Mentre il giornale va in stampa, il Consiglio dei ministri non è ancora terminato. A quanto risulta al Fatto, però, la partita delle nomine ai vertici di Banca d’Italia, che si trascina da un paio di mesi, dovrebbe trovare una conclusione: il premier Giuseppe Conte ha portato al tavolo di Lega e 5 Stelle i 4 nomi proposti dal Direttorio di Palazzo Koch e si appresta a mandare il relativo decreto al Quirinale per la firma. I recalcitranti partiti di maggioranza si limiteranno, pare, ad annotare loro perplessità a verbale.
Riassumendo, e nonostante il percorso non proprio liscio, la spunta il partito del Colle, uno dei tre contraenti del patto di governo insieme a Lega e 5 Stelle: il governo dà il via libera alle nomine congelate fin da febbraio, quando arrivò la proposta di confermare nel Direttorio Luigi Federico Signorini, fedelissimo del governatore non proprio gradito ai gialloverdi.
Lo sgarbo – che portò a una lite con urla tra il ministro dell’Economia Tria e Luigi Di Maio – si fece scontro frontale a marzo, quando le dimissioni del direttore generale di Palazzo Koch, Salvatore Rossi, innescarono un effetto domino: Visco e soci indicarono come nuovo dg Fabio Panetta e come vice direttori l’ex Ragioniere generale Daniele Franco e la manager Alessandra Perrazzelli. L’ultimo nome – vicino al Pd lombardo ed ex dirigente del settore privato (Barclay’s) – è parsa quasi una provocazione: nuovo stallo e pressioni sempre più forti di Sergio Mattarella perché si chiudesse la partita. La data limite è il 9 maggio: dal giorno dopo è esecutivo l’addio di Rossi e il Direttorio non potrebbe più funzionare, come l’Ivass – che controlla le assicurazioni – presieduta per legge proprio dal direttore generale di Bankitalia.
Alla fine, il problema è stato risolto grazie alla complessa procedura di nomina. Funziona così: Bankitalia propone; il decreto è del presidente della Repubblica, ma su proposta del presidente del Consiglio e del Tesoro “sentito” il Consiglio dei ministri. Insomma, in questa vicenda il parere di chi non sia Conte o Tria conta, ma non è vincolante.
E qui bisognerà ricordare che il centro di questa vicenda non ha mai riguardato (solo) le poltrone, ma un complesso gioco di rapporti di potere e anche il giudizio sul recente passato. Questo c’è dietro alle quattro nomine ai vertici di Banca d’Italia congelate dall’esecutivo e arrivate ieri sera in Consiglio dei ministri. C’è il direttorio di Palazzo Koch – custode geloso della sua “indipendenza” interpretata nel senso più ampio possibile – e c’è il Quirinale, sempre schierato a difesa della banca centrale. Entrambi avrebbero preteso che Palazzo Chigi si limitasse a dire sì alle proposte arrivate dal Direttorio: tesi condivisa, all’interno dello stesso governo, proprio dal ministro Tria e, con qualche tentennamento, del premier Conte. I due partiti che esprimono il governo, però, non erano dello stesso parere: secondo Lega e M5S – con gradi diversi di intensità per i due partiti e per i loro singoli esponenti – confermato Ignazio Visco da Paolo Gentiloni, serviva almeno un segnale di “discontinuità” col recente passato.
Messa così sembra una formula vuota, in realtà allude all’atteggiamento avuto dall’establishment italiano nelle crisi bancarie e rispetto alla regolazione europea in materia: Lega e M5S accusano i precedenti governi, e Bankitalia che li guidò in quella partita, di eccessiva timidezza nella difesa del sistema del credito, terremotato con la scelta prima di dire sì alla direttiva europea Brrd che vieta gli aiuti di Stato, poi con le contestate riforme delle popolari e del credito cooperativo e infine, ciliegina sulla torta, dal mezzo bail-in praticato (in anticipo sugli obblighi Ue) su Popolare Etruria e le altre tre piccole banche nel novembre 2015 che uccise il settore in Borsa (-60%). Nella notte, però, dovrebbero aver prevalso le ragioni della continuità istituzionale: Visco ha il suo nuovo direttorio.