La Procuradi Roma e quella militare hanno chiuso le indagini su Walter Biot, l’ufficiale della Marina arrestato il 30 marzo per aver passato documenti segreti a un funzionario russo in cambio di 5mila euro. Biot rischia il processo per spionaggio, rivelazione di segreto di Stato e corruzione. L’indagato, dicono i pm, “effettuava con uno smartphone rilievi fotografici di documentazione classificata che aveva possibilità di visionare per il suo ruolo e la sua funzione e poi consegnava una micro Sd con tali foto all’agente che gli consegnava la somma in contanti”. Il difensore Roberto De Vita parla di “un processo segreto, dove l’indagato e i difensori non possono vedere le presunte prove alla base delle gravissime contestazioni”.
Calcio, la Finanza nelle sedi di Inter e Lega “Plusvalenze gonfiate per truccare i bilanci”
Dopo la Juventus, l’Inter. Sul piatto le plusvalenze. Il Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza su indicazione della Procura di Milano ieri ha bussato alla sede della società nerazzurra per acquisire la documentazione “relativa alle plusvalenze” per due annualità: 2017-2018 e il 2018-2019. Quasi 100 milioni. Circa il 10% dei ricavi a bilancio. Sotto la lente dei pm Giovanna Cavalleri e Giovanni Polizzi, coordinati dall’aggiunto Maurizio Romanelli, non finiscono però tutte le plusvalenze acquisite, ma solo quelle relative a una decina di calciatori. La Finanza ha anche preso documenti in Lega calcio. Nel biennio sotto inchiesta risultano, tra i vari, i passaggi di Davide Santon alla Roma e di due baby all’Atalanta per 12 milioni con plusvalenza di 11. In quel 2017 Nicolò Zaniolo passò dall’Inter alla Roma per 2,6 milioni. L’anno dopo, un difensore belga andò al Liegi per 10 milioni di plusvalenza e un centravanti migrò in Liguria per 19 milioni.
L’inchiesta, che non coinvolge i calciatori, nasce poco più di due settimane fa, dopo che diventa pubblica l’indagine torinese sulla Juventus, i cui dirigenti, a partire dal presidente Andrea Agnelli, sono indagati per reati fiscali e false comunicazioni al mercato. Per la vicenda Inter è ipotizzato il reato di falso in bilancio in relazione alle plusvalenze “tossiche” utilizzate, secondo l’accusa, per abbellire i conti e restare nei parametri economici del Fairplay finanziario fissati dalla Uefa. Il fascicolo, a carico di ignoti, è nato in seguito agli accertamenti della Finanza. Dopo la vicenda che vede protagonista il club bianconero si è scelto di approfondire i bilanci delle due squadre di Milano. Per il Milan, dove la Finanza non è andata, gli accertamenti iniziali hanno confermato la bontà dei libri contabili.
Diverso il fronte nerazzurro con “criticità” rilevate su una decina di calciatori. La nota della Finanza arriva sul tavolo della Procura il 9 dicembre. Ieri la richiesta di esibizione di documenti firmata dai pm. Ora, presi gli atti, si tratta di confrontare l’elenco delle plusvalenze con le criticità rilevate dagli inquirenti. L’Inter non è quotata. Il sistema individuato sarebbe lo stesso fotografato dagli atti di Torino con scambi di giocatori “sopravvalutati” a cifre simili e con la messa a bilancio di conti non reali, ma “utili” per sanare i bilanci. Le squadre che con l’Inter hanno intavolato scambi sono almeno due. L’indagine è alle battute iniziali, basata a oggi solo su acquisizioni documentali.
Caserta, indagato il sindaco del Pd “Appalto truccato”
Il ‘sistema Caserta’ degli appalti truccati sui rifiuti aveva a cuore le sorti politiche del sindaco Pd di Caserta, Carlo Marino, recentemente rieletto. “Speriamo che Carlo non cade”, dice nel 2018 al telefono l’avvocato Pasquale Vitale mentre parla con Carlo Savoia, dominus della Xeco srl e, secondo la Dda di Napoli, di un’associazione a delinquere che sarebbe stata capace di turbare 44 bandi di gara, per lo più tra il casertano e l’area nord di Napoli.
Savoia, difeso dall’avvocato Raffaele Costanzo, è finito in carcere. Per altre cinque persone, tra cui il sindaco di Curti, Antonio Raiano, il Gip ha disposto i domiciliari. Vitale e Marino sono indagati: il primo farebbe parte dell’associazione, il secondo per la turbativa del bando di gara settennale per i rifiuti pubblicato nel giugno 2018. Il sindaco “attraverso ripetuti incontri riservati e contatti telefonici con Vitale, si prestava a ricevere i documenti di gara fraudolentemente preparati da Savoia, contribuendo a fornire suggerimenti sulle modifiche da effettuare, per rendere la bozza più funzionale agli interessi degli aspiranti all’aggiudicazione dell’appalto”. Marino sapeva di essere indagato. Ha presentato una memoria, ha detto di essere amico di Vitale e di conoscerlo da 20 anni, e di conoscere Savoia per ragioni professionali. È stato sentito il 15 ottobre 2020, ma le sue parole non hanno convinto. “A fronte delle contestazioni relative ai numerosi incontri e al contenuto delle intercettazioni, non ha saputo offrire alcuna plausibile spiegazione alternativa”, scrive il Gip.
Rossi, usato “laser 3D” per simulare caduta dal 4° piano
Simulazioni con scanner 3D, per ricostruire la stanza di David Rossi, e il vicolo in cui precipitò il corpo del manager la notte del 6 marzo del 2013. Questa però non è la maggiore sorpresa degli accertamenti cominciati ieri dai carabinieri del Ris: la Commissione parlamentare d’inchiesta ha chiesto all’Arma di simulare la caduta del corpo del manager sia dal terzo piano del Monte dei Paschi, dove l’ex capo della comunicazione della banca aveva il suo ufficio, che da quello superiore. Un’ipotesi sollevata dai legali della famiglia Rossi Carmelo Miceli e Paolo Pirani: per il consulente Luca Scarselli la velocità di caduta del corpo era incompatibile con le conclusioni dei pm di Siena. In altre parole, che Rossi possa essere caduto da un luogo diverso da quello ufficiale. Una tesi che spiegherebbe la polvere bianca trovata sulle scarpe: al piano superiore erano in corso lavori. Ieri gli esperti hanno effettuato esperimenti per capire se l’oggetto che si vede comparire nei filmati dopo la caduta del corpo di Rossi poteva essere il suo orologio.
Il convegno: “Ora strategie mediche diverse”
“Dal Green Pass alle vaccinazioni pediatriche: i dati scientifici impongono strategie diverse”, questo il titolo della conferenza stampa che la commissione medico-scientifica indipendente terrà stamattina alla Copernico Blend Tower di Milano. La richiesta è quella di un confronto urgente con il Cts, basato su dati e pubblicazioni scientifiche. La commissione indipendente è composta da docenti universitari e ricercatori: Marco Cosentino (direttore di Farmacologia dell’Università Insubria di Varese), Giovanni Frajese (endocrinologo, docente dell’Università Foro Italico di Roma), Alberto Donzelli (in foto, specialista di Igiene e medicina preventiva, già membro del Consiglio superiore di sanità). La commissione ha chiesto il confronto su “mortalità in eccesso riscontrata nei giovani nel 2021, in concomitanza con l’inizio delle vaccinazioni: un dato che merita un approfondimento indifferibile; la prevenzione dall’infezione garantita dai vaccini (limitata nel tempo); rischi/benefici della vaccinazione pediatrica (svantaggiosi per i singoli e irrilevanti per la comunità)”; i non-vaccinati sono serbatoi di varianti?; reazioni avverse post-vaccino tra sorveglianza attiva e sorveglianza passiva”.
“Il Cts non ha mai validato le mascherine chirurgiche”
I contagi che galoppano tra i bambini e ragazzi alimentano un dibattito che potrebbe condurre al prolungamento delle vacanze scolastiche di Natale. Per il terzo anno di fila, la scuola pagherebbe un prezzo elevato al Covid-19 e alla mancanza di interventi strutturali sugli istituti e sui trasporti, per non dire del tracciamento dei contatti saltato in quasi tutto il Paese, con buona pace dell’impegno assunto dal generale Francesco Paolo Figliuolo di dare una mano alle Asl. Non c’è ancora nemmeno il previsto (e finanziato) monitoraggio dell’epidemia e nessuno sa se i contagi avvengano davvero nelle scuole o fuori.
C’è poi un esposto che mette in discussione le mascherine chirurgiche distribuite agli insegnanti, al personale scolastico e agli stessi allievi dai 6 anni in su, nonché a milioni di lavoratori di altri settori. Come rilevano gli esponenti, non sono dispositivi di protezione individuale (Dpi) ai sensi del decreto 81/2008 sulla sicurezza sul lavoro. “Non proteggono l’utilizzatore/lavoratore da Sars- Cov2 né dalle sue varianti. Proteggono solo le persone che sono nello stesso ambiente, ma la loro efficacia dipende anche dal corretto utilizzo che ne fanno tutti gli altri”, scrive l’ingegner Antonio Ceccarelli di Frosinone nella perizia allegata all’esposto.
A differenza delle Ffp2, delle Ffp3 o delle N95, le mascherine chirurgiche non proteggono chi le indossa, ma chi sta di fronte. Infatti le usano i chirurghi per non infettare i pazienti e si mettono ai pazienti potenzialmente infetti per non contagiare gli operatori. Così l’esposto, a firma dell’avvocato Vincenzina Salvatore di Avellino e dei professori Domenico Tiziano e Silvio Maglio del Comitato IdeaScuola, ipotizza addirittura il reato di epidemia colposa a carico dei responsabili del ministero dell’Istruzione, della Salute e del Comitato tecnico scientifico. Risale però ai primi di maggio 2021 e non ci risulta che siano in corso indagini della Procura di Roma.
Le mascherine chirurgiche sono diventate Dpi con il decreto legge 18 del 17 marzo 2020 detto “Cura Italia”, risalente alla prima ondata e convertito nella legge 27 del 24 aprile 2020. L’articolo 5-bis comma 2 dice che “fino al termine dello stato di emergenza (…) è consentito l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale di efficacia protettiva analoga a quella prevista per i dispositivi di protezione individuali previsti dalla normativa vigente. L’efficacia di tali dispositivi è valutata preventivamente dal Comitato tecnico-scientifico“. Più avanti, all’articolo 16, il decreto Cura Italia stabilisce che sempre “fino al termine dello stato d’emergenza” tuttora vigente “per tutti i lavoratori e i volontari, sanitari e no, che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono considerati dispositivi di protezione individuali (Dpi) le mascherine reperibili in commercio, il cui uso è disciplinato dall’articolo 5 bis comma 3”, che non è il comma 2 di cui sopra ma il successivo. Che prescrive: “È consentito fare ricorso alle mascherine chirurgiche, quale dispositivo idoneo a proteggere gli operatori sanitari”.
Il punto è questo. Secondo gli esponenti, senza valutazione del Cts, le mascherine chirurgiche non sono Dpi, con tutto quello che ne consegue. Il Cts però la vede diversamente. A seguito di un accesso agli atti degli esponenti e di una successiva diffida, il Comitato si è appositamente riunito il 23 marzo scorso e ha scritto: “L’utilizzo di mascherine da parte dei lavoratori – si legge nel verbale – è disciplinato, invero, da altra norma del medesimo decreto legge, l’articolo 16, il quale non prevede uno specifico coinvolgimento del Cts e, comunque, stabilisce l’uso da parte dei lavoratori cui si riferisce il comma 3 dell’art. 5 bis, ossia per l’appunto delle mascherine chirurgiche”. Dunque, secondo il Cts, la valutazione è richiesta solo per altri tipi di mascherine, forse quelle di stoffa che chiamavamo “di comunità”, mentre per le chirurgiche l’articolo 16 ha stabilito l’equiparazione con i Dpi. Sia pure solo “fino al termine dello stato d’emergenza”.
Forse prima o poi dovrà pronunciarsi un magistrato, nel frattempo esponenti di rilievo della comunità scientifica chiedono di rendere obbligatorie, a prezzo calmierato, le mascherine Ffp2 o equiparate. Nelle scuole e non solo.
E in Lombardia i positivi non si contattano più
Alcuni la vorrebbero presidente della Repubblica, perché “fa funzionare le cose”. Ma chi punta su Letizia Moratti non vive in Lombardia. Dove la assessora si ritrova una situazione fuori controllo nella gestione del Covid, proprio come a suo tempo Giulio Gallera. Al di là delle auto-celebrazioni morattiane e del governatore Attilio Fontana, la realtà lombarda racconta di hub vaccinali presi d’assalto, tamponi introvabili e di un contact tracing ormai saltato. Solo Ats Milano è in ritardo di oltre ottomila indagini. Cioè, ottomila positivi che si sarebbero dovuti contattare per tracciarne i contatti – i quali a loro volta si sarebbero dovuti ricontattate –, ma che invece nessuno ha mai avvertito. Per arginare il disastro – dovuto alla mancanza di pianificazione da parte degli uomini di Moratti – dal Pirellone a inizio dicembre è arrivato l’ordine ai tracciatori di “liberare” i quarantenati, anche senza averli ricontattati, solo “su base documentale”. Una direttiva contraria alle indicazioni dell’Istituto superiore di sanità.
Per i quarantenati le norme prevedono che la liberazione avvenga solo dopo il periodo di isolamento e la conferma di non aver avuto sintoni “almeno negli ultimi 3 giorni (i sintomatici) e 7 (i positivi di lungo termine)”. Ma se il positivo non viene contattato, non si può sapere se ha avuto sintomi. Inoltre, i dipendenti sono obbligati a flaggare la schermata del software gestionale Ats denominata “Data telefonata di sorveglianza”, pagina necessaria per liberare le persone. Ma se Ats impone di non chiamare le persone (compilando però anche quella maschera), costringono i lavoratori a scrivere un falso. Aggravato dal fatto che il tracer è un pubblico ufficiale.
L’ordine è confermato in una mail inviata il 17 dicembre a tutti i responsabili del servizio da Frida Fagandini, direttore sanitario di Ats Milano, nella quale si legge: “Premesso che è sempre preferibile procedere a contattare l’interessato con una telefonata, (…) si è ritenuto di autorizzare l’attività anche sulla sola base documentale, in assenza di contatto telefonico”.
Una direttiva piena di conseguenze: espone i lavoratori a rischi legali; rende uno degli indicatori forniti dal Pirellone (il numero dei guariti) poco attendibile; ma, soprattutto, rende disponibile il Green pass a quarantenati che non si ha sicurezza siano guariti.
Il tracing è poi reso virtualmente impossibile anche dall’impossibilità di fare i tamponi. Nelle strutture pubbliche l’attesa è a tre giorni, mentre nelle farmacie (dove il prezzo del test è calmierato a 15 euro) le file sono chilometriche. Inoltre sono tutte in overbooking per le prenotazioni dei no-vax. Così l’unica possibilità, soprattutto per le famiglie con figli quarantenati, è rivolgersi ai privati. Come le società che offrono tamponi rapidi a 55 euro nei parcheggi di Linate e Orio al Serio.
Infine ci sono le attese agli hub vaccinali: la scarsità di spazi a disposizione (molti di quelli usati per la prima dose non sono più disponibili) concentra i lombardi in pochi centri. Con le immancabili attese. Cresciute dopo il via libera al vaccino per gli under12.
Le Regioni hanno tagliato il 24% dei “tracciatori” in dodici mesi
Ancora una settimana e se la curva dei contagi continuerà a salire il sistema del tracciamento dei contatti in quasi tutte le regioni potrebbe andare completamente in tilt. Ieri oltre 30 mila nuovi casi, infatti, con 153 morti, il numero più alto dal 27 maggio scorso, e in terapia intensiva superata la soglia dei mille ricoverati. “C’è un limite oltre il quale salta tutto”, dicono i collaboratori del governatore della Campania, Vincenzo De Luca. Con una media di 2.000 nuovi contagi al giorno, la Campania non è affatto un caso isolato. L’Emilia-Romagna, che ha bisogno di 120 operatori in più per le operazioni di contact tracing, sperava nei rinforzi promessi dal Commissario all’emergenza, Francesco Paolo Figliuolo. Invece si deve accontentare di appena otto militari. Così ha messo in cantiere da gennaio nuove assunzioni per rafforzare il monitoraggio, in particolare nelle scuole, il fronte più esposto. In Piemonte, che ha il 60% dei casi in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, nell’ultimo mese la sanità pubblica ha eseguito 1,6 milioni di tamponi e cerca di fronteggiare la situazione anche aprendo nuovi hotspot negli ospedali. Il Lazio ha incrementato il personale adibito al tracciamento. “Tutto ciò non senza difficoltà – dice l’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato –, in quanto tutte le Regioni sono sottoposte al vincolo anacronistico del tetto del personale su base 2004, un’era geologica fa”.
In realtà gli addetti ai tracciamenti sono sempre stati pochi. E lo sono ancora di più adesso, dopo i tagli che le Regioni hanno operato dall’inizio dell’anno. A gennaio, infatti, disponevano complessivamente di quasi 15 mila unità preposte al contact tracing, adesso ne hanno poco più di 11.300, quasi il 24% in meno. E, ancora una volta, con grandi differenze. L’ultimo monitoraggio dell’Istituto superiore di sanità, riferito al periodo compreso tra il 6 e il 12 dicembre, ne dà conferma prendendo in esame gli indicatori di processo sulla capacità di accertamento diagnostico, di indagine e di gestione dei contatti. Solo la Provincia autonoma di Trento, quella di Bolzano, il Piemonte, il Molise e il Veneto, superano un tracciatore per 10 mila abitanti. Pochi, tenuto conto del fatto che il sistema, secondo gli esperti, entra in crisi quando vengono superati i 50 casi per 100 mila abitanti. Ma sempre meglio, comunque, di altre regioni come la Lombardia, che ha 0,5 operatori, sempre per 10 mila abitanti. Per non parlare della Sardegna (0,3) e della Puglia (0,4). Con l’unica eccezione della Basilicata, che di operatori ne conta 2,4, anche tutte le altre Regioni sono sempre sotto l’1. In questo caso parliamo di personale che si occupa di tracciare i contatti di una persona che ha contratto il virus. Al quale si affiancano gli operatori sanitari incaricati di fare il prelievo e portare il test in laboratorio. Una squadra che alla fine è composta da solo una persona, ogni 10 mila abitanti, in Lombardia e in Liguria, da 1,9 nel Lazio. Solo la Basilicata dispone di 6,9 addetti. L’Emilia-Romagna ne ha 1,8, le Marche 1,3, la Calabria 1,4, la Toscana 1,2. Questo contribuisce a spiegare perché tante aziende sanitarie sono in forte difficoltà. Mentre le farmacie, prese d’assalto, assorbono ormai i due terzi dei tamponi rapidi che vengono fatti, con file e prenotazioni che in alcuni casi arrivano fino ai primi giorni del prossimo anno.
In media, come spiega Marco Cossolo, presidente di Federfarma, le 14 mila farmacie che offrono il servizio processano una media di mezzo milione di tamponi al giorno: “Stiamo dando un contributo decisivo al tracciamento dei contagi”, dice Cossolo.
Questa corsa ai tamponi si rileva soprattutto al Nord, dove è aumentata la domanda in vista delle festività. Molti, originari di Regioni del Sud, infatti, si preparano a tornare a casa. E, se non vaccinati, devono ottenere il Green pass per poter prendere treno o aereo. Del resto, i certificati verdi che vengono rilasciati a seguito di test continuano a essere la netta maggioranza. Dal 6 dicembre a ieri sono stati oltre 10,5 milioni, contro i circa 7,5 emessi dopo la vaccinazione.
Mente sapendo di smentire
La notizia più esilarante fra quelle, già spassosissime, sulla corsa al Quirinale è che c’è ancora qualcuno che parla con Zerovirgola. Memori delle rocciose prove di affidabilità fornite nei suoi primi e ultimi 10 anni di carriera politica, diversi leader o presunti tali di destra, di centro e di sinistra trattano con lui sul futuro capo dello Stato che, ça va sans dire, dev’essere “condiviso”. Con chi? Ma con lui. Il fatto che lo Statista di Rignano non abbia mai mantenuto la parola data in vita sua, è un dettaglio trascurabile, in una classe politica affetta da una coazione a ripetere a livelli sadomaso. Stiamo parlando di uno che si fece eleggere segretario del Pd col programma di Grillo e poi realizzò il programma di B.. Uno che giurò fedeltà al governo Letta e poi lo rovesciò nello spazio di un mattino, anzi di untweet (“Enricostaisereno”). Uno che promise a Gratteri il ministero della Giustizia e poi ci piazzò Orlando. Uno che fece il Patto del Nazareno con B. impegnandosi a condividere il successore di Napolitano e poi si elesse da solo Mattarella, mentre l’altro che sperava in Amato restò con un palmo di naso, anzi di nano. Uno che giurò di ritirarsi per sempre dalla politica se avesse perso il referendum, poi lo straperse ed è ancora lì (anche se, coerentemente, si occupa soprattutto di affari). Uno che trattò con Di Maio per il governo 5Stelle-Pd, poi andò da Fazio e disse che non ci pensava proprio. Uno che un anno dopo propose il governo 5Stelle-Pd contro Salvini e, appena nacque il Conte-2, si scisse dal Pd per farsi un partito dopo aver detto peste e corna di tutte le scissioni, e prese a trescare con Salvini per buttar giù Conte e riportare su Salvini, fallendo solo a causa del Covid.
Ci riuscì 14 mesi dopo, mentre fingeva di trattare sul Conte-3, poi prese a dire che il governo Draghi l’aveva inventato lui (per la gioia di Draghi, immaginiamo): come uno che scassa la sua macchina e poi si vanta perché arriva lo sfasciacarrozze o un piromane che incendia il suo palazzo e poi si pavoneggia per l’intervento dei pompieri. Uno che chiedeva a tutti i politici di esibire il loro estratto conto perché chi sta in Parlamento non deve fare affari, poi corse a incassare da Bin Salman e si mise a piagnucolare perché i pm rovistavano nel suo conto corrente e i giornali ne parlavano. È per questo pedigree che l’altro Matteo, la cui affidabilità è quasi altrettanto proverbiale, tratta con lui sul Colle. E lo fa pure quel gran genio di Miccichè: “Renzi mi ha detto che voterà Berlusconi”. L’altro ovviamente l’ha negato. Ora, visti i precedenti, non si sa se abbia mentito quando gliel’ha detto o quando l’ha smentito. Ma è probabile che, violando pure il principio di non contraddizione, abbia mentito sia la prima sia la seconda volta.
“Lo schiaccianoci” è lo show delle feste. Cannito: “Piace perché riesce a far sognare”
“Lo Schiaccianoci è lo spettacolo natalizio per eccellenza, e specie in un momento come questo serve tantissimo, perché è un segnale di speranza”. Sono queste le prime parole utilizzate da Luciano Cannito per descrivere la versione dello Schiaccianoci di cui è direttore artistico, in scena al Teatro Atlantico di Roma dal 23 dicembre al 6 gennaio. Composta a fine Ottocento da Petr Ilic Tchiavkoski, negli ultimi anni la rappresentazione è riuscita a imporsi come uno dei must natalizi più apprezzati insieme al Canto di Natale di Charles Dickens. Come accaduto per il classico dello scrittore inglese, nell’ultimo periodo anche l’opera di Tchiavkoski ha visto un susseguirsi di rifacimenti, su tutti l’omonimo film del 2018 della Disney.
L’edizioneche vedrà protagonista il Roma City Ballet Company, il corpo di ballo coordinato da Cannito, si inserisce proprio su questo solco, portando in Italia uno spettacolo pensato per le famiglie di ogni genere. “Ci siamo rifatti alla versione classica, provando a ricreare quella sensazione da ‘favola’ grazie anche al luogo dove andremo in scena” spiega il direttore artistico parlando dell’Atlantico. Un luogo pensato per contenere più di 2500 persone e allestito per l’occasione come un villaggio natalizio. “Un po’ come accade a Disneyland, abbiamo provato a mettere su un posto che dia un po’ di spensieratezza” prosegue il Cannito, sottolineando poi l’alto livello della produzione. “Insieme a un corpo di ballo eccezionale avremo anche degli artisti internazionali: come Rachele Pizzillo, astronascente della danza italiana, che sarà in coppia con Javier Rojas, vincitore di Amici nel 2019”. Lo spettacolo prenderà il via giovedì, quando cioè il governo deciderà le nuove misure contro l’avanzare della pandemia. “È molto triste – conclude Cannito – che a essere penalizzati siano sempre cinema e teatro. Hanno detto che con il Green pass eravamo sicuro: ci siamo fidati, seguendo delle regole che però potrebbero cambiare in neanche tre giorni. Non è giusto, specie nei confronti di quelle famiglie per cui già andare in teatro è una spesa, figurarsi aggiungendo anche il costo dei tamponi”.