La libertà va conquistata, e soprattutto protetta
Scriveva Fichte che “essere liberi è niente, diventarlo è cosa celeste”. È quanto probabilmente pensavano con le loro menti e ancora prima sentivano nei loro cuori coloro che nel buio ventennio del fascismo non smarrirono la coscienza della libertà e della giustizia e in esse coltivarono “il fiore del partigiano”; coloro che hanno prima testimoniato che l’italiano non poteva mai essere risolto e identificato con il fascista e poi hanno costruito la nostra democrazia. Bella ma, a leggere la storia italiana dal 1978 in poi, anche fragile; dal 1978 in poi sempre più fragile. Scarnificata innanzitutto di ogni ideale.
O meglio, sconsacrata, con la crisi degli anni Ottanta e l’avvento dell’edonismo berlusconiano, all’idea che la persona non fosse altro che un salvadanaio; all’idea che più fosse il denaro che in essa risuonasse, cadendo magari da una mano sempre meno pulita, e più essa valesse. E, ancora peggio, più essa potesse essere felice.
È questo il male che si è diffuso sempre di più nel cuore e nelle menti incoscienti di molti italiani. E che, ahinoi, un’intera società sta trasmettendo in maniera sempre più totalizzante e totalitaria ai suoi giovani. Fino allo stadio terminale del pensiero che l’essere liberi possa risolversi nell’essere ricchi. Così in questa privatizzazione continua delle nostre esistenze, nella loro sempre più psicotica monadizzazione, è chiaro che si smarrisca la consapevolezza di ciò che è pubblico; della res publica che hanno costruito col sacrificio quelli che ormai sono i nostri antenati. La res publica della libertà e dello stare insieme; anzi, nello stare insieme. È questo oggi il fiore della libertà di cui dovremmo almeno avere coscienza.
Giuseppe Cappello
Le liti nel governo costano care a tutti i cittadini
Che lo spettacolo offerto dalle liti nel governo non sia stato mai trasmesso dai media così continuamente e analiticamente è pacifico; che il governo gialloverde dia un’immagine misera di se stesso è altrettanto pacifico; che, però, sia altresì insopportabile il blaterare ripetitivo delle opposizioni con Berlusconi, Tajani & affini dalla parte di Forza Italia, e con Zingaretti ed ex renziani, come Gentiloni, Marcucci & affini dalla parte del Partito democratico è altrettanto miserevole.
Ciò perché si vuole mandare a casa il governo Conte, ma non si dice quale sia l’alternativa della coalizione che possa sostituirlo, anche perché non esiste in atto una maggioranza antagonista.
A meno che non si dice, ma si pensa che, non potendosi andare al voto per le elezioni politiche prima delle Europee, la crisi potrebbe essere risolta da Mattarella con la nomina di premier pro tempore come un Cottarelli o peggio ancora come l’esecutore più pedissequo dei diktat europei, cioè Mario Monti.
Luigi Ferlazzo Natoli
DIRITTO DI REPLICA
Caro direttore, apprezzo l’auto-ironia di una rubrica (“Vero o falso”, 25 aprile) che avendo come icona un Pinocchietto non si prende troppo sul serio. Però, senza esagerare. Nel contestare le “falsità” a proposito dei “debiti della Raggi”, Pinocchietto non può fare a meno di dire la sua bugia: “La gestione commissariale cerca di saldare debiti creati fino al 2008 (…) quindi sono debiti targati Rutelli-Veltroni-Alemanno”. Ma, come ho già chiarito rispondendo a una falsità pubblicata dal viceministro Castelli (su Repubblica; il testo della mia replica è sulla mia pagina Facebook) l’ormai famoso debito di 12 miliardi – di cui si parla dovunque – non si riferisce alla mia amministrazione. Non solo, infatti, i nostri bilanci (fine 1993-inizio 2001) erano in pareggio: i mutui contratti per investimenti e per le aziende di trasporto – in nessun caso derivati, o swap – sono stati assorbiti!
Magari, una volta o l’altra, visto che sono passati molti anni, potreste anche ristabilire la verità su esperienze di buongoverno (non solo la nostra; anche quella Veltroni) che potrebbero stimolare qualche buon consiglio ai governanti di oggi. In quei sette anni (mi limito ai miei, fine 1993-inizio 2001, per ragioni di spazio), la Capitale ha registrato 150.000 occupati in più; un saldo di 56.000 imprese in più; un’autonomia finanziaria record (superiore al 70 per cento); una crescita media annua del Pil vicina al 2 per cento; una solida crescita dei valori immobiliari. Abbiamo realizzato circa 800 cantieri per il Giubileo del 2000, senza una vittima sul lavoro, senza un avviso di garanzia, e con i lavori completati nei tempi previsti, per opere pubbliche universalmente ritenute utili, e tuttora ben visibili. Senza bisogno di Mastro Geppetto.
Francesco Rutelli, ex sindaco di Roma (1993-2001)
Gentile Rutelli, noi ci siamo limitati a ricordare che la gestione commissariale del debito di Roma riguarda i debiti fino al 2008. Che, per definizione, sono responsabilità di chi ha governato prima del 2008. Secondo i calcoli del Sole 24 Ore, al termine del suo mandato da sindaco, lei ha lasciato Roma nel 2001 con 2,3 miliardi di debito in più; il suo successore Walter Veltroni ne ha aggiunti altri 1,5. Lei avrà pure argomenti per sostenere di avere ben amministrato: di certo tutta la storia del debito di Roma, passata e presente, è opaca e sfuggente, come dimostra il fatto che tuttora non è nota l’entità complessiva delle passività da rimborsare.
Ste. Fel.