Russo Spena di Micromega. Il colloquio verterà inevitabilmente intorno ai temi sollevati dal caso Consip e dalla sanzione disciplinare che il Csm ha inflitto a Woodcock, coordinatore dell’indagine sulla centrale acquisti pubblica che era arrivata a lambire il Giglio Magico dei renziani, fino all’intercettazione tra Tiziano e Matteo Renzi. Tra i temi di sicuro interesse ci sarà il caso Cucchi, al centro dell’incontro fissato alle 21 del 4 maggio. Parteciperanno Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, Gaetano Paci, sostituto procuratore di Reggio Calabria, Fabio Anselmo, l’avvocato della famiglia Cucchi. E poi l’eterna questione delle mafie, alla quale è dedicato il dibattito della sera del 3 maggio moderato da Rossella Guadagnini, al quale parteciperanno Nino Di Matteo, sostituto procuratore nazionale Antimafia; Sergio Sottani, procuratore generale di Ancona; Lirio Abbate, giornalista dell’Espresso, e la saggista Petra Reski. Si chiude il pomeriggio del 5 maggio all’Oratorio della Carità con l’incontro diretto dal giornalista del Fatto Gianni Barbacetto sul diritto all’informazione, con il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli e l’avvocato Caterina Malavenda.
Di Maio, il no ai dem irrita (certi) big
Quel no secco, infastidito, ha irritato più d’uno, anche di rango: “Respingendo l’apertura del Pd Luigi ha buttato via un’occasione, aprendo un altro forno avrebbe fatto impazzire la Lega”. E c’è anche altro, c’è il fastidio per i toni con cui il capo politico negli ultimi giorno ha parlato del Carroccio, passando dal bastone alle carezze: “Ma perché ora li definisce gli ‘amici’ della Lega?”.
E sono schegge di disappunto dentro i Cinque Stelle, per il Luigi Di Maio che due giorni fa ha schivato il segnale lanciatogli tramite La Stampa dal capogruppo dem alla Camera, Graziano Delrio: “Siamo pronti a discutere di salario minimo e conflitto d’interessi”. Poteva essere un’occasione, ragionano alcuni maggiorenti del M5S, per snidare il Pd e nel contempo mettere sotto pressione Matteo Salvini, “che l’altro forno con Berlusconi lo tiene sempre spalancato”. Eppure Di Maio ha risposto picche: “No grazie, se il Pd vuole redimersi può votare le nostre proposte”. E comunque, “non mi metto a discutere con i dem che sono un condominio in lite”. Piuttosto tratterà come sempre con la Lega, anzi “con gli amici” leghisti. Ma perché il muro al Pd e il miele per Matteo Salvini? Perché il vicepremier che a un futuro a medio termine con i dem pensa, eccome, non si è fidato del capogruppo, già renziano di primissima fila che ora di renziano ha poco o nulla. Però non si sa mai. “Già in serata Nicola Zingaretti ha preso le distanze” notano dai piani alti del Movimento, dove raccontano: “Appena abbiamo letto Delrio, abbiamo fatto delle verifiche e capito che non c’era copertura politica dalla segreteria nazionale”. E ieri Zingaretti a Matrix ha confermato: “Non ci sono le condizioni politiche un accordo di governo con il M5S, la pensano così anche i gruppi parlamentari”. Ergo, insistono i 5Stelle, “quella di Delrio era una polpetta avvelenata”. Ma non è solo questo. Perché, a pochi giorni dalle Europee, Di Maio teme l’accusa di tradimento dal Carroccio. Così per adesso meglio giurare che crede nell’alleato di governo. E pazienza se da settimane lui e l’altro vicepremier si insultano.
Poi però ci sarebbe da capire anche perché Di Maio ha cambiato in un amen il frasario nei confronti del Carroccio. E l’inversione, dicono, è frutto dei dubbi del capo sulla linea tenuta negli ultimi tempi, sempre bellica verso la Lega. “Dobbiamo stemperare un po’ i toni, la gente si starà stancando” ha ragionato con i suoi. Quindi le frecciate e le critiche al Carroccio continueranno, ma saranno più diluite. O almeno questa sarebbe l’idea. Ma tante voci di dentro, sempre a 5Stelle, confermano l’insofferenza diffusa per il Carroccio. E basta leggere il post di tre giorni fa di un veterano come Max Bugani, un’arringa contro Salvini: “Se nei commenti ai tuoi post è un continuo inneggiare alla violenza, all’odio razziale e alla esaltazione dei regimi totalitari, bisogna che tu intervenga per dire che non tolleri certe scemenze… Se un tuo sottosegretario è condannato per bancarotta fraudolenta e indagato per corruzione, bisogna che tu intervenga per rimuoverlo senza tergiversare”.
Ma non è tempo di Pd, è convinto il capo. Non adesso. E il sottosegretario Mattia Fantinati, dimaiano, con il Fatto chiude la porta senza sprangarla: “Se i dem cambiassero politica e classe dirigente sarebbe diverso. Smettessero di attaccare i provvedimenti per i più fragili come il reddito di cittadinanza e la nostra proposta di salario minimo”.
Il Nazareno siciliano adesso punta a Napoli con Carfagna
Per dirla con un maggiorente di Forza Italia, il partito, giunto al culmine della sua crisi interna, è stretto tra “la sirena Giovanni Toti, che offre una comoda via di fuga a chi non vede l’ora di sposarsi con la Lega. E le illusorie bolle di sapone di Gianfranco Miccichè”. E già questo basterebbe a dare l’idea in che brutte acque navighino i forzisti alla vigilia delle elezioni europee. Che attendono non proprio fiduciosi, anche complici le condizioni di salute di Silvio Berlusconi. Tutti però sono certi che dopo maggio “niente sarà come prima nel partito”. E l’esperimento di Miccichè che ha avviato in città come Gela un dialogo con quel pezzo del Pd siciliano che si riconosce nell’ex ministro dell’Udeur Totò Cardinale che ha visto eletta in Parlamento coi dem sua figlia Daniela, già iper-renziana e vicina a Luca Lotti, è una spia importante.
Il laboratorio siciliano dovrebbe essere l’antipasto di un nuovo Nazareno nelle intenzioni del viceré siciliano. La cui iniziativa, per la verità, è guardata con sospetto dalle alte sfere del partito. Specie per il suo riferimento al nome di Mara Carfagna che molti vorrebbero fosse valorizzata, anche per la sua distanza con Matteo Salvini: la standing ovation che qualche mese fa ha accompagnato la sua gestione dell’aula alla Camera nella seduta in cui ha rimesso a posto il ministro dell’Interno invitato a muso duro a rispettare il Parlamento, ha scaldato gli animi ben oltre le fila di Forza Italia. “Cosa succederebbe se si puntasse proprio su di lei per la corsa alla presidenza della regione Campania il prossimo anno?” ragiona qualcuno. Che pure non osa avanzare il nome di Carfagna per la sostituzione stessa di Berlusconi alla guida del partito.
Ma tra i forzisti i più ragionano in tutt’altri termini. “Quello di Miccichè è un fenomeno siciliano, anzi meno che siciliano. E in Campanianoi speriamo che la Lega si rafforzi per vincere insieme”. E Forza Italia? Basterà “sistemare il modello di partecipazione, azzerare rendite di posizione che non hanno portato fortuna se non a chi ne beneficia, e rimettersi in connessione con i territori: tutto questo ci darà forza per tornare a guidate un’alleanza di centrodestra ma su posizioni riformiste”. Come quella in cui continua a sperare l’ex Cav una volta che Salvini avrà archiviato “l’incredibile governo gialloverde che non ha solo fatto male all’Europa e che ha isolato l’Italia”. Insomma votare Forza Italia, per Berlusconi significa avvicinare la fine dell’alleanza Di Maio-Salvini e ricostruire “un centrodestra tradizionale, coerente con i nostri programmi, liberista in economia, capace di abbattere le tasse e di creare lavoro, impegnato a costruire le infrastrutture ma anche una giustizia più giusta”. Ma c’è pure chi non ci crede più. E meno che mai alla possibilità di una rifondazione vera di Forza Italia. E dunque non intende aspettare che il Carroccio finisca di mangiarsi quel che ne resta. “Bisogna costruire un progetto politico centrista che faccia da polo di attrazione per tutte le forze moderate. Del resto con Zingaretti che torna a spostarsi decisamente a sinistra quanto potranno resistere Renzi e i suoi nel Pd?”.
Per Claudio Scajola che di FI è stato uno dei fondatori e che oggi è sindaco “civico” di Imperia, “Silvio Berlusconi è ostaggio di una piccola oligarchia che lo ha sequestrato. Mi auguro che si renda finalmente conto che va fatto una cosa nuova, con gente nuova e per costruire un’alternativa al sovranismo incapace e pericoloso: fare il ruotino di scorta al triciclo di Salvini è un suicidio. Vanno recuperati gli elettori indecisi e disgustati. Miccichè dimostra coraggio, il suo tentativo è interessante. Il Nazareno è stato un grande accordo sulle regole per salvare al Paese: ora come allora da qui a un’alleanza di governo c’è un percorso da fare”.
Povera patria e poverissima Rai
I pochi temerari o insonni che il lunedì sera riescono a rimanere svegli, possono scoprire i “nuovi linguaggi” (così dicono sempre in tv) che Rai2 sperimenta nel sedicente talk show Povera Patria. Interessante la puntata dell’altra sera: tre conduttori, Annalisa Bruchi, Alessandro Giuli e – da Madrid – Aldo Cazzullo del Corriere della Sera. Argomento, ospite e oggetto della trasmissione uno solo: Matteo Salvini. Nessun contraddittorio, nessuna domanda sgradita, clima da aperitivo in terrazza tra amici. Salvini molto a suo agio, anche perché tutti i servizi sono assist perfetti al ministro per parlare di migranti, di legittima difesa, di 25 aprile o di quello che preferisce. L’esperimento più ardito è il servizio del sempre aggressivo Alessandro Poggi (con domande tipo “Com’è questa politica?” a Berlusconi). Il servizio si chiude con Poggi che intervista Salvini e la domanda è originale: “Salvini, faccia una domanda a Matteo Salvini ospite in studio”. Il Salvini del servizio è in imbarazzo, quello in studio si diverte, lo spettatore si imbarazza per i conduttori e per gli autori di un programma che, per fortuna, non ha visto nessuno. Aldo Cazzullo, alfiere dell’ordine liberale contro l’avanzata dei populisti dalle colonne del Corriere, nel programma di cui è co-conduttore non trova niente da ridire. Miracolosi effetti di un contratto con la Rai gialloverde.
Riecco Di Mare: Mister Pampers in corsa come vice di Raiuno
Eccolo di nuovo. E questa volta potrebbe farcela. Franco Di Mare è in corsa per la vicedirezione di Raiuno. In questi giorni tira aria di nomine per la rete guidata da Teresa De Santis. E in corsa ci sono Di Mare, Milo Infante e Maria Teresa Fiore. Di Mare, altrimenti detto Mister Pampers, in questi mesi è stato in corsa per tutto. In autunno il suo nome, in quota 5 Stelle, prima è circolato per la direzione del Tg1, poi per la conduzione della striscia serale post Tg1 delle 20, che in prima battuta doveva essere affidata a Maria Giovanna Maglie. E ora forse il nostro riuscirà a spuntare un posto di gran prestigio, la vicedirezione della rete ammiraglia, con la delega all’informazione. Ex inviato su fronti caldi e di guerra (Golfo, Afghanistan, Bosnia, Kosovo, Ruanda, ecc..), attualmente conduttore di Uno mattina, Di Mare viene ricordato anche per la vicenda della pubblicità alla Pampers. Che è tanto clamorosa quanto surreale. Si era nel 2008 e, insieme al suo compagno di merende Attilio Romita, mette su un’edizione straordinaria posticcia del Tg1, con Romita che, da un finto studio, dà la linea a un Di Mare inviato non al fronte, ma al centro congressi di Pescara dove, con un mega evento, si festeggiano i 50 anni di Fater, azienda produttrice di Pampers, Lines e Tampax. Sette minuti di servizi rimaneggiati con i grandi della terra a far l’elogio di pannolini e assorbenti. Bush jr (“dietro a una grande uomo c’è sempre un grande pannolone”), Putin, Prodi, fino a Benedetto XVI, che benedice i Pampers durante l’Angelus. Vette sublimi del giornalismo marchettaro, ma illegali, visto che alla categoria è vietato fare pubblicità, se non per beneficenza. L’Ordine dei giornalisti, però, verso Di Mare e Romita, dopo un balbettìo di scuse, si limitò a un buffetto sulle guance, limitandosi alla censura. E ora per Di Mare si aprono le porte della vicedirezione di Raiuno.
Salvini pubblica per l’editore di CasaPound
I gusti di Salvini e CasaPound non convergono solo riguardo la castrazione chimica e l’abbigliamento: adesso includono anche l’editoria. Il ministro dell’Interno si reinventa infatti personaggio letterario Io sono Matteo Salvini, intervista allo specchio, scritto dalla giornalista Chiara Giannini e con la prefazione di Maurizio Belpietro sarà infatti in libreria a maggio.
Il dettaglio da non sottovalutare è la casa editrice scelta per pubblicare questa biografia: la Altaforte, dalle note posizioni sovraniste e vicina a CasaPound, che può vantare la pubblicazione di manoscritti quali L’identità sacra, Riprendersi tutto, L’alba dell’impero e L’inganno antirazzista. E tra trattati di geopolitica, una sezione dedicata appositamente a D’Annunzio e una agli ultras, adesso sul sito della casa editrice figura anche l’intervista a Salvini, consistente in “cento domande all’uomo più discusso d’Europa”, come si legge nella descrizione del libro.
La tempistica non è delle più fortunate: arriva infatti nel pieno delle polemiche scatenate dallo stupro di Viterbo, commesso da due militanti di CasaPound, che ha riportato il partito al centro del dibattito. In molti ne hanno chiesto lo scioglimento; non Salvini però, che si è limitato a invocare condanne e punizioni contro qualsiasi criminale, “sia esso bianco o nero”, senza nominare l’organizzazione di estrema destra.
Non è d’altronde la prima volta che il vicepremier manifesta vicinanza a quel tipo di mondo: un anno fa si presentò allo stadio indossando un giubbotto del marchio Pivert, ribattezzato “linea di abbigliamento fascista”, che “piace a molti ragazzi di CasaPound”, secondo il titolare dell’azienda. E lui ne sa qualcosa, visto che risponde al nome di Francesco Polacchi, ovvero l’ex capo del Blocco studentesco romano (organizzazione studentesca del partito), e principale editore di Altaforte, marchio che, tra le altre cose, edita anche il Primato Nazionale, mensile di dichiarata matrice neofascista.
Polacchi ha più volte dimostrato ammirazione nei confronti del ministro del- l’Interno (definendolo “un fico”), ma quest’ultimo non accetta di essere associato al partito della tartaruga, come rende noto il suo ufficio stampa con una nota: “Salvini non ha scritto alcun libro (ha semplicemente rilasciato una lunga intervista alla giornalista Chiara Giannini) e non ha firmato contratti o accordi con la casa editrice indipendente liberamente scelta dall’autrice”.
Questo però non è bastato a spegnere le polemiche. Il deputato del Pd Matteo Orfini sbotta: “Matteo Salvini tra mille editori sceglie per il suo libro quello legato a CasaPound. Il partito che a Ostia organizzava manifestazioni con il clan Spada. Salvini è il ministro dell’Interno, e così legittima l’illegalità”. Gli fa eco la senatrice Cinquestelle Elena Fattori: “I rapporti tra Matteo Salvini e Casapound sono da sempre alla luce del sole ed estremamente imbarazzanti”.
Csm diviso sulla giurista consulente del premier
La vigilia del primo maggio al Csm è stata all’insegna della polemica per il via libera a un magistrato, Rosaria Giordano, voluta dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte come consulente di Palazzo Chigi.
Il plenum si è spaccato e a maggioranza, con i voti anche dei laici di M5s, è passato il via libera senza che la giudice vada fuori ruolo. Contrari i togati di Area, la sinistra, corrente proprio della Giordano. Di peso gli astenuti: Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita di Autonomia e Indipendenza e i laici della Lega Stefano Cavanna ed Emanuele Basile: evidentemente i due consiglieri indicati dal Carroccio considerano Conte organico a M5s.
Nome non noto alle cronache, ma molto conosciuta negli ambienti dei giuristi, Rosaria Giordano è giudice del Massimario della Cassazione e tributarista a Latina e Napoli. Grande esperta di processo civile, per le sue pubblicazioni scientifiche, per le sue lezioni nelle università romane, è stata molto apprezzata, racconta chi la conosce, da Conte quando era docente e mai avrebbe immaginato di diventare presidente del Consiglio. Si dice, pure, sia molto stimata dal maestro di Conte, il professore Guido Alpa. Di sicuro è ritenuta “molto brava” dai colleghi della Cassazione.
E, infatti, la spaccatura in plenum non c’è stata sulla sua figura ma sul fatto che non sia andata fuori ruolo per un incarico da “40 mila euro all’anno” per una “collaborazione come componente del Comitato di esperti” a palazzo Chigi per “tutto il mandato governativo”. Impegno orario richiesto: “Consulenza a tempo parziale, finalizzata principalmente alla redazione di pareri giuridici”. In pratica, lavorerà al massimo 80 ore, quelle autorizzate dal Csm, che fanno 500 euro all’ora. L’incarico è triennale.
Hanno votato a favore dell’autorizzazione senza il fuori ruolo, cioè potendo continuare a svolgere le sue funzioni di magistrato della Corte di Cassazione e gli altri incarichi, i 5 togati di Magistratura Indipendente (destra): Paola Braggion, Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli, Antonio Lepre, Loredana Micciché; i tre laici del Movimento 5 Stelle: Alberto Maria Benedetti, Filippo Donati, Fulvio Gigliotti; il primo presidente della Cassazione Giovanni Mammone ( Mi) e il procuratore generale Riccardo Fuzio ( Unicost); tre dei cinque togati di Unicost ( centristi): Concetta Grillo, Gialuigi Morlini, Luigi Spina mentre i loro colleghi di corrente Michele Ciambellini e Marco Mancinetti si sono astenuti. Contro la delibera senza fuori ruolo oltre ai quattro togati di Area, Giuseppe Cascini, Alessandra dal Moro, Mario Suriano e Ciccio Zaccaro, anche il laico di Fi, Michele Cerabona. Il capogruppo di Area, Cascini spiega che il no alla delibera non è per mancata stima nei confronti della Giordano ma per una questione di principio: “Non si tratta di una scelta politica, è una questione di norme. La legge Severino ispirata ad una più netta separazione tra i poteri esecutivo e giudiziario non consente lo svolgimento di tali incarichi se non in posizione di fuori ruolo”. Replica Donati, relatore: “L’incarico è autorizzabile in quanto non incide negativamente né sull’esercizio delle funzioni di magistrato, né sul prestigio dell’ordine giudiziario ed è conforme ai principi della circolare del Csm”. I togati di Mi hanno pure evocato “lo spirito di leale collaborazione tra istituzioni”.
Qualcuno, nei corridoi di Palazzo dei Marescialli ricorda che anche Roberto Rossi, procuratore di Arezzo, era consulente di Palazzo Chigi quando premier era Matteo Renzi. Anche lui non era fuori ruolo. A suo carico fu aperta – e archiviata – un’istruttoria perché per un periodo faceva il consulente del governo mentre indagava su banca Etruria, con papà Boschi nel cda dell’istituto e la figlia Maria Elena nell’esecutivo.
B. operato d’urgenza all’intestino a Milano (diserterà i comizi?)
Berlusconinon è riuscito a partecipare ieri alla presentazione dei candidati del suo partito alle Europee, presso Villa Gernetto. Problemi di salute: l’ex Cavaliere dapprima è stato ricoverato all’ospedale San Raffaele di Milano per il trattamento di una colica renale acuta, e poi è stato operato d’urgenza per un’occlusione intestinale. I medici gli hanno impedito di lasciare la clinica, ma la senatrice Licia Ronzulli ha rassicurato: “Sta bene. Rimane in osservazione a fare la terapia antalgica con la flebo per la colica”. Il Cavaliere ha passato la notte in terapia intensiva e il vicepresidente del partito Antonio Tajani ha fatto le sue veci nel corso della giornata a Villa Gernetto. “Più forte sarà Forza Italia, più questo governo avrà vita breve”, ha detto in conferenza stampa, aggiungendo che il rafforzamento di Forza Italia “è nell’interesse degli italiani”. Berlusconi intanto, oltre ai problemi fisici dovrà pensare a quelli coniugali: il 16 maggio è prevista la camera di consiglio in Cassazione per l’azzeramento del maxi-assegno mensile di un milione e 400mila euro all’ex moglie Veronica Lario, che dovrebbe pure restituire i 45 milioni di euro percepiti sinora.
Regeni, la Camera dice sì all’inchiesta parlamentare
Alla Cameradei deputati, ieri, erano presenti la metà dei parlamentari, ma non hanno avuto dubbi: la commissione di inchiesta che avrà gli stessi poteri della magistratura per il caso di Giulio Regeni è stata varata quasi all’unanimità, con la sola astensione di Forza Italia per la bocciatura di un emendamento. Il provvedimento arriva dopo tre anni dal ritrovamento del ricercatore italiano in Egitto, torturato e ucciso. Il presidente della Camera Roberto Fico ha commentato: “Questo è un messaggio a chi pensa che lo Stato italiano, il Parlamento, si sia dimenticato di Giulio”. Adesso la Commissione dovrà “raccogliere tutti gli elementi utili per l’identificazione dei responsabili della morte di Giulio Regeni nonché delle circostanze del suo assassinio”. L’inchiesta dovrà concludersi entro 12 mesi con una relazione, ma l’organismo potrà riferire alla Camera “anche nel corso dei propri lavori, ove ne ravvisi l’opportunità”. Grande la gioia soprattutto del M5S e di LeU, che avevano inizialmente proposto l’istituzione della commissione d’inchiesta. Fico ha concluso: “Sono tre anni che ci sono solo le parole. Io le parole non le ascolto neanche più, voglio i fatti”.
Alle Europee il Carroccio rimane sempre secessionista
Matteo Salvini ha fatto fuori Umberto Bossi dalla Lega, ma paradossalmente ha ancora bisogno di lui. E infatti alle elezioni europee, accanto al simbolo Lega Salvini premier (riscontrabile sul sito del ministero dell’Interno) si trovano due titolari e due statuti depositati. I due titolari, referenti a norma di legge del simbolo depositato, sono lo stesso Salvini e il tesoriere della Lega, Giulio Centemero (nella foto). Ma mentre quest’ultimo ha depositato, sempre a norma di legge, lo statuto della Lega per Salvini premier, il segretario e leader tutto-social è titolare di un altro statuto, quello della Lega Nord per l’indipendenza della Padania. La vecchia Lega, insomma, quella che, come recita l’articolo 14 dello Statuto ha Umberto Bossi “presidente federale a vita” nonché “Padre fondatore”.
La divisione delle due “leghe” era stata deliberata per liberarsi del fardello dei 49 milioni di euro di contributi pubblici mai rendicontati e che sono valsi la condanna in appello di Umberto Bossi a 1 anno e 10 mesi, quella dell’ex tesoriere Francesco Belsito a 3 anni e 9 mesi oltre alla confisca dei 49 milioni di euro che costringono la Lega a una restituzione che è spalmata in 76 anni.
Per essere sicuro di non avere sorprese alle elezioni con la presenza di un altro simbolo, ma anche per poter utilizzare serenamente la parola Lega, Salvini ha dovuto presentare due statuti. In uno però si dice che “il movimento ha per finalità il conseguimento della dell’indipendenza della Padania” e il suo riconoscimento “internazionale quale Repubblica federale indipendente e sovrana”. Le finalità della Lega per Salvini premier, invece, sono “la trasformazione dello Stato italiano in un moderno stato federale”. “Abbiamo fatto quello che prevede la legge” fanno sapere dall’entourage salviniano. Resta però una Lega una e bina. Il vecchio e l’antico. Con poco spazio per l’antico.