2006, 7 settembre. Il senatore Sergio De Gregorio, eletto nell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, lascia il suo partito per confluire nel Gruppo Misto e di lì a poco in FI, che l’ha votato come presidente della commissione Difesa al posto della candidata dell’Unione Lidia Menapace. Nei mesi seguenti, Silvio Berlusconi avvicina e fa avvicinare altri senatori unionisti per portarli dalla sua. Nel 2013 De Gregorio verrà arrestato e patteggerà la pena, confessando di aver ricevuto 3 milioni di euro dal Cavaliere, di cui 2 in nero e in contanti, in cambio del suo salto della quaglia. Berlusconi verrà condannato a 3 anni in primo grado per corruzione e poi salvato in appello dalla prescrizione.
22 settembre. Dopo i grandi scandali che nei primi mesi dell’anno hanno scosso il mondo dello spettacolo (Vallettopoli a Potenza) e dello sport (Calciopoli fra Torino e Napoli), in estate tocca ai servizi segreti con due clamorose indagini della Procura di Milano: quella sul Sismi del generale Niccolò Pollari e del suo fido analista Pio Pompa; e quella sulla “security” Telecom, affidata dal patron filoberlusconiano Marco Tronchetti Provera all’ex carabiniere Giuliano Tavaroli. Pollari è indagato con vari dirigenti e agenti della Cia per il sequestro dell’imam di Milano Abu Omar nel 2003 e per i dossieraggi del fedelissimo Pompa ai danni di giornalisti, politici, magistrati ritenuti avversari di Berlusconi. Altre schedature vengono contestate a Tavaroli e al suo amico spione Marco Mancini. Terrorizzati da quel che potrebbe uscire dai dossier, centrosinistra e centrodestra votano un decreto del ministro Mastella che impone l’immediata distruzione di tutti i dossier Telecom (cioè del corpo del reato), prim’ancora che i magistrati possano esaminarli. Da quel momento, tutti i governi – Prodi-2, Berlusconi-3, Monti, Letta e Renzi – imporranno e confermeranno il segreto di Stato, allargandone vieppiù le maglie, per impedire ai giudici di processare Pollari, Pompa e Mancini. Tavaroli invece patteggerà 4 anni di pena.
Dicembre. Anziché cancellare le leggi vergogna di Berlusconi come aveva promesso in campagna elettorale, l’Unione le lascia tutte in vigore e completa anche quelle lasciate a metà dal Cavaliere: come l’Ordinamento giudiziario Castelli, una legge delegata rimasta sospesa in mancanza dei decreti attuativi. Tra fine 2006 ed estate 2007 Mastella li completa, d’intesa col centrodestra, lasciando quasi intatti i punti più devastanti. Le Procure tornano a essere organi verticistici come negli anni 50 e 60, in mano ai procuratori capi e generali, con potere di revoca e di avocazione delle indagini scomode. Aumentano i poteri disciplinari del ministro della Giustizia sui magistrati. Viene di fatto separata la carriera degli inquirenti da quella dei giudicanti. I procuratori capi e aggiunti non potranno restare più di 8 anni nella stessa sede, mentre i pm dei pool specializzati (contro mafia, tangenti, reati finanziari, reati sessuali, delitti ambientali ecc.) “scadranno” dopo 10 anni: quando saranno diventati bravi, dovranno cambiare settore. L’Unione aveva anche promesso una vera legge sul conflitto d’interessi e un’equa antitrust al posto delle burlette di Gasparri e Frattini: invece conserva anche quelle. Non solo: il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, gradito a Berlusconi e Confalonieri, si guarda bene dall’assegnare a Europa 7 le frequenze occupate abusivamente da sette anni da Rete 4 e difende il monopolio Mediaset in Italia e in Europa.
2007, 17 aprile. L’Unione continua a proseguire l’opera lasciata a metà da Berlusconi. E, alla vigilia del deposito delle intercettazioni dei politici di destra e di sinistra a colloquio con i “furbetti del quartierino” sulle scalate bancarie, approva alla Camera insieme al centrodestra il disegno di legge “bavaglio” firmato da Mastella per vietare la cronaca giudiziaria sulle inchieste dei magistrati. La norma passa all’unanimità: 447 Sì, nessun No e solo 9 fra astenuti e non partecipanti al voto (dissidenti di centrosinistra). I giornalisti non potranno più pubblicare atti d’indagine né intercettazioni sino all’inizio del processo, nemmeno quando non sono più segreti, e neanche raccontarli in forma “parziale”, o accennare al loro “contenuto”, o parafrasarli “per riassunto”. Chi lo fa rischia multe fino a 100mila euro o il carcere fino a 30 giorni. Il giornalista dovrà anche rimuovere dagli atti tutti gli elementi e i nomi relativi a persone coinvolte ma non indagate: come se un fatto non penalmente rilevante fosse politicamente, moralmente e giornalisticamente da buttare. Il ddl Mastella limita anche pesantemente il potere dei magistrati di prorogare le intercettazioni dopo tre mesi. Per fortuna non farà in tempo ad approdare in Senato, per la fine anticipata della legislatura nel 2018. Ma verrà ripreso dal governo Berlusconi-3.
25 aprile. Come già nel 2002, il tradimento del centrosinistra che le dà tutte vinte al “Caimano” (così lo chiama Franco Cordero su Repubblica) e si arrocca col resto della partitocrazia a difesa dei propri privilegi suscita reazioni spontanee nella società civile. Beppe Grillo, animatore di un cliccatissimo blog con l’esperto di comunicazione web Gianroberto Casaleggio, organizza il “V-Day” e riunisce centinaia di migliaia di simpatizzanti in piazza Maggiore a Bologna e in altre decine di piazze collegate, raccogliendo 350mila firme su tre proposte di legge di iniziativa popolare (“Parlamento pulito”): incandidabilità dei condannati definitivi per reati di una certa entità; tetto massimo di due legislature per i parlamentari; ripristino della preferenza nella legge elettorale (le tre leggi marciranno per anni nei cassetti del Senato, che non ne discuterà neppure una). Unanime sdegno da destra, sinistra, tv e grandi giornali contro l’“antipolitica”, il “qualunquismo”, il “populismo” e il “fascismo” dei “grillini”.
2 maggio. Esce La Casta (ed. Rizzoli) degli inviati del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, che in pochi mesi sfiora i 2 milioni di copie: un altro detonatore della rivolta della società civile contro la classe politica sempre più chiusa in se stessa.
20 luglio. Il gip Clementina Forleo, in base alla legge Boato, chiede al Parlamento l’autorizzazione a usare le intercettazioni di sei parlamentari captate sui telefoni di alcuni “furbetti” a proposito delle scalate a Bnl, Antonveneta e Rcs: i Ds Massimo D’Alema, Nicola Latorre e Piero Fassino e i forzisti Luigi Grillo, Romano Comincioli e Salvatore Cicu. Ecco il perché della gran fretta di imbavagliare la stampa sulle intercettazioni. Il Parlamento, dopo una guerra forsennata e trasversale alla Forleo (alla fine scaricata anche dal Csm, che la trasferirà a Cremona con un provvedimento poi giudicato illegittimo dalla Cassazione), negherà l’autorizzazione per cinque dei sei eletti, mentre D’Alema verrà salvato dal “no” del Parlamento europeo.
(18. continua)