Solo un mese fa, Olaf Scholtz, ministro delle Finanze tedesco, l’aveva data per cosa fatta, ma la contrarietà di alcuni dei principali azionisti alla vigilia delle assemblee di bilancio ha fatto saltare il piano: Deutsche Bank e Commerzbank non si fonderanno. Ognuno dei due istituti tedeschi si terrà i propri problemi di scarsa redditività, attivi tossici e crediti in sofferenza. Nella speranza che non esplodano con il rallentamento in atto dell’economia tedesca o con un nuovo rovescio dei mercati finanziari.
In due comunicatiseparati, ieri Deutsche Bank e Commerzbank hanno reso noto che la decisione è maturata a seguito di “un’attenta analisi” dalla quale è emerso che la fusione “non sarebbe nell’interesse di azionisti della banca o altre parti interessate” e che “non avrebbe creato benefici sufficienti”. In pratica, importanti azionisti non sono stati disposti a sottoscrivere l’aumento di capitale necessario all’operazione, stimato in 10 miliardi di euro.
Della fusione si parlava da anni, con il governo tedesco indicato come grande sponsor dell’operazione. Sarebbe nato un mega gruppo da 2 mila miliardi di attivi, secondo in Europa solo a Bnp Paribas, con 845 miliardi di depositi e 141 mila addetti. Ma l’idea era soprattutto quella di mettere insieme due giganti malati nella speranza che si sorreggessero l’un l’altro.
Nel 2018 Deutsche Bank ha realizzato un utile netto, il primo dal 2014, di 341 milioni. Ma, secondo l’ultima analisi della società di consulenza tedesca Zeb, il cost income, il rapporto tra costi e margine d’intermediazione (i ricavi) è del 91%, dato che la pone all’ultimo posto nella classifica delle 50 principali banche europee per efficienza. Commerzbank non se la passa molto meglio: è al sest’ultimo posto, col 77%. Se si trattasse solo di efficienza la fusione, con due miliardi di sinergie previste in cinque anni, sarebbe forse passata, facendo digerire ai sindacati i circa 20 mila esuberi previsti. Il problema è che Deutsche Bank, lanciatasi nella speculazione, tra il 2011 e il 2018 ha accumulato 6 miliardi di perdite nette e ha aperto nel bilancio una specie di buco nero da 48 mila miliardi di euro nominali di derivati, 14 volte il Pil tedesco, (Commerzbank ne ha 10 volte meno). Titoli il cui vero prezzo di mercato è variabilissimo e incerto. Le autorità di vigilanza europee in passato si sono concentrate soprattutto sui crediti in sofferenza, ma il vento sta cambiando. L’European banking autority negli stress test dell’anno scorso ha iniziato a prestare più attenzione ai rischi di mercato, quindi ai valori dei derivati (per ora ci si affida alle certificazioni delle banche stesse); se le regole dovessero diventare più severe, Deutsche Bank sarebbe in enormi difficoltà.
La banca è inoltre coinvolta praticamente in ogni grosso scandalo bancario degli ultimi anni, dalle vendita fraudolenta di cartolarizzazioni sui mutui, alla manipolazione del tasso interbancario Libor, comportamenti che gli sono costati dal 2011 a oggi 14,5 miliardi di dollari di multe. E indagini sono ancora in corso, la principale è sul ruolo svolto dalla filiale americana nel riciclaggio da 200 miliardi fondi russi transitati nella banca danese Danske bank. Commerzbank nel 2018 ha realizzato 262 milioni di utili netti, ma nel febbraio scorso l’amministratore delegato. Martin Zielke aveva dovuto smentire tutti gli obiettivi di redditività che erano stati indicati nel piano industriale. “Ha avuto senso valutare questa opzione per il consolidamento del settore domestico – ha spiegato ieri Zielke – tuttavia, siamo sempre stati chiari: dovevamo essere convinti che qualsiasi possibile combinazione avrebbe generato rendimenti più elevati e più sostenibili per gli azionisti e ci avrebbe permesso di migliorare la nostra proposta di valore per i clienti”.