L’eolico piace anche alla ’ndrangheta: in nove a processo

Non c’è solol’imprenditore siciliano Vito Nicastri, il “re del vento” tornato agli onori delle cronache per essere il socio occulto del “leghista” Paolo Arata (a sua volta presunto corruttore del sottosegretario Armando Siri) e per l’accusa di aver finanziato la latitanza di Matteo Messina Denaro: le inchieste su mafia ed eolico sono moltissime. Una si è chiusa ieri a Catanzaro col rinvio a giudizio di nove persone – tra cui Pasquale Mancuso, il boss di Limbadi (Vibo Valentia) conosciuto come “Luni scarpuni” – con l’accusa a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, illecita concorrenza con violenza o minaccia, danneggiamento e induzione indebita a dare o promettere utilità aggravati dal metodo mafioso. L’inchiesta – plasticamente chiamata “Via col vento” – ha messo in luce gli interessi delle cosche di ‘ndrangheta nella realizzazione di alcuni parchi eolici in Calabria. Interessi che si estendevano su ogni aspetto dell’attività: dagli hotel per il personale al trasporto dei materiali, dal montaggio delle turbine alla costruzione delle strade fino alla forniture di vigilanza sui cantieri. Se la gestione non era diretta, c’erano sempre i subappalti. Oltre, ovviamente, al pizzo.

Il M5S batte cassa: 1.500 euro a onorevole per pagare le Europee

Parlare di soldi,si sa, è sempre inelegante. D’altra parte far politica senza un po’ di soldi è difficile se non impossibile. E quindi il comitato elettorale dei 5 Stelle per le prossime Europee batte cassa ai suoi eletti al Parlamento nazionale: una “donazione consigliata di 1.500 euro” e da fare entro venerdì perché il tempo è poco e la cassa langue. Numeri alla mano, fa i conti l’Adnkronos, se tutti e 326 gli eletti a Camera e Senato seguissero il gentile consiglio, il Movimento potrebbe trovarsi in cassa quasi mezzo milione di euro: non certo una campagna faraoinica, ma per le abitudini della casa già una discreta cifretta. Noi del Movimento – scrivono i grillini ai grillini – “non prendiamo finanziamenti pubblici”, né “donazioni dalle lobby” così siamo liberi: bello, però “una buona campagna elettorale è il veicolo fondamentale per diffondere la nostra idea di Cambiamento: dobbiamo andare di piazza in piazza e chiamare a raccolta i cittadini intorno al nostro programma”, mettete mano al portafogli entro venerdì. Ora bisognerà vedere se gli eletti vorranno farlo: è solo un consiglio, no?

“Ministro Salvini, baciamo le mani”: il candidato di Biella s’inginocchia pure

La devozioneal leader del Carroccio è totale. Perlomeno lo è per il candidato sindaco di Biella Claudio Corradino, che al termine del comizio tenutosi in città domenica scorsa, in vista delle Amministrative, si inginocchia ai piedi del ministro e corona il gesto con un baciamano. Salvini del resto è avvezzo a simili dimostrazioni: lo stesso fatto si verificò in Campania nel gennaio scorso da parte di un cittadino di Afragola

“Così nel 2012 Paolo Aratachiedeva aiutoa Dell’Utri per le nomine tramite De Caro”

La passione di Paolo Arata per le energie rinnovabili e per le nomine non è recente. Già sette anni fa l’ex parlamentare di Forza Italia si era fatto intercettare, passivamente e senza essere indagato. I carabinieri ascoltano la voce di Paolo Arata nell’aprile del 2012, mentre stanno indagando su Marino Massimo De Caro, l’amico di Marcello Dell’Utri protagonista di una delle più celebri razzie di libri antichi della storia. De Caro era indagato a Napoli in quel periodo per le sottrazioni dal patrimonio della Biblioteca dei Girolamini di Napoli della quale era stato nominato direttore. Poi sarà condannato per peculato definitivamente, mentre l’ex senatore Marcello Dell’Utri è stato rinviato a giudizio a Napoli anch’egli con l’accusa di peculato per la sottrazione dei libri.

De Caro era stato consulente del ministro delle Politiche agricole Giancarlo Galan per le bioenergie. Probabilmente in quella veste aveva conosciuto Paolo Arata. Poche settimane prima di essere arrestato, il 2 aprile 2012, i carabinieri intercettano De Caro mentre riceve una telefonata di Paolo Arata così sintetizzata nel brogliaccio: “Paolo Arata chiama De Caro e lo informa che si sta recando a Reggio Calabria. I due si risentiranno mercoledì mattina per fissare quando incontrarsi dato che Arata vuole parlare all’interlocutore di una cosa importantissima”.

Il pm che seguiva l’inchiesta sulla razzia dei libri era Giovanni Melillo, oggi Procuratore a Napoli. Quando interrogò Marino Massimo De Caro pose alcune domande sul tema. “Di cosa doveva parlarle Paolo Arata?”. La risposta a verbale di De Caro fu: “Paolo Arata è un ex deputato del Pdl (in realtà fu candidato ed eletto in Parlamento nel 1994-96 nella legislatura della discesa in campo di Berlusconi sotto le insegne di Forza Italia, ndr) che si occupa di energie rinnovabili. Credo che la conversazione – prosegue De Caro con il pm Melillo – si riferisca a sue richieste di sponsorizzazione per nomine nel settore presso il senatore Marcello Dell’Utri”.

Per quanto risulta alla Camera di commercio, Paolo Arata, 69 anni, genovese, in realtà è divenuto amministratore di società che si occupano di energie rinnovabili come la Etnea Srl o la Alqantara Srl solo più tardi, a partire dal 2015. Mentre nei primi anni del Duemila era stato consigliere di una società e di un consorzio di Aversa, che si occupavano molti anni fa di ambiente.

Difficile sapere oggi quale fosse la ragione della telefonata di Arata a De Caro. Fonti vicine all’ex consulente del ministero dell’Agricoltura fanno sapere che in realtà l’interesse di Arata allora sarebbe stato simile a quello di cui hanno parlato i giornali nel 2018: l’Autorità indipendente per l’energia. Quando ha letto di Arata nei giorni scorsi, secondo il racconto di una fonte vicina all’ex direttore della Biblioteca de Girolamini, “De Caro ricorda un interessamento di Arata per una sua nomina nel consiglio dell’Autorità indipendente per l’energia. Si presentava come un ex politico, esperto e di area Forza Italia. Non un imprenditore ma un tecnico della materia”. A detta della fonte consultata dal Fatto, Arata si era vantato con De Caro del suo legame con Marcello Dell’Utri. Un antico legame poi riattivato, come è scritto nelle informative della Dia, nel 2018 quando Paolo Arata chiama il fratello gemello di Marcello, Alberto Dell’Utri per trovare una strada verso la Regione Siciliana.

“Dalle attività di indagine – scrivono i magistrati – è emerso che Arata ha trovato interlocutori all’interno dell’Assessorato all’energia tra tutti l’assessore Pierobon, grazie all’intervento di Gianfranco Micciché a sua volta contattato da Alberto Dell’Utri”. Proprio come 25 anni fa, ai tempi di Forza Italia dove tutti militavano allora. Un partito che non ha cambiato nome, costumi e amicizie, a partire dalla Lega di Salvini.

L’intercettazione in mano al sottosegretario indagato

Le carte depositate nell’ambito dell’inchiesta romana sul sottosegretario Armando Siri non sono più segrete, ma continuano a rimanere riservate: la difesa del senatore leghista accusato di corruzione, quella dell’altro indagato Paolo Arata e i pm capitolini blindano i documenti, ossia l’informativa del 29 marzo 2019 depositata con molti omissis ma che contiene l’intercettazione in cui l’imprenditore genovese parla con uno dei suoi figli del denaro che, secondo le accuse, sarebbe stato dato o promesso a Siri. Anche la difesa di quest’ultimo quindi ha la disponibilità di quel documento e di conseguenza quella conversazione potrebbe già essere in mano al sottosegretario.

Siri deciderà di consegnarla a Giuseppe Conte? Il premier intanto ha fatto slittare di nuovo l’incontro chiarificatore. La ragione sarebbe, a detta del suo staff, il poco tempo tra il rientro dalla Cina e la partenza di oggi per la Tunisia. Il presidente del Consiglio potrebbe chiedere di visionare quegli atti a Siri. Lo farà? Abbiamo fatto queste domande sia a Siri che a Conte, senza ottenere alcuna risposta.

Durante il consiglio dei ministri di oggi si affronterà il caso Siri? Il sottosegretario farà un passo indietro? Anche sui futuri passi del governo il premier resta abbottonato.

In realtà al di là del contenuto della conversazione di Arata, il senso delle accuse al senatore è contenuto già nel capo di imputazione quando i pm spiegano che nella “qualità di pubblico ufficiale” avrebbe asservito le sue funzioni e i suoi poteri “ad interessi privati”. Come? “Proponendo e concordando con gli organi apicali dei ministeri competenti per materia (…) l’inserimento in provvedimenti normativi (…) ovvero proponendo emendamenti contenenti disposizioni in materia di incentivi per il cosiddetto ‘mini-eolico’”. In cambio Siri “riceveva indebitamente la promessa e/o la dazione di 30 mila euro da parte di Arata”.

La partita politica quindi resta ancora aperta. E ne vogliono stare ben a distanza gli investigatori, i quali tengono la massima riservatezza sull’indagine, sia per non scoprire le proprie carte prima degli interrogatori, sia perchè le questioni giudiziarie non devono aver nulla a che vedere con quelle politiche.

Bocce cucite anche da parte delle difese (Gaetano Scalise, legale di Arata, e Fabio Pinelli, che difende Siri): ieri i due avvocati hanno incontrato i pm Paolo Ielo e Mario Palazzi per buttare giù una sorta di “roadmap” dell’attività istruttoria da svolgere nei prossimi giorni. L’avvocato Scalise ha rinunciato al Tribunale del Riesame, al quale si era rivolto per chiedere il dissequestro dei pc e dei cellulari del suo assistito, spiegando anche di aver “manifestato agli inquirenti l’intenzione di essere sottoposti ad interrogatorio”. Che potrebbe esserci già la prossima settimana. Poi toccherà ad Armando Siri. “Prima dell’atto istruttorio – ha dichiarato ieri Scalise – posso garantire che, verificati gli atti depositati, nessun documento verrà diffuso”.

Intanto sempre ieri anche l’avvocato Pinelli ha formalizzato la richiesta di interrogatorio di Siri: “Abbiamo comunicato di persona agli inquirenti che ci presenteremo spontaneamente in una data da concordarsi perché, come da subito detto, siamo e restiamo a disposizione dell’autorità giudiziaria”. Con ogni probabilità il tutto slitterà a dopo la festa del primo maggio.

Siri quindi si difenderà davanti ai magistrati capitolini i quali – nel decreto di perquisizione dell’11 aprile 2019 – parlano di uno “stabile accordo tra il corruttore Paolo Arata” (nel frattempo indagato anche a Palermo per trasferimento fraudolento di valori con l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa) e “il sottosegretario di Stato e senatore Armando Siri (di cui l’Arata è stato anche sponsor per la nomina proprio in ragione delle relazioni intrattenute), costantemente impegnato – attraverso la sua azione diretta nella qualità di alto rappresentate del governo ed ascoltato membro della maggioranza parlamentare – nel promuovere provvedimenti regolamentari o legislativi che contengano norme ad hoc a favorire gli interessi economici di Arata”.

Siri, la melina dei 5 Stelle: “È meglio farlo rosolare”

Improvvisamente nessuno ha più fretta. Sul caso Siri che rischiava di inghiottire il governo gialloverde è iniziata una curiosa melina. Le posizioni si sono cristallizzate: i Cinque Stelle continuano a chiedere le dimissioni del sottosegretario indagato per corruzione, la Lega continua ad appellarsi al garantismo, Giuseppe Conte – che all’inizio minacciava l’arrembaggio e la cacciata – si è convinto che è ora è meglio prendere tempo.

La novità è che tutto sommato ai grillini adesso sta bene così. Fino all’altro giorno si aspettava in modo febbrile il confronto tra Siri e il presidente del Consiglio e ci si attendeva una rapida rimozione del leghista. Ora nei vertici del Movimento la parola d’ordine è cambiata: “Facciamolo rosolare”. In fondo c’è una campagna elettorale in corso, e in fondo l’imbarazzo è tutto del Carroccio: se Salvini continuasse a finire sui giornali per difendere uno dei suoi da un’imbarazzante indagine per corruzione, ai Cinque Stelle che male potrebbe fare?

In pubblico quindi Luigi Di Maio non smette di chiedere rigore: “Siri deve fare un passo indietro e mettersi in panchina fino a che l’inchiesta non sia conclusa”. Ma in privato prende forma l’altra considerazione: tenerlo ancora sulla graticola potrebbe persino tornare utile.

Siri è destinato a rimanerci almeno per qualche giorno. A Palazzo Chigi ora non c’è fretta. È la cifra del mandato di Giuseppe Conte: prendere tempo e smorzare le tensioni. Magari alla fine potrebbe essere la stessa Lega a decidere di togliersi dall’imbarazzo e a indurre il suo sottosegretario a un passo indietro, in attesa dello svolgimento dell’indagine. Dal Carroccio per ora negano. E rimandano la palla al premier, come ha fatto ieri mattina anche il numero 2 Giancarlo Giorgetti: “Conte è tornato, ci sta pensando lui”.

Intanto però l’incontro non è ancora stato fissato: non è avvenuto ieri (al contrario di quanto aveva detto all’inizio lo stesso Conte), non avverrà oggi (il premier e i suoi vice sono in missione in Tunisia) e nemmeno domani (è il primo maggio, giorno di festa e riposo).

Se ne riparlerà, in caso, a partire da giovedì. Ma appunto: senza fretta e senza strappi. Una lentezza che si spiega in parte con gli impegni del presidente del Consiglio, che è tornato dal viaggio istituzionale in Cina domenica notte e ha avuto solo una giornata di lavoro prima di imbarcarsi su un altro aereo. E in parte con il fatto che anche nei corridoi di Palazzo Chigi si sente l’eco della parola “rosolare”. Prima di vedere Siri, peraltro, il premier vorrebbe conoscere il contenuto delle carte che lo riguardano. Con calma, dunque: l’incontro si farà ma non si sa ancora quando, né con quali scenari. Sullo sfondo, sempre la guerra fredda (ma nemmeno tanto) tra i due dioscuri gialloverdi.

Salvini e Di Maio si rivedono oggi: partono con Conte alla volta di Tunisi. Un vertice che costringerà i capi di Lega e Cinque Stelle a sedere allo stesso tavolo dopo diversi giorni: i due non si vedono dal 23 aprile, la sera del consiglio dei ministri in cui fu stralciata la norma cosiddetta “Salva Roma” e la temperatura tra gli alleati di governo raggiunse il picco più alto. Da quel momento in poi non si sono più incontrati, ma si sono continuati a provocare a distanza. Quotidianamente. Anche ieri. Di Maio da Varsavia ha parlato dell’ipotesi di “autosospensione” di Siri: “È un bluff, non esiste né giuridicamente né politicamente”. Il leghista se ne deve andare, ha detto il Cinque Stelle, poi “se sarà prosciolto e vuole tornare al suo posto sarò il primo a volerlo”.

Salvini ha tenuto il punto: “I processi si fanno nei tribunali – ha detto in un’intervista a Rtl – e non sui giornali o in Parlamento. Se invece decidiamo che uno si alza la mattina e dice questo è colpevole e questo no, allora chiudiamo i tribunali e diamo in mano a qualche giornale la possibilità di fare politica”. Controreplica dei Cinque Stelle: “Sembra di sentir parlare Berlusconi”.

Oggi, se non altro, i due potranno dirsele di persona. Prima in Tunisia e poi al consiglio dei ministri che li attende al ritorno. Con quale spirito s’incontrano? Salvini – garantiscono i suoi – è “tranquillissimo”. Di Maio altrettanto. Conte parlerà con entrambi. Ma non sarà nemmeno questa – dicono da Palazzo Chigi – l’occasione per risolvere la questione Siri. Tanto le posizioni in campo sono note, e sono sempre le stesse. E poi in fondo che male c’è a farlo rosolare?

L’allarme di Costa: “Rischio di amianto nel tracciato Tav”

“Ho rappresentato in modo anche corposo al resto del governo che alcuni percorsi del Tav tagliano delle colline che presentano problemi amiantiferi. Questa per me è una preoccupazione“. Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, intervenuto a Casale Monferrato per la Giornata mondiale delle vittime dell’amianto, lancia l’allarme sul cantiere per la Torino-Lione. In merito ai rischi connessi ai lavori sulla ferrovia per l’alta velocità ha aggiunto: “Quando si mette a nudo l’amianto ci sono tutti i rischi di ricadute di salute sulla popolazione. Poi la decisione è ben più ampia di quella che può avere un ministro dell’Ambiente“.

Sull’ipotesi di trovare un percorso differente della tratta per aggirare il problema-amianto, Costa ha fatto presente che “la competenza non è del mio ministero. Così come ho espresso le mie preoccupazioni, il ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha espresso le proprie necessità. Adesso c’è bisogno di una sintesi politica. È chiaro che penso a un tavolo dove saremo tutti quanti insieme a valutare quali siano questi elementi. Ma questo della salute pubblica mi sembra il più serio di tutti”.

Alitalia, i commissari oggi decidono sulla mini proroga

Si allungano i tempi per Alitalia. La scadenza del 30 aprile per presentare l’offerta vincolante è arrivata, ma il progetto intermodale di Ferrovie dello Stato necessita dei tempi supplementari. Il cda di Piazza della Croce Rossa “ha preso in esame il tema della proroga del termine del dossier ” e la lettera ufficiale dovrebbe arrivare oggi. La triade commissariale composta da Stefano Paleari, Daniele Discepolo ed Enrico Laghi deciderà di concerto con il governo, ma già si parla di un minirinvio, non oltre le Europee del 26 maggio. Il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio rassicura: “Se arriveranno proposte da coloro che finora si sono palesati solo a livello di stampa, capiremo cosa fare, altrimenti le soluzioni ci sono già e potremo andare avanti comunque”. Intanto, quindi, Fs può andare avanti nel progetto anche se manca ancora più di un terzo della nuova compagine azionaria. Molto ruota attorno alla composizione della newco: le Ferrovie dello Stato avranno il 30%, Mef il 15% come Delta. Resta il 40%. Sfumato Toto, sullo sfondo rimane Atlantia. In lontananza, ma come ultimissima spiaggia alternativa alla liquidazione, rimane l’opzione Lufthansa, che significherebbe però nuovi esuberi.

Ressa alle agenzie e un milione di domande. La pace fiscale ha svuotato i vecchi condoni

Non è bastata né l’apertura straordinaria degli sportelli sabato scorso, né i ripetuti appelli a utilizzare il sito dell’Agenzia delle entrate-Riscossione. Anche il penultimo giorno per aderire alla pace fiscale, è stato scandito da disservizi e caos con centinaia di contribuenti in fila per presentare la domanda per la rottamazione ter delle cartelle esattoriali (prevista dal dl Fiscale 119/2018 consente di non pagare sanzioni e more sulle cartelle arrivate dal 2000 al 2017, incluse le multe. Può aderire anche chi ha richiesto la rottamazione bis) e per il saldo e stralcio (introdotto dalla manovra 2019, prevede il pagamento di una percentuale tra il 16 e il 35% dell’importo dovuto riservato ai contribuenti in situazione di grave e comprovata difficoltà economica e Isee non superiore a 20 mila euro).

Così ieri sono dovuti intervenire i carabinieri nella sede dell’Agenzia delle Entrate in via D’Annunzio, a Genova, e di via Tiarini, a Bologna, prese dall’assalto dei contribuenti. Disordini che hanno caratterizzato anche le filiali di Oristano, Salerno e Moncalieri (Torino), dove alle 10 hanno smesso di erogare i numeri perché c’erano già troppe persone in coda. Nella sede di via Rigucci, a Firenze, il primo a richiedere di beneficiare della riduzione dell’importo delle cartelle esattoriali è arrivato quando ancora era buio, ma alle prime luci si è ritrovato in compagnia di quasi mille persone. Dall’Agenzia spiegano di aver lavorato a pieno ritmo per consentire ai contribuenti di presentare la domanda.

Ma è la risposta all’adesione ad aver stupito tutti: gli ultimi dati ufficiali, riferiti al 18 aprile scorso, parlavano di circa 870 mila richieste, con il numero che ora sarebbe salito, tanto da far prospettare che il bilancio finale sarà di 1,1 milioni di richieste, di cui 200mila riguardano il saldo e stralcio. Anche se non si può ancora parlare di importi, questa adesione massiccia potrebbe far rivedere in rialzo l’extra gettito calcolato dal Documento di economia e finanza (Def).

Le operazioni di rottamazione degli ultimi tre anni (comprese quindi anche le rate ancora in sospeso delle prime due definizioni agevolate) garantiranno nel 2019 incassi per 949 milioni di euro, che saliranno a 1,525 miliardi di euro nel 2020, 1,312 miliardi nel 2021 e 1,683 miliardi nel 2022. Ma per il 2019 il bottino della rottamazione ter (cioè la “pace fiscale”) resta magro: si prevedono solo 37 milioni di euro di entrate, visto che le rate si pagheranno soprattutto dal prossimo anno. Questo nuovo condono, poi, ha fatto calare gli introiti della rottamazione bis, visto che la nuova è pure più conveniente: i contribuenti che aderiscono possono pagare in 18 rate spalmate su 5 anni. Il gettito incassato dalla “lotta all’evasione”, dove rientrano anche gli incassi delle rottamazioni, lo scorso anno si è attestato a 19,2 miliardi di euro, il 4,5% in meno rispetto all’anno precedente.

Intanto, dopo la richiesta del Consiglio nazionale dei commercialisti di venerdì scorso, ieri anche il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro ha inviato una lettera al governo chiedendo un rinvio di almeno un mese rispetto alla scadenza di oggi. Di certo, però, gli spazi di manovra a questo punto sono limitati. Le uniche finestre possibili sono legate all’approvazione di un nuovo provvedimento nel Consiglio dei ministri in programma oggi o all’inserimento dell’ultimo secondo della proroga nel decreto Crescita, prima dell’approdo in Gazzetta Ufficiale, così come ha auspicato anche il vicepremier leghista Matteo Salvini. “Ma al momento – fanno sapere dal ministero dell’Economia – non è prevista nessuna proroga”.

Oggi, intanto, sarà ancora possibile recarsi presentare la domanda di definizione nelle sedi o online, con il servizio “Fai DA te”. Il servizio può essere utilizzato senza pin e password allegando il proprio documento di identità o utilizzando lo Spid o le credenziali personali fornite dall’Agenzia delle Entrate o dall’Inps.

Giovanni Tria “Le liti sono solo una facciata: o sale l’Iva o scatteranno i tagli”

“Vi confesso che il mio rapporto in privato con Di Maio e Salvini è buono, anche se, a volte, da alcune dichiarazioni pubbliche sembra teso. Niente drammi sull’Iva: il bilancio dello Stato è di circa 800 miliardi di euro, la politica decida come usarli”. Tradotto: l’aumento non si evita col deficit. Giovanni Tria racconta il suo primo anno al ministero dell’Economia. Ha una flemma dura, ogni tanto tamburella con le dita nello studio protetto da un mezzobusto di Quintino Sella.


Chi è Tria?

Mi sento un professore di Economia e non un tecnico. Chi fa parte di un governo è un politico. Il ministro tecnico non esiste.

Chi l’ha chiamata per l’incarico il 31 maggio 2018?

Paolo Savona. Ero all’università, stavo per finire una riunione, mi telefona e mi chiede un incontro. Ho conosciuto il premier Conte e i vice Di Maio e Salvini il giorno prima del giuramento al Quirinale.

Rivendica un profilo apolitico, accetta l’etichetta di “savoniano”?

C’è stima tra di noi, siamo amici, ci sentiamo spesso. Entrambi abbiamo criticato le politiche di austerità dell’Europa.

Perché Savona non è qui dove siede Tria?

S’era creata una discussione intorno a Savona contrario all’euro, ma era una discussione fuorviante. Savona contesta l’architettura dell’euro e auspica una funzione più ampia della Banca centrale europea, temi che condivido.

“Se continua così può tornare a casa” , cit. Di Maio. “Più coraggio o faccia il panettiere”, cit. Salvini. Quando legge simili attestati di stima, come reagisce?

Non mi fa piacere. All’inizio telefonavo per capire e ogni volta mi smentivano di aver espresso questi apprezzamenti. Poi ho smesso, non ci faccio caso. Si tratta di dichiarazioni pubbliche, forse pensano di incentivare il consenso politico, non credo serva. L’importante è che in privato – come accade – si vada molto più d’accordo e ci sia molta più armonia. Un dubbio mi è rimasto: perché panettiere?

Ci ha riflettuto?

Forse Salvini ha letto Adam Smith che dice “non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo”.

Quante volte ha minacciato le dimissioni?

Mai. Le dimissioni si danno, non si minacciano. Questo giochino politico e giornalistico fa danni all’Italia. Io non ho niente da perdere, ero all’università, stavo per andare in pensione. Resto finché sono utile. Certo, spesso la notte non dormo perché il peso del mio ruolo è enorme, condiziona milioni di persone, ma sono fedele al giuramento sulla Costituzione. Mi ha convocato la politica.

Il premier Giuseppe Conte ha in tasca sempre un santino di Padre Pio, Tria ha una foto di Mario Draghi?

Non porto con me immagini di santi laici o cattolici, ma Draghi è un ottimo presidente della Bce e va annoverato tra i protettori dell’Europa perché con la frase “faremo tutto il necessario per la moneta unica” ha salvato l’Europa e aiutato molto l’Italia, anche se la sua intenzione era più estesa.

Il mandato di Draghi scade in autunno, un giorno potrà aiutare l’Italia dall’Italia?

Sì, può dare un grande contributo, se ne ha voglia. Non farà il pensionato, suppongo. Ha di fronte tante carriere, vedremo se sceglie di impegnarsi in Italia.

L’errore più grosso che si imputa?

In Consiglio dei ministri, quando s’è deciso il deficit in manovra, potevo resistere di più e convincere i colleghi.

I Cinque Stelle con Di Maio hanno celebrato dal balcone di Palazzo Chigi il temporaneo 2,4 per cento di deficit, dov’era lei in quel momento?

Ero lì, non molto lontano, però molto preoccupato. Non mi aspettavo l’uscita sul balcone. Rispetto a una severa reazione dei mercati finanziari, ammetto che mi ha angosciato più l’esultanza che il deficit al 2,4. Il deficit va fatto, ma non è un fine: è un mezzo per raggiungere un fine.

Perché il governo s’è ravveduto?

Io ero scettico dal principio. Il governo, durante quel burrascoso novembre, ha guardato ai fatti: economia quasi in recessione, costi ricalcolati meglio, sfiducia dei mercati. Io ho tentato di spiegarmi: il debito si può utilizzare, ma per acquistare una casa, non per pagare l’affitto.

“Nulla si costruisce sulla roccia, tutto sulla sabbia, ma noi dobbiamo costruire come se la sabbia fosse roccia”, disse una volta menzionando Borges. Il governo gialloverde su cosa e con cosa costruisce?

Il programma di governo è stato adottato e sono qui per realizzarlo, ma il programma va adeguato al mondo e alla realtà che cambia, anche con troppa velocità. Il mio dovere è costruire strade sicure, avvisare se una valanga ha interrotto il percorso. In quel caso, bisogna aggirarla. A volte la politica ha l’istinto, invece, di sbattere contro la valanga.

Per alcuni analisti c’è lo stesso clima mefitico del 2011 che portò i tecnici, le misure di “sangue” e le “lacrime” di Elsa Fornero, con quale spirito s’avvicina a una scadenza ineludibile, quella sull’aumento dell’Iva nella legge di Bilancio?

Ci vuole razionalità, non spirito drammatico. Il nostro Paese ha un’economia di base forte, occorre più affidabilità. Il bilancio dello Stato è di circa 800 miliardi di euro. Queste sono le risorse e la politica deve decidere come usarle. Ridurre le tasse, tagliare la spesa e ritoccare l’Iva? Qualcosa va fatto. Non è possibile abbassare le tasse, far crescere la spesa e tenere l’Iva ferma. In passato l’hanno fatto e adesso ne facciamo i conti.

Salvini giura: “Vinciamo le Europee e nessuno ci chiederà i 23 miliardi dell’Iva”.

Il problema non sono i burocrati di Bruxelles, ma è il mercato che possiede il nostro debito.

Il leghista Siri, sottosegretario ai Trasporti, è indagato per corruzione. Deve rinunciare all’incarico?

Non saprei dire. A parte la questione specifica, io ho una regola di principio: un avviso di garanzia non basta per provocare le dimissioni.

Ha definito “spazzatura” le accuse a Claudia Bugno (vedi scheda in pagina, ndr), sua consigliere. Non c’è conflitto di interessi?

No, era soltanto un attacco politico.

Suo figlio in barca a vela è intervenuto in un salvataggio, a supporto di una nave di una Ong, nel mare Mediterraneo. “Se mio figlio andasse sui barconi, gli tirerei le orecchie”. Ha seguito il consiglio di Salvini?

No, io ammiro mio figlio e rispetto le sue idee, tutte, soprattutto quelle distanti dalle mie. Ha due lauree, è adulto, non va in giro con leggerezza. In ogni caso, non è un volontario di una Ong.

Il suo governo ha lasciato più di una notte in mare, a pochi chilometri dalla coste italiane, centinaia di migranti. Era necessario?

Ci vuole coraggio, io non so se l’avrei fatto. Però l’Italia ha interrotto l’ecatombe nel Mediterraneo, anche se chiudere i porti non risolve il fenomeno globale dell’emigrazione. Io non sono un credente, ma le uniche parole sensate le ha pronunciate papa Francesco: in Libia vanno creati i corridoi umanitari. Pure in questa circostanza l’Europa s’è dimostrata assente.

Tessere di partito?

Mai, da giovane ero maoista, di estrema sinistra, poi di idee liberali.

Cosa ricorda della convivenza accademica con Renato Brunetta?

Abbiamo scritto tanti articoli assieme, Renato è molto bravo nelle presentazioni. In conferenza stampa mi batte dieci a zero.

Quale è la prima cosa che fa appena arriva in ufficio?

Controllo lo spread perché utile a capire se abbiamo sbagliato qualcosa o qualcosa di imprevisto s’è verificato sui mercati.

Tria è un ministro precario?

Chi è stabile al giorno d’oggi?

 

 

I precedenti

Tutti gli scontri
Nomine. Appena insediatosi Tria ha confermato tutte le prime linee del ministero ereditate dal predecessore Pier Carlo Padoan facendo infuriare i 5Stelle. A settembre ha nominato il rappresentante italiano al Fmi senza avvisare gli alleati.
Deficit e truffati Per settimane dal ministero filtrato che in manovra il deficit sarebbe stato all1,6% del Pil. Nell’infuocato Cdm del 27 settembre (quello terminato con l’esultanza di Di Maio e dei vertici M5S dal balcone di Palazzo Chigi) gli alleati hanno imposto il 2,4%, poi ridotto al 2,04 dopo lo contro con l’Ue. A inizio aprile Di Maio e Salvini gli hanno più volte intimato pubblicamente di firmare i decreti sui rimborsi ai truffati dalle banche, fermato dai dubbi di Bruxelles. Tria ha tenuto il punto e ottenuto le modifiche richieste,
Il caso Bugno La scelta di nominare la fedelissima consigliera nella controllata Stm ha fatto infuriare gli alleati, infastiditi dall’attivismo della consigliera con un passato nel Cda di Banca Etruria. Le polemiche sono divampate quando si è scoperto che il compagno della Bugno ha assunto nell’azienda che guida, Tinexta, il figliastro del ministro. Bugno ha poi rinunciato alla nomina in Stm: dovrebbe finire all’Asi, ma finora il veto di M5S e Lega ha bloccato tutto. Scontro anche sulle nomine in Sace, controllata di Cdp. Tria vuole la riconferma dei vertici, i 5Stelle per un ricambio.
Iva Il 18 aprile, in audizione alle Camere, ha ribadito che il Def include gli aumenti automatici dell’Iva (per 23 miliardi), le cui risorse per disinnesrcarli andranno trovate in manovra. Furiosa la reazione: “Se vuole l’aumento vada nel Pd” (Di Maio); “Non accadrà mai” (Salvini).