Ci ha sperato, per qualche ora. Poco prima di volare per la Sicilia, in fuga dal 25 aprile, si era aggrappato a un articolo di giornale. Ma quella che sembrava la carta a sorpresa, il pezzo de La Verità che ieri mattina bollava come inesistente un’intercettazione che pesa come un macigno su Armando Siri, non ha mutato lo stato delle cose. Così il Matteo Salvini che ieri ha schivato le piazze della Liberazione ora fugge anche dalle sue certezze sul sottosegretario della Lega indagato per corruzione, l’uomo che resta il primo problema del governo. Ma che forse non rimarrà tale a lungo, perché “non possiamo fare una crisi di governo per Siri”, come riassume un’alta fonte del Carroccio. Convinta che “andare a rompere sul suo caso, ossia sulla questione morale, sarebbe un regalo ai 5Stelle” proprio prima delle Europee, e su una vicenda per di più a cui si intreccia la parola mafia. E poi “Armando lo conosciamo tutti, ci fidiamo, però metterci la mano sul fuoco…”. Tanto più che è atteso un nuovo deposito di atti da parte dei pm romani e non è il caso di esporsi senza conoscerne i contenuti.
Tornando a ieri, Salvini cambia in fretta spartito: a mezzogiorno giura ancora che il sottosegretario alle Infrastrutture “resterà dov’è, ci mancherebbe altro”. Invece nel pomeriggio svicola: “Se vogliamo parlare di quello che chiede Corleone sono disposizione, la polemica politica la lascio agli altri, le sentenze ai magistrati”. Traccheggia, il capo del Carroccio, perché la corda sul caso Siri si sfilaccia. Per la delusione del vicepremier, che pure nelle prime ore del 25 aprile spera nel colpo che rovescerebbe il tavolo.
Mentre è in aeroporto a Milano gli raccontano dell’articolo de La Verità, dove si sostiene che i magistrati non abbiano trovato traccia di un’intercettazione pubblicata da alcuni giornali, quella in cui Paolo Arata spiegava al figlio che “quest’operazione ci è costata 30 mila euro”, e il riferimento secondo l’accusa sarebbe a una tangente versata a Siri per “spingere” gli emendamenti sull’eolico. Sarebbe la pistola fumante che scompare dal tavolo, ragionano i leghisti. Così il ministro si fa mandare il pezzo, e appena atterrato in Sicilia lo usa come una lama: “Sembra che quelle intercettazioni di cui si parla da giorni non esistano, siano false: vedremo”. Ma non è così semplice. Perché il Corsera, ad esempio, ribatte sul sito, mostra il capo d’imputazione e ribadisce che l’intercettazione esiste.
E la sostanza, al di là della registrazione, è che l’accusa degli inquirenti a Siri rimane assolutamente quella: “Proponendo emendamenti contenenti disposizioni in materia di incentivi per il cosiddetto mini eolico, riceveva indebitamente la promessa e/o la dazione di 30 mila euro da parte di Arata”. Ovviamente leggono anche i 5Stelle, che in mattinata si erano preoccupati. Le verifiche successive, però, li convincono che la linea deve restare quella: Siri via il prima possibile.
Così il capo politico Luigi Di Maio picchia su Salvini: “Che senso ha dire che si festeggia a Corleone, dicendo che si vuole eliminare la mafia: la elimini se tu dai l’esempio”. E poi insiste: “Siri si deve dimettere da sottosegretario e se non lo fa chiederemo a nome del governo che lo faccia, anche al presidente del Consiglio”.
Il riferimento indiretto è alla possibilità che sia direttamente il Consiglio dei ministri a rimuoverlo su proposta del premier Conte. Strada tecnicamente possibile, ma politicamente lastricata di sangue. Perché bisognerebbe andare alla conta in Cdm e comunque servirebbe il via libera finale del Quirinale, che non vuole essere tirato dentro questa rogna. Ergo, il primo obiettivo è convincere il sottosegretario a mollare. Magari lunedì, quando Conte lo incontrerà al ritorno dalla Cina.
Per questo va letto in controluce il sottosegretario del Carroccio Stefano Candiani, con Salvini in Sicilia: “Aspettiamo l’incontro di lunedì ma bisognerebbe essere più ampi di vedute e magari leggersi anche gli atti dell’indagine”. Tradotto, Candiani tiene il punto, ma senza esagerare. Mentre altri big a 5Stelle invocano le dimissioni: “Ci aspettiamo che Siri vada via immediatamente” scandisce il sottosegretario Stefano Buffagni.
E il ministro alla Giustizia Alfonso Bonafede è feroce: “Mi sembra che in questi giorni si sia tornati ai tempi di Berlusconi, in cui si parlava della giustizia contro qualcuno o per qualcuno”. In serata, ancora Di Maio: “Giusto il garantismo, non il paraculismo”. Salvini legge. E ora riflette su come uscire dall’assedio. Consapevole che un sottosegretario non vale quanto un governo.