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I paradossi di un evasore come presidente

L’agghiacciante probabilità di eleggere Berlusconi al Quirinale regalerebbe a me e a mia moglie un paradosso: quale? Da pochi giorni mia moglie ha completato la procedura online per richiedere la cittadinanza italiana; da allegare alla domanda, oltre al certificato del casellario giudiziale del suo Paese d’origine, v’è un questionario con 20 domande tra le quali spicca la dodicesima, che recita: “Ha sempre adempiuto agli obblighi fiscali?”. Ebbene, dato che la procedura per il rilascio della cittadinanza richiede fino a 36 mesi, potrebbe accadere che, in un futuro non troppo lontano, un frodatore fiscale rilasci la cittadinanza italiana a una straniera dopo averle chiesto se “ha sempre adempiuto agli obblighi fiscali”. Non è meraviglioso?

Roberto Palladino

 

Diciamolo, quella di B. è un’ipotesi inverosimile

Tutto questo parlare di Berlusconi candidato alla presidenza della Repubblica lo trovo improprio, se non addirittura controproducente. Il Movimento 5 Stelle ha già assicurato la sua totale indisponibilità a votarlo in Parlamento. Da buon piazzista, B. punta soltanto ad aumentare la quotazione di Forza Italia nei prossimi sondaggi elettorali. Ciò significa non solo voler dare al suo partito una prospettiva più o meno reale di lunga sopravvivenza, ma a mantenere saldi tutti gli interessi economici che lo riguardano. In sintesi, il personaggio sta prendendo ancora una volta in giro gli Italiani. Come politico è finito da tempo, anche se non risulta ancora morto e sepolto. Bisognerebbe semplicemente ignorarlo, chiudergli la porta in faccia. Ma non si può, soprattutto a livello mediatico. Nessuno può credere, tuttavia, all’infelice avvento in Italia di una drastica divisione fra cittadini, non molto difforme da una vera e propria, seppur solo a parole, “guerra civile”.

Aldo Martorano

 

Caro Aldo, purtroppo non è così. B. corre per vincere. E noi facciamo di tutto perché ciò non accada, nei limiti delle nostre possibilità.

M. Trav.

 

Salvini ha portato bene pure al candidato cileno

A proposito del ballottaggio per le elezioni presidenziali in Cile, qualche giorno fa avevo letto di un forte endorsement di Salvini a favore del candidato di estrema destra, José Antonio Kast. Mi si è subito allargato il cuore, nel senso che ho intuito immediatamente che avrebbe vinto Gabriel Boric, il candidato della sinistra più a sinistra. E, con mia grande soddisfazione, è andata proprio così: avevo intuito bene!

Livio Pilat

 

I due Matteo, come portafortuna, non sbagliano un colpo.

M. Trav.

 

Draghi e il suo gregge: un elogio a reti unifcate

Ho letto con grande soddisfazione gli elogi che l’Economist fa a Draghi e all’Italia intera. Afferma che siamo i migliori, mentre Repubblica e Stampa seguono con aggettivi eclatanti: il governo Draghi ha fatto meglio di tutti, meno male che c’è lui e non Conte. Finalmente siamo premiati per la conoscenza nel campo sanitario ed economico… solo che poi un amico mi informa che Economist, Repubblica e Stampa sono di proprietà della famiglia Agnelli. Riflettendo, è chiaro che i complimenti sono frutto dell’effetto… gregge!

Claudio Marchetti

 

Caro Claudio, l’anno scorso aveva vinto il Malawi e quest’anno abbiamo spezzato le reni alle Isole Samoa. Sono soddisfazioni.

M. Trav.

 

Il mio desiderio: Conte prima carica dello Stato

Avrei un sogno, un desiderio, una vana speranza: Conte presidente della Repubblica. Una persona perbene, educata, capace, giovane, che si è dimostrata adatta in un momento allucinante per il mondo intero. Aveva le opposizioni sempre contro a ogni iniziativa, lo hanno incolpato di incapacità, ma chi poteva fare di meglio? I fatti lo dimostrano: questi tanto osannati “migliori” stanno facendo peggio, pur avendo tutti a favore e i vaccini a disposizione. Conte avrà fatto i suoi errori, ma davanti a una catastrofe mondiale ne è uscito da uomo onesto. Un requisito imprescindibile, per un presidente della Repubblica.

Anna Beltrame

Caos a scuola “L’obbligo vaccinale per i docenti penalizza pure i ragazzi”

 

Gentile redazione, ormai dal 15 dicembre il personale scolastico, docenti e Ata, è obbligato a essere vaccinato. La possibilità di recarsi al lavoro previo tampone non è più consentita, e chi non si adegua vede il proprio stipendio sospeso.

Il lavoro dell’insegnante è nobile, o almeno lo era. La realtà scolastica è ormai svilita, stanca, e per certi versi rancorosa; non dissimile da un vecchio che rimpiange se stesso. Gli stipendi non sono adeguati al carico di lavoro e alle responsabilità che il docente è tenuto ad assumersi, assolutamente non paragonabili a quelli dei colleghi d’Oltralpe. Non lo sono nel pubblico, non lo sono assolutamente nel settore privato, totalmente ignorato nei dibattiti; eppure, paga a parte, gli impegni e le responsabilità sono le stesse. Va poi detto che, a fronte delle difficoltà interne, la scuola accusa il colpo anche dalle nuove generazioni sempre meno stimolate allo studio, sempre più ingabbiate in una società che privilegia l’ignoranza fintanto da renderla un vanto, una virtù. Il docente allora non è più solo un insegnante ma, in certi casi, una vera e propria ancora di salvezza per il futuro dei ragazzi. Che la scuola italiana stia cadendo a pezzi è innegabile. Non si tratta di un castello di carte che viene giù, tutto insieme, in un soffio. No, la nostra realtà assomiglia più a quei bei ruderi medievali che, pezzo dopo pezzo, si sgretolano pur rimanendo in piedi o a quei monumenti romani progressivamente spogliati della loro bellezza per farne materiali di ripiego. Eppure, nonostante una tale devastazione, il docente continua a gestire situazioni decisamente complesse, nonostante i continui avvilimenti, la sfiancante mancanza di considerazione. Dal 15 dicembre la situazione è anche, se possibile, peggiorata perché chi non si è vaccinato deve trovare le parole per spiegare ai propri alunni perché il percorso iniziato insieme deve arrestarsi. Tutto questo è criminale persino nei confronti degli studenti: non sono state spese parole sugli eventuali traumi, personali e formativi, che subiranno i ragazzi qualora i loro insegnanti siano allontanati. È, infatti, ingiustificabile cambiare le carte in tavola a ridosso della fine del primo quadrimestre: in molti si ritroveranno ad avere un nuovo professore in concomitanza delle verifiche finali prima della pagella. Inoltre, il danno emotivo sarà alto.

Se la scelta dell’obbligo vaccinale per il corpo docenti fosse stata presa prima dell’inizio dell’anno scolastico sarebbe stato diverso. Oggi, invece, molti colleghi si sentono soffocare all’idea di dover scegliere tra la propria integrità e il benessere dei loro alunni. Era veramente necessario questo ulteriore braccio di ferro? La battaglia contro i non vaccinati deve veramente passare sulla testa dei ragazzi?

Raduan

Il party di vent’anni fa a la7 e la barzelletta più vecchia del mondo

Una delle barzellette più vecchie del mondo era sepolta fra i rotoli del Mar Morto insieme con il comico che l’aveva appena detta per l’ennesima volta. Risale dunque almeno al 150 a.C., l’anno del famoso sciopero del sindacato eunuchi, dopo che 900 di loro erano stati licenziati in tronco da un califfo con un messaggio recapitato da piccioni viaggiatori. Lo sciopero fu inevitabile: non puoi fare la testa di cazzo, anche se sei un califfo. Innanzitutto è crudele comunicare 900 licenziamenti, per giunta pochi giorni prima della Grande Festa di Osiride, con 900 piccioni viaggiatori, che esprimono disprezzo verso l’interlocutore ancor prima di cominciare a scagazzare. In questo modo il califfo riuscì a non mostrare pubblicamente le micro-espressioni facciali che esprimevano goduria per essersi liberato di tutti quei rompipalle in un colpo solo, certo, ma poi si tradì col messaggio: “Volevo che lo sapeste da me”, “Questa è la seconda volta che devo prendere una decisione simile”, “Davvero non vorrei farlo”, “L’altra volta che l’ho fatto, ho pianto”, “Stavolta spero di essere più forte”. Tutte frasi incentrate su di sé, non sui licenziati, della cui condizione dimostrò che gli importava una sega. Colgo l’occasione per ringraziare quanti di voi continuano a inviare email per darmi consigli su dove posso infilarmi gli articoli di questa rubrica, e in particolare quei due o tre che hanno allegato diagrammi. Mi avete portato fortuna: continuo a ricevere richieste per spettacoli su Zoom, il luogo virtuale che, causa pandemia, ha sostituito i teatri tradizionali con grande vantaggio per gli spettatori, che possono gustarsi gli show restando in pigiama e grattandosi le palle e la figa quanto gli pare (che è anche il motivo per cui molti fedeli preferiscono la messa in tv, cfr. Ncdc 15 ottobre). A volte invece lo show è richiesto in presenza. La settimana scorsa mi ha contattato un’azienda per un monologo riservato alla loro forza vendite. “Volete qualcosa di divertente?” ho chiesto. E loro: “No, faccia le sue solite battute.” È stato bello commemorare i 20 anni di La7. Ed è stato commovente: al buffet c’erano alcuni tramezzini dell’epoca. Sono stati un groppo in gola per molti. L’onda dei ricordi mi ha riportato ai miei inizi, quando venivo pagato per far ridere alle feste vestito da cameriere e a un certo punto cadevo in piscina trasportando una pila gigantesca di piatti. Le risate erano maggiori quando la piscina era vuota perché i ricchi, si sa, oltre che tirchi sono una manica di stronzi. Quella di La7 era una serata di gala, ma un burlone mi aveva detto che era una festa in maschera. E così eccoci qui, Cairo, Mentana, Salerno, Gruber, Giletti, Merlino, Formigli, Floris, Panella e altri big della rete, tutti in abiti da sera, e io che cerco di far finta di niente, vestito da Gatto Silvestro, con in mano un canarino (un punch digestivo a base di scorza di limone, ma nessuno di quei filistei ha colto la gag sopraffina). A un certo punto Cacciari mi attacca una pippa: “Non esiste un sé separato, esiste solo il continuum della vita in cui nascita e morte sono eventi spazio-temporali. Quindi non siamo persone. Siamo una coscienza che finge in modo transitorio e impermanente di essere una persona.” IO: “Peccato, volevo rimorchiare la Panella. Mi fa sangue”. Era la prima convention aziendale a cui partecipavo dall’11 settembre 2001, che ricordo bene perché quel giorno stranamente non c’erano saldi di tappeti persiani. Temevo che l’azienda avrebbe cancellato la serata divertente a causa della tragedia alle Torri Gemelle, ma era la Benetton, e ce la spassammo alla grande. Stavamo dicendo? Ah, sì, una delle barzellette più vecchie del mondo. Vabbè, ho finito lo spazio, sarà per un’altra volta.

 

Il Caimano al Colle, un po’ barzelletta e un po’ bestemmia

Ma Berlusconi ci sta con la testa? Possibile che, oltre alla legione di dipendenti e cortigiani, egli non abbia qualche vero amico che lo consiglia? Mi ostino a considerare la candidatura di B. al Quirinale una via di mezzo tra la barzelletta e la bestemmia. Ma suggerisco di fare un esercizio spericolato. Per un attimo, facciamo finta di ignorare tutto, ma proprio tutto, del passato di B: condanna, prescrizioni, processi tuttora aperti, leggi ad personam, guerra ai magistrati, conflitto di interessi, origine oscura dei suoi capitali, bunga bunga, nipote di Mubarak, pessima prova di governo che ci ha condotto a un passo dalla bancarotta, irrisione della comunità internazionale. Da ultimo, l’età. Non un problema, per lui, che si reputa immortale. Proviamo a immaginare – dio non voglia – che egli ascenda al Quirinale. A che prezzo? Primo: di una lacerante divisione verticale del Parlamento e del Paese. Uno choc. L’esatto contrario di ciò che, a detta di tutti, sarebbe assolutamente necessario dentro uno stato d’emergenza pandemica ed economica. Per il quale oggi abbiamo un governo di quasi unità nazionale. Un governo che di sicuro non reggerebbe al trauma. Secondo: si pensi al discredito che, presso una larga parte del Paese, investirebbe il Parlamento. Un Parlamento che, dopo Mattarella, ci regalasse Berlusconi. Cioè da una figura limpida unanimemente apprezzata a una figura, diciamolo così, con un generoso eufemismo, controversa e sommamente divisiva, cui spetterebbe di rappresentare l’unità del Paese e di fare da imparziale garante della Costituzione. Terzo: il modo. Sin d’ora le cronache ci rendono edotti delle manovre grazie alle quali, in quello sciagurato caso, potrebbe coagularsi una maggioranza parlamentare. Cioè grazie alla caccia nominativa a elettori disperati e dispersi nella palude parlamentare, sensibili alle più diverse lusinghe. Anche le più venali.

Uno spettacolo avvilente, un colpo mortale inferto all’istituzione Parlamento e, più in genere, alla politica. Come se non bastasse l’impennata dell’astensionismo. Quarto: si immagini l’impatto sulla credibilità del nostro Paese agli occhi della Ue e della comunità internazionale. D’un tratto, sarebbero revocati i riconoscimenti di Economist e Financial Times e le suggestioni di un’Italia che possa vantare un protagonismo Ue nel dopo Merkel anche grazie a un buon rapporto con il nuovo cancelliere socialdemocratico tedesco Scholz. Quinto: se è troppo chiedere all’interessato una qualche cura che non sia la sua smisurata, egotica ambizione personale, quantomeno egli dovrebbe preoccuparsi dei suoi tradizionali alleati. Non è un mistero che essi siano tutt’altro che entusiasti nel sostenerlo. Lui li tiene in ostaggio. Una logica elementare spiega la loro tiepidezza: avendo l’ambizione e, ahimè, la concreta possibilità di vincere le elezioni politiche e di conquistare il governo, Meloni e Salvini avrebbero semmai l’interesse a che, al Quirinale, ascendesse una figura che li aiutasse a vincere la nota e motivatissima ostilità della comunità internazionale nei loro confronti. E B. sarebbe chiaramente il meno indicato. Per loro (oltre che per l’Italia), un gigantesco problema in più. Dunque, anche senza evocare il passato, queste considerazioni sul presente conducono a una semplice conclusione: se qualcuno coltivasse dubbi su quanto poco, al Cavaliere e ai suoi supporter, stia a cuore il superiore interesse del Paese e delle sue istituzioni, a cominciare dalla più alta, questa caparbia e ottusa velleità quirinalizia basta e avanza a certificarlo. Anche il più sprovveduto degli osservatori comprende che non esiste in Italia figura più inadatta al Quirinale di quella del fu (?) Caimano.

 

Sotto l’albero Il “Green pass gold edition” e il “booster” come sorpresa

Dunque, il Consiglio dei ministri deciderà il 23 dicembre (domani) come potremo/dovremo comportarci il giorno di Natale. Siamo in quella fascia di tempo in cui le rosticcerie non ti prendono nemmeno più l’ordine: “Mi spiace, signora, doveva dircelo prima”. E infatti gli italiani hanno fatto prima: chi doveva disdire ha disdetto, chi poteva confermare ha confermato, un po’ di parenti staranno a casa, si mentirà su obblighi e quarantene, tutti o quasi greenpassati e tutti alle prese con quella ormai familiare frase: “Vabbè, staremo un po’ attenti”.

Ma nelle decisioni prenatalizie che ci verranno gentilmente comunicate mentre facciamo i pacchetti, c’è qualcosa in più di qualche regola; c’è in controluce la crisi di una narrazione molto pressante, sulla pandemia, sulla scienza, e in definitiva sulle nostre vite ai tempi del Covid. Due unanimismi intrecciati hanno camminato di pari passo in questo anno: quello per superare la pandemia, uscirne finalmente, accettare regole e consigli a reti unificate, a volte un po’ balzani; e uno per il nuovo salvatore della politica, l’ennesima ultima spiaggia, eccetera eccetera, insomma, il draghismo semi-obbligatorio che il Paese respira come un aerosol. Ecco, è possibile ora che questi unanimismi si scollino un po’, che non marcino più così uniti come qualche mese fa. Ognuno dei due ha dato qualche cenno di cedimento, non la tenuta ferrea che si credeva. Sul lato pandemia (ma ormai bisognerebbe dire “politica pandemica”) i nuovi sviluppi ci dicono che il vaccino ci protegge dall’intubazione, ma non da tutto il resto (dall’ammalarsi alla quarantena, all’isolamento, e via elencando, e tutto magari con un Green pass valido in tasca). Ognuno fa i conti con la sua propria situazione. Personalmente sarei un eroe della AZ generation, in attesa di booster-surprise, perché non so se mi toccherà Pfizer o Moderna, può darsi che tirino a sorte. Diciamo che non mi avvicino alla terza dose con la stessa soddisfatta serenità con cui ho ricevuto la prima e la seconda.

Si parlò addirittura, qualche mese fa, di vietare i tamponi, colpevoli di disincentivare al vaccino. Si infiammò persino la polemica: io con le mie tasse ti dovrei pagare il tampone! Ver-go-nia! Si colorò insomma il dibattito tamponi sì-tamponi no con quell’atteggiamento sbirresco e discriminatorio che faceva di uno col tampone il nemico sociale del momento, il parassita buono per il dileggio popolare. I romanzi distopici di Ballard ci fanno una pippa.

Oggi invece si certifica (cioè domani, con calma) che magari in certe situazioni (stadi, grandi eventi) non basterà il vaccino, e quindi il Green pass, ma ci vorrà anche un tampone, con nuovo Green pass, suppongo. E questo mentre un’altra proposta arriva alla “cabina di regia”: che per il trasporto locale non basti più il tampone, ma sia necessario il vaccino, in due dosi, meglio tre, e Green pass gold edition. Si è parlato anche (sono quei ballon d’essai lanciati per capire se c’è spazio di manovra) di Green pass più tampone per andare al cinema, o a teatro, con il che a teatro, spiace, ma non ci andrebbe più nemmeno Pirandello. Insomma, la gestione tecnico-politica della pandemia non è più il Sacro Graal, che se lo tocchi sei un cane infedele. E siccome di tutto lo sbandierato boom economico nelle tasche della gente non sta finendo niente, ecco che anche i superpoteri di Supermario si fanno meno scintillanti. Due unanimismi abbracciati, uno che regge l’altro, sembrano un po’ meno abbracciati, e anche un po’ meno unanimi.

 

Csm, senza il sorteggio rivince il correntismo

Piercamillo Davigo, magistrato che in maniera esemplare ha onorato la toga, ha scritto su questo giornale (14.12) un articolo dal titolo “Correnti e carrierismo: Cartabia peggiora il Csm”, nel quale ricorda innanzitutto la circostanza che “più volte sono state approvate leggi elettorali per il Csm con un dichiarato scopo di indebolire le correnti, che hanno però sempre ottenuto il risultato contrario”. Aggiunge, poi, Davigo che, nel predisporre una nuova legge elettorale, il ministro della Giustizia Cartabia ha annunciato un sistema maggioritario (con collegi binominali, a turno unico con unica preferenza), che potrebbe “assegnare la maggioranza dei seggi al Csm a una sola corrente e che comunque consentirà una rappresentanza maggiore alle due correnti più forti, relegando a posizioni di minoranza le altre”.

Parole condivisibili perché tale riforma non solo è del tutto inidonea a rimuovere le cause della degenerazione correntizia e clientelare, ma anzi rappresenta il trionfo del correntismo dal momento che perpetua dinamiche di sostanziale designazione degli eletti da parte delle correnti ed elimina ogni opposizione allo strapotere delle stesse. Non condivido, invece, quanto da Davigo affermato nel prosieguo dell’articolo: “I rimedi radicali proposti da alcuni, come vietare le correnti o introdurre il sorteggio, sono incostituzionali dal momento che la Costituzione consente la libertà di associazione e prevede l’elettorato attivo e passivo in capo a tutti i magistrati”.

Si tratta di obiezioni superabili: quanto allo scioglimento delle correnti, ciò non significa affatto vietare ai magistrati il diritto di associarsi costituzionalmente riconosciuto dall’art. 18 della Carta, perché il loro diritto di associarsi – e costituire un’associazione di categoria – viene assicurato e, di fatto, esercitato con l’iscrizione alla Anm, per poter liberamente discutere, all’interno di essa, dei loro problemi nel confronto delle diverse opinioni. È evidente che la costituzione all’interno dell’associazione di gruppi di soci non ha nulla a che vedere con il già esercitato diritto di associarsi, ma finisce per risolversi, come è avvenuto, nella creazione di centri di potere o di pressione che hanno illegalmente condizionato il corretto funzionamento del Csm.

Quanto al sorteggio – premesso che a partire dallo scandalo del “mercato delle nomine” (2019) il legislatore avrebbe avuto tutto il tempo per battere la strada di una legge costituzionale che sostituisca il termine “eletti” (previsto dall’art. 104 Cost.) con quello “estratti a sorte” – si osserva che l’utilizzo del sorteggio come strumento per garantire l’imparzialità della composizione di un organo trova precedenti nella legislazione sia costituzionale che ordinaria. Quanto agli organi giurisdizionali si ricorda: l’art. 135 della Cost. che prevede l’integrazione della Consulta, nei giudizi di accusa contro il Capo dello Stato, di 16 membri estratti a sorte da un elenco di cittadini aventi requisiti per l’eleggibilità a senatore; la legge cost. n. 1/89 che prevede il sorteggio dei componenti il collegio del Tribunale dei ministri; la l. n. 287/1951 che prevede il sorteggio dei giudici popolari della Corte di Assise. In vari casi, il sorteggio risulta essere stato utilizzato anche come strumento di imparzialità della composizione di un organo che svolge funzioni amministrative, talvolta unendolo ad un sistema elettivo, come nel caso della l. n. 1/2009 relativa alle commissioni per i concorsi di professori universitari composte da membri sorteggiati in una lista di commissari eletti in numero triplo. È, quindi, possibile per il Csm far ricorso, con legge ordinaria, anche a un sistema misto di estrazione a sorte ed elezione, finalizzato a garantire il principio di imparzialità, costituzionalmente garantito, oggi inficiato dal controllo pregnante delle correnti sulla designazione dei candidati e sugli esiti elettorali.

Un tale sistema può articolarsi in due fasi: dapprima, l’ufficio elettorale centrale procede al sorteggio di un congruo numero di magistrati per ciascuna categoria (ad es. 5 volte il numero da eleggere per ciascuna di esse: Cassazione, giudici di merito e pm), e, poi, si procederà, in tempi rapidi (onde evitare che le correnti possano influenzare gli “estratti”), alle elezioni.

In tale ottica, l’introduzione del solo sorteggio (da preferire) o del sistema misto può ritenersi finalizzata a garantire primariamente l’imparzialità del Csm, nell’espletamento delle sue funzioni di alta amministrazione e può, quindi, ritenersi rispondente ai fondamentali interessi costituzionalmente protetti dagli artt. 97 e 111 Cost.

 

Calenda lo si nota di più se si dimette

Roma, sul serio, sì, ma manco troppo. Alla fine Carlo Calenda si dimette dal consiglio comunale. Ha altro da fare: è già parlamentare europeo e promettente leader di un piccolo partito di centro, Azione. Una lista che per ora ha un peso solo a Roma, la città da cui Calenda si sta dileguando, ma sono dettagli. Nel suo ennesimo balletto egotico, l’ex ministro aveva dapprima annunciato che non sarebbe rimasto in Campidoglio in caso di sconfitta, poi invece aveva cambiato idea e aveva provato a fare il consigliere d’opposizione, ma s’è stufato molto presto: “Ho provato per un po’, ma non è compatibile con il lavoro di eurodeputato”. E gli stipendi non sono paragonabili. Calenda se ne torna a Strasburgo (si fa per dire, viste le percentuali di partecipazione): non ha tempo per Roma. Strano, perché era prontissimo a candidarsi alle Suppletive in caso ci fosse da sfidare Giuseppe Conte, per quell’impresa avrebbe liberato un po’ la sua fitta agenda. Pazienza. Il tatuaggio “Spqr” si vede che era un henné.

“Strada dei parchi” sospende il maxi rincaro sui pedaggi

Dopo Autostrade per l’Italia, un secondo fronte autostradale imbarazza il governo: è la Strada dei Parchi, società del gruppo Toto che gestisce i 212 km della Roma-L’Aquila-Pescara (A24-A25). Il cda della società ha deciso ieri di rinviare a luglio 2022 l’aumento delle tariffe del 34%. Il maxi-rincaro, dovuto dopo il blocco che va avanti da anni, era temuto dai Comuni abruzzesi e laziali. La società ha motivato la scelta come un gesto di “responsabilità” e una mossa distensiva verso il governo per sbloccare la partita del Piano economico finanziario (Pef), scaduto dal 2009 e bloccato da 12 anni da uno scontro che ha assunto livelli surreali. Una legge del 2012 impone il suo rinnovo, ma soprattutto dopo il terremoto di L’Aquila, bisogna procedere alla messa in sicurezza antisismica. Il ministero è stato commissariato dal Consiglio di Stato per l’inerzia, ma il Pef (vale 6 mld) resta bloccato perché il Mit vuole che sia interamente ripagato dai pedaggi. Toto minaccia la rescissione della concessione e una causa miliardaria. E la messa in sicurezza non parte.

Inchiesta di Report, Bankitalia bastona l’ispettore Bertini

Alla fine paga solo Carlo Bertini. Il whistleblower della Banca d’Italia, l’ispettore che ha segnalato a Report coperture e connessioni ai vertici di Mps di cui si è avvantaggiata Dpi, la società che per anni ha venduto diamanti a prezzi gonfiati a migliaia di clienti del Monte (e di altre banche), dopo essere stato costretto a una perizia psichiatrica (che lo ha dichiarato idoneo al servizio), demansionato e sottoposto a procedimento disciplinare per le sue denunce pubbliche, il 17 dicembre è stato sanzionato dal Consiglio superiore dell’istituto di via Nazionale che lo ha sanzionato con la sospensione da servizio e retribuzione per 12 mesi. È la misura più grave prima del licenziamento. Lo ha reso noto in una nota la Falbi, il sindacato che ha tutelato Bertini, impedendo di fatto che fosse cacciato. Pur non condividendo la sanzione, il sindacato si è dichiarato soddisfatto di aver evitato il licenziamento e ha deciso così di revocare lo sciopero di un’ora dei dipendenti indetto per il 28 dicembre in solidarietà al funzionario, ma non ha mancato di stigmatizzare la vicenda. “Il comportamento sanzionato non è affatto commisurato alla deliberazione adottata”, protesta la Falbi. “È stato affermato un pericoloso precedente per tutti i dipendenti di Banca d’Italia”, “una inequivocabile lezione: in Banca d’Italia è opportuno ‘legare l’asino dove vuole il padrone’ perché ogni gesto di autonomia di giudizio, che dovesse contrastare con il volere dei superiori, può essere foriero di gravi conseguenze”, scrive il sindacato, che chiosa: “I rischi reputazionali dell’istituzione non derivano dai comportamenti di Bertini, bensì dalla gestione della vicenda messa in atto dalla banca e dai suoi più alti esponenti”.

Il riferimento è alle parole registrate durante gli incontri di Bertini con i suoi superiori e riportate da Report, tra le quali le dichiarazioni del vicedirettore generale di Banca d’Italia, Alessandra Perrazzelli, secondo la quale “anche di fronte a delle cose spaventose” il consiglio più opportuno è di comportarsi “come una statua di marmo”, di farsi scivolare addosso le cose, perché questo è il metodo di “chi fa carriera”. In due lettere aperte ai dipendenti di Banca d’Italia, Perrazzelli e l’altro vicedirettore generale Paolo Angelini respingono “l’uso fuorviante delle parole” e parlano di “ritratto falso dell’istituzione” fatto dalla trasmissione. In una lunga nota sul suo sito web, anche Banca d’Italia ripercorre le tappe della vicenda diamanti venduti in banca e ribadisce di aver fatto tutto quanto di sua competenza, posto che per legge i diamanti non sono contatti bancari e dunque non sono sottoposti alle sue verifiche. Ma sulla vicenda il senatore Elio Lannutti (Gruppo Misto) ha presentato un’interrogazione, mentre numerosi esponenti di M5S, Lega e Fratelli d’Italia chiedono spiegazioni a Banca d’Italia. I vertici di Palazzo Koch ne parleranno alla Commissione parlamentare sulle banche, sollecitati dalla presidente Carla Ruocco (M5S) che sottolinea i “profili inquietanti” della “questione che, se confermata, getterebbe pesanti ombre sul rapporto tra banche e clienti”. Intanto però Bertini resta senza stipendio. Alla faccia della legge che tutela i whistleblower dalle ritorsioni.

“Informare non è solo diritto, ma un dovere dei magistrati”

Il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, mette i paletti, di sua competenza, alla applicazione della legge sulla “presunzione di innocenza”, in difesa del diritto costituzionale dei cittadini a essere informati di fatti di rilevanza pubblica. Stiamo parlando del decreto legislativo del governo entrato in vigore il 14 dicembre, che vorrebbe pm e giornalisti con il bavaglio in merito a inchieste in corso: con la scusa che ce lo chiede l’Europa, ha concepito comunicati con il contagocce e rare conferenze stampa dei soli procuratori della Repubblica. Il Pg, in una nota del 6 dicembre, inviata a tutte le Procure, ha scritto che “informare l’opinione pubblica non è manifestazione della libertà di espressione del magistrato, ma è un preciso dovere d’ufficio, come più volte affermato anche dalle fonti europee”. Ieri, Salvi ha deciso di rendere pubblica la nota, in risposta alla richiesta di lunedì dell’Ordine dei giornalisti che si era appellato proprio al Pg e al Csm perché non calasse “la censura” sulle inchieste, soprattutto su quelle a carico di “personaggi importanti”.

Salvi, nel rivolgersi alle Procure, ha spiegato che la nota ha il fine di raccogliere “esperienze e valutazioni, per raggiungere orientamenti condivisi che diano piena attuazione alla presunzione di innocenza e al rispetto delle vittime e dei testimoni”. Secondo il Pg, l’informazione deve essere rispettosa “della dignità della persona e dunque degli imputati, delle vittime, di tutti coloro che prendono parte al processo; deve essere corretta e non basarsi su canali privilegiati tra magistrati e giornalisti”. Dal tenore della comunicazione appare chiaro che per Salvi la legge sulla presunzione di innocenza stride con altre norme. Ci vuole una informazione, scrive, “tempestiva, completa e tale da fornire all’opinione pubblica in maniera aperta e trasparente tutto ciò che è proporzionato alla rilevanza della notizia. Non si può neppure abdicare al dovere di fornire con continuità le informazioni necessarie nelle varie fasi di un procedimento basato sul contraddittorio tra le parti, al fine di evitare – conclude la nota – che questo si trasformi in processo a mezzo stampa o peggio nei salotti televisivi senza che sia possibile una completa conoscenza dei fatti”. Cioè comizi-show di indagati-imputati.

Il decreto legislativo, che ha recepito una direttiva europea del 2016, prevede che possano essere solo i procuratori a parlare “con comunicati ufficiali” soltanto quando “la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico” o attraverso conferenze stampa limitate a “casi di particolare rilevanza pubblica”. Quanto ai provvedimenti dei magistrati, si legge ancora, “l’autorità giudiziaria” si deve contenere nello scrivere “i riferimenti alla colpevolezza della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge”. Tutto questo comporta che le parti possano contestare la violazione del principio della presunzione di innocenza, con la conseguenza di allungare i tempi del procedimento. Altro che processi più rapidi per rispettare quanto ci chiede l’Europa. Senza contare che, come ha anche ricordato l’Associazione nazionale dei magistrati, la normativa appena entrata in vigore è in contraddizione con il codice di procedura penale che consente la pubblicazione di atti non più coperti da segreto. C’è poi una circolare del Csm del 2018 che, per rispettare l’articolo 21 della Costituzione, ricorda che il procuratore deve evitare che “possano essere sottratte alla conoscenza dell’opinione pubblica informazioni di interesse (in ragione della qualità dei soggetti coinvolti dalle indagini o della rilevanza dei fatti oggetto di accertamento)”.

Eppure Enrico Costa, deputato di Azione, ex FI, il propulsore di questa norma, ha attaccato il Pg Salvi, dicendo che con la sua nota si è lanciato in “un dribbling interpretativo”.