1° maggio cercasi: quel che resta del simbolo

“Buon Primo Maggio, amici. Prendo lezioni di Ruspa! Faccio bene?”: il provocatorio post di Matteo Salvini è vecchio di un anno ma è rispuntato in Rete in questi ultimi giorni, allegato ad un breve video (35 secondi) in cui si vede il Capitano nella cabina di una macchina per la movimentazione della terra alle prese con le leve della benna. Ma, a guardare con attenzione, si scopre che è solo scena. Il conducator della Lega non aziona nulla. Simula la manovra con la mano sinistra, mentre la benna resta sospesa, tremolante, senza abbassarsi di un solo centimetro…

Salvini è furbo. Allude, con il simbolo della ruspa, a smuovere il mondo della politica senza tanti complimenti. Infatti postò video e messaggio sull’hashtag #andiamoagovernare. Però, a differenza del 25 Aprile, icona della memoria e baluardo della Repubblica nata grazie alla lotta partigiana, non attacca il Primo Maggio, che è festa globale, non lo demonizza e se in qualche circostanza – per ragioni elettorali – è costretto a farlo, si limita a mugugnare seguendo la tradizione delle destre italiote che protestano perché in questa festa “che dovrebbe essere di tutti” predomina una specifica iconografia riconducibile ai loro nemici ideologici. Ossia socialismo e comunismo.

In effetti, durante le celebrazioni del Primo Maggio, nonostante il il malessere e il disorientamento della sinistra, le iconografie delle feste sono in gran parte “rosse”. Nemmeno i megaconcertoni organizzati dal 1990 a Roma in piazza San Giovanni (iniziativa patrocinata dalla triade sindacale Cgil-Cisl-Uil) riescono ad annacquare la matrice da lotta di classe, il clima della protesta, delle rivendicazioni, dell’antifascismo, con le valenze di giustizia sociale e fede nell’avvenire che accompagnano gli interventi dal palco. E tuttavia, per gli irriducibili della sinistra più trinariciuta, proprio questi concertoni dimostrano che non c’è più il Primo Maggio di una volta, trasformato ormai in un evento consumistico, tradendone le radici e la memoria.

Dunque, crisi della sinistra = crisi del Primo Maggio? L’equazione non è così lineare. È più complessa, spiega Cecco Bellosi, scrittore laghée (è di Colonno, sul lago di Como), autore del disincantato Sotto l’ombra di un bel fiore/Il sogno infranto della Resistenza (Milieu, 2018). Bellosi nel 1980 venne arrestato per attività sovversive, scontò dieci anni; da 26 anni coordina le Comunità del Gabbiano. Secondo lui, la rottura col passato dipende da due fattori fondamentali: “Il mondo del lavoro negli ultimi quindici anni è profondamente cambiato, oggi non è né tutelato né garantito; l’appartenenza ai valori mitici del Primo Maggio, si è sfaldata. A Milano, per esempio, non c’è paragone tra come viene ancora vissuto il giorno che celebra la Liberazione, cioè il 25 Aprile, e il Primo Maggio. Il 25 Aprile è giorno di contrapposizione, di fermezza”. Come un presidio della democrazia.

Va da sé che il Primo Maggio si è adeguato ai tempi, aggiornando quella creatività popolare – a volte border line con la sagra paesana – che negli anni d’oro era un tripudio di balli, grandi bevute, profumi di carni alla brace, kermesse ciclistiche, tornei di bocce. Feste collettive all’insegna dell’aggregazione sociale: di città, di quartiere, di rione. Mobilitazione delle sezioni Pci, e degli uffici sindacali. Scadenza annuale di verifiche e confronti.

Uno spirito che va difeso, dice il pittore e scultore Giovanni Rubino, 81 baldi anni e una fede incrollabile nella libertà e nella rivoluzione (comunista): “Lo sapremo quest’anno se la festa del Primo Maggio riuscirà a conservare la tradizione operaia e quella storica della sinistra. Io sono ancora fedelmente legato al bisogno di questa continuità. Fare memoria è il titolo della mia ultima mostra, a Parma. Dove c’è il monumento alle barricate del 1922, quando Italo Balbo, alla testa delle sue bande fasciste, non riuscì ad entrare in città, difesa dagli operai e dai contadini”. Per Rubino, il Primo Maggio è anche questo: ricordare che ogni conquista dei lavoratori è costata scioperi, repressione, sangue…

“Rispetto ad un tempo, il Primo Maggio non è la stessa festa. Sebbene nella mia Emilia conservi parte del suo impatto emotivo di festa laica dei lavoratori, di festa che sta dalla parte degli operai, dei contadini… – commenta lo scrittore Valerio Varesi, celebre per la serie di gialli del commissario buongustaio Soleri (ha ispirato gli sceneggiati tv Nebbie e delitti interpretato da Luca Barbareschi) – se penso ai primi maggio vissuti da mio padre, quando i comunisti andavano nei campi per sollecitare i contadini a smettere di lavorare, e lo facevano non sempre con le buone maniere… Adesso, con il lavoro così parcellizzato, come può festeggiarlo un biker che pedala per ore tutti i giorni? O chi lavora in un centro commerciale anche a Natale? Non esiste più un’idealità collettiva… E il disincanto per il Primo Maggio, una volta capace di unificare grandi masse e di contribuire alla crescita della coscienza civile, accompagna il disincanto per lo sfascio della sinistra che non è più sinistra…”.

Varesi ha scritto una trilogia su questa crisi, partendo dalla fine della guerra ai giorni nostri, per lui la Storia è una passione necessaria. Come in fondo è necessario questo Primo Maggio che fin dalla prima volta, nel 1890, fu presentato come “la Pasqua dei Lavoratori”, “la Pasqua degli sfruttati”, “a‘ Pasca ‘e chi è nnato a stentà”, perché, sancì Andrea Costa nel 1892, “c’è una Pasqua per i cattolici, ci sarà, d’ora in poi, una pasqua per i lavoratori”. Parafrasando Marx, uno spettro si aggira (ancora) per l’Europa, lo spettro… del Primo Maggio.

Perché Confindustria finge di non conoscere Montante

Le prime immagini dell’inchiesta di Paolo Mondani (Il codice Montante) dicono tutto. È il 30 maggio 2008 e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nomina Cavaliere del lavoro Antonello Montante, imprenditore rampante poco più che quarantenne. Accanto a lui Benito Benedini, boss della Confindustria milanese oggi imputato per falso in bilancio nel crac del Sole 24 Ore: domani gli azionisti del quotidiano economico voteranno l’azione di responsabilità contro l’ex presidente, l’ex amministratore delegato Donatella Treu e l’ex direttore Roberto Napoletano. Nella puntata di Report, in onda questa sera su Raitre, Sigfrido Ranucci lancia la nuova inchiesta su uno scandalo tanto grave – per le ramificazioni del sistema di potere illecito attribuito dalla procura di Caltanissetta all’imprenditore – quanto ignorato dai media. Ma soprattutto ignorato dalla Confindustria, che preferisce lasciare Montante nel limbo della sospensione, mentre l’altro siciliano Marco Venturi è stato fatto fuori dall’associazione già quattro anni fa proprio per le sue accuse a Montante. Sulla doppia faccia di Montante l’attuale presidente Vincenzo Boccia è stato serafico: “Ce ne potevamo accorgere noi? Non se n’è accorto nessuno”.

Eppure, nota Mondani, “i magistrati che indagano su Montante sospettano che nel suo sterminato archivio sia finito il segreto per eccellenza”: le famose intercettazioni telefoniche tra l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e Napolitano, ufficialmente distrutte nel 2012 per ordine della Corte Costituzionale. Quelle intercettazioni erano nella disponibilità del colonnello dei Carabinieri Giuseppe D’Agata, capo centro della Dia (direzione investigativa antimafia) di Palermo. D’Agata a un certo punto viene portato a lavorare per i servizi segreti dal generale Arturo Esposito, direttore dell’Aisi. Entrambi sono indagati con Montante, con l’ipotesi che abbiano fornito al sedicente eroe antimafia notizie riservate sull’inchiesta a suo carico. “Il figlio di D’Agata – segnala Report – è assunto a Banca Nuova, la moglie viene piazzata da Montante in un ente regionale”.

La vicenda parte da lontano: “Costruttore di biciclette e ammortizzatori, per dieci anni il Cavalier Antonello Montante è stato il paladino dell’antimafia nazionale. Poi, nel 2015 finisce sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa e a maggio 2018 il Tribunale di Caltanissetta lo arresta per corruzione, spionaggio e accesso abusivo al sistema informatico. Oggi è ai domiciliari nella sua bella villa di Serradifalco”. Il 23 aprile scorso la procura di Caltanissetta ha chiesto per lui dieci anni e sei mesi di carcere per corruzione.

Un capitolo inquietante nella storia di Montante riguarda Banca Nuova, la controllata siciliana della Popolare di Vicenza di Gianni Zonin, che appare ormai come vero e proprio strumento dei servizi segreti. Banca Nuova aveva la sua sede a Roma in via Nazionale 230, nello stesso edificio in cui nel 2006 la procura di Milano scopre l’ufficio riservato del Sismi dove il capo di allora Nicolò Pollari “aveva installato lo spione Pio Pompa a preparare dossier su politici, magistrati e giornalisti”. Commenta l’ex direttore generale di Banca Nuova Adriano Cauduro, che sull’argomento ha scritto uno scottante memoriale: “È strano che in una città come Roma, con tutti gli immobili che ci sono, ritorni nuovamente un rapporto di vicinanza tra le proprietà di Banca Nuova e i Servizi… Io quello che posso dire è che ho incontrato personalmente Pollari durante uno dei miei giri a Roma in filiale ed era chiaramente, tranquillamente seduto alla scrivania del direttore della filiale”. Questo incontro avviene nel 2017, scandisce Cauduro. Dopo la precedente puntata dedicata da Report al caso Montante, nello scorso novembre, Pollari smentì rapporti particolari con la banca, a parte averci avuto il conto corrente come Montante.

Mentre dispiegava la sua rete di rapporti eccellenti, accumulando nel suo poderoso archivio tutto ciò che poteva servire a ricattare i potenti d’Italia, l’imprenditore di Serradifalco sembrava avere ai suoi ordini la Confindustria. Mondani si chiede: “Ma è possibile che dentro Confindustria nessuno si sia mai opposto a Montante?”. E un anonimo ex dirigente di viale dell’Astronomia gli risponde: “Ci provò Giampaolo Galli (era direttore generale, oggi è deputato Pd, ndr) ma non ci riuscì e fu costretto ad andarsene. Montante era troppo cresciuto con la Marcegaglia, poi lo appoggia anche Squinzi e Boccia lo nomina capo delle Reti di Impresa (quando era già indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, ndr). La Panucci che oggi è direttore generale l’ha sempre difeso”.

Nel 2008, appena eletta presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia affida a Montante, al quale è legatissima, la preziosa delega per la legalità che gli propizia i rapporti con i vertici di magistratura, carabinieri e servizi segreti. Racconta a Report Marco Venturi: “Ci siamo resi conto di quello che è stato l’imbroglio di Confindustria, una stagione che era partita bene, per fare la lotta alla mafia e al racket nel 2006. Però subito si inceppò perché quando si cominciò a parlare di lotta al lavoro nero, lotta agli imprenditori che non pagavano gli stipendi, toglievano il 50 per cento dalle buste paga, lì cominciarono dei freni, cominciò la paura di molti”. Nel 2015 Venturi lascia Confindustria, quando è presidente Squinzi: “Mi fecero capire che mi avrebbero buttato fuori quindi io in quel momento rassegno le dimissioni. Squinzi, io avevo cercato di parlarci ma lui parlava con Montante, eseguiva gli ordini di Montante”.

Ivan Lo Bello, un altro ex alleato di Montante nella finta Confindustria antimafia, racconta a Mondani di quando, il 5 marzo del 2015 all’Hotel Majestic di Roma, si incontra con Montante, la sua amica Linda Vancheri (da lui imposta come dirigente di Confindustria nazionale) e l’ex magistrato Antonio Ingroia. Montante è da poco indagato per mafia e Lo Bello si rifiuta di sottoscrivere un documento a suo sostegno. “È finita quasi a botte”.

L’anonimo ex dirigente di Confindustria riferisce un dettaglio sconcertante: “Riuscì ad imporre il suo capo della sicurezza personale come capo della sicurezza di tutta Confindustria. Ma pensi che poco prima dei suoi guai giudiziari a Confindustria arrivò uno scatolone pieno di cassette registrate, inviato a Giancarlo Coccia da Montante. Furono messe nel caveau di Confindustria. Sarà stato verso l’agosto del 2017”. Chiede Mondani: “E la polizia non sa nulla dello scatolone?”. Risposta: “No”. Montante aveva imposto alla Marcegaglia l’assunzione di Diego Di Simone, ex commissario di Polizia della squadra mobile di Palermo, arrestato con lui il 14 maggio dello scorso anno. Il 31 marzo 2016 Di Simone è intercettato mentre comunica festante a un fornitore, Salvatore Calì, la notizia dell’elezione di Vincenzo Boccia che, annotano gli inquirenti, “rappresentava la continuità con la pregressa gestione”. “Boccia, quello di Salerno… è bellissimo”, dice Di Simone, e Calì felice: “Quindi rimaniamo tutti, giusto?”. L’unico inconsapevole (apparentemente) è proprio Boccia, come Squinzi prima di lui. È proprio strana la deriva della Confindustria.

Lavoro e Clima: in Polonia c’è anche una nuova sinistra

Una nuova sinistra sta emergendo in Polonia. La campagna per le elezioni europee sta rimescolando le carte in un paese governato dal 2015 da un unico partito ultraconservatore e autoritario, il PiS (“Diritto e Giustizia”), con pieni poteri in Parlamento e al Senato, dove la sinistra occupa un solo seggio. È intorno alla figura di Robert Biedron, un ex militante Lgbt diventato deputato nel 2011 e poi nel 2014 primo sindaco apertamente omosessuale del paese, che un partito sta facendo emergere un discorso nuovo nel paesaggio politico polacco e sta riscontrando un successo folgorante. Il suo nome? Wiosna, “Primavera” in polacco. Il suo credo? Il ritorno allo Stato sociale, dopo tre decenni di liberalismo scatenato. A cui si aggiungono: ambizioni ecologiche, apertura sui diritti delle donne e un discorso pro europeo. Nella lista di Wiosna per le elezioni europee figurano diverse donne, volti giovani e personalità extra politiche. Sono soprattutto neo candidati. Tra loro, Maciej Gdula, professore di sociologia all’università di Varsavia e collaboratore alla rivista della sinistra polacca Krytyka Politycza. A 42 anni, Gdula, autore di una ricerca sull’elettorato del PiS, pubblicata dalla rivista Esprit, parte favorito nella circoscrizione di Malopolskie i Swietokrzyskie (sud-est della Polonia). Lo abbiamo incontrato.

Cosa l’ha convinta a presentarsi alle europee?

Ho partecipato alla creazione di Wiosna come responsabile del programma per le scienze e l’educazione, pur restando fuori dal partito. Ma con l’avvicinarsi delle urne, mi sono sentito sempre più coinvolto. Le europee sono importanti per noi: dal risultato dipenderà il posto che Wiosna occuperà nella scena politica polacca. In autunno poi ci saranno le legislative ed era necessario per il partito conservare dei candidati per questo voto. Ecco perché mi sono offerto per le europee. Vogliamo presentare figure nuove, non esperti. Volevamo linfa nuova, mentre in Polonia la tradizione vuole che l’elezione al Parlamento Ue arrivi in chiusura di carriera politica: alcuni si fanno eleggere solo per assicurarsi una buona pensione. La delegazione polacca è una delle più anziane a Strasburgo e, a parte qualche eccezione, lavora poco.

Quali sono i principali punti del vostro programma?

Siamo per la legalizzazione dell’aborto fino alla 12esima settimana di gravidanza e senza condizioni (in Polonia è consentito solo in caso di rischio per la salute della madre e del feto; in caso di stupro e incesto. È una delle leggi più restrittive in Europa, ndr). Anche sul rapporto Stato-Chiesa la nostra posizione è chiara: liquidazione del fondo pubblico destinato alla Chiesa, l’abolizione dell’insegnamento della religione nelle scuole e la fine della retribuzione statale dei preti. Sono molti soldi e la Chiesa è ricca in Polonia: è la prima proprietaria di terreni del paese. E proponiamo di sostituire le due ore di religione nelle scuole con due ore di inglese. Abbiamo anche un programma ambizioso in ecologia: vogliamo che la Polonia abbandoni il carbone entro il 2035. Su questo punto ci hanno sommerso di critiche. Ci è stato detto che l’obiettivo è irrealizzabile perchè costerebbe posti di lavoro nelle miniere. Certo, oggi il carbone è lavoro, ma se trasformiamo la nostra economia sviluppando le energie rinnovabili, creeremo nuova occupazione. Bisogna pianificare questa transizione. In realtà i minatori in Polonia sono 90 mila e molto carbone è importato dalla Russia. Quello polacco ormai è in profondità ed è difficile da estrarre. Anche in Slesia (la regione mineraria del sud della Polonia, ndr), sempre più persone non vogliono più le miniere, perché, dicono, riscaldarsi col carbone inquina e l’industria distrugge il paesaggio.

Qual è la posizione di Wiosna in materia di politica sociale?

Diamo molto valore al bene pubblico: l’educazione, la salute, la funziona pubblica, e in particolare i tribunali e le amministrazioni. È una sfera che non viene affatto valorizzata dal PiS e questo produce effetti negativi. Il PiS è un partito potente che controlla settori in passato autonomi, come i media pubblici, i tribunali, la cultura. Allo stesso tempo il partito sostiene i suoi amministrati con sovvenzioni dirette, come il programma 500+, in vigore dal 2015 (una sovvenzione di 500 zloty, circa 117 euro, versata a partire dalla nascita del secondo figlio, ndr). Non critico la misura in quanto tale: è buona all’interno di una politica sociale. Essa ha permesso di combattere la povertà. Il fatto è che, prima delle elezioni, il leader del PiS, Jaroslaw Kaczynski, ha promesso un 500+ a partire dal primo figlio, il versamento unico di una 13ma per le pensioni – una misura che non risolve il problema – e per gli agricoltori un assegno di 500 zloty per ogni mucca venduta e 100 (circa 23 euro, ndr) per ogni maiale, per compensare le perdite dovute al prezzo molto basso del mercato. È nella logica di Kaczynski occuparsi di volta in volta degli agricoltori, dei bambini, dei pensionati. Tutto ciò che riguarda il bene pubblico invece, l’educazione, la salute, l’ambiente, viene trascurato. È in atto un vasto movimento di protesta degli insegnanti che vedono gli stipendi crescere in altri settori, mentre i loro sono fermi dal 2012. Il 75% degli insegnanti è sceso in sciopero. Chiedono un aumento del 30%. Il governo dice che non ci sono i soldi, ma due anni fa aveva promesso un gigantesco programma sociale. La questione è: investiamo nel bene comune o nel legame con gli elettori attraverso sovvenzioni dirette?

Fino a 10 anni fa i temi che voi trattate non erano in discussione. Il popolo accettava il modello neo liberale che si era imposto dopo la caduta del comunismo. Questi temi ora sono popolari?

La questione Stato-Chiesa è une delle principali preoccupazioni degli elettori. Una reazione dello stesso tipo si osserva del resto anche nella Chiesa: la tolleranza che finora è stata accordata in materia di pedofilia non è più ammissibile. La Chiesa ha dovuto riconoscere che il problema esiste, ma è incapace di affrontarlo. Di recente, un rapporto dell’episcopato polacco sulla pedofilia dice che bisogna prendere in considerazione la sofferenza dei preti che hanno commesso atti di pedofilia, che le vittime non sono solo i bambini. Così la Chiesa alimenta i dubbi e indispone l’opinione pubblica.

È un cambiamento per la società polacca, che resta molto marcata dal ruolo di opposizione della Chiesa all’epoca del comunismo, dalla figura di papa Giovanni Paolo II …

Infatti. La Chiesa polacca non ha più un leader, ma ha un potere simbolico così forte che nessun politico aveva osato toccarla. Oggi è un’istituzione senza dirigenti. La personalità più nota in Polonia purtroppo è padre Rydzyk, alla testa di Radio Marya (una radio ultra cattolica con 3 milioni di ascoltatori, ndr). I cattolici praticanti stanno diminuendo, sempre più persone decidono di non battezzare i figli. Un altro tema che non era popolare dieci anni fa è l’ecologia. Oggi tutti si preoccupano dell’inquinamento!

L’omicidio del sindaco di Danzica, Pawel Adamowicz, il 13 gennaio scorso, ha un impatto nella riconfigurazione del paesaggio politico?

Sì, ha un’enorme influenza nel dibattito pubblico e la vita politica polacca, un po’ come era stato per l’incidente aereo di Smolensk dieci anni fa (morì gran parte della classe dirigente del paese, tra cui il presidente, ndr) e la crisi dei rifugiati nel 2015. Le persone hanno capito che la tensione e l’odio avevano raggiunto in politica un livello tale da provocare tragiche conseguenze. Adamowicz era un conservatore, ma pro rifugiati e pro minoranze. Era la prova che posizioni divergenti si possono conciliare. Diversi sindaci in Polonia, come Adomowicz, hanno tentato di cambiare le cose con una visione ambiziosa e mobilitando valori diversi da quelli del governo.

C’è un altro partito di sinistra in Polonia, Razem (“Insieme”), più vicino al DiEn25, il “Movimento per la democrazia in Europa”, fondato tra gli altri dall’ex ministro greco dell’Economia, Yanis Varoufakis, e dal filosofo croato Srecko Horvat. Perché non fate fronte comune?

C’è una differenza con Razem: promettono agli elettori di dare ancora più del PiS. Pensano di poter ampliare il programma sociale del governo. Noi pensiamo che possiamo ripartire diversamente i benefici economici, investendo nell’educazione, nella salute e nell’ecologia. Ciò non vuol dire che l’ecologia sia assente dal loro programma, ma il nostro modello è diverso. Razem non vuole leader politici. Noi, invece, sì. E cerchiamo il contatto diretto con le persone.

La Polonia non è il solo paese d’Europa centrale a vedere evolvere il suo paesaggio politico. Zuzana Caputová, è stata eletta presidente della Slovacchia. Sta nascendo un nuovo anti autoritarismo?

Se i populisti hanno vinto è perché hanno capito come fare per attirare e mobilitare gli elettori: costruiscono drammi politici. Kaczynski ha vinto perché ha risposto alle aspirazioni di chi chiedeva più controllo e autorità. Possiamo proporre un’alternativa al PiS.

(traduzione Luana De Micco)

Sánchez argina l’ultra-destra ma si deve alleare coi separatisti

Aveva chiesto un voto netto, chiaro, Pedro Sánchez. E l’ha ottenuto. Il Partido socialista obrero espanol, ha vinto le elezioni in Spagna, dopo otto anni e tre tentativi negli ultimi tre anni e mezzo. Con il 29% dei voti e 125 seggi, però, il Psoe non raggiunge la maggioranza assoluta 179 seggi e non potrà governare da solo, neanche sommando i 40 seggi della sinistra di Podemos. Nonostante il colpo d’occhio di una mappa che al 70% dei voti scrutinati si tinge quasi tutta di rosso, il ribaltamento del risultato di due anni fa, quando il Pp ottenne il 33% e il Psoe arrivò solo al 22, e una delle affluenze più alte della democrazia, ha votato oltre il 73% degli spagnoli, Sánchez invera i timori di ingovernabilità. Tranne nel caso di un’alleanza con i catalani.

Nella regione di Barcellona, con più affluenza (più 18%) soprattutto nelle zone indipendentiste, il partito Esquerra Republicana del leader Oriol Junqueras – in prigione – ha guadagnato 15 seggi, necessari a Sánchez per formare il governo.

Non ce l’ha fatta invece il blocco di destra, con il tonfo dei Popolari post-Rajoy al 16% e Ciudadanos al 14%. Nonostante i 23 seggi di Vox. Eppure, per la prima volta – a 42 anni dal primo voto democratico post-franchista – un partito di estrema destra, nazionalista e xenofobo entra nel parlamento spagnolo, e siederà a Las Cortes, lì dove sono ancora visibili i fori dei colpi sparati dal golpista Antonio Tejero nel 1981.

“Santi, salva la Spagna”. Quello di Santiago Abascal – Santi per gli amici – ieri è stato un corpo a corpo con i fan accorsi al seggio. L’omone con quattro collane d’oro, camicia azzurra sbottonata sui pettorali, giacca blu scuro a scimmiottare i Popolari. “Ma come fanno a dire che è cattivo, se bacia tutti”. Al collegio elettorale di Pinar del Rey, periferia Nord di Madrid, Santi è arrivato a votare poco prima di mezzogiorno, senza avvisare. “Che sorpresa mi è toccata oggi”, grida un giovane di 22 anni. E Santi, come l’apostolo Santiago la cui chiesa segna il limite tra il suo e gli altri quartieri del municipio di Hortaleza, non ha salutato i fan, li ha protetti. “Occhio ai nonni che camminano per strada”, ha redarguito i fotografi. Sono proprio i “nonni” a dividersi sul giudizio al leader di estrema destra. “Mi fa accapponare la pelle questo qua”, ci ha confessato indignata la signora Rocio, 78 anni, “a 38 ho potuto votare la prima volta…”.

“Finalmente avrò un rappresentate a Las Cortes”, ha esultato stringendo la mano ad Abascal un coetaneo della donna. Il quartiere – a 20 minuti di metro (pulita e funzionante) dal centro della capitale – sembra lontano da quell’aprile del 1979, 40 anni fa, in cui, in questi luoghi prima deserti e con poche catapecchie, senza mezzi di trasporto, il più votato fu il sindaco socialista “ribelle” Enrique Tierno Galvan. Oggi il quartiere dell’immigrazione sudamericana dalle case basse attraversate dalla Gran via “di Hortaleza”, ha accolto il suo salvatore, colui che in poco meno di tre anni ha portato “finalmente la vera destra al Parlamento”. Grazie anche ai suoi slogan anti-immigrati. Ma non è un paradosso. “Vox ripudia gli irregolari, non noi che lavoriamo”, ci spiega Isabella, giovane sudamericana. Una distanza siderale con lo scenario ricco e accomodato di via Genova” , il cuore della destra dei Popolari o con il collegio elettorale del quartiere Salamanca in cui ha votato il leader, Pablo Casado. Appena 8 chilometri, che Santi ha deciso di percorrere al contrario.

A proposito di distanza, non ce nè molta in Andalusia dopo 100 giorni di governo “Trifascista”, apripista dell’alleanza Pp-Ciudadanos-Vox. I socialisti hanno vinto con il 35%, un paio di punti in più di quelli presi alle regionali di dicembre, gli stessi guadagnati anche da Vox.

 

Il pontefice: “Corridoi umanitari dalla Libia”

“Vi invito a unirvi alla mia preghiera per i profughi che si trovano nei centri di detenzione in Libia, la cui situazione, già molto grave, è resa ancora più pericolosa dal conflitto in corso. Faccio appello perché specialmente donne, bambini e malati possano essere al più presto evacuati attraverso corridoi umanitari”. Così Papa Francesco dopo la recita del Regina Coeli in piazza San Pietro. Il Pontefice ha aggiunto: “Preghiamo anche per chi ha perso la vita o ha subito gravi danni per le alluvioni in Sudafrica”.

Macchinisti ubriachi, soppresso Frecciarossa

Per un evidente stato di ebbrezza di due macchinisti, il treno Frecciarossa 9604 che doveva partire ieri mattina alle 5.17 da Brescia per Napoli è stato soppresso e i 67 passeggeri trasferiti su un altro convoglio. “È la prima volta – dichiara Trenitalia – che si verifica un episodio simile”. I due erano talmente ubriachi che uno non si è nemmeno presentato in stazione, ma ha chiamato un’ambulanza ed è stato portato in ospedale, mentre l’altro, appena salito in cabina, è stato beccato dal capotreno.

“Paranza dei bambini” Accoltellato un attore

L’attore ucraino Artem Tkachuk, 18 anni, trai protagonisti del film “La paranza dei bambini” tratto dall’omonimo libro di Roberto Saviano è stato accoltellato la scorsa notte a Napoli nella zona dei “baretti” di Chiaia. Il 18enne era in compagnia di un amico 21enne, i due sono stati avvicinati da un gruppo di giovani che hanno domandato se fossero di Rione Traiano, al “no” è scattata l’aggressione. L’attore è stato ferito al fianco destro ed è attualmente ricoverato in osservazione.

Amministrative, il voto in Sicilia: cala l’affluenza

Parte con la Sicilia e i suo 34 comuni la volata delle elezioni amministrative che proseguirà almeno fino a giugno in 3.856 comuni, coinvolgendo 17.336.421 elettori in tutta Italia contestualemente alle Europee. Ieri alle 19 l’affluenza era in calo, aveva votato il 45% dei 436.567 aventi diritto. A Caltanissetta, unico capoluogo al voto, era andato alle urne il 43,55% degli elettori, il 4,03% in meno rispetto alle precedenti comunali. In controtendenza è Gela dove aveva votato il 43,33% degli elettori, il 6,38% in più.

Di Maio alla Lega: “Pronte 5 leggi anti-casta: le votate?”

A provocazione corrisponde una reazione, anche se non proprio uguale e contraria: dopo il caos suscitato dalla pubblicazione online da parte dei rider dei nomi dei vip che non lasciano la mancia, il governo sembra intenzionato a riprendere in mano il problema dei fattorini delle consegne di cibo a domicilio, su cui da mesi si fanno promesse e per i quali nulla è stato ancora portato a termine. “La norma sui rider è pronta. Sarà inserita nella legge sul salario minimo che è in discussione in questi giorni al Senato” ha scritto ieri il vicepremier e ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, come primo annuncio di una lunga e loquace giornata. L’intenzione, in realtà, è tentare un blitz d’urgenza, inserendola in fase di conversione del decreto Crescita approvato la settimana scorsa. Per farlo ci sarebbe però bisogno dell’autorizzazione dei presidenti delle Camere. Difficile.

“Ci avevamo già provato nel decreto reddito di cittadinanza, ma la norma era stata esclusa per estraneità di materia – aggiunge -. Inoltre un disegno di legge ad hoc richiederebbe troppo tempo”. Gli emendamenti cassati nei mesi scorsi prevedevano che le prestazioni attraverso le piattaforme digitali rientrassero nel lavoro subordinato, che fosse introdotto per i fattorini l’obbligo di assicurazione Inail e l’obbligo delle imprese del food delivery di fare formazione sulla sicurezza, nonché l’obbligo di fornire i dispostivi di protezione e di garantire la “sorveglianza sanitaria”. Elenco che combacia in gran parte con quanto annunciato da Di Maio: copertura Inail per gli infortuni, migliore contribuzione Inps che superi la gestione separata e divieto di retribuzione a cottimo (guadagno per unità consegnata). Da parte dei lavoratori, che il 1 maggio saranno in piazza per manifestare, c’è diffidenza. “Finora il governo non ha mantenuto le promesse” ha detto ieri Tommaso Falchi, portavoce dei Riders Union Bologna.

Il vicepremier lancia questo annuncio mentre è a Varsavia, in Polonia, dove partecipa alla convention di Kukiz’15, uno degli alleati del M5s per il manifesto per le Europee e dove ha annunciato anche l’adesione del movimento estone Elurikkuse Erakond. L’attenzione mediatica è l’occasione anche per lanciare un post dal Blog delle Stelle con cinque leggi che il M5s intende portare avanti nel 2019: la legge per togliere la sanità ai partiti, quella sull’acqua pubblica, il conflitto di interessi, il salario minimo e il taglio dei parlamentari. E chiede se la Lega ci sta: “In pochi mesi abbiamo realizzato le cose che abbiamo sognato per anni – scrive Di Maio – Adesso è il momento di andare avanti. Noi vogliamo continuare a cambiare le cose. Il percorso ancora è lungo. Su queste cinque proposte La Lega è con noi? Se la Lega è con noi, possiamo dare queste leggi al Paese già quest’anno”.

Mano tesa che arriva oltretutto dopo ore di polemiche sulla questione delle province e l’abolizione auspicata e ribadita dal ministro del Lavoro (“I Cinque Stelle si mettano d’accordo con se stessi, perché altri viceministri dei 5 Stelle stanno lavorando per dare forza alle province” ha replicato ieri Salvini) ma di certo non rose e fiori. Sul caso Siri, il sottosegretario alle infrastrutture della Lega indagato per corruzione nell’ambito di un’inchiesta antimafia, Di Maio ribadisce la necessità di un passo indietro e la massima fiducia in quello che deciderà il premier Giuseppe Conte, da cui si aspetta novità nei prossimi giorni: “Siri per me si deve mettere in panchina e gli facciamo i migliori auguri di risultare innocente, ma fino a quel momento non possiamo pensare che un sottosegretario indagato per un reato così grave resti al suo posto”.

E mentre Matteo Salvini ieri assicurava che la sopravvivenza del governo non è minacciata dall’inchiesta, Conte ha fatto sapere di essere disponibile a incontrare Siri già da oggi, al rientro da Pechino. Ma da palazzo Chigi è poi trapelato che è più probabile se ne parli nei prossimi giorni. Intanto, sempre nei prossimi giorni è atteso un Cdm sul cui tavolo dovrebbero approdare anche i temi delle nomine di Bankitalia e del regionalismo differenziato. “Non vorrei che qualcuno usasse il Parlamento per perdere mesi o anni su una riforma che è urgente” ha detto Salvini, ricordando che è nel Contratto di governo. “Il Veneto e la Lombardia hanno votato e hanno diritto all’autonomia – ha replicato Di Maio – ma se autonomia vuol dire avere scuole di serie A e serie B, sanità di serie A e serie B, cittadini di serie A e serie B non sono d’accordo”.

“Altro che flop, questi numeri sul reddito sono soltanto l’inizio”

PPasquale Tridico, presidente dell’Inps, tra un mese si vota. Molto dipenderà dal giudizio degli elettori su Quota 100 e Reddito di cittadinanza. Successo o mezzo flop?

Le domande di reddito di cittadinanza sono 950.000 in meno di due mesi. Per il Rei, nel primo mese erano solo 80.000. C’è un tasso di rifiuto del 25 per cento, ma avranno il reddito circa 750.000 famiglie. E le domande cresceranno ancora. Ricevo mail di persone che per la prima volta si sentono aiutate dallo Stato. Mi ha scritto un ragazzo pieno di entusiasmo: prendeva un Rei da 106 euro, oggi un reddito di cittadinanza da 411. Ridare speranza è già una politica attiva del lavoro.

Ci sono più richieste in Lombardia (82.000) che in Calabria (60.000). La stupisce?

No. Il Rei aveva il 70 per cento di domande al Sud, il reddito di cittadinanza il 53. La distribuzione nazionale è omogenea. Anche nelle periferie delle zone ricche del Nord ci sono molti poveri che spesso devono pure pagare l’affitto. I poveri nel Sud, invece, dispongono quasi sempre di una casa, infatti la percentuale di chi prende il contributo pieno è bassa. In media, il reddito di cittadinanza pagato è di 520 euro.

Però alcuni ricevono poche decine di euro. Ha senso tanta burocrazia per erogare somme così basse?

Qualcuno ha avuto 40 euro. Era il massimo con vecchia carta acquisti introdotta da Tremonti. Ora è il minimo. É un passo avanti. Se qualcuno, sulla base dei criteri, ha diritto a pochi euro di integrazione, l’Inps ne paga comunque almeno 40. Lo stabilisce la legge. Qualche migliaio di persone – il 5 per cento – è in questa situazione, ma non sono i poverissimi.

Quei 40 euro sono una specie di reddito di base?

Sì. E per il futuro sarebbero utili dei minimi differenziati per categoria. Per esempio un basic income per giovani in percorsi di studio sulle arti e la cultura che offrono carriere incerte. Un Paese fondato sulla cultura ha bisogno di quelle professionalità: mi risulta ci sia un progetto di dare 400 euro al mese per due anni ai giovani che finiscono studi di laurea o di diploma in architettura, di arti performative o comunque legati al patrimonio artistico e culturale.

Le domande di reddito sono vicine al milione. Considerano la dimensione della famiglia media, si arriva a 2,75 milioni di persone. Ma per l’Istat i poveri assoluti sono 5 milioni. Dove sono gli altri?

La legge sul reddito è stata convertita in Parlamento da poco più di un mese. Ci vuole tempo. E la povertà è difficile da raggiungere. Ora lanceremo un’iniziativa con camper e gazebo per cercare i poveri là dove sono, dalla stazione Termini alla Comunità di Sant’Egidio, presso le mense. Si chiamerà “Inps per tutti”. I poveri sono emarginati, molti non sanno neanche cos’è un Caf o un Isee. Li aiuteremo a fare domanda e, se hanno i requisiti, ad avere il reddito.

Alcuni lavoratori Fiat licenziati hanno protestato per essere fuori dai parametri. Che ha risposto?

La Cassazione ha stabilito che devono restituire alcuni stipendi e loro non vogliono che quei redditi compaiano nell’Isee. Io ho spiegato che, se faranno domanda per il reddito, li scorporeremo. Se rientreranno nei criteri, avranno il reddito.

123mila domande per quota 100, meno del previsto?

Sono le domande del primo di quattro trimestri. In linea con le attese.

La misura è “sperimentale” per tre anni. Va resa permanente?

Al termine del triennio si vedrà se le esigenze che l’hanno determinata saranno cambiate e se andranno studiate altre forme di flessibilità, per esempio “quota 41”.

Il decreto dignità ha prodotto i risultati sperati?

Bilancio positivo oltre ogni aspettativa. In tempo di bassa crescita, l’occupazione tiene e stiamo ricomponendo il mercato a favore del lavoro stabile, solo nei primi due mesi del 2019 abbiamo avuto oltre 200.000 contratti stabili in più. Sia trasformazioni che nuove attivazioni. Il tasso di disoccupazione è stabile.

A Milano i rider denunciano i vip che danno mance basse: è odio di classe o l’unica forma di ribellione rimasta contro l’azienda?

Le forme di protesta si sono evolute. Il governo ha provato a riformare la gig economy. Il tavolo è stato lungo e faticoso perché il settore è nuovo. Il provvedimento era pronto a febbraio, ma non è stato inserito nel decreto sul reddito perché considerato inammissibile per materia dalle presidenze di Camera e Senato. Mi risulta che verrà ripresentato nel prossimo provvedimento utile.

Gli occupati sono tornati al livello del 2008 ma gli italiani lavorano 2 miliardi di ore in meno all’anno. Stiamo già applicando lo slogan “Lavorare meno, lavorare tutti”?

Quei due miliardi di ore vanno recuperati. Ma il progresso tecnico produce guadagni di produttività che vanno redistribuiti, sotto forma di salario o di tempo libero. In Italia non si introducono riduzioni di orario di lavoro dal 1970. Eppure da allora c’è stato grande progresso tecnico. Le forme possono essere diverse, dallo smart workig, agli incentivi di conciliazione tempo libero-lavoro, al tempo per formazione, fino alle riduzioni per legge come in Germania.

A che punto è il progetto di salario minimo?

C’è un disegno di legge al Senato in stato avanzato.La misura è giusta e necessaria in virtù della frammentazione della contrattazione sindacale, del dumping al ribasso dei salari. E il salario minimo sarà integrato con la contrattazione collettiva dei sindacati che, dove esiste, prevale. Come in Germania.

Ha aumentato le direzioni dell’Inps? Più poltrone per tutti?

La determina sull’organizzazione di Boeri, emanata a fine mandato, era contestata da due procedimenti giudiziari, e per comportamento anti-sindacale. Per questo ne ho emanata una nuova che risolve il problema e che inizia a creare le strutture che servono all’Inps, oggi privo di una direzione sulla povertà, sulla formazione continua, sulla vigilanza sull’evasione contributiva e sull’informatica. Non ho aumentato il numero dei dirigenti, come qualcuno denuncia, ho aumentato la pianta organica, pensando a possibili direzioni. I dirigenti già li abbiamo e già li paghiamo, fino a 240.000 mila euro l’anno. Alcuni si considerano demansionati in alcuni “progetti di studio” di scarso rilievo. Possiamo usarli per compiti più coerenti con il loro status e compenso.

Non rischia anche lei, come Boeri, tensioni con i sindacati?

Ho fatto un accordo con i sindacati sulla contrattazione integrativa, sul “mansionismo” e sui fabbisogni. I sindacati hanno applaudito la firma del contratto integrativo perché, a parità di risorse, per la prima volta la parte variabile del salario è andata soprattutto alla parte bassa della gerarchia del personale.