Senatori comprati e Servizi deviati: ma lo salva l’Unione

2006, 7 settembre. Il senatore Sergio De Gregorio, eletto nell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, lascia il suo partito per confluire nel Gruppo Misto e di lì a poco in FI, che l’ha votato come presidente della commissione Difesa al posto della candidata dell’Unione Lidia Menapace. Nei mesi seguenti, Silvio Berlusconi avvicina e fa avvicinare altri senatori unionisti per portarli dalla sua. Nel 2013 De Gregorio verrà arrestato e patteggerà la pena, confessando di aver ricevuto 3 milioni di euro dal Cavaliere, di cui 2 in nero e in contanti, in cambio del suo salto della quaglia. Berlusconi verrà condannato a 3 anni in primo grado per corruzione e poi salvato in appello dalla prescrizione.

22 settembre. Dopo i grandi scandali che nei primi mesi dell’anno hanno scosso il mondo dello spettacolo (Vallettopoli a Potenza) e dello sport (Calciopoli fra Torino e Napoli), in estate tocca ai servizi segreti con due clamorose indagini della Procura di Milano: quella sul Sismi del generale Niccolò Pollari e del suo fido analista Pio Pompa; e quella sulla “security” Telecom, affidata dal patron filoberlusconiano Marco Tronchetti Provera all’ex carabiniere Giuliano Tavaroli. Pollari è indagato con vari dirigenti e agenti della Cia per il sequestro dell’imam di Milano Abu Omar nel 2003 e per i dossieraggi del fedelissimo Pompa ai danni di giornalisti, politici, magistrati ritenuti avversari di Berlusconi. Altre schedature vengono contestate a Tavaroli e al suo amico spione Marco Mancini. Terrorizzati da quel che potrebbe uscire dai dossier, centrosinistra e centrodestra votano un decreto del ministro Mastella che impone l’immediata distruzione di tutti i dossier Telecom (cioè del corpo del reato), prim’ancora che i magistrati possano esaminarli. Da quel momento, tutti i governi – Prodi-2, Berlusconi-3, Monti, Letta e Renzi – imporranno e confermeranno il segreto di Stato, allargandone vieppiù le maglie, per impedire ai giudici di processare Pollari, Pompa e Mancini. Tavaroli invece patteggerà 4 anni di pena.

Dicembre. Anziché cancellare le leggi vergogna di Berlusconi come aveva promesso in campagna elettorale, l’Unione le lascia tutte in vigore e completa anche quelle lasciate a metà dal Cavaliere: come l’Ordinamento giudiziario Castelli, una legge delegata rimasta sospesa in mancanza dei decreti attuativi. Tra fine 2006 ed estate 2007 Mastella li completa, d’intesa col centrodestra, lasciando quasi intatti i punti più devastanti. Le Procure tornano a essere organi verticistici come negli anni 50 e 60, in mano ai procuratori capi e generali, con potere di revoca e di avocazione delle indagini scomode. Aumentano i poteri disciplinari del ministro della Giustizia sui magistrati. Viene di fatto separata la carriera degli inquirenti da quella dei giudicanti. I procuratori capi e aggiunti non potranno restare più di 8 anni nella stessa sede, mentre i pm dei pool specializzati (contro mafia, tangenti, reati finanziari, reati sessuali, delitti ambientali ecc.) “scadranno” dopo 10 anni: quando saranno diventati bravi, dovranno cambiare settore. L’Unione aveva anche promesso una vera legge sul conflitto d’interessi e un’equa antitrust al posto delle burlette di Gasparri e Frattini: invece conserva anche quelle. Non solo: il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, gradito a Berlusconi e Confalonieri, si guarda bene dall’assegnare a Europa 7 le frequenze occupate abusivamente da sette anni da Rete 4 e difende il monopolio Mediaset in Italia e in Europa.

2007, 17 aprile. L’Unione continua a proseguire l’opera lasciata a metà da Berlusconi. E, alla vigilia del deposito delle intercettazioni dei politici di destra e di sinistra a colloquio con i “furbetti del quartierino” sulle scalate bancarie, approva alla Camera insieme al centrodestra il disegno di legge “bavaglio” firmato da Mastella per vietare la cronaca giudiziaria sulle inchieste dei magistrati. La norma passa all’unanimità: 447 Sì, nessun No e solo 9 fra astenuti e non partecipanti al voto (dissidenti di centrosinistra). I giornalisti non potranno più pubblicare atti d’indagine né intercettazioni sino all’inizio del processo, nemmeno quando non sono più segreti, e neanche raccontarli in forma “parziale”, o accennare al loro “contenuto”, o parafrasarli “per riassunto”. Chi lo fa rischia multe fino a 100mila euro o il carcere fino a 30 giorni. Il giornalista dovrà anche rimuovere dagli atti tutti gli elementi e i nomi relativi a persone coinvolte ma non indagate: come se un fatto non penalmente rilevante fosse politicamente, moralmente e giornalisticamente da buttare. Il ddl Mastella limita anche pesantemente il potere dei magistrati di prorogare le intercettazioni dopo tre mesi. Per fortuna non farà in tempo ad approdare in Senato, per la fine anticipata della legislatura nel 2018. Ma verrà ripreso dal governo Berlusconi-3.

25 aprile. Come già nel 2002, il tradimento del centrosinistra che le dà tutte vinte al “Caimano” (così lo chiama Franco Cordero su Repubblica) e si arrocca col resto della partitocrazia a difesa dei propri privilegi suscita reazioni spontanee nella società civile. Beppe Grillo, animatore di un cliccatissimo blog con l’esperto di comunicazione web Gianroberto Casaleggio, organizza il “V-Day” e riunisce centinaia di migliaia di simpatizzanti in piazza Maggiore a Bologna e in altre decine di piazze collegate, raccogliendo 350mila firme su tre proposte di legge di iniziativa popolare (“Parlamento pulito”): incandidabilità dei condannati definitivi per reati di una certa entità; tetto massimo di due legislature per i parlamentari; ripristino della preferenza nella legge elettorale (le tre leggi marciranno per anni nei cassetti del Senato, che non ne discuterà neppure una). Unanime sdegno da destra, sinistra, tv e grandi giornali contro l’“antipolitica”, il “qualunquismo”, il “populismo” e il “fascismo” dei “grillini”.

2 maggio. Esce La Casta (ed. Rizzoli) degli inviati del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, che in pochi mesi sfiora i 2 milioni di copie: un altro detonatore della rivolta della società civile contro la classe politica sempre più chiusa in se stessa.

20 luglio. Il gip Clementina Forleo, in base alla legge Boato, chiede al Parlamento l’autorizzazione a usare le intercettazioni di sei parlamentari captate sui telefoni di alcuni “furbetti” a proposito delle scalate a Bnl, Antonveneta e Rcs: i Ds Massimo D’Alema, Nicola Latorre e Piero Fassino e i forzisti Luigi Grillo, Romano Comincioli e Salvatore Cicu. Ecco il perché della gran fretta di imbavagliare la stampa sulle intercettazioni. Il Parlamento, dopo una guerra forsennata e trasversale alla Forleo (alla fine scaricata anche dal Csm, che la trasferirà a Cremona con un provvedimento poi giudicato illegittimo dalla Cassazione), negherà l’autorizzazione per cinque dei sei eletti, mentre D’Alema verrà salvato dal “no” del Parlamento europeo.

(18. continua)

Metodo per il Colle e rebus Draghi: leader giallorosa in conclave

Una risposta al centrodestra, che annuncia vertici e incontri multipli sul Quirinale. Ma anche un segnale ai parlamentari del M5S, per mostrare che l’avvocato sta entrando nelle partita del Colle. Nasce innanzitutto da queste motivazioni l’incontro di ieri tra Giuseppe Conte, Enrico Letta e Roberto Speranza: voluto – assicurano dal Movimento – soprattutto da Conte. Un vertice di centrosinistra svoltosi a casa di Speranza, in cui si sarebbe parlato anche di pandemia, ma dove in sostanza si è discusso del Quirinale. “Una riunione per fissare innanzitutto un metodo” spiegano fonti grilline e dem. Ossia, per stabilire il principio che 5Stelle, Pd e Articolo 1 dovranno giocare uniti, qualsiasi sarà a il nome sul tavolo. “Questa è stata la prima riunione, ma d’ora in poi ce ne saranno molte” spiegano dal Movimento.

Di fatto verrà creata una sorta di cabina di regia, anche per fronteggiare il centrodestra, “con cui poi ovviamente si dovrà discutere”. Dai partiti giurano che “non si è parlato di nomi”. Ma il veto su Silvio Berlusconi è ribadito come sicuro. E chissà se anche i tre leader di centrosinistra si sono detti quello che tutti ripetono nei Palazzi, ovvero che Mario Draghi è di gran lunga il favorito, anche perché ha grande voglia di traslocare da Palazzo Chigi al Quirinale. “E se lui vuole andare, sarà molto complicato impedirglielo” conferma un grillino di governo. Ma il nodo, oltre a come arrivare all’elezione dell’ex presidente della Bce, è anche e soprattutto chi nominare come nuovo premier, per schivare quel voto anticipato, che – almeno ufficialmente – sia Conte che Letta rifiutano. Perché un conto sarebbe una transizione morbida con l’attuale ministro dell’Economia, Daniele Franco, a Chigi. Un altro la nomina della ministra della Giustizia Marta Cartabia, “perché per noi non sarebbe accettabile” sibilano dai 5Stelle. Nodo centrale, sullo sfondo di una giornata in cui soprattutto il segretario dem è stato attivissimo, visto che in mattinata ha visto per l’ennesima volta in pochi giorni la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. L’occasione questa volta è stata la presentazione a Roma di un libro di Luciano Violante, Pietrangelo Buttafuoco ed Emiliana Mannese. “Ormai siamo come Sandra e Raimondo” ha scherzato Meloni.

Ma Matteo Renzi, che ormai vorrebbe essere l’unico a parlare con il centrodestra, a L’Aria che tira si è mostrato un po’ geloso: “Sandra e Raimondo facevano più ridere”. Poco male per Letta, che nel frattempo ha tenuto anche una riunione di segreteria del Pd, dove ha proposto per il 13 gennaio una riunione congiunta dei gruppi parlamentari e della Direzione “per impostare il percorso di elezione del nuovo capo dello Stato”. Traduzione, meglio sondare anche in pubblico i capi-corrente, perché il ricordo dei 101 in casa dem è vivido come non mai. Ergo, tenere ordinate le truppe non è un cruccio solo di Conte, che nel pomeriggio ha incontrato i sindacati in Senato. Ma il centro politico del suo martedì è stato il vertice con Letta e Speranza. “Non è affatto da escludere che il centrosinistra proponga un proprio nome” dicono dai 5Stelle. Ma tutto ruota attorno a Draghi. E a Berlusconi. Perché la convinzione, o meglio la speranza dei giallorosa, è che il centrodestra provi a eleggere il Caimano senza esito, o quantomeno si “incarti” sul suo nome, facendosi male. Ma è presto, per quasi tutto.

La BBC ci ricorda che è “unfit” (non solo per Ruby)

“I festini sessuali, la frode fiscale, una infinita lista di scandali: potrebbe davvero, nonostante tutto, diventare presidente della Repubblica?”.

È questo lo stupore con cui la Bbc – la tv di Stato del Regno Unito, emblema di terzietà e autorevolezza in tutto il mondo – accoglie l’ipotesi dell’elezione di Silvio Berlusconi al Quirinale. Da giorni ad Arcore c’era preoccupazione per un imminente reportage del servizio pubblico inglese sull’auto-candidatura di Silvio. Da ieri l’articolo è disponibile sul sito della Bbc, anche se in Italia nessuno sembra essersene accorto: a differenza delle sviolinate per Mario Draghi, riprese con enfasi dai nostri giornali, la stroncatura di Berlusconi è passata sotto silenzio, consentendo un sospiro di sollievo al cerchio magico dell’ex Cavaliere.

Eppure i toni utilizzati dalla Bbc sono netti: “I successi politici di Berlusconi sono stati oscurati dalle sue innumerevoli accuse penali e dai suoi famigerati festini sessuali chiamati bunga bunga”. La Bbc spiega come Silvio sia ancora alle prese con l’accusa di aver “corrotto i testimoni” del processo Ruby. Ma oltre ai guai giudiziari c’è di più, perché “la miriade di gaffe ha contribuito a creare un senso di penosa inadeguatezza tra i suoi detrattori”. E qui l’articolo ricorda quando Berlusconi definì “abbronzato” Barack Obama e quando Silvio rivendicò a modo suo una certa virilità sessuale: “Meglio essere appassionato di belle ragazze che gay”.

Altra obiezione della Bbc è quella legata all’età, perché Berlusconi, 85 anni oggi, concluderebbe il mandato al Quirinale a 92 anni, forse troppi persino “in un Paese in cui la classe dirigente raramente trasuda dinamismo giovanile”. Interpellato dalla tv inglese, è AntonioTajani a tranquillizzare: “Guardate la regina Elisabetta, non è una questione di età, ma di testa”. Via libera all’anziano Silvio allora, bollato senza troppi complimenti come “il magnate populista che ha anticipato di due decenni Donald Trump”. La foto di Ruby – “ex ballerina nei nightclub” – correda la pagina insieme a quella di un Berlusconi sorridente. La Bbc chiede lumi al politologo della Luiss, Giovanni Orsina: “Per Berlusconi le proprie ambizioni coincidono con il bene del Paese. Non deve mai essere sottovalutato”. Visto il tenore del pezzo, suona quasi come una minaccia.

“Silvio grande elettore? Sarei onorata di votarlo”

“Silvio Berlusconi è il mio presidente e sarei onorata se fosse scelto come grande elettore per la Lombardia”. Sembrava un’ipotesi di scuola, e invece in questi giorni di tatticismi e sfide a nascondino c’è anche chi gioca a carte scoperte, pronto a sacrificarsi per tirare la volata al Grande Capo verso il sogno del Quirinale. Simona Tironi è consigliera di Forza Italia in Lombardia e non esclude che si realizzi quanto anticipato ieri dal Fatto, e cioè che qualche Consiglio regionale – in questo caso quello lombardo – scelga Berlusconi tra i suoi tre delegati da spedire in Parlamento per votare il successore di Sergio Mattarella, in un cortocircuito che vedrebbe B. grande elettore di se stesso.

Consigliera Tironi, la Lombardia potrebbe davvero inserire Berlusconi tra i grandi elettori?

Confesso che è la prima volta che ne sento parlare, non ne ho mai discusso con gli altri consiglieri. Ma potrebbe essere un’idea, perché no? Io sarei onorata di essere rappresentata da lui nella scelta del nuovo presidente della Repubblica.

Crede che l’ipotesi sia concreta?

Non ho elementi per dirlo, è una mia valutazione. I grandi elettori sono quelli che dovranno rappresentare la Lombardia in Parlamento portando a Roma le nostre preferenze. Senz’altro Berlusconi sarebbe un’ottima scelta.

Lei lo vorrebbe presidente della Repubblica?

Berlusconi non ha sciolto alcuna riserva, ma la candidatura al Quirinale sarebbe perfetta, anche come corollario di tutto il suo percorso politico e di quanto ha dato al nostro Paese.

Parla da fedelissima.

Lo direi anche se non fosse il mio presidente da così tanto tempo. Io ci credo: è Silvio che ci insegna come affrontare le sfide impossibili.

E lei è pronta a dargli una mano…

Mi piacerebbe che anche gli altri si convincessero che ce la può fare.

B. vuol fare segnare le schede: teme i “traditori” di Lega e FdI

È il trucco più vecchio del mondo. Quello che serviva alle correnti della Democrazia cristiana per “contarsi” in Aula (nel 1992 c’era una precisione chirurgica: “Arnaldo Forlani”, “Forlani Arnaldo”, “on. Arnaldo Forlani”, “Forlani”, “Forlani on. Arnaldo”) e che portò Amintore Fanfani, nel 1971, a chiedere di scrivere il proprio nome in verde, rosso, con la stilografica, con la matita e aggiungere – in sequenza – i titoli di “professore”, “senatore”, “presidente” e così via. Ma fu impallinato lo stesso. Lo stesso stratagemma fu pensato nel 2006 per eleggere il presidente del Senato Franco Marini e “segnare” tutti i partitini dell’Unione di Romano Prodi. Quella volta riuscì. È un metodo che serve, nella testa di chi lo pensa, a fermare (o almeno a identificare) i pugnali affilati dei franchi tiratori durante l’elezione del presidente della Repubblica che avviene a scrutinio segreto. Adesso ci sta pensando anche Silvio Berlusconi. Sa che i franchi tiratori, lui, ce l’ha in primis in casa sua. Tant’è che anche i suoi emissari in Parlamento glielo hanno spiegato chiaramente: “Caro Silvio, di voti non te ne mancano 50 ma 100”. Perché, mentre continua lo shopping parlamentare nel gruppo Misto, Berlusconi non può essere sicuro nemmeno di avere già in tasca i 450 voti di partenza che coincidono con i grandi elettori del centrodestra.

Fonti leghiste stimano che nel gruppone dei 197 parlamentari del Carroccio, circa trenta non voterebbero Berlusconi. Sono i deputati e senatori duri e puri, salviniani, euro-scettici e no green pass che non hanno mai sopportato la veste “moderata” ed “europeista” del leader azzurro. Anche in Fratelli d’Italia qualche traditore se lo aspettano: una decina in tutto sui 58 parlamentari. Un big del partito di Meloni ricorda che tra Berlusconi e la leader non c’è mai stato un grande feeling (eufemismo). Senza escludere che qualche defezione potrebbe arrivare anche dall’ala liberal di Forza Italia, quella rappresentata dalle ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, che negli ultimi mesi hanno aperto una guerra contro il cerchio magico di Arcore. Anche i centristi di “Coraggio Italia” – conteggiati tra i 450 voti che Berlusconi ha a disposizione sulla carta – sono molto irritati dagli abboccamenti degli sherpa berlusconiani nel loro gruppo. Insomma, almeno una cinquantina di voti potrebbero venire a mancare anche nel centrodestra. Un problema che i leader della coalizione porranno domani, durante il vertice di villa Grande.

Lui però non demorde. Anzi, rilancia. Ha già pronta la strategia per “stanare” i traditori dentro al centrodestra. È stata lanciata qualche giorno fa dal direttore del Giornale di casa, Augusto Minzolini, ed è piaciuta molto ad Arcore. Dopo i primi tre scrutini in cui chiederà agli alleati di votare scheda bianca, dal quarto l’idea di Berlusconi è quella di “segnare” i voti per ogni partito della coalizione. E dunque chiederà a Forza Italia di votare “Silvio Berlusconi”, alla Lega solo “Berlusconi”, a Fratelli d’Italia “Berlusconi Silvio” e ai centristi “S. Berlusconi”. Un modo per capire chi tradirà e chi no nella sua coalizione e allo stesso tempo fare da deterrente per chiunque stia pensando di non votarlo. Anche perché, fa sapere a tutti, non potrebbe mai accettare di essere impallinato in Aula dai propri alleati come successe nel 2013 con Romano Prodi: “Il centrodestra, a quel punto, non esisterebbe più” dicono da Arcore.

Nel frattempo, a villa Grande si stanno preparando per l’arrivo di Berlusconi e per il vertice di domani quando il padrone di casa riceverà Salvini, Meloni e i leader dei partiti minori. Ieri il segretario della Lega ha fatto un passo indietro spiegando che al vertice si parlerà solo di Manovra e non di Quirinale (“ci pensiamo a gennaio”) ma è difficile che non si toccherà l’argomento. E l’ex premier farà sapere agli alleati che non ammette “piani B”. Non accetterà mai quindi un altro nome, da Letizia Moratti (che ieri ha fatto sapere che “Berlusconi è l’unico candidato”) a Pier Ferdinando Casini passando per Marcello Pera. “O me o Draghi” dirà Berlusconi agli alleati.

Parallelamente continua lo scouting in Parlamento per provare a racimolare qualche voto. Fonti azzurre raccontano che tra le più attive ci sia Renata Polverini, assoldata per cercare i voti tra i 5 Stelle e tra gli ex 5 Stelle nel Misto. D’altronde fu proprio lei, nel gennaio scorso, in piena crisi del governo Conte-2, a lasciare Forza Italia per passare tra i “responsabili” che avrebbero votato la fiducia al premier giallorosa. Poi a maggio è tornata in Forza Italia e a ottobre è stata tra i pochi, dentro il partito, a incontrare Berlusconi a villa Grande. Ora si sta muovendo a Montecitorio per portare voti al capo.

Istituti azionisti di Bankitalia: il favore infilato nel ddl Bilancio

A sette anni di distanza, la contestata rivalutazione delle quote del capitale della Banca d’Italia continua a premiare le banche azioniste. L’ultima toppa alla riforma del 2013 è stata messa lunedì notte con l’approvazione di un emendamento di Forza Italia alla manovra (ma ce n’erano uguali depositati dalla Lega) che ha alzato dal 3 a 5% il tetto alle quote oltre le quali non si ha diritto ai dividendi distribuiti dalla banca centrale. La mossa premia Intesa Sanpaolo e UniCredit che, oltre a ricevere più utili, potranno vendere più facilmente le loro azioni. Ci sarà un beneficio anche per lo Stato che tasserà quei dividendi con aliquota Ires raddoppiata per un solo anno.

Per capire di cosa parliamo occorre fare un passo indietro. Dal 2005 una legge (mai attuata) prevedeva il trasferimento allo Stato della proprietà della Banca d’Italia, il cui capitale era in mano soprattutto a banche italiane (ma senza potere sull’istituto). Invece di applicarla, nel 2013 il governo Letta, per fare cassa subito, ha deciso di rivalutare per legge il capitale di Bankitalia da 156mila euro a 7,5 miliardi, permettendo allo Stato di incassare oltre un miliardo tassando la plusvalenza fatta dalle banche azioniste. La stessa legge imponeva agli azionisti di cedere le quote oltre il 3%, livello oltre il quale non si possono ricevere dividendi, ma nello stesso tempo alzava il tetto ai dividendi che Bankitalia può distribuire ai suoi soci, passati da 50-70 milioni l’anno ai 340 milioni annui degli ultimi sette anni. Insomma, le banche hanno ottenuto un enorme beneficio patrimoniale e più dividendi.

Negli ultimi sette anni è passato di mano quasi il 20% del capitale di Via Nazionale. Ad aumentare la propria quota sono state soprattutto Casse di previdenza e Fondazioni. Intesa e UniCredit però sono ancora ben oltre il 3%: la prima ha il 16,8%, la seconda l’8,42%. La difficoltà a vendere le quote in eccesso si è sommata ai mancati dividendi sopra la soglia (dal 2016 solo Intesa ha visto sfumare 330 milioni). Portando al 5% la quota, le due banche potranno incassare più utili e vendere il resto più facilmente agli altri azionisti che vogliono salire. Lo Stato incassa più tasse, ma le banche ci guadagnano sempre più. Una gran bella riforma.

E il blitz del Pd dona a Gualtieri altri consulenti

Consulenti e collaboratori esterni “esperti di Pnrr” in arrivo in Campidoglio. Si sta per allargare la ricca infornata già operata da Roberto Gualtieri. Grazie a due emendamenti alla manovra governativa, presentati dal deputato del Pd Claudio Mancini – che del sindaco di Roma è tra i principali sponsor e riferimenti politici –, i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza in arrivo dall’Unione europea permetteranno alla Capitale e ad altre 11 città italiane (quelle con più di 250mila abitanti che però abbiano i requisiti) di assumere ulteriore personale a progetto. Fondi sui quali Gualtieri punta tantissimo per provare a rilanciare la Capitale – a iniziare dalla soluzione dell’emergenza rifiuti – in anni di vacche magre. Per gestire questa pioggia di soldi, però, vuole affidarsi a “esperti”, che siano possibilmente di sua fiducia. Cosa che finirà per ampliare la squadra di fedelissimi del nuovo sindaco che già lavorano a Palazzo Senatorio.

L’emendamento presentato da Mancini, infatti, “autorizza i Comuni con popolazione superiore a 250mila abitanti a conferire, entro limiti di spesa definiti, incarichi di consulenza e collaborazione, nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione con gli organi politici, a esperti di comprovata qualificazione professionale, al fine di accelerare la programmazione e l’attuazione degli interventi previsti dal Pnrr”. È lo stesso Mancini a spiegare al Fatto gli effetti di questo provvedimento. “Questa norma – dice – consentirà a ogni assessore, a seconda dell’organizzazione del singolo Comune, di rivolgersi a consulenze di alta professionalità per scrivere i bandi e ottenere i fondi del piano, considerando un tetto di spesa di 25mila euro lordi”. Una consulenza in fase di preparazione del bando, che potrebbe trasformarsi in un contratto a tempo determinato in un momento successivo, quando il progetto andrà realizzato.

Il secondo emendamento presentato da Mancini, infatti, “autorizza i Comuni con popolazione superiore a 250mila abitanti che hanno deliberato il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ad assumere collaboratori con contratto a tempo determinato, nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione con gli organi politici (…) nel rispetto di alcuni limiti di spesa”. “Il personale esterno – spiega ancora il deputato dem – si finanzia con il Pnrr: arrivano i fondi per quel determinato progetto e con quelli si pagano tecnici e amministrativi a tempo determinato”. In sostanza: i fondi europei serviranno (anche) per pagare i consulenti e i collaboratori dei politici.

Nelle scorse settimane, il Fatto ha raccontato come Gualtieri stia lavorando per allargare la platea di persone di sua fiducia al lavoro in Campidoglio. All’interno della bozza di piano delle assunzioni, infatti, il nuovo sindaco ha previsto l’arrivo di 27 nuovi dirigenti esterni, “in prestito” da altre amministrazioni (attraverso gli istituti del comando e del distacco) di cui avvalersi pescando dalle graduatorie dei concorsi pubblici di altri enti, oppure da scegliere in via del tutto fiduciaria come previsto dall’articolo 110 del Testo unico enti locali. Chi è già entrato negli staff del sindaco e degli assessori, per ora, registra spesso una lunga militanza nel Pd: consiglieri non eletti, ex presidenti di municipio, candidati e professionisti di area. L’ultimo provvedimento, la bozza della nuova macrostruttura, prevede un aumento per i dirigenti già presenti.

Il blitz di Mancini produrrà nuove selezioni che si aggiungeranno a quella dei 1.000 esperti di Pnrr avviata dal ministero della Funzione pubblica. Il Fatto ha riportato, il 22 ottobre scorso, che nelle graduatorie sono finite anche persone senza la minima esperienza nel settore (psicologi, laureati al Dams, ecc.). Anche le Regioni si stanno muovendo per selezionare i loro “esperti” come “supporto alle amministrazioni territoriali”. La Regione Lazio, ad esempio, ha pubblicato sul suo bollettino ufficiale le graduatorie relative a diversi profili. In cima a quella relativa agli ingegneri ambientali, “settore valutazioni e autorizzazioni ambientali”, c’è Flaminia Tosini, per anni capo del Ciclo dei rifiuti del Lazio, attualmente a processo a Roma per corruzione (con rito immediato senza passaggio in udienza preliminare) insieme all’imprenditore dei rifiuti Valter Lozza. Il processo è iniziato lo scorso 20 ottobre. Tosini è arrivata prima con punteggio di 51, finendo davanti ad altri 10 candidati. Niente di illegale: Tosini non è mai stata raggiunta da interdizione ai pubblici uffici ed è libera di partecipare ai concorsi. Ora si attendono i criteri con i quali verranno scelti gli “esperti” per i Comuni.

Manovra in extremis, solite mancette à gogo

La vicenda è paradossale e triste allo stesso tempo. Nemmeno una della manovre meno discusse in Parlamento della storia, frutto degli accordi tra maggioranza e governo, che non hanno mai fatto toccare palla alle Camere, ha sollevato le critiche degli onorevoli. In Commissione Bilancio al Senato, però, è passata la solita vagonata di micro-norme, volgarmente dette “marchette”, che peraltro hanno dovuto ricomprendere anche quelle dei collegi deputati, visto che il testo arriverà blindato alla Camera il 28 e sarà approvato il 31 in extremis per vietare l’esercizio provvisorio. Un record a cui si aggiunge una violazione: la riforma del Bilancio ha imposto che la manovra sia per capitoli di spesa, senza norme ordinamentali e tanto più micro-settoriali. A disposizione c’erano 600 milioni, il grosso assorbito dalle modifiche più rilevanti (Superbonus, Ape sociale agli edili etc.), ma gli onorevoli si sono dati da fare. E rivendicato il risultato con dichiarazioni roboanti.

Fondazioni. È un settore caro ai politici perché i territori sono bacini di voti. E così la Fondazione reatina Istituto Filippo Cremonesi, il cui sito è aggiornato a Natale 2019, riceve 250.000 euro; alla Fondazione privata “Franco Zeffirelli onlus” vanno 200 mila euro; per festeggiare gli 80 anni dalla nascita della Dc ne sono previsti 200 mila: a spenderli sarà la Fondazione De Gasperi. Una nutritissima pattuglia bipartisan sarda ottiene 200 mila euro per l’Associazione dell’Identità Ogliastrina e della Barbagia di Seulo per promuovere il patrimonio genetico sardo. Come ogni anno, arriva il rifinanziamento per l’Ebri (l’istituto fondato dal premio Nobel Rita Levi Montalcini, 1,6 milioni). Le renziane Garavini e Brollini fanno ottenere 1 milione all’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini. E sempre Garavini consegna mezzo milione alla Fondazione Antonino Scopelliti di Reggio Calabria.

Fede. In manovra si trovano pure 350 mila euro per la Chiesa di San Pietro in Colle di Caldiero, nel Veronese; al progetto pilota della Comunità di Sant’Egidio dedicata alle cure domiciliari per anziani vanno 5,8 milioni dal 2022 al 2024. Mentre l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù riceve un contributo di 2 milioni di euro. Poi, alla “Fondazione per le scienze religiose” vanno 2 milioni di euro per i prossimi due anni.

Infrastrutture. La bergamasca Maria Alessandra Gallone (FI) strappa 400mila euro per la prosecuzione dei lavori di un viadotto in provincia di Bergamo. E sempre con destinazione Bergamo, a “La casa di Leo”, che ospita i familiari dei pazienti pediatrici dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, vanno 400 mila euro. Bergamo e Brescia, designate Capitali italiane della Cultura per il 2023, si spartiscono 1 milione. Una mini pattuglia di senatori forzisti ottiene 15 milioni di euro per il 2022, 19 milioni per il 2023 e 6 milioni per il 2024 per sostenere il servizio di trasporto urbano di navigazione lagunare di Venezia (con tanto di esultanza del veneziano ministro Renato Brunetta). Mentre, a 12 anni dal G8 alla Maddalena, alla struttura vanno 3,5 milioni per la manutenzione straordinaria. Il forzista Giuseppe Mangialavori, eletto in Calabria, fa ottenere al Comune calabro di Nicotera 2 milioni per i lavori di rifacimento del lungomare. I renziani Marino e Garavini ottengono per il Comune di Verduno (Cuneo) due nuove assunzioni: gode il sindaco, collega di partito.

Cultura. Rispettando la tradizione, la manovra foraggia le celebrazioni degli italiani famosi: 800 mila euro vengono assegnati per quelle di Pier Paolo Pasolini, Giacomo Matteotti ed Enrico Berlinguer a 100 anni dalla loro nascita/morte. Il lucchese Andrea Marcucci fa stanziare 9,5 milioni per la celebrazione del centenario della morte di Giacomo Puccini. Per promuovere gli “Archi romani antichi in Italia” il ministero della Cultura può contare su 400 mila euro, mentre i dem Antonio Misani e Franco Mirabelli fanno ottenere alle fondazioni “I pomeriggi musicali e Cultura Torino” 1 milione per la realizzazione del Festival internazionale della Musica Mito. Stesso importo va all’istituto dell’Enciclopedia italiana. All’appello non potevano mancare i carnevali storici (1 milione). La forzista Fiammetta Modena di Perugia ottiene, invece, 1 milione di euro per il centenario del pittore Pietro Vannucci, detto “il Perugino”. La padovana Roberta Toffanin (FI) consegna 125 mila euro all’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ad Arti di Padova. Il senatore Gasparri strappa 300mila euro per finanziare il viaggio del treno della Memoria: promuoverà la conoscenza degli eventi che portarono a Roma la salma del Milite ignoto. Il segretario del Pd, Enrico Letta, vincitore alle suppletive di Siena, è l’autore dell’emendamento che farà nascere il Biotecnopolo di Siena con un finanziamento di 37 milioni (poi 16 milioni l’anno alla fondazione), scelta criticata dalla scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo.

Sport. Le università che sostengono le attività sportive possono spartirsi 5 milioni per il prossimo biennio. Per la Federazione nuoto arrivano 5 milioni per l’organizzazione degli europei di nuoto di Roma, mentre la Federazione ciclistica avrà di 600 mila euro per il Giro d’Italia giovani under 23. Faraone (Iv) consegna agli ippodromi 7 milioni tra il 2022 e il 2023. Per il Gran Premio di Formula 1 di Monza, la Lega fa stanziare 10 milioni, mentre alla in house dell’Aci che promuove l’attività sportiva automobilistica vanno 5 milioni per il 2022 e 15 per il 2023. Il forzista Dario Damiani ottiene 600 mila euro per i campi sportivi dell’istituto Mennea di Barletta, sua città natale.

Istruzione. Alle università non statali legalmente riconosciute del Mezzogiorno sono assegnati 16 milioni per il biennio 2022-2023.

Attività. Confermatissimo il fondo da 5 milioni per il sostegno degli artigiani della ceramica e del vetro di Murano per il caro bollette del gas. L’emendamento leghista ha una lotta con Italia Viva e Fratelli d’Italia per la paternità. A metterci il sigillo il ministro Renato Brunetta: “Venezia fa l’Italia grande nel mondo”. Creato con 1 milione il fondo buone pratiche per il settore turistico: a hotel e ristoranti basterà cambiare il set cortesia degli ospiti. Maxi fondo da 56 milioni per il sostegno dell’enogastronomia e della pasticceria. Per i piccoli birrifici artigianali arriva uno sconto sulle accise.

Forze ordine. Stanziati 7 mila euro dal 2023 per l’esenzione dal pedaggio autostradale dei veicoli del Corpo valdostano dei Vigili del Fuoco, della Forestale e della Protezione civile.

Flora e fauna. Per promuovere la filiera apistica, della frutta a guscio e della canapa ci sono 12,75 milioni per il 2022 e 5 per il 2023/2024; per la coltura di piante aromatiche e officinali biologiche va 1,5 milioni per tre anni; 150 mila euro per la tutela del sughero nazionale.

Tina Rispoli&Colombo sequestrati 80mila

Sono indagatidalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli rispettivamente per i reati di riciclaggio e di trasferimento fraudolento di valori, entrambi i reati aggravati dal metodo mafioso. Questa mattina la Squadra mobile del capoluogo partenopeo ha eseguito un decreto di sequestro preventivo emesso dal gip di Napoli. Sequestrata la somma di 80mila euro intestata a Tony Colombo, all’anagrafe Antonino Colombo, 35 anni originario di Palermo, e un appartamento, due box e due auto nella disponibilità di Tina Rispoli, all’anagrafe Immacolata Rispoli, 47 anni, oggi moglie di Colombo e vedova di Gaetano Marino, fratello del boss Gennaro Marino, ucciso in un agguato di camorra a Terracina il 23 agosto 2012.

Diabolik, killer in fuga “tradito” dal tatuaggio

A incastrare Raul Esteban Calderon, fermato venerdì con l’accusa di essere il killer di Fabrizio Piscitelli, noto come Diabolik, il capo ultras della Lazio ucciso a Roma nell’agosto del 2019, è stato anche il tatuaggio sul polpaccio coperto da una fasciatura durante i momenti dell’omicidio. “Un rilevante elemento per l’identificazione del sicario è la presenza di una fasciatura atta a coprire il polpaccio destro. Grazie ai filmati eseguiti dalla polizia giudiziaria il settembre 2019, si evidenziava che sulla gamba destra di Calderon comparivano due tatuaggi”, si legge nell’ordinanza di convalida del fermo del Gip. Secondo il quale “è acclarato che Calderon svolga la funzione di killer in maniera, per così dire, professionale”.